Ringraziamo l'amico Daniz per la seguente segnalazione:
DALLE COLONNE DEL 'TEMPO' ANCHE PASOLINI SI ERA COSTRUITO IL SUO CELINE...
Dal 26 novembre 1972 al 24 gennaio 1975, Pier Paolo Pasolini, in arte P.P.P., tenne una rubrica letteraria a cadenza quasi mensile, sul giornale settimale ''Tempo''; il 22 luglio 1973 recensirà così il libro di Céline "Da un castello all'altro".
"E' un luogo comune ammirare incondizionatamente Céline. l'obbligo morale che impone questo luogo comune è una specie di spregiudicata presa di posizione antideterministica, per cui risulterebbe, appunto, <> giudicare uno scrottore dalla sua ideologia e dai fatti della sua vita: mentre sarebbe <> dissociare, da tale ideologia e da tali fatti, la sua opera.Nel caso di Céline questa dissociazione è codificata con particolare rigidità. E' punto d'onore dell'intellettuale di sinistra non discuterla. si tratta di un un esempio di letteratura avanzata in uno scrittore reazionario: e serve a salvare la coscienza dell'intellettuale di sinistra dal dogmatismo dello scandalo.Invece questa comoda dissociazione va discussa. L'ultimo romanzo di Céline, ''Il castello dei rifugiati'' è di carattere particolarmente autobiografico: parla dei fatti della sua vita e allude continuamente all'ideologia che li ha determinati. anche per il più ostinato anticonformista sarebbe difficile in questo caso sfuggire al conformistico dovere di confrontare il risultato estetico con la volontà noetica , il tipo di conoscenza, che vi presiede. tale confronto è disastroso per Céline e il suo valore letterario. il romanzo è concepito come un lungo, interminabile monologo interiore: lo scrittore si immerge nello spirito-nella fattispecie, nello spirito linguistico- del protagonista vive il suo rapporto discorsivo con la realtà e sulla realtà. generalmente il protagonista di cui lo scrittore rivive il discorso è molto diverso, psicologicamente e socialmente dallo scrottore (per esempio Padron 'Ntoni è molto diverso dal Verga che lo rivive nella sua scrittura): invece, nel caso del ''Castello dei rifugiati'', il protagonista e lo scrittore sono la stessa persona! Céline vive il discorso di Céline-appena appena distanziato da sé- in una forma piccolo-borghese e media. Questo monolo interiore, che è tipico della scrittura naturalistica, è però da Céline stilizzato: ma con una trovata priva di ispirazione, che non diviene una vera e propria ''idea formale''. egli ha interrotto il flusso interminabile del discorso di chi pensa ai casi suoi come a voce alta, e l'ha tutto spezzettato in una serie di lacerti sintattici minimi, divisi tra loro da punti di sospensione e da una serie infinita di punti esclamativi. sicché anziché una rimeditazione, com'è in genere il monologo interiore, questo è un concitato referto tutto esclamativo. è uno sfogo, un'arringa. ma poiché l'autore non può e non vuole affrontare direttamente i fatti di cui parla, instaura col suo ipotetico ascoltatore un rapporto tutto allusivo e ammiccante. ed è appunto qui, in questo rapporto, che si manifesta l'ideologia e il carattere psicologico-polito dell'autore. e poiché questo rapporto è in sostanza lo stile del libro, ecco che la famosa dissociazione non può essere operata.''Il castello dei rifugiati'' è un brutto libro perché è odioso ciò che Céline pensa ed è. il destinatario del suo monologo finto è un uomo come lui, che la pensa come lui, o quasi. o che è comunque in grado di comprenderlo quando egli allude ai suoi trascorsi di collaborazionista e di criminale di guerra; o, quantomeno, di fare la sua disillusione che ne è seguita, con la conseguente spregiudicatezza critica nei confronti dei suoi ex idoli nazisti rimescolati in una generale indegnità del mondo. sicché il lettore è costretto a sentirsi identificare con un destinatario complice. ma ciò che l'autore gli comunica e gli confida- ammiccandogli come a un suo pari- come, appunto, a un orrendo complice- è così meschino e volgare, che il rifiuto da parte del lettore non può essere che assoluto. non è possibile perdonare a Céline il suo fascismo in nome del buonsenso borghese, e non è possibile dissociare da questo il suo stile, se il suo stile altro non è appunto che la mimesi del buonsenso di un borghese, sia pure disperato e scardinato dalla vita normale''
Il meno che possiamo dire è che, per una volta, il geniale anticonformista Pasolini è scivolato nel pieno conformismo intellettuale. Nessuno è perfetto.
9 commenti:
sì, però Céline è come una immensa calamita. Anche per parlarne male uno gli si deve avvicinare, altrimenti l'analisi è impossibile. Siamo alle solite. L'ammirazione è sottobanco, in evidenza solo la stigmatizzazione ideologica. bellissima segnalazione
Céline coerente in tutta la sua vita,Pasolini no.
argos
"Anche per parlarne male uno gli si deve avvicinare, altrimenti l'analisi è impossibile. [...]. L'ammirazione è sottobanco"
Concordo! :-)
Andrea
che delusione, ora comincio a comprendere certi giudizi su Pasolini di Guido Ceronetti...
Un Pasolini rigido, che imputa a Céline 'peccati' che ha commesso lui stesso. Nessun artista è perfetto.
S.
PASOLINI per me è l'autore più grande della 2°metà del NOVECENTO italiano. La sua Cultura è straripante,molto più vasta di quella di CELINE. Cionondimeno Céline è per me il più grande romanziere di tutto il 900 Mondiale: NESSUN scrittore possiede l' IRONIA TRAGICA di Cèline. Il "massimo"Pasolini lo dà nel Cinema non nel romanzo.
Recentemente sono stato impegnato per 2 mesi con la lettura di "Petrolio":l'ho trovato "estremamente interessante"per una motivazione mia personale...diversamente dopo 50 pagine l'avrei abbandonato per una certa pesantezza di scrittura. Pasolini era un uomo di struttura "tragica",ma ha anche goduto del Successo e della Ricchezza. Invece Céline,"tragico"pure lui ,si è rovinato con le proprie mani,non ha sfruttato l'occasione fornitagli dal successo del "Voyage"...un ANARCHICO totale condannato quindi all'esclusione e alla Solitudine.
argos
Vedo delle cose assurde come il fatto di dire che Celine non aveva goduto del successo dei suoi romanzi. Céline chiedeva spesso alla sua casa editrice più soldi. Celine aveva nascosto lingotti all'estero...quindi Céline non era povero e non è mai stato povero. Celine provveniva da una famiglia che ha sempre lavorato, che aveva un negozio. Non erano ne operai ne disoccupati.
Ho anche letto "Celine coerente tutta la vita". Bugia! Celine all'inizio della sua vita artistica si era promesso di non includere una dimensione politica alla sua scrittura. Ogni romanzo da "Bagatelles pour un massacre" fino a "D'un château l'autre" è segnata dall'ideologia nazista. Per favore, ragazzi prima di parlare di letteratura, bisogna leggere.
Céline ha sempre vissuto SOBRIAMENTE, senza Ferrari e senza Castello.
Ha rispecchiato la REALTA' e detto la VERITA'.
E' il più grande Romanziere del 20°Secolo.
Pasolini ancora negli anni Sessanta, se non erro dalle colonne di Vie nuove, dichiarava di aver ammirato Stalin, tremendo ma necessario. Non aggiungo altro.
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