domenica 6 dicembre 2020



"Céline, alle soglie dell'ultimo atto della notte, il busto lordato di terra e fango, ossessionato dalle sue esperienze, il volto sfiorato dall'ombra di una bandiera del 14 luglio inzuppata di tutte le estati passate. A che serve questo cerimoniale adesso? Vi descrivo l'uomo che si fa carico della storia, l'ultima incarnazione del Medioevo.
Morirà. La mano che aveva tenuto la rosa rossa dei Tudor adesso scioglie il filo della vita.
Altrove, dei cavi si annodano. Nell'oscurità, soldati infagottati come le pietre sacrificali dei Frati Moravi, fino al soffocamento. E i fari oscurati dei camion nei sentieri dell'Ovest.
Finito, D'Annunzio dopo Fiume che addobba i suoi soldati di fiori di pesco. E il Niebelungenlied in edizione economica per la Wehrmacht, così bella da vedere, destinata all'olocausto e che morirà nel mese di maggio, sotto i ciliegi neri e rossi delle Alpi".

Dominique de Roux, La morte di Céline, edizione italiana a cura di Andrea Lombardi, Roma.

“Nausea di Céline” di Jean-Pierre Richard, a cura di Andrea Lombardi, recensito su Il Guastatore e su CulturaIdentità





Leggendo "La Nausea di Céline" scopriamo un'Europa simile alla nostra


Condannato e imperdonabile , sbandato e proscritto in vita, poi un classico, la riscoperto come genio creativo, unico e formidabile. È Louis-Ferdinand Céline, nato Destouches, “il più grande scrittore degli ultimi 2000 anni” secondo Charles Bukowski. Amato ed idolatrato, nonostante il suo passato controverso, fatto di deplorevoli opinioni politiche, di Céline resta il genio di un autore che fece di uno stile frammentario e delirante, espressionista e visionario, il marchio di fabbrica dei suoi capolavori. Dal Viaggio al termine della notte alla Trilogia Nord. Opere in cui emerge la grande capacità dell’autore di raccontare le peggiori infamie e meschinerie dell’uomo “dandogli verità”. Infamie che mostrano un uomo che è solo “una decomposizione in sospeso”. Nichilista e disincantata la prosa celiniana mostra personaggi orribili e miseri, crudeli e senza remore. Una prosa permeata da una profonda Nausea. Una nausea che è il centro del breve saggio del critico e accademico francese Jean-Pierre Richard: La Nausea di Céline (Passaggio al Bosco).

L’opera si presenta come l’immersione del saggista francese nel corpus dello scrittore dell’argot, soprattutto con il Voyage, in cui l’autore mette evidenza la cifra della cronaca dello scrittore: la nausea. La nausea, che era il centro dell’omonimo romanzo di Sartre, viene rivista, analizzata, raccontata in maniera differente, unica. “Questa, per Louis-Ferdinand Céline, non ha niente a che vedere con il silenzio ostinato; ancor meno, può essere paragonata all’assurdità fisica delle cose tangibili, dissezionate da Jean-Paul Sartre. Mentre il filosofo esistenzialista – infatti – dava al suo “disgusto d’esistere” una dimensione metafisica, Céline ha immediatamente situato il proprio nel piano sensoriale degli eventi”. La nausea del Voyage non è quella di un esistenzialista in un mondo piatto ed annoiato. È il tanfo della bestialità dell’uomo, è il riconoscere che l’umanità è un cadavere in lenta putrefazione. Richard attraversa la discesa in questo mondo putrescente, mostrando le carogne della modernità. Dalle trincee folli della prima guerra mondiale all’africa coloniale, allucinata e prepotente, violenta ed animalesca, mostrando lo squallore delle periferie parigine, l’omologazione della folla solitaria che sfila tra le strade alienate di Detroit. Il racconto dell’opera dello scrittore di Morte a credito è il viaggio di un mistico che vede la morte di tutto quello che è puro e vitale, buono e candido. Denunciando la solitudine della società di massa, la perdita di tutto il patrimonio culturale della vecchia Francia, attraverso una prosa frammentata raccontando un Europa atomizzata. Approfittando della notte dell’uomo per sprofondarvi e raccontarla in polemica col tempo e l’uomo. Una Europa così simile alla nostra, imbevuta di paroloni ed interessi economici mascherati di idealismo ed ottimismo, dal mito fintamente altruistico della fratellanza bergogliana, alle insopportabili tirate umanitariste (“son dei bei rompicoglioni i filantropi”). Rifugiandosi oltre questi miasmi nello stile, nella ricerca di una “petite musique”, nel buonsenso del mondo contadino. Ritornando alle fonti della vita: l’arte e la natura, contrapposte alla pubblicità e alle metropoli. Scagliandosi contro la cloaca di una società bestiale che è estensione del dominio della lotta e patetica pantomima. Flotte di gazzettieri e moralisti, di speculatori e opportunisti. Riscoprire la nausea di Céline, curata da il più appassionato degli studiosi dello scrittore espressionista (Andrea Lombardi, nonché responsabile locale di CI), almeno per non abituarsi agli aromi di quella palude che è il 21° secolo.



Nausea di Céline: la condizione umana nelle parole dell'autore


Passaggio al bosco, stavolta, ci porta in un viaggio nella poltiglia di sentimenti e detriti che inonda il secolo scorso e ci consegna un pamphlet da divorare in poche ore: “Nausea di Céline”, del critico letterario ed accademico francese Jean-Pierre Richard (scomparso un anno fa) nella traduzione di Daniele Gorret e nell’edizione a cura di Andrea Lombardi.

Siamo nel pieno di un clima esteticamente ed eticamente ben direzionato, quello del moderno che si sta affacciando al contemporaneo. Tutto è degenerato, il rischio del corrotto e del corruttibile pervade insistente. Si può solo sperimentare un ricorrente ed ostinato senso di nausea e a farlo, da perfettamente permeato, è l’uomo del Novecento: esposto ad avvenimenti, ideologie, modi di vivere e modi di agire che sono così disorganici da condannarlo al burrone violento del nichilismo in cui sta sempre per cadere pur ostinandosi ad aggrapparsi ad una piccola cordicina che ne sostenga ancora per un po’ la fisicità. Cordicina, sì: l’uomo del Novecento è un uomo molle, scarno, ontologicamente incapace di contenere strutture. La nausea diventa allora il perno di supporto, un’esperienza di verità, la sua sola: come spiega egregiamente Maxime Rovere nel saggio introduttivo. E se per Jean-Paul Sartre la nausea ha una dimensione metafisica ed è prevista una soluzione che tutto sommato dia filosoficamente forma a una materia viscida, per Louis-Ferdinand Céline non è affatto così e tutto il volume ne delinea le motivazioni.

Céline pone la nausea su un piano invece sensoriale, carnale, transeunte: la nausea è fango, umidità, decomposizione, “confessione emorragica di se stessi” senza un senso ultimo; è mero disgusto, lusso dello sfacelo, carneficina interna, esterna, bellica, sentimentale. Carneficina totale. La sola risposta che ne dà Céline, si vedrà nell’opera, è quella letteraria: si accetterà di far trasudare, lasciar passare, consentire la putrefazione della nausea stessa mediante il racconto di essa, la narrazione pedissequa ed invadente di come inonda. Si orchestrerà in un ritmo, fluido come quello della narrazione stessa del pamphlet, il modo di sapersi uomini: o ancor meglio, “alla scandalosa diarrea dell’essere” il linguaggio risponderà “con la propria logorrea”.

Un percorso in cui “l’essere s’infrollisce lentamente del non-essere” e canta la fine, perché non può fare altro; fino a portarsi a quello stato estremo céliniano noto ma mai abbastanza scandagliato: la notte del mondo, la notte dei tempi, la notte dell’uomo.




lunedì 21 settembre 2020

"Céline - Un profeta dell’apocalisse", venerdì 25 a Gorizia



Andrea Lombardi, saggista tra i massimi esperti italiani delle opere di Louis-Ferdinand Céline e Simone Mestroni, poeta artistico di strada che fa resistenza culturale con il progetto “Città della Poesia”, dialogheranno con Heimat sulla figura del controverso e geniale scrittore francese. Partendo dalla raccolta di scritti céliniani inediti in italiano di Lombardi "Louis-Ferdinand Céline, un profeta dell’Apocalisse” (Bietti 2018), con l’aiuto di Mestroni e la sensibilità artistica che lo ha portato a raffigurare il grande romanziere in alcune sue opere, faremo un viaggio nella vita di Céline e nel cuore di tenebra del XX secolo.

Céline Un profeta dell’apocalisse
VENERDÌ 25 ALLE ORE 20:30
Via 9 Agosto, 5, 34170 Gorizia GO, Italia


martedì 1 settembre 2020

Oggi su "Libero", l'intervista di Vittorio Sgarbi su Louis-Ferdinand Céline su "Le Bulletin Célinien" di agosto

 



Oggi su "Libero" (grazie a Nicoletta Orlandi Posti) l'intervista esclusiva per il "Bulletin célinien" di Vittorio Sgarbi a cura di Emanuele Ricucci, Andrea Lombardi e Valeria Ferretti! Correte in edicola, céliniani e lettori controcorrente!

giovedì 13 agosto 2020

TESTO INTEGRALE dell'intervista esclusiva di Vittorio Sgarbi su Louis-Ferdinand Céline su "Le Bulletin Célinien" di agosto


















In esclusiva per il “Bulletin Célinien”, pluridecennale periodico dedicato a Louis-Ferdinand Céline diretto dal belga Marc Laudelout, il celebre critico d’arte, saggista e polemista Vittorio Sgarbi risponde a qualche domanda sul suo rapporto con l’opera di Céline. Una intervista dove Sgarbi rivela la sua visione anticonformista riguardo ai romanzi dello scrittore di Viaggio al termine della notte e di Bagatelle per un massacro e della sua poetica, e a tratti intima, quando l’intervistato parla di suo padre Giuseppe e delle sue passioni letterarie, vitali per la formazione del giovane Vittorio negli anni della Contestazione del ’68. Intervista raccolta da Andrea Lombardi, saggista céliniano (Louis-Ferdinand Céline - Un profeta dell’Apocalisse. Scritti, interviste, lettere e testimonianze, Bietti 2018) fondatore del primo sito italiano su Louis-Ferdinand Céline, dal giornalista e scrittore Emanuele Ricucci (il suo ultimo pamphlet: Contro la folla. Il tempo degli uomini sovrani, Passaggio al Bosco 2020) e tradotta da Valeria Ferretti. 

Andrea Lombardi 



La prima domanda, molto semplice, come hai conosciuto Céline? 

Ho conosciuto Céline attraverso mio padre, che aveva in casa la copia datata… di Viaggio al termine della notte, editore Dalloglio, con l’indicazione del giorno, che era un giorno del 1941 in Grecia, a Missolungi. Quindi, il libro è entrato in casa nel ’41. La prima edizione del Viaggio al termine della notte è del ’32, quindi è entrato abbastanza presto; in Italia fu tradotto nel ’33. Mio padre lo acquistò, lo lesse durante la guerra e quando io avevo, diciamo, 12 anni, 10 anni, 11 anni Céline iniziava già a essere messo all’indice e io ne avevo questa preziosa copia suggerita da mio padre e quindi ho letto… io ho avuto il vantaggio entro il ’68 e durante il ’68 di non leggere i classici di quell’epoca che erano raccomandati, da Marcuse a Mao a Adorno, ma invece di leggere Benedetto Croce, di leggere Céline, di leggere Anatole France e quindi di avere una controcultura che si fondava su dei testi di gran lunga più significativi di quelli in voga. Quindi sono stato fortunato. 


Quindi il primo libro di Céline che hai letto è Viaggio al termine della notte? 

Sì. 


A che età lo hai letto per la prima volta? 

Mah, diciamo tra i 13 e i 14 anni. 


Quali altri libri di Céline hai letto, e quale libro apprezzi di più e perché? 

Forse Mort à crèdit, Morte a credito, della edizioni Garzanti, che all’epoca mi ricordo era stata purgata e il traduttore che era mi pare Giorgio Caproni, se non ricordo male, indicava la necessità che il pudore e il costume dell’epoca imponevano di fare dei tagli alle parti più forti, e questo mi incuriosì molto, ma poi non credo di avere più letto, anche se deve essere stata ripubblicata un’edizione integrale, una traduzione non emendata. Quindi, siamo anche lì, il libro entrò a casa forse comprato ancora da mio padre, nel ’67, ’68, adesso non mi ricordo la prima edizione italiana di Mort à credit, ma è meno precoce di quella del Viaggio al termine della notte. Poi sono arrivati in sequenza, quando è ripresa l’ondata di attenzione per Céline, libri come Nord e altri che ho letto, e poi ho cercato avendone l’edizione Guanda, Bagatelle per un massacro, che ho trovato in tempi molto recenti, che era il libro che indusse mio padre ad averlo o a vederlo passare da un commilitone all’altro durante la guerra, nel 1941 a Missolungi durante la Campagna di Grecia, cioè da un intellettuale che era in guerra con mio padre e a sua volta aveva ricevuto la copia da Giorgio Chiesura Corona, poeta di un certo rilievo, che all’epoca era un ragazzo, è nato nel ’21, qua siamo nel ’41, aveva vent’anni, aveva dato le sue poesie a questo suo compagno di guerra, che glie le aveva restituite, dicendo, assieme al suo libro di Céline, “Ti restituisco le tue bagatelle”. Era un modo per fare una critica, e quindi questa frase di mio padre che ricordava indicava che l’uso della parola Bagatelle era stato trasferito dal libro di Céline, che adesso ho qui in prima edizione del 1938 della Corbaccio, alla valutazione delle poesie fatta dall’uno verso l’altro, quindi Céline era diventato un punto di… una misura di giudizio verso le poesie di Chiesura Corona. 



Come definiresti il lavoro letterario e di stile di Céline, e come lo definiresti anche umanamente, perché c’è molto da dire anche su questo. 

Intanto Céline è noto come un medico, e quindi diciamo che la sua umanità è misurata sulla realtà più fragile dell’uomo, che è quella della malattia. Quindi, l’uomo, come sappiamo bene, è di natura incline all’affettività, anche in una dimensione egoistica, ma, secondo quello che io ho verificato nel corso della mia esistenza, l’uomo nasce buono, come indicava Rousseau, nasce nella natura, e diventa cattivo. Diventa cattivo perché deve crearsi degli anticorpi rispetto alla vita sociale, dove ognuno è lupo verso l’altro; quindi nella competizione si manifesta pure una crudeltà, perché è evidente che uno può essere più bravo di un altro. Siccome non sai mai se è il merito che ti premia, tu ad un certo punto pensi, parti dall’idea che invece il merito serve poco. Basta vedere con i miracolati in politica, come Conte. Uno desidera essere miracolato. Vorrebbe far pensare che quel miracolo dipende dal merito? No, è marginale. Il miracolo è bello perché c’è. Allora, la competizione della vita è così forte, che l’uomo che è buono diventa cattivo. E quindi Céline questo lo sa meglio di tutti, che l’uomo è cattivo. Poverino, non perché… Detto questo, quand’è che poi l’uomo torna nella sua dimensione di bontà infantile? Quando è malato, perché tanto quando è malato ha le garanzie dello stato sociale, quindi lo pagano anche se non lavora. Però è debole, e in quel che è debole, non ha più questa rabbia verso gli altri, ma aspetta l’aiuto degli altri, quindi Céline vive tra la condizione del medico che cura delle persone fragili e indebolite, e la considerazione dell’uomo nella sua sanità, che invece è pressocché un mostro. “Tutto quello che è interessante”, dice Céline, “accade nell’ombra, davvero, non si sa nulla della vera storia degli uomini”. 



Cosa pensi che ti abbia lasciato, personalmente, la lettura di Céline? 

L’idea, inattuale, di una umanità sempre in guerra, nel senso che la guerra e la malattia sembrano essere la condizione in cui si muove l’umanità. È uno stato di guerra permanente, e questa effettivamente è una metafora, ma questo dà anche la misura che in quella dimensione c’è la verità dell’umanità e rende Céline più grande di Malaparte, perché Malaparte fa del mondo, della guerra, della peste, un mondo teatrale, in cui ci sono delle posizioni che vengono assunte in modo artificioso, mentre invece Céline, anche rispetto a molti altri scrittori, ha un rapporto diretto con la natura, con la natura dell’uomo e con la natura della storia, perché anche la storia ha una natura. 



Cosa ne pensi degli adattamenti dell’opera céliniana, quindi quelli teatrali, illustrati, cinematografici? 

Mah, non li conosco, li ho patrocinati come sindaco e come assessore, quando mi hanno chiesto di fare spettacoli ispirati a Céline attori o registi, e io ovviamente li ho sostenuti, però non li ho visti. Quindi credo che la letteratura abbia un’alternativa a sé stessa più che nel teatro, nel cinema, il cinema è un’estensione della letteratura; tra la fine della pittura e la fine del romanzo, il cinema nasce come una sintesi delle due arti, perché c’è una visività o visibilità prevalente, e poi c’è il racconto. Quindi la forza del cinema è come essere un romanzo illustrato. In questo senso la mia polemica con Gore Vidal insisteva, essendo lui più vecchio di me, sulla sua sottovalutazione della parte visiva del cinema, cioè lui sosteneva che l’80% di un film è la sceneggiatura. Allora io gli ho risposto che è vero che la sceneggiatura è lo scheletro del film, ma è vero che il gusto del regista si manifesta come un gusto visivo, diventa un gusto legato ai dettagli, ai costumi, alle luci, ai luoghi, alle “location”… parola abominevole per dire appunto… e allora se io faccio fare la regia de “Il gattopardo”, romanzo meravigliosamente tradotto in film, da un regista diverso da Visconti, la sceneggiatura potrà essere la stessa, ma il patrimonio di visività è sicuramente diverso. Quindi io sostenevo, in una lunga polemica che ebbi con lui, l’importanza della componente visiva. Ne sono ancora convinto, cioè che il cinema è una sintesi, un perfetto equilibrio tra pittura e romanzo, tra pittura e letteratura: e non prevale la parte testuale, ma prevale invece anche il taglio, l’occhio, la scelta dei personaggi, cioè una componente molto visiva, e che lo stesso testo fatto da due registi diversi può portare a due film molto diversi, in cui la parte visiva subisca una contrazione nel difetto di cultura delle immagini del regista. Quindi più che le riduzioni teatrali, io immaginerei un film tratto dai libri di Céline. 


Quali sono gli altri autori che leggi e apprezzi maggiormente, oltre Céline? 

Beh, tutti gli autori leggo io, quindi… la domanda è di Céline, non è che posso fare un elenco delle mie preferenze nel mondo… nel mondo francese posso dire, a un certo punto, mi è sembrato persino più interessante di Céline, e ancora più espansivo nell’umanità degradata, Léautaud. L’autore francese che io prediligo è Léautaud, e Léautaud è un Céline ancora più basico, cioè legato ad una rappresentazione diretta del mondo e dell’umanità, che si trova poi nei suoi diari più ancora che nei suoi romanzi. Quindi una personalità… d’altra parte, il filone è un filone tutto francese che è stato il momento in cui loro hanno avuto la più forte egemonia nella cultura europea e internazionale, che è il filone che dopo l’Illuminismo, che pure pertiene prevalentemente al mondo francese, con Voltaire e Diderot, e quindi molto importante e molto universale, ma ha il suo punto di arrivo nel suo opposto, e cioè del filone che va da Baudelaire a Léautaud, e cioè un filone che si insinua nella dimensione del peccato, del segreto, della miseria dell’uomo, quindi da questo punto di vista noi abbiamo degli autori virtuosi… Come Manzoni, come Nievo, e poi abbiamo grandi realisti come Verga, ma la letteratura francese quando mette la marcia entra più dentro nella natura dell’uomo e quindi non c’è un testo… l’unico testo paragonabile a Les fleurs du mal è il Foglie d’erba di Whitman, ma la dimensione perfino un po’ come tipica degli americani, cioè con un’aria più facilona, più grandiosa, ma credo che I fiori del male siano il testo generatore di tutta la modernità e quindi di Céline e di Léautaud. Però quel filone è il filone, io in quello sono quello noi abbiamo avuto Carducci, Pascoli e perfino D’Annunzio che appare modesto se paragonato alla potenzialità europea dei francesi, da Mallarmé e a Rimbaud e poi anche dei personaggi come Rilke. Noi abbiamo una letteratura un po’ più di cartapesta, tra ‘800 e ‘900, che pure nel caso di D’Annunzio è bella, ragguardevole, però sembra più sfiorare che penetrare nell’animo umano. 



Ultima domanda: Conoscendo il disincanto, anche il cinismo di Céline, quale domanda porresti a Céline, se avessi l’opportunità di incontrarlo? 

Gli chiederei di Proust, e lui mi risponderebbe: “Proust spiega troppo per il mio giusto. Trecento pagine per farti sapere che tizio incula tizio, è troppo!” 




lunedì 10 agosto 2020

La biblioteca di Céline - "Sartre e altri scrittori troppo stupidi per me", di Alessandro Gnocchi





Quanto siete disposti a sacrificare per una battuta sulfurea ben riuscita? Tutto? Niente? Céline non aveva timore di giocarsi la reputazione. L'iperbole spinta fino all'assurdo caratterizza non solo i suoi pamphlet, primo fra tutti il famigerato Bagattelle per un massacro, ma anche la sua corrispondenza.

Non fa alcuna differenza se gli interlocutori sono i lettori, le amiche o il suo editore. Céline va a tavoletta, ottenendo sempre l'effetto voluto: sorprendere, scandalizzare, disorientare. A volte viene il sospetto che Céline metta alla prova chi legge e si chieda: mi prenderanno sul serio? Capiranno il grottesco delle mie esagerazioni? Era inevitabile prendere sul serio. Céline non mentiva. Si limitava (si fa per dire) a portare la sua opinione all'eccesso per evitare il rischio di essere noioso, verboso, intellettualoide.

Un esempio interessante e molto divertente di questo modo di esprimersi si trova in La Bibliothèque de Louis-Ferdinand Céline, a cura di Laurent Simon & Jean-Paul Louis, Du Lérot éditeur (due volumi, pagg. 374+382, euro 90). Un lavoro monumentale, accuratissimo, utile allo studioso, formidabile per il semplice appassionato. In sostanza è un dizionario degli autori e delle opere citate da Céline negli scritti e nelle interviste. L'opera illumina alcuni aspetti centrali di Céline che rivela le sue fonti di ispirazione, per niente scontate. Da dove nasce, per esempio, la piccola musica, lo stile «jazzato», frenetico, fondato su una punteggiatura particolare, i famosi tre puntini di sospensione? Nelle pagine della Bibliothèque si trova risposta. Non è l'unico pregio dei due tomi. Viene fuori di prepotenza la cultura di Céline, lettore non particolarmente moderno, anzi, attardato su nomi e movimenti che, specie dopo la Seconda guerra mondiale, molti avrebbero ritenuto sepolti. Ne esce infine una mappa esilarante degli scrittori contemporanei divisi nettamente in due categorie: amici (due o tre) e nemici (due o tre legioni).

Ecco un assaggio di cosa potete trovare nella Biblioteca di Céline.

MAESTRI

Paul Morand «lo riconosco come mio maestro come il Barbusse del Fuoco». Morand, autore di innumerevoli capolavori come Lewis et Irène, e Henri Barbusse (solo quello del Fuoco, però) sono modelli di stile. Entrambi hanno contribuito alla idea della «piccola musica», Morand per la prosa «jazzata», Barbusse per le innovazioni introdotte nei dialoghi. Il terzo nume è il romanziere svizzero Charles Ferdinand Ramuz, autore di Joie dans le ciel, per la concezione di prosa «oralizzata» spiegata nella Lettre à Bernard Grasset (1929).

AMICI

Pochi ma buoni. Marcel Aymé: «Come autore di racconti è meglio di Maupassant». L'autore del Passamura è stimato anche per il suo coraggio. Passato indenne dall'epurazione, nonostante l'assidua presenza tra le colonne di Je suis partout, rivista dei collaborazionisti, Aymé si batterà contro la vendetta dei vincitori, difenderà Maurice Bardèche e rifiuterà la Legione d'onore. Roger Nimier: «Gli scrittori francesi rinnegano la lingua francese, preferiscono il francese da traduzione ... Tutti eccetto Nimier». Nimier, autore delle Spade e dell'Ussaro blu, era stato l'enfant prodige della letteratura del Dopoguerra. Divenuto consulente di Gallimard, è tra i principali responsabili della riabilitazione «editoriale» di Céline. Fu il caposcuola degli Ussari, corrente anticonformista, reazionaria, in opposizione al dominio di Sartre. Tra questi scrittori, Céline apprezzava anche Antoine Blondin. Ma Nimier era un vero amico, uno dei pochissimi presenti al funerale di Céline.

Tra i «buoni», Céline ammette anche tre italiani. Al Curzio Malaparte di Kaputt è imputato uno stile brillante, per quanto giornalistico. Di Gabriele d'Annunzio resta soprattutto il personaggio intravisto nel 1914 a Parigi. A Pirandello invece sono tributati grandi onori: «Certamente, con Gordon Craig, è il maestro del teatro della nostra epoca». Per il resto, Céline non sembra dare alcuna importanza a quanto accaduto in Italia dopo Machiavelli. Come dargli torto?

NEMICI

In questo ambito c'è solo l'imbarazzo della scelta. Escludiamo l'impubblicabile ovvero gli insulti spietati a D.H. Lawrence, Marcel Proust, James Joyce. Prendiamo Louis Aragon. Si erano conosciuti attraverso l'editore Robert Denoël. Aragon, surrealista, comunista, autore di Aurélien, provava un vivace interesse per Céline, che in cambio lo riteneva un «superidiota». Aragon voleva arruolare Céline tra i filosovietici e gli intimò di schierarsi. Céline rispose a modo suo, con il pamphlet Mea culpa, una secchiata di vetriolo in faccia al socialismo reale. Per ricucire, nel 1944, Céline invio ad Aragon una copia di Guignol's Band. Ottima la dedica: «Ad Aragon, il prossimo procuratore generale del comitato della grande purificazione». Che diplomatico...

Molto nota la vicenda dell'odio nei confronti di Jean-Paul Sartre. Aggiungiamo solo che Céline annuncia di fare marcia indietro, a modo suo: «L'individuo è davvero troppo stupido, è scoraggiante».

Meno nota la sorte di Allen Ginsberg e William Burroughs, padrini della Beat Generation, in visita a Céline. Piccolo particolare. Ginsberg ignorava il disprezzo viscerale di Céline nei confronti della letteratura a stelle e strisce. Primo esempio, William Faulkner: «Non mi assomiglia per niente e non è un mio discepolo. Tutto ciò che è americano o inglese mi è completamente indigesto». Secondo esempio, Ernest Hemingway: «Uno sbruffone e un dilettante».

Ginsberg e Burroughs sono ricevuti gentilmente nel 1960. Il primo regala Howl a Céline. Il secondo porge una copia del romanzo Junky. Céline osserva i libri con negligenza e li appoggia nell'angolo più lontano della scrivania. Burroughs capisce il messaggio: Céline non ha tempo da perdere con le loro opere e sprofonda nell'imbarazzo mentre Ginsberg dà prova di logorrea.

Il sarcasmo verso la repubblica delle lettere è spietato. Céline si lamenta della pubblicità e del consenso ottenuto da personaggi di cartapesta: «Visto che F. Sagan (l'autrice di Bonjour tristesse, ndr) è indicata dalla stampa mondiale come un genio del calibro di Rimbaud, mi dovrete collocare, una volta per tutte, tra Rabelais e Dostoïevski, e senza esitazioni».

Questi sono semplici assaggi, per dare un'idea di quale sia La Bibliothèque de Louis-Ferdinand Céline. Si possono costruire percorsi «personalizzati» che portano sempre a scoperte interessanti. I classici latini erano assai presenti nella cultura di Céline. Tra i filosofi, sembra spiccare Blaise Pascal ma Céline conosceva anche Friedrich Nietsche e Oswald Spengler. In Danimarca, durante la reclusione, Céline meditò molto Chateaubriand (non le opere narrative) e gli aforismi di La Rochefoucauld.

Alessandro Gnocchi

Alain de Benoist, lettore di Céline: “La libertà d’espressione non si lottizza”, in “Éléments” n°185




Alain de Benoist, lettore di Céline 

“La libertà d’espressione non si lottizza” 

Intervista raccolta da François Bousquet, in “Éléments” n°185, agosto-settembre 2020. Traduzione di Andrea Lombardi. 



Si è più abituati a vedere Alain de Benoist prendere posizione su delle questioni filosofiche o politiche, ma ciò non toglie che anche qui sappia quel che dice. Non ha forse scritto Céline et l’Allemagne, 1933-1945: une mise au point [Céline e la Germania, 1933-1945: una messa a punto], oltre che una Bibliographie internationale de Céline [Bibliografia internazionale di Céline]? 



Éléments: I pamphlet di Céline meritano che li si rilegga allo stesso titolo dell’insieme dell’opera? 

AdB: Perché non lo meriterebbero? In realtà, personalmente non ho una grande predilezione per i pamphlet. Ho letto con piacere quelli di Léon Bloy, di Emile Pouget o di Jean Cau, per citarne alcuni, ma sul piano generale preferisco le dimostrazioni alle esclamazioni, e tantomeno le eruttazioni, anche se talentuose. Trovo del resto la letteratura antisemita noiosa, ripetitiva e il più delle volte estremamente idiota. Tuttavia non mi rammarico di aver letto i pamphlet di Céline, cosa che d’altra parte ho fatto abbastanza tardi. Perché? Semplicemente, perché c’è del Céline in essi. Anche quando redigeva delle posologie di farmaci, Céline faceva del Céline. Quando si ama lo stile di Céline, si raccolgono anche le briciole più piccole, per quanto controverse. 



Éléments: Siete tra quelli che ritengono sia il tempo di ripubblicarli? 

AdB: Non so se sia il tempo, ma non vedo proprio per quali ragioni non lo si possa fare. La libertà d’espressione non si lottizza. Chi si oppone a questa ristampa lo fa in generale per delle ragioni morali (“l’antisemitismo è sbagliato”). Io, sono tra quelli che non tengono in alcun conto la “morale”, quando si parla di letteratura. 

Nel caso specifico, d’altra parte, i nostri moralisti sono fuori strada. Non è con dei pamphlet che si formano delle convinzioni personali. Nessuno è mai divenuto antisemita leggendo La bella rogna o Bagatelle per un massacro – come nessuno si è mai convertito al “razzismo” dopo aver letto Tintin in Congo! Il dramma, è che noi contemporanei vogliamo assolutamente leggere le opere del passato con le lenti dell’oggi. Questa lettura anacronistica contrasta con l’accoglienza che fu riservata ai pamphlet alla loro pubblicazione. Leggete il saggio di André Derval su L’accueil critique de Bagatelle pour un massacre [La ricezione critica di Bagatelle per un massacro] (Écriture, 2010), che riunisce particolarmente gli articoli di Marcel Arland, Jean Renoir, Victor Serge, André Gide, Emmanuel Mounier, etc. Avrete delle sorprese! [il libro, pur essendo un successo di vendite con 86.000 copie vendute – numeri tuttavia di gran lunga inferiori al Viaggio al termine della notte – suscitò un vivo dibattito critico-letterario tra favorevoli e contrari, anche all’interno del milieu di destra e conservatore, NdT] 

I pamphlet cadranno in ogni modo nel pubblico dominio tra poco tempo. E oltre le versioni che circolano su Internet, sono anche stati oggetto di numerose ristampe “selvagge”. In merito a Bagatelle, nella bibliografia che ho dedicato a Céline, elenco cinque o sei edizioni pirata in lingua francese uscite dal 1945 in poi. 


Éléments: Lei è più un raccoglitore bulimico di testi a stampa che non un cacciatore di libri rari. Céline fa sicuramente parte degli autori dei quali collezionate all’incirca tutto, comprese le traduzioni nelle lingue più improbabili. Vi si immaginerebbe eppure ben più vicino a un Montherlant o ad un Drieu la Rochelle che a Céline… 


AdB: Non ci si sbaglia. Ammiro incondizionatamente l’opera di Céline, ma mi sento molto lontano dal personaggio. Amo il medico dei poveri, ma non lo scrittore lagnoso, ossessionato dai soldi, restio ad assumersi le proprie responsabilità. Anche il suo stile non corrisponde che ad una sfaccettatura della mia sensibilità. Amo ugualmente, ma pe ragioni differenti, il grande stile classico. E infatti, con Drieu o Montherlant (più il primo che il secondo), mi sento più a mio agio. 

Céline è stato tradotto in quasi tutte le lingue, il che è paradossale quando si sanno le difficoltà alle quali tutti i traduttori della sua opera si trovano immancabilmente a confrontarsi. Viaggio al termine della notte, per esempio, è stato tradotto in 61 lingue diverse, tra le quali il giapponese, il serbo-croato, lo sloveno, il greco, il catalano, il cinese, il coreano, il basco, il farsi, il bulgaro, il vietnamita, il lituano, l’albanese, il turco, il georgiano, lo slovacco, il macedone, senza dimenticare l’ebraico e l’esperanto. E per finire di rispondere alla vostra domanda: no, non possiedo tutte queste edizioni!

 

 

 

 



lunedì 3 agosto 2020

Nuova edizione di Colloqui con il professor Y di Louis-Ferdinand Céline, Quodlibet 2020




– Sì, però quei suoi tre puntini!... quei tre puntini, eh?
– I miei tre puntini sono indispensabili!...

Qui Céline in un’intervista a sé stesso (1955), nel suo stile forsennato, da ossesso recriminante, parla del romanzo tradizionale, cioè ne sparla, poi della razza insopportabile degli scrittori, del cinema, degli editori, ma soprattutto del suo personalissimo modo di scrivere, che va via... alé!... come un metrò emotivo, che acchiappa emozioni; questa la sua trovata, la sua invenzione di stile; e i tre puntini tipici sarebbero le traversine su cui la rotaia del metrò si appoggia. Un libricino che espone, con gli inconfondibili scatti di nervi, i principi della sua poetica e la novità che in letteratura ha portato, da tanti in seguito imitata; anche se tutti imitatori incapaci, lui dice. L’intervistatore, che è sempre Céline, è un po’ tonto, fa fatica a capire, finché sbotta: porca paletta! fulmini e saette! orpo d’un’ostia! La traduzione di Gianni Celati e Lino Gabellone tiene ammirevolmente vivo questo modo di straparlare argotico, eccitato, orale, debordante. Su cui Celati scrive in postfazione una nota.

domenica 2 agosto 2020

“La libertà d’espressione non si lottizza” - Alain de Benoist, lettore di Céline, in “Élements” n°185, agosto-settembre 2020


Alain de Benoist, lettore di Céline

“La libertà d’espressione non si lottizza”

Intervista raccolta da François Bousquet, in “Élements” n°185, agosto-settembre 2020.

Si è più abituati a vedere Alain de Benoist prendere posizione su delle questioni filosofiche o politiche, ma ciò non toglie che anche qui sappia quel che dice. Non ha forse scritto Céline et l’Allemagne, 1933-1945: une mise au point, oltre che una Bibliographie internationale de Céline?

 

Élements: I pamphlet di Céline meritano che li si rilegga allo stesso titolo che l’insieme dell’opera?

AdB: Perché non lo meriterebbero? In realtà, personalmente non ho una grande predilezione per i pamphlet. Ho letto con piacere quelli di Léon Bloy, di Emile Pouget o di Jean Cau, per citarne alcuni, ma sul piano generale preferisco le dimostrazioni alle esclamazioni, e tantomeno le eruttazioni, anche se talentuose. Trovo del resto la letteratura antisemita noiosa, ripetitiva e il più delle volte estremamente idiota. Tuttavia non mi rammarico di aver letto i pamphlet di Céline, cosa che d’altra parte ho fatto abbastanza tardi. Perché? Semplicemente, perché c’è del Céline in essi. Anche quando redigeva delle posologie di farmaci, Céline faceva del Céline. Quando si ama lo stile di Céline, si raccolgono anche le briciole più piccole, per quanto controverse.  

 

Élements: Siete tra quelli che ritengono sia il tempo di ripubblicarli?

AdB: Non so se sia il tempo, ma non vedo proprio per quali ragioni non lo si possa fare. La libertà d’espressione non si lottizza. Chi si oppone a questa ristampa lo fa in generale per delle ragioni morali (l’antisemitismo è sbagliato). Io, sono tra quelli che non tengono in alcun conto la “morale”, quando si parla di letteratura.

Nel caso specifico, d’altra parte, i nostri moralisti sono fuori strada. Non è con dei pamphlet che si formano delle convinzioni personali. Nessuno è mai divenuto antisemita leggendo La bella rogna o Bagatelle per un massacro – come nessuno si è mai convertito al “razzismo” dopo aver letto Tintin in Congo! Il dramma, è che noi contemporanei vogliamo assolutamente leggere le opere del passato con le lenti dell’oggi. Questa lettura anacronistica contrasta con l’accoglienza che fu riservata ai pamphlet alla loro pubblicazione. Leggete il saggio di André Derval su L’accueil critique de “Bagatelle pour un massacre” (Écriture, 2010), che riunisce particolarmente gli articoli di Marcel Arland, Jean Renoir, Victor Serge, André Gide, Emmanuel Mounie, etc. Avrete delle sorprese!

I pamphlet cadranno in ogni modo nel pubblico dominio tra poco tempo. E oltre le versioni che circolano su Internet, sono anche stati oggetto di numerose ristampe “selvagge”. In merito a Bagatelle, nella bibliografia che ho dedicato a Céline, elenco cinque o sei edizioni pirata in lingua francese uscite dal 1945 in poi.

 

Élements: Lei è più un raccoglitore bulimico di testi a stampa che non un cacciatore di libri rari. Céline fa sicuramente parte degli autori dei quali collezionate all’incirca tutto, comprese le traduzioni nelle lingue più improbabili. Vi si immaginerebbe eppure ben più vicino a un Montherlant o ad un Drieu la Rochelle che a Céline…

 

AdB: Non ci si sbaglia. Ammiro incondizionatamente l’opera di Céline, ma mi sento molto lontano dal personaggio. Amo il medico dei poveri, ma non lo scrittore lagnoso, ossessionato dai soldi, restio ad assumersi le proprie responsabilità.  Anche il suo stile non corrisponde che ad una sfaccettatura della mia sensibilità.  Amo ugualmente, ma pe ragioni differenti, il grande stile classico. E infatti, con Drieu o Montherlant (più il primo che il secondo), mi sento più a mio agio.

Céline è stato tradotto in quasi tutte le lingue, il che è paradossale quando si sanno le difficoltà alle quali tutti i traduttori della sua opera si trovano immancabilmente a confrontarsi. Viaggio al termine della notte, per esempio, è stato tradotto in 61 lingue diverse, tra le quali il giapponese, il serbo-croato, lo sloveno, il greco, il catalano, il cinese, il coreano, il basco, il farsi, il bulgaro, il vietnamita, il lituano, l’albanese, il turco, il georgiano, lo slovacco, il macedone, senza dimenticare l’ebraico e l’esperanto. E per finire di rispondere alla vostra domanda: no, non possiedo tutte queste edizioni!     

 

 


martedì 21 luglio 2020

Céline, profeta “maledetto” per palati fini, di Fernando Massimo Adonia



"Un’umanità sovrabbondante, piena, sfaccettata. Incompresa e incomprensibile. Una storia maledetta, disincantata e raffinata. Insomma: è impossibile contenere totalmente il genio di Céline (al secolo Louis Ferdinand Auguste Destouches). Neanche dopo aver spulciato l’enorme mole di testimonianze e documenti inediti pubblicati da Bietti e curati da Andrea Lombardi (probabilmente il più grande esperto in Italia dell’opera del medico-scrittore francese): Louis-Ferdinand Céline. Un profeta dell’Apocalisse. Scritti, interviste, lettere e testimonianze (Milano, pp. 496 €25). Un testo per palati fini. A certificarlo è Stenio Solinas, autore della prefazione e cultore di un autore dalla biografia fin troppo complessa". 

Una somma di assaggi per conoscere il profilo caratteriale dell’uomo che ha concluso la propria vicenda personale in sostanziale isolamento a Meudon: «Céline, per me, era un uomo del Medio Evo o del Rinascimento ritornato sulla Terra, che mal sopportava il XX secolo. Era proprio un gran bel tipo», ricorda Georges Geoffroy. «Non è mai stato anarchico, no, no… Perché anarchico? A parte questo, faceva delle buffonate, faceva l’orso, sai così, imitava l’orso. Massì, aveva dei lati infantili a volte, dei lati buffi. Pensava di avere una testa regale ma faceva il giocherellone, il mattacchione insomma; ma mica in pubblico, tra di noi», dice invece il pittore Gen Paul, che del medico dei poveri fu prima grande amico e poi grande nemico. 

Il racconto di Colette Destuches-Turpin (ovvero l’unica figlia) è sicuramente tra i più intimi di Céline e ci restituisce il caleidoscopio delle sue passioni. «Scriveva soprattutto la notte, dormiva pochissimo. Il muro era completamente pieno di scritte, parole, frasi annotate… Alla fine della scrittura del Voyage au bout de la nuit – racconta – non c’era quasi più spazio. Era molto anarchico, non aveva un ordine preciso. Mio padre scriveva tutto ciò che gli passava per la testa, ma riusciva sempre a ritrovare il lo… La sera, mi raccontava delle fiabe e mi metteva a dormire; quando mi addormentavo, prendeva a scrivere. Solamente, teneva accesa la lampada della sua scrivania per buona parte della notte. Avevo il sonno leggero, e non era facile dormire». 

Il racconto continua: «Di tanto in tanto mi chiedeva: “Dormi, Colichon?”. “Sì, papà”. Facevo finta di dormire. Mi faceva la stessa domanda un po’ più tardi. Non rispondevo più, ma tenevo un occhio aperto e lo guardavo. Avevo difficoltà a prender sonno con la luce accesa. Ma, soprattutto, parlava da solo e a voce molto alta, si alzava, andava in giro parlando ancor più forte. Mi spettavano tutti i personaggi, che si lavano innanzi a me e che speravo morissero presto. La notte era molto lunga… Parlava da solo anche durante la giornata e mi ascoltava distrattamente con un sorriso gentile. L’ho anche sentito ridere di quel che aveva appena detto a sé stesso». Non rideva, invece, quando, per i mal d’amore della figlia, proponeva una cura lapidaria: «Dovevo rimanere nubile. L’idea che potessi un giorno sposarmi era per lui intollerabile. Dovevo mettermi in testa che gli uomini erano tutti poligami: era la natura a volere così». Insomma, un ricordo assolutamente coerente con il Céline che tutti conosciamo. 


martedì 14 luglio 2020

"Mai ne ho visto e ne vedrò così tanto di orrore", le lettere dal fronte occidentale di Céline ai genitori



Céline fu un uomo dalle molte vite: direttore di piantagioni, membro di una commissione sanitaria della Società delle Nazioni, medico di periferia, scrittore, bohémien, infine “collaborazionista” e reprobo. Ma la prima vita, che lo segnò indelebilmente, fu quella vissuta dal giovane Maresciallo d’alloggio del 12° Corazzieri Louis Destouches, scagliato con il suo cavallo nell’inferno delle battaglie della Marna e delle Fiandre, nella Prima guerra mondiale.

Louis Destouches si arruola il 28 settembre 1912, con ferma triennale, nel 12° Régiment Cuirassiers di stanza a Rambouillet, nel dipartimento degli Yvelines (Île-de- France). Era un’unità scelta, con una lunga tradizione militare risalente al 1668: creata da Luigi XIV per suo figlio quale Régiment “Dauphin-Cavallerie”, assunse il suo nome definitivo nel 1791, dopo la Rivoluzione francese. Il reparto si distinse in numerose battaglie: dalle campagne del Re Sole alle guerre della Rivoluzione, subordinato all’Armata del Reno; da Austerlitz, Jena e Waterloo a Solferino, alla disastrosa guerra franco-prussiana del 1870-’71. I primi tempi del servizio ben difficilmente poterono ricordare al giovane Louis le antiche glorie, preso – come doveva essere, da buona recluta – a spalar letame, strigliare il pelo dei cavalli e centellinare i pochi spiccioli della diaria, vessato dalla disciplina di ferro dei sottufficiali in carriera, come ricorda lui stesso in Casse-Pipe! Dopo un anno da militare di truppa, è promosso Brigadiere il 5 agosto 1913, e quindi Maresciallo d’alloggio il 5 maggio 1914.

Il 31 luglio, a Saint-Germain, il Reggimento è mobilitato e il 2 agosto si assembra nella regione a sud di Commercy. Louis accoglierà la notizia della guerra con lo stesso entusiasmo patriottico di milioni di giovani in tutta Europa, come testimoniato da questa lettera ai genitori, scritta poco prima della partenza per il fronte, tanto diversa da Viaggio al termine della notte per stile e spirito: «Cari genitori, l’ordine di mobilitazione è arrivato, partiamo domani mattina alle 9 e 12 per Étain, nelle pianure della Voevre; non credo entreremo in azione prima di qualche giorno. […] È una sensazione unica che pochi possono vantarsi di aver provato. […] Ognuno è al suo posto, sicuro e tranquillo, tuttavia l’eccitazione dei primi momenti ha lasciato il posto a un silenzio di morte che è il segno di una brusca sorpresa. Quanto a me, farò il mio dovere sino in fondo, e se per fatalità non dovessi tornare… siate sicuri, per attenuare la vostra sofferenza, che muoio contento, ringraziandovi dal profondo del cuore. Vostro figlio».

Il 12°, parte della 7a Divisione di Cavalleria, al comando del Colonnello Blacque-Belair condurrà numerose ricognizioni tra la Wöevre, la Mosa e le Argonne nell’agosto e nel settembre 1914: il terreno dove opererà, boscoso, con campi cintati da muretti a secco tagliati da fossi e canali, è inadatto all’impiego della cavalleria, men che meno quella pesante. La guerra del ’14 inizia a mostrarsi per quello che è: nessuna eroica carica di cavalieri, ma un cieco tritacarne. Le lettere che Louis scriverà a casa saranno di un tono ben differente; l’assurdità della guerra inizia a farsi sentire: «La lotta s’impegna formidabile mai ne ho visto e ne vedrò così tanto di orrore camminiamo in questo spettacolo quasi incoscienti per l’assuefazione al pericolo e soprattutto per la fatica schiacciante che subiamo da un mese davanti alla coscienza si para una specie di velo dormiamo appena tre ore per notte e marciamo quasi come automi mossi dalla volontà istintiva di vincere o morire nessuna nuova sul campo di battaglia quasi sulla stessa linea del fuoco da tre giorni i morti sono rimpiazzati continuamente dai vivi a tal punto che formano dei monticelli che bruciamo e in certi punti si può attraversare la Mosa a piè fermo sui corpi tedeschi di quelli che tentano di passare e che la nostra artiglieria inghiotte senza posa. La battaglia dà l’impressione di una vasta fornace dove s’inghiottono le forze vive delle due nazioni e dove la più rifornita delle due sarà la vincitrice».

A ottobre il Reggimento è inviato nelle Fiandre, partecipando a duri combattimenti assieme ad alcune unità di fanteria nel settore tra Ypres e Poelkapelle; il 25 ottobre, una domenica, quest’ultima località è battuta incessantemente dell’artiglieria e dalle mitragliatrici tedesche, tanto che sembra impossibile garantire con le staffette le comunicazioni tra il 125° e il 66° Reggimento di fanteria, che cercano di strappare Poelkapelle al nemico. È qui che il Maresciallo d’alloggio Destouches si fa avanti, offrendosi volontario per una missione quasi suicida. Louis riesce a condurre a termine il pericoloso compito, ma al ritorno, verso le sei, è ferito gravemente al braccio destro. Dopo essersi ricongiunto alla sua unità, data la mancanza di posti nelle ambulanze o nelle tende-ospedale per il gran numero di feriti e moribondi, deve raggiungere a piedi, camminando per sette chilometri, un ospedale da campo presso Ypres. Da lì è evacuato a Hazebrouck, dove viene operata la sua frattura al braccio. Successivamente, è ricoverato in degenza all’ospedale militare Val-de-Grâce a Parigi, dove subisce un secondo intervento chirurgico il 19 gennaio 1915. Dichiarato inabile al servizio per la ferita, viene riformato il 2 settembre 1915: così finisce il servizio attivo nell’Armée di Louis Destouches.

Per l’eroismo dimostrato sul campo viene citato all’ordine del giorno del Reggimento il 29 ottobre 1914, insignito della Medaglia Militare il 24 novembre e della Croce di Guerra con Stella d’Argento. «L’Illustré National» (n. 52, novembre 1915) dedicherà al fatto d’arme che lo vide protagonista una tavola a colori a tutta pagina in quarta di copertina: Céline la mostrerà sempre con orgoglio nell’eremo di Meudon, tanti anni e tante vite più tardi.

Andrea Lombardi

*

Addì 15 settembre [1914]
[In una calligrafia diversa:]
Ricevuta il 18 settembre 1914

Cari Genitori,

ho ricevuto da Nantes tre delle vostre lettere. Non ci fermiamo da cinque giorni e così non ho potuto scrivervi. Il convoglio è stato sotto il fuoco quindici minuti, fortunatamente senza danni. La fatica e il cattivo tempo cominciano a far danni tra gli uomini e i cavalli, c’è già il 35% d’evacuati; a Rambouillet ci sono però due squadroni di Riservisti intatti, che non si sono mai mossi. A proposito, vorrei che papà andasse a Rambouillet per cercare di salvare le mie cose dallo sgombero, in particolare il mio abbigliamento, perché se tornassi non saprei cosa mettermi. Ciò che vedo è indescrivibile. Ieri, in particolare, ho visto sul bordo della strada i cadaveri di tre fanti che sono stati allievi d’ordinanza del 12° C[orazzier]i quando sono stato nominato sottufficiale. Ci sono villaggi a cui non ci si può avvicinare, tanto violento è l’odore che vi esce, non c’è un pozzo in cui non ci sia un cadavere.

Questa mattina siamo entrati per la prima volta in una città, Verdun, dopo quarantotto giorni passati negli avamposti. La gente usciva per assistere allo spettacolo poco banale d’una divisione che bivacca da trentadue giorni senza sosta e che ha viaggiato per più di tremila chilometri dalla sua partenza.

Mi auguro e ci auguriamo tutti di vedere presto la fine di quest’orrendo massacro, dove la vita umana non pesa molto nella grande bilancia. Fortunatamente, la stanchezza t’impedisce di pensare a tutti questi orrori con grande intensità; si va sempre avanti con una specie di casco sul cervello, non dormiamo mai più di due o tre ore, i dorsi dei cavalli sono così malandati che l’odore che si sparge è insopportabile quando si tolgono le coperte. Ma non è nulla, dato che riprendiamo l’offensiva, anche se si dovesse sopportare venti volte di più; ad averci ucciso è la lunga ritirata di fronte a questa marea selvaggia e soprattutto lungo la strada, di notte, le decine di villaggi che illuminavano l’orizzonte, villaggi che avevamo occupato il giorno prima e che altri avrebbero bruciato l’indomani, visto che fuggivamo davanti a loro.

Vorrei che tu facessi due o tre cose:

1. La mia tunica a Rambouillet.

2. Vedere la sig.ra Roux e ringraziarla.

3. Vedere il sig. o la sig.ra Lacloche, 29 rue Octave Feuillet, e avere notizie.

Inoltre, inviare un maglione per pacco postale – si può, anche due paia di calze, e poi dalle vostre lettere si sente un terribile nervosismo, è comprensibile, ma vi scongiuro di avere coraggio, ce ne vuole molto, anzi moltissimo, soprattutto per lottare contro il sonno, anche se sembra stupido, è una sofferenza più terribile di fame e freddo. Molti preferiscono andare venti giorni al fuoco per un’ora di sonno.

Se mi succedesse qualcosa, eh be’, sarò sulla stessa barca degli altri centomila che sono già stati fatti fuori. Lo sforzo principale, ora, sono arrivati alle porte di Parigi ma il colpo di reni è stato dato, la Germania è a terra, non resta che ucciderla, braccarla fino alla fine, fino a quando non ne resti neanche uno e, Dio mio, se ne rimangono per strada, saranno morti per qualcosa. Avranno fatto meglio che nel 1870 e la famosa e tanto bistrattata nuova generazione avrà dimostrato almeno di essere all’altezza delle precedenti.

Forza e, spero, a presto.

Vostro figlio affett[uosamente]

Destouches

Saluti a Bézard e alla sig.ra Carlier, alla sig.ra Forjonel. Ditemi se sapete di morti tra i nostri conoscenti. Sono preoccupato soprattutto per Henry Lacloche, mi hanno detto a Stenay che ci sono state vere ecatombi a Rossignol.



Tratto da:



Un profeta dell’Apocalisse. Scritti, interviste, lettere e testimonianze

venerdì 26 giugno 2020

L'infettivologo Didier Raoult su Louis-Ferdinand Céline




“Non si possono giudicare gli umani solo da un aspetto. Vedete, lo scrittore più geniale al mondo, Céline, era un antisemita. Personalmente, me ne frego alla grande. Eppure mia moglie è ebrea, e anche i miei figli lo sono. Ma non smetterò di leggere uno dei tizi della letteratura più geniali della storia dell’umanità perché è antisemita” (“L'Express”, 28 maggio - 3 giugno 2020.)


Didier Raoult, nato il 13 marzo 1952 a Dakar, in Senegal, è un infettivologo e professore di microbiologia francese: recenti alcune sue posizioni polemiche sul Coronavirus.


Grazie a Marc Laudelout.

giovedì 25 giugno 2020

Il saggista Marc Fumaroli (1932-2020) su Louis-Ferdinand Céline



"Per me, c'è un Céline del prima e un Céline del dopo. Dopo, intendo dopo il cataclisma che ha trasformato il picaresco imprecatore del 'Voyage' il proscritto e il testimone di 'Rigodon'. Prima, è il profetico 'Voyage', seguito da un 'Morte a credito' che già minacciava di manierismo e i pamphlet pieni di logorrea. Dopo, è la fantastica trilogia degli anni 1950-1965, 'Da un castello all'altro', a 'Nord', a 'Rigodon'. Questo trittico fa assurgere Céline, da un semplice pifferaio* tra le fila dei carnefici sconfitti e dannato alla più indifendibile delle opinioni, nel gruppo di testa dei più grandi testimoni letterari del disastro, un Chateaubriand dell'eternità e un Robert Antelme , un Primo Levi, un Victor Klemperer, un Vasilij Grossman dei suoi tempi e dell'altro campo. (Céline en Sganarelle, "Le Point", 12 maggio 2011.)


Marc Fumaroli, nato il 10 giugno 1932 a Marsiglia e morto il 24 giugno 2020 a Parigi, critico letterario, storico e saggista di letteratura francese.

*sous-fifre è tradotto come "subordinato, scagnozzo", ma mi sembrava adatto "pifferaio" per contesto e assonanza.

Grazie a Émeric Cian-Grangé per la segnalazione!

venerdì 19 giugno 2020

Louis-Ferdinand Céline nei documenti e nelle informative della Questura di Parigi












Louis-Ferdinand Céline compare in due rapporti di polizia presso la Questura di Parigi, redatti in due periodi diametralmente diversi: il primo, infatti, è del 1928, e riguarda il dottor Destouches non ancora diventato Céline. La Questura si interessa all’allora trentaseienne medico, domiciliato al 36 di Rue d’Alsace a Clichy, banlieue rossa di Parigi, arrivatovi quell’anno con la ballerina americana Elizabeth Craig, la sua “Imperatrice”. Louis Destouches vi risiederà per una decina d’anni sino al 1937, praticandovi la professione medica prima privatamente e poi presso un dispensario, perché membro dell’Associazione d’Igiene sociale e di prevenzione anti tubercolosi di Clichy. Tra i suoi fondatori vi è Gaston Paymal (1898-1943), funzionario amministrativo dell’ufficio pubblico d’igiene e in seguito sindacalista confederale e strenuo attivista: il rapporto della Questura nota infatti come il nobile scopo dell’associazione possa “senza dubbio servire presto o tardi quale paravento alla propaganda comunista e come la municipalità non mancherà di far leva sulla sua creazione per influenzare il corpo elettorale al momento opportuno”. Il dottor Destouches è indicato come segretario, e oltre le sue generalità anagrafiche e professionali è notato come “non è oggetto di alcuna osservazione dal punto di vista politico” e come “sia ben rappresentato in tutti i rapporti”. Fu proprio a Clichy che scriverà Viaggio al termine della notte, prendendo il nome d’arte di Céline, e trasferendosi prima in Rue Lepic e poi in Rue Girardon, a Montmartre, con la nuova compagna Lucette Almansor. Questi cambi di residenza sono diligentemente appuntati nel secondo documento, redatto in circostanze drammatiche: è infatti datato 11 giugno 1945, quando la coppia, fuggita in Germania prima e in Danimarca poi dopo lo sbarco Alleato in Francia, è tuttora in clandestinità, essendo Céline ricercato per collaborazionismo. Riproduciamo il documento di seguito dato il suo interesse céliniano, visto che mette nero su bianco le debolissime accuse della Giustizia francese a Céline, accuse che gli valsero comunque il rischio della pena di morte per “alto tradimento”, e anche per il quadro generale che dà della Parigi occupata e dei complessi rapporti tra francesi e tedeschi in quel periodo, che trovano secondo noi una immagine certamente tragicomica nell’informazione riferitavi di un “posto radio trasmittente, in collegamento con Londra” della Resistenza francese “operativo nel sottotetto del Moulin de la Galette” frequentato dagli alti Ufficiali tedeschi della Kommandantur di Parigi, con il probabile tacito assenso del suo proprietario, peraltro occupato a procacciare avvenenti “donne russe” agli Occupanti! (Andrea Lombardi)


***


Parigi, l’11 giugno 1945


Questura


Ufficio del Questore

Dipartimento Amministrativo

N° 419597

Estratto di un rapporto 5 giugno 1945

Firmato Informazioni Generali, allegato al dossier N° 125815






Destouches Louis Ferdinand nato il 27/5/1894 a Courbevoie Dottore alla facoltà di medicina residente al 36 Rue d’Alsace a Clichy è stato oggetto di un rapporto come collaboratore tedesco.


5 giugno 1945 [timbrato]


a/c di Chayrou Pierre segnalato come “collaboratore dei tedeschi”


A seguito di una informativa in data 14 dicembre 1944, segnalante il proprietario del “Moulin de la Galette” quale amico di Louis Ferdinand Céline e noto per aver ricevuto nei suoi locali, durante l’occupazione, dei membri dello stato maggiore tedesco; avendo inoltre egli praticato la borsa nera “in grande”, in compagnia di due donne russe delle quali una si era ritrovata incinta di un ufficiale dello stato maggiore tedesco si è proceduto ad una inchiesta che ha permesso di raccogliere le seguenti informazioni:


CHAYROU Pierre, André, Jules, nato il 12 aprile 1899 a Parigi, 10°, […]


Dal 1936 dirige gli esercizi “Le Moulin de la Galette e i Jardins de Montmartre” […]


L’esercizio “Le Moulin de la Galette” è noto ai Servizi della Direzione Informazioni Generali e del Gioco per essere stata oggetto di una informativa il 1° aprile 1944. A quella data, la direzione di questo esercizio ha lanciato un certo numero d’inviti a diverse personalità francesi e tedesche in occasione della prima rappresentazione della rivista “Album d’Images” di Géo Bury [cantante d’operetta e attore]. Si notano in particolare i nomi di: Georges Hilaire, Segretario generale alle Belle Arti, Otto Abetz, ambasciatore della Germania, Knothe Console della Germania, il Generale Boineburg-Lengsfeld, comandante della Grand-Paris [Il Generale Hans Boineburg-Lengsfeld, decorato comandante di unità corazzate, fu coinvolto nell’attentato a Hitler del 20 luglio 1944 come molti altri Ufficiali del comando di Parigi, ma per sua fortuna non fu scoperto evitando l’epurazione all’interno del corpo ufficiali tedesco seguente], oltre che una ventina di ufficiali superiori delle truppe d’occupazione e di funzionari dell’Ambasciata di Germania.


I Sigg. de BRINON, BUSSIERE e BOUFFET [Fernand de Brinon, segretario di stato a Vichy e poi presidente del governo in esilio a Sigmaringen; Amédée Bussière, capo della Polizia di Parigi, e René Bouffet, prefetto del Dipartimento della Senna] che erano stati egualmente invitati hanno fatto sapere che assisteranno in altra occasione al nuovo spettacolo del “Moulin de la Galette”.


Per quanto concerne l’informazione secondo la quale degli Ufficiali dello Stato Maggiore tedesco si riunissero in un locale dipendente da questo esercizio, sono stati raccolte le seguenti notizie:


Il Moulin de la Galette si compone di una sala da ballo (ingresso al 77, Rue Lepic) di uno studio di danza (entrata Rue Girardon e 1 avenue Junot) e da un cabaret “Sur les toits de Paris” (entrata 81, Rue Lepic).


Dal 1941 al 1943, una sala da cabaret situata a quest’ultimo indirizzo era riservata con il nome di “Bierpausen” ai membri dell’esercito d’occupazione che giungevano a visitare Montmartre e lì vi consumavano.


L’arredo di questa sala rappresenta un grande atelier di pittura. Degli ufficiali tedeschi di tutti i gradi vi facevano frequenti visite e questo va e vieni ha presto attirato l’attenzione del vicinato. […]


La direzione del “Moulin de la Galette” aveva parimenti fatto distribuire tra i membri dell’esercito occupante dei volantini redatti in francese e tedesco concernenti il cabaret “Sur les toits de Paris”, dei quali alleghiamo un esemplare.


Secondo le notizie raccolte nel suo ambiente, CHAYROU avrebbe guadagnato cifre considerevoli con i tedeschi che erano la principale clientela. Per contro non è stato raccolta nessuna notizia per quel che concerne il mercato nero che si sarebbe operato e che è segnalato nella stessa informativa, oltre che sul soggetto delle due donne russe, che sono sconosciute al personale come al vicinato. Nono si è potuta identificare nessuna delle due.






È da notare come, durante l’occupazione, un posto radio trasmittente, in collegamento con Londra, era operativo nel sottotetto del Moulin de la Galette, fatto che il Chayrou sembrasse ignorare.


Quest’ultimo era stato in relazioni amichevoli con Destouches detto “Céline” del quale si parla in altra parte.


In privato, Chayrou non è stato oggetto di alcuna osservazione particolare. Non ha mai attirato l’attenzione dal punto di vista politico.


Non ha precedenti giudiziari.


***


DESTOUCHES detto Céline, Louis Ferdinand, nato il 27 maggio 1894 a Courbevoie (Senna) di nazionalità francese, è sposato e padre di famiglia.


Dall’aprile 1941, egli è domiciliato al 4, rue Girardon (18°) ma non è più stato visto a questo indirizzo dal giugno 1944. Si suppone che a quella data si sia recato a Sigmaringen (Germania) ma si ignora dove si trova attualmente [Céline e Lucette a quest’epoca erano a Copenhagen, ove erano giunti ad aprile del 1945. Céline fu arrestato a dicembre nello stesso anno, e rinchiuso in carcere in Danimarca per 14 mesi].


È stato vanamente ricercato nella circoscrizione della Questura.


In precedenza, DESTOUCHES aveva abitato successivamente al 36, Rue d’Alsace a Clichy e al 98, Rue Lepic (18°).


Dottore in medicina della facoltà di Parigi, la sua laurea è stata registrata il 17 ottobre 1927 alla Questura, ma non ha mai esercitato [Probabilmente si riferiscono alla professione medica ospedaliera strettamente intesa; come noto, Céline lavorò come medico sia presso la Società delle Nazioni (SdN) che in diversi ambulatori e dispensari].


DESTOUCHES è conosciuto negli ambienti letterari per aver scritto, con lo pseudonimo di Céline numerosi romanzi tra i quali “Viaggio al termine della notte”, “La Chiesa”, “Morte a credito”, “La scuola dei cadaveri”, per i quali ha ottenuto nel 1932 il premio Théophraste Renaudot.


Durante l’occupazione, ha anche collaborato a numerosi giornali di tendenza collaborazionista, tra i quali “Le Pilori” nel 1945 e “Germinal” nel 1944. In un articolo apparso sul giornale “Le Cri du Peuple” del 31 marzo 1943, egli dichiarava: “Bisogna lavorare, militare con Doriot” [L’articolo citato era stato inizialmente pubblicato il 21 novembre 1941 su “L’émancipation nationale”. Tuttavia, Céline negò di esserne stato l’autore, come cercò di dissimulare le diverse altre lettere scritte sulla stampa collaborazionista francese tra il 1940 e il 1944, tra le quali proprio una lettera-appello a Jacques Doriot, creatore del Partito Popolare Francese, apparsa sui “Cahiers de l’émancipation nationale” del marzo 1942].


Destouches è noto agli Archivi dei Servizi di informazione della Polizia come membro del Comitato d’Onore del “Cercle Européen” [Un’ordinanza del 26 dicembre 1944 stabiliva che tutti i membri del “Cercle Européen”, “circolo francese di collaborazione economica e culturale europeo”, ritenuto collaborazionista, sarebbero stati colpiti dall’indegnità nazionale. Questo fu uno dei capi di accusa al processo a Céline del 1950; quest’ultimo contestò l’accusa confermando solo di essersi recato tre volte al “Cercle Européen” quale invitato, ma di non esser mai stato nel suo comitato d’onore, come invece millantato dal suo direttivo per questioni di prestigio], dove era stato inscritto sotto il 26 bis, e da dove era stato radiato il 15 maggio 1943.


È anche noto agli Archivi della Polizia Giudiziaria, dove è depositato il fascicolo n° 222.258, concernente una querela depositata nel 1939 da un certo FROT residente in 11, bis Rue Jean Leclaire (17°) che accusa Céline di attentare al pubblico pudore per la pubblicazione del libro “La scuola dei cadaveri”. Questa faccenda non ha in ogni caso avuto un seguito legale.


Al Casellario Giudiziario Destouches è annotato come segue:


200 Franchi (12° Camera) 21/6/39 – Diffamazione [Céline era stato querelato dal dottor Pierre Rouquès da lui definito come “ebreo comunista” in La scuola dei cadaveri. Rouquès, che era effettivamente un militante comunista, miliziano repubblicano in Spagna e resistente, divenne nel dopoguerra ministro della Sanità francese. Pubblicato nel 1938, il libro fu ritirato dal commercio dopo la legge Marchandeau contro l’antisemitismo nel 1939, e quindi ristampato nel 1941-1942. Un’altra querela contro Céline per lo stesso motivo era stata depositata dal giornalista Léon Treich, ma stavolta senza esito]


Ad ogni buon fine, il suo nome è stato posto all’attenzione del servizio alloggiati della polizia.