domenica 30 gennaio 2011

Monsieur Céline, un esasperato anti-borghese



Monsieur Céline, un esasperato anti-borghese
di Gaetano Marabello - 27/01/2011

Parlare di scrittori “maledetti” è sempre operazione ardua, a causa delle contrastanti reazioni che le loro opere hanno il potere di suscitare in chi legge. La cosa si complica ancor più se di fronte ci si trova un certo Louis-Ferdinand Destouches (l894 – 1961), noto universalmente con il nome d’arte di Céline (preso dalla nonna materna cui era molto legato). In Italia, l’ostracismo di certi critici verso di lui è ben rappresentato da Massimo Onofri, che nel suo Recensioni. Istruzioni per l’uso (Donzelli, 2008) lo ha snobbato, dedicandogli solo un paio di citazioni. Fortunatamente, non tutti sono su questa linea, come ha dimostrato l’anno dopo Marina Alberghini con il suo Gatto randagio, edito da Mursia. Comunque, a darci una mano per tentar l’impresa di raccontare l’impatto delle opere di Cèline in Italia, c’è un apprezzabile libro di un quinquennio fa, intitolato Céline in Italia e pubblicato dalle edizioni Settimo Sigillo di Roma. Maurizio Markovec vi ricostruisce con dovizia di riferimenti bibliografici la vicenda di tutte le traduzioni ed interpretazioni dei lavori di Céline, che si son succedute qui da noi a partire dal 1933, allorché apparve ad opera di Alex Alexis (pseudonimo di Luigi Alessio) un puritana versione italiana di Voyage au bout de la nuit, che all’epoca sfiorò il prestigioso Premio Goncourt. Per quanto depurato da tutte le espressioni che potevano apparire volgari in un clima poco disposto a tollerarle, questo racconto - al pari del successivo Morte a credito - suscitò commenti complessivamente negativi, come quelli della rivista cattolica Il Frontespizio o de Il Saggiatore, per non parlare di una stroncatura di Margherita Sarfatti su La Stampa. In effetti, il primo Céline, anche a motivo del suo antimilitarismo e dei virulenti attacchi alla società borghese, si prestava a piacere maggiormente ad un Trotsky, il quale nell’ottobre del ’35 ebbe per lui parole lusinghiere. Il famoso rivoluzionario russo non s’avvide che nessuno era fuori tiro con quella scheggia impazzita della letteratura che fu Céline, capacissimo di scrivere un Mea culpa contro il regime sovietico e di dissacrare ferocemente anche le tematiche sociali.
I proletari, infatti, secondo Céline avevano quale “unica aspirazione profonda nient’altro che l’accesso alla borghesia”: E pertanto meritavano anch’essi l’appellativo di “avidi budelli… assorbiti dalle funzioni bassamente digestive”, loro affibbiato su L’ècole des cadavres (unico testo ancor oggi non tradotto in Italia). Il severo giudizio, come si vede, non è da meno delle feroci stoccate da lui tirate al “borghese ben pasciuto”, i cui soli ideali – secondo una felice espressione di Maurice Bardèche – sono l’aperitivo, lo stipendio e le vacanze. In realtà, gli strali disgustati e dissacranti di Céline sono diretti contro l’intero genere umano degli ultimi due secoli, “folle di orgoglio, gonfiato dalla meccanica” e “trascinato per la trippa” e del quale “si conserverà solo la parola m…”. Nel calderone delle sue invettive finiscono infatti per cadere tutti, senza distinzioni di razza, sesso, ceto o religione, in un j’accuse delirante che non risparmia proprio nessuno. “Io aderisco a me stesso, finché posso…”, scriverà sulla scia di Nietzsche questo grande anarchico del pensiero. La sua ostilità verso il mondo moderno ci porta all’aspetto più delicato di alcuni suoi scritti, il più famigerato dei quali è Bagattelle per un massacro, recentemente ritirato dal commercio per volere della vedova a causa del fortissimo antisemitismo.
I più entusiasti critici dell’opera céliniana come Ernesto Ferrero e Giovanni Roboni hanno parlato al riguardo di un delirio “tutto metaforico”, invitando a non confondere il suo io reale con il suo io lirico o apparente, costruito apposta per soli fini letterari. La tesi non convince, anche se effettivamente l’oltranza troppo esagitata dei libelli (oggi) meno presentabili di Céline può apparir tale da scongiurarne ogni possibile efficacia propagandistica. Analogo discorso ha da valere in ordine all’accusa di collaborazionismo, definita “pretestuosa” da Elio Naselli, ritenuta invece vera da Stelio Solinas e mitigata da un “a modo suo” da Alberto Rosselli. In realtà, sia il governo di Pètain che i nazisti non mostrarono grande simpatia per un autore ritenuto decadente, ampiamente ricambiati peraltro dal misantropo di Courbeoie. Sta di fatto che l’accusa mossagli da Radio Londra durante la seconda guerra mondiale, equivalendo ad una condanna a morte, lo costrinse a cercare rifugio in Danimarca dove poi finì fortunatamente solo in prigione.
La drammatica fuga attraverso la Germania agonizzante divenne poi oggetto della famosa Trilogia del Nord degli ultimi anni della sua vita. Per certe sue posizioni estreme, Céline fu sicuramente un personaggio capace di suscitare antipatie persino a destra, anche se una parte del nazionalismo più razzista ne farà un’icona. Quanto alla sinistra, é notorio che nel dicembre 1945, mentre impazzava l’epurazione contro i collaborazionisti francesi, Jan-Paul Sartre gli sferrò con il suo Portrait d’un antisémite la pericolosissima accusa d’esser stato addirittura “pagato” dai nazisti.
Céline, il quale durante l’occupazione tedesca si era abbastanza defilato limitandosi a scrivere un articolo e alcune lettere ai giornali, replicò duramente con il pamphlet al vetriolo ‘A l’agité du bocal. Il padre dell’esistenzialismo, che dal canto suo aveva potuto mettere tranquillamente in scena un’allegoria dell’occupazione tedesca dal titolo Les Mouches addirittura nel giugno del ‘43, vi finì triturato sotto una caterva di epiteti irripetibili, il più gentile dei quali suona come tenia des étrons. Al riguardo, ricordiamo a chi vi fosse interessato che questo libello di Céline è stato pubblicato nel 2005 a cura di Andrea Lombardi dall’Effepi di Genova. A parte l’aspetto ideologico-politico, che ha indotto spesso gli editori che l’hanno pubblicato a prendere prudentemente le distanze da certe sue invettive razziste suscettibili oggi dei rigori della legge, Céline ha rappresentato un vero caso letterario essendo l’inventore, secondo Phlippe Sollers, di una “ritmica sbalorditiva, mai udita” nella lingua francese, capace di attirargli l’elogio di Ezra Pound e di Henry Miller e di farlo porre accanto a Bernanos (Carlo Bo) o a Marcel Proust (Giuseppe Guglielmi). Padroneggiando con maestria l’argot, che è il gergo forte e marcato delle caserme, dei bassifondi, della mala e del pronto soccorso degli ospedali francesi da lui bazzicati come medico, Céline ha innovato profondamente il linguaggio ufficiale mettendo così in seria difficoltà chi si è cimentato nelle traduzioni delle sue opere perché neppure il dialetto riesce a renderne appieno il senso.
L’altro aspetto rivoluzionario di Cèline è stato l’uso di una parlata frenetica, intercalata da un lessico iperbolico, aspro e dirompente, inframmezzato da esclamativi e puntini di sospensione, a sottolineare la concitazione del discorso. Questa tecnica sulfurea, secondo Giovanni Bugliolo, ha operato il miracolo di far riacquistare “una verginità assoluta” anche ai più “logori espedienti narrativi e retorici”. Da questi cenni necessariamente brevi si comprende perché Céline è destinato a far discutere ogni volta che viene ripubblicato. Egli ci pone infatti di fronte ad un dilemma che non ammette vie di mezzo: o lo si ama o lo si odia. E odiarlo risulta decisamente più comodo.


Grazie al sempre tempestivo Harm Wulf per la segnalazione!

sabato 29 gennaio 2011

La Rive Gauche, di H. R. Lottman




Tradotto in italiano da Edizioni di Comunità (Milano 1983) il libro, pur non tenero verso Céline, è però una miniera di informazioni sugli intellettuali francesi dal 1930 al 1950, e in particolare sulla Parigi della Collaborazione.

mercoledì 26 gennaio 2011

Ma io, filosemita, celebro Céline di Guido Ceronetti



Ma io, filosemita, celebro Céline
di Guido Ceronetti


«La Francia sbaglia a cancellare l’omaggio, era l’occasione per analizzarlo»

Deploro fortemente che uno scrittore come Céline sia stato tolto dal calendario delle celebrazioni per il 2011 in Francia. Un ministro della Cultura, in qualsiasi governo francese, ha sufficiente autorità per resistere ad ogni gruppo privato di pressione, sia pure benemerito, come in questo caso. Céline non è un piccolo pesce; è uno dei massimi scrittori e testimoni del secolo. Il suo cinquantenario (morì nel 1961, a Meudon, in banlieue) non sarà ugualmente dimenticato. Si capisce: la Shoah è una ferita della storia dell’uomo che il tempo non può né deve sanare, e il grido di Rachele in Ramah seguita a irrorarla di lutto. Ma la paranoia antisemita di uno scrittore che non ha versato sangue di deportati va vista come una anomalia della psiche, un’ombra del Fato, il possesso di un demone incubo. Va analizzata come malattia e non elevata a colpa. «Ha una pallottola in testa» lo giustificava Lucette. Lui, l’episodio della Grande Guerra che l’aveva fatto congedare e medagliare in fretta, non l’aveva mai taciuto: l’agitava sempre, il suo congedo di invalido permanente per il settantacinque per cento: ma sopratutto a renderlo furiosamente antisemita era stata l’ossessione che gli ebrei — tutti, in massa, banchieri o straccioni — spingessero ad una nuova spaventosa guerra con la povera Germania, che fino a Hitler non pensava minimamente a difendersene. Nel Trentasette pubblicò il suo manufatto di deliri, Bagatelles pour un massacre, pestando perché la Francia non perdesse tempo a disfarsi dei suoi ebrei, a scrostarli dai muri, a cacciarli via «che non se ne parlasse più» : una scrittura così potente come la sua attirò come miele gli antidreyfusardi, senza guadagnargli le simpatie dei nazisti; per la Gestapo, Céline era più pazzo che utile. Anche come antisemita Céline fu un isolato: i comunisti lo esecrarono dopo Mea culpa, agli antisemiti bisognosi di «razzismo scientifico» o religioso, di motivazioni monotone e piatte, quel Vajont di metafore forsennate, che finivano in pura autodistruzione spense presto il favore iniziale; inoltre, incontenibile, sotto l’occhio dei tedeschi occupanti che rigettavano e temevano il suo zelo pacifista, picchiava pubblicamente anche contro la connerie aryenne (che renderei come fessaggine, stronzaggine ariana). Non furono le sciagurate metafore celiniane dei tre saggi antisemiti a riempire i treni dei deportati da sterminare: chi li avrà mai letti tra i burocrati di Vichy? In una guerra simile contro l’essenza umana (altro che «banalità del male» !) furono senza numero i paradossi tragici. Céline nel Semmelwei, nel Voyage, in Mort à crédit, nei suoi romanzi stilisticamente ultraviolenti del dopoguerra, nei suoi viaggi al seguito del governo collaborazionista in fuga a Sigmaringen, spinse fino all’indicibile l’espressione letteraria della pietà umana; fu un moderno, e rimane, incarnatore di Buddha, un angelo pieno di cicatrici, che sfoga una pena scespiriana. Aggiungi il suo lavoro fino all’ultimo giorno di strenuo medico dei poveri, che quasi mai si faceva pagare. Lucette, a Meudon, mi mostrò la poltrona dove Céline passava la notte di insonne a vita. Il paesaggio, dalla vetrata, erano le officine della Renault-Billancourt, una fumante galera umana, non scorgevi un albero. Di là gli cadevano gocce fisse di delirio, da scavare una pietra, sul cranio della pallottola di guerra, Erinne dettatrici di insulti feroci di satirico, di maniaco di persecuzione (motivato), di aperture denunciatrici di verità crudeli, di amore per la bellezza, di sorriso in travaglio. L’insonnia, alleata del Contrasto, violenta di chiaroscuro, è «madre di tutto» . Il secolo XX ci ha lasciato tre libri, generati direttamente da una interminabile sequela di calvari umani che ha appestato e stravolto la totalità del pianeta abitato o inabitato — e i tre grandi libri mi sono indicati essere i racconti e i diari ultimi di Kafka, i racconti della Kolyma di Varlam Šalamov, e il Voyage au bout de la nuit di Céline. Comparando l’antisemitismo ormai sciolto negli acidi del Tempo di Céline, e il disastro filosofico di Martin Heidegger quando fu pervaso, tra 1933 e 1935, per vanità universitaria, per credulità da debilità mentale (quantunque giovane), di zelo filonazista nascostamente antisemita— mi sarebbe più facile, dovessi fare il minosse e pronunciarmi su entrambi, mandare semiassolto (o del tutto) Céline, astenendomi dall’incolpare Heidegger esclusivamente per motivi di prescrizione. Un pensatore non aveva nessun diritto di degradarsi a quel modo. Il discorso di rettorato del filosofo di Friburgo è peggio, è più mendace, più corruttore, di Bagatelles pour un massacre. Tuttavia, se di valori si parla, Heidegger è Heidegger. Se di gloria letteraria si parla, Céline, riplasmatore del linguaggio, petite musique, affrescatore e medico delle miserie umane, è Céline. Ingiusto e ridicolo, cancellarlo dalle celebrazioni del 2011. Era un’occasione per comprendere, riscoprire, analizzare. L’odio, Spinoza dixit, non può mai essere buono.
Corriere della sera, 26/01/2011.

sabato 22 gennaio 2011

Francia: cancellate le celebrazioni di Céline




Celine l'antisemita
Mitterand lo "cancella"di Luca Sebastiani (L'Unità)

Non è la prima e non sarà neanche l’ultima. Ogni volta che si tratta di Louis Ferdinand Céline la polemica è assicurata, a livello accademico, istituzionale, o intorno a qualche tavolino al caffè. In Francia non c’è oggetto meno identificato che l’autore del Viaggio al termine della notte, scrittore così scandaloso da non poter mai trovare un posto che sia. Genio riconosciuto dello stile e monumento della letteratura francese, il dottor LF Destouches è stato però anche un antisemita, un estensore di infuocati pamphlet contro gli ebrei (Bagatelle per un massacro e La scuola dei cadaveri). Un collaborazionista che nella memoria non è stato ancora riconciliato con lo scrittore, come dimostra l’intervento del ministro della Cultura Frédéric Mitterrand, che ieri ha cancellato il suo nome tra quelli dei figli della Republique. Le tensioni intorno al nome di Céline con i soliti furori ideologici erano scoppiate di nuovo quando lo scrittore è finito in un libretto di celebrazioni ufficiali tra l’anniversario della cattedrale di Reims e quello della pubblicazione della Storia della follia di Michel Foucault. Tutti gli anni, infatti, sotto la supervisione di un comitato di storici e di saggi, gli Archives de France pubblicano un tomo nel quale vengono illustrate tutte le celebrazioni ricorrenti nell’anno in corso e che valga la pena di ricordare a gloria della Republique. Niente di meno celiniano, per carità, ma quest’anno ricorre il cinquantesimo della morte dell’autore di Morte a credito, e il comitato scientifico non ha esitato a inserire la data nella silloge. Informato, Serge Klarsfeld, meglio noto come il «cacciatore di nazisti» e protagonista della traduzione davanti alla giustizia di gente come Klaus Barbie e Papon, ha preso carta e penna e chiesto al ministro della Cultura, in qualità di presidente dell’associazione dei figli e delle figlie dei deportati ebrei di Francia (FFDJF), di ritirare la pubblicazione e di sostituire Céline con qualcos’altro in caso di riedizione. Bisognerà aspettare dei secoli, ha scritto «prima di celebrare allo stesso tempo vittime e carnefici». E ha quindi intimato il ministro di «rinunciare a gettare dei fiori sulla memoria di Céline». Con la massima cautela Frédéric Vitoux, membro dell’Accadémie Française e autore di una biografia sul dottor Destouches, ha provato a spiegare che la celebrazione è solo un’occasione per interessarsi all’opera, per «indagare meglio le sue zone d’ombra». E poi ha rimandato alla scheda inserita nella pubblicazione e redatta da Henri Godard, professore emerito alla Sorbona e massimo esperto di Céline, che nel presentare lo scrittore ha esordito proprio chiedendosi se si possa celebrarlo. «Le obiezioni sono troppo evidenti – ha scritto – è stato un uomo d’un antisemitismo virulento, ma è stato anche l’autore di un opera romanzesca di cui è diventato comune dire che con quella di Proust domina il romanzo francese della prima metà del secolo scorso». Insomma, la solita idea di compromesso su Céline: tanto geniale come scrittore quanto abietto come uomo. Concetto espresso alla perfezione con dono di sintesi e chiarezza d’esposizione da Bertrand Delanoe, sindaco di Parigi, che intervenendo nella polemica aveva definito Céline «un grande scrittore ma un perfetto mascalzone». L’autore dei pamphlet antisemiti (Bagatelle per un massacro e La scuola dei cadaveri) nel 1944 era scappato da Parigi e si era rifugiato prima in Germania e poi in Danimarca. Alla fine della guerra era stato condannato in quanto collaborazionista e marcato «d’indegnità nazionale». Nel ’51 era riuscito a strappare un’amnistia ed era potuto tornare in Francia, a Meudon, vicino Parigi, a scrivere e fare il medico dei poveri. Gallimard lo rilanciò, e dopo la morte lo fece entrare nella prestigiosa collana della Pleiade, il Pantheon della letteratura. Ma nonostante oggi i suoi romanzi si studino anche sui banchi di scuola, continua ad essere un autore poco frequentabile. Ma è possibile celebrare Céline? Il gesto di Mitterrand non chiuderà senz’altro il caso dello scandalo che l’autore rappresenta. Se ne parlerà ancora molto in queste ore, e nei prossimi anni, con il solito furore. Almeno fin quando non si riuscirà a far uscire Louis Ferdinand Destouches, detto Céline, dall’inferno in cui è stato relegato. Del resto si sa, rinchiudere qualcuno significa prenderne distanza, purificarsi la coscienza. Ma lo scandalo Céline rappresenta sulla pelle di un uomo-scrittore il dramma, la violenza e l’abiezione stessa dell’uomo che si è espressa nella miseria del secolo scorso. Chissà cosa avrebbe detto Céline di queste polemiche infinite. Forse avrebbe risposto come gli era già capitato di scrivere quando intimava: «sappiate avere torto, il mondo è pieno di gente che ha ragione. È per questo che marcisce».
Grazie a Maurizio per la segnalazione!

venerdì 21 gennaio 2011

Polemiche in Francia: Klarsfeld vs Céline



Celine contestato nel 50esimo dalla morte
Lo scrittore accusato dall’avvocato Klarsfeld, uno dei più famosi “cacciatori di nazisti”PARIGI - Louis-Ferdinand Celine, autore del celebre “Viaggio al termine della notte”, ha peccato di antisemitismo e non è degno di essere celebrato per il 50esimo anniversario della sua morte, dalla “Republique”. Lo sostiene l’avvocato Serge Klarsfeld, uno dei più famosi “cacciatori di nazisti”, a capo dell’Associazione dei figli degli ebrei deportati dalla Francia (Ffdjf), che in una lettera, pubblicata su Le Monde, si dice indignato che lo scrittore francese, noto per i suoi pamphlet antisemiti, venga incluso nella raccolta delle Celebrazioni nazionali del 2011 edita dal ministero della Cultura.Klarsfeld chiede «il ritiro immediato di questa raccolta e la soppressione delle pagine dedicate a Celine nella prossima riedizione. A chi non è d’accordo con questa ovvia esigenza - continua l’avvocato, che con la moglie Beate ha intrapreso una serie d’indagini nei confronti di criminali nazisti scampati ai processi del dopoguerra - rispondiamo che bisogna attendere secoli affinché si celebrino al contempo le vittime e i boia». E aggiunge: «La Repubblica deve osservare i suoi valori: il ministro Frederic Mitterrand deve rinunciare a portare i fiori in memoria di Celine, così come suo zio, l’ex presidente Francois Mitterrand, fu obbligato a non deporre più corone di fiori sulla tomba di Petain» (il maresciallo capo del regime francese collaborazionista, ndr). E ancora: «Il talento di scrittore non deve fare dimenticare l’uomo che lanciava appelli alla morte degli ebrei sotto l’Occupazione. Che la Repubblica lo celebri è indegno». Klarsfeld, che ha ricevuto il sostegno del sindaco di Parigi Bertrand Delanoe, ha fatto appello anche al presidente Nicolas Sarkozy «affinché prenda una posizione» altrimenti la sua reazione sarà «dura». La raccolta, che sarà presentata al pubblico oggi proprio da Mitterrand che ne ha scritto la prefazione, contiene tra l’altro una precisazione su Celine redatta dal professore emerito Henri Godard, che ha curato l’opera dello scrittore per La Bibliotheque de la Pleiade, la più prestigiosa collana editoriale francese, edita da Gallimard. «Possiamo celebrare Celine? - si chiede Godard - Le obiezioni sono troppo evidenti. È stato l’uomo di un antisemitismo virulento». Tuttavia, aggiunge il docente, «è l’autore di un’opera romantica che con quella di Proust domina il romanzo francese della prima metà del XX secolo». Per lui «la creazione artistica è un valore che va riconosciuto anche quando non coincide con i nostri valori morali o li contraddice». Anche Frederic Vitoux, accademico di Francia e autore di una biografia su Celine, non capisce la polemica: «È la parola “celebrazione” che è ambigua: non si tratta di onorare lo scrittore. Il 50esimo della morte è occasione per interessarsi alla sua opera, esaminarne le zone d’ombra. È innegabile sia stato uno dei più grandi scrittori francesi». Il ministero della Cultura ha tagliato corto: la polemica non ha motivo di esistere. La raccolta è «una effemeride dove vengono ricordati i grandi anniversari dal 511 al 1961». (Corriere della sera)
Celebrare l’antisemita Céline? No, grazie
L’Associazione dei figli degli ebrei deportati dalla Francia (Ffdjf), presieduta dall’avvocato Serge Klarsfeld, uno dei più celebri «cacciatori di nazisti», si è detta indignata che gli Archivi di Francia abbiano deciso di celebrare il 50° anniversario della morte dello scrittore Louis-Ferdinand Céline, celebre autore di Viaggio al termine della notte ma anche di pamphlet antisemiti. Céline figura infatti nella raccolta delle Celebrazioni nazionali del 2011 pubblicate dal ministero della Cultura (figura tra il poeta Maurice Maeterlinck, vincitore del premio Nobel della letteratura nel 1911, e lo scrittore Blaise Cendrars, morto nel 1961, passando per il bicentenario della nascita dello scrittore Théophile Gautier).L’associazione ha chiesto «il ritiro immediato di questa raccolta e la soppressione delle pagine dedicate a Celine nella prossima riedizione». «A chi non è d’accordo con questa esigenza - continua il comunicato del Ffdjf - rispondiamo che bisogna attendere secoli affinché si celebrino al contempo le vittime e i boia». Secondo l’Associazione «la Repubblica deve conservare i suoi valori: il ministro Frédéric Mitterrand deve rinunciare a gettare i fiori sulla memoria di Céline. François Mitterrand fu obbligato a non deporre fiori sulla tomba del maresciallo Pétain».A favore delle celebrazioni in onore di Céline si è schierato invece l’editore Philippe Regniez, che come direttore delle Editions de la Reconquête, ha recentemente ristampato i pamphlet del controverso scrittore. «Céline è senza contestazioni uno dei più importanti autori francesi del XX secolo», ha sottolineato Regniez. Intervistato da Europe 1, il sindaco di Parigi Bertrand Delanoë ha dichiarato di sostenere la posizione di Serge Klarsfeld : «Céline è un eccellente scrittore ma un perfetto bastardo». (Il Giornale)

Come prevedibile, un pò di polverone inizia a levarsi. Quello che mi sorprende non è tanto il polverone stesso, ma l'inconsistenza delle accuse, talmente generiche da far sospettare che Klarsfeld non conosca nemmeno i titoli dei "pamphlet", men che meno il loro contenuto.
Comunque molti dei commenti sui blog dei quotidiani francesi sono contro le esternazioni di Klarsfeld, etc: alcuni scrivono che già altra gente aveva provato a mettere all'indice e distruggere i libri, altri scrivono che applicando lo stesso metro impiegato per Céline, dovremmo allora “condannare”, per le loro opinioni da Gide per "pedofilia" a Sarte e Aragon per apologia dei Gulag e della polizia stalinista...

domenica 16 gennaio 2011

Due Mea Culpa particolari










Ciao a tutti, iniziamo quest'anno dove si celebreranno i 50 anni della morte dell'immortale nostro con un piccolo post bibliofilo, presentando due edizioni particolari di Mea Culpa:

Mea Culpa edito in ediz. numerata da All'insegna del pesce d'oro (con un ritratto opera di S. Scheiwiller), Milano 1975. La mia copia (n° 541 su 1.000 tirate) ha la particolarità di avere il testo con numerose revisioni a matita di Aldo Buzzi (1910-2009) .

Mea Culpa edito in ediz. numerata da Edizioni del Sole Nero, Amsterdam (luogo di edizione probabilmente fittizio), 1981.