Tradotte per la prima volta le lettere dello scrittore francese pubblicate sui giornali collaborazionisti tra il 1941 e il 1944. Testi in cui rivendica il proprio ideale "ariano", che poco dopo si rimangerà...
Da tempo ormai sappiamo, sulla base di documenti, di ricerche d’archivio, di riscontri incrociati, di epistolari rimasti a lungo sepolti, che la qualifica di «collaboratore», per Louis-Ferdinand Céline (1894-1961), era pertinente. Céline «collaborò», non si limitò a scrivere qualche lettera ai giornali: rivendicò l’aver capito prima degli altri il disastro che si preparava per il suo Paese; rivendicò l’aver chiesto un’alleanza franco-tedesca; rivendicò la necessità di uno scontro all’ultimo sangue contro bolscevismo e democrazie liberali; rivendicò una linea di condotta recisa contro gli ebrei; auspicò una Francia razzialmente pura, nordica, separata geograficamente dal suo Sud meticcio e mediterraneo... Scelse con attenzione i giornali dove far apparire le sue provocazioni, ne seguì la pubblicazione, se n’ebbe a male quando qualche frase troppo forte gli venne tagliata, polemizzò aspramente.
Fra il 1941 e il 1944 scrisse una trentina di lettere, oggi per la prima volta tradotte in Italia, compresa quella relativa alla separazione geografico-razziale della Francia già ricordata, e che non venne pubblicata perché ritenuta «eccessiva» dalla direzione di Je suis partout; rilasciò una dozzina di interviste, ripubblicò i suoi pamphlet, partecipò a conferenze, tenne contatti con le autorità tedesche. E però aveva qualche fondamento di verità la sua linea di difesa del «non aver collaborato». Perché non fu nel libro paga di giornali o movimenti, perché la critica militante nazista trovava troppo nichilista il suo pensiero, perché in sedute conviviali più o meno pubbliche la sua vena esplodeva sinistra, prefigurando scenari catastrofici e rese di conti epocali, perché si adoperò per salvare qualche vita e omise di denunciare qualche gollista poco smaliziato, e perché alla fine sembrò che con i tedeschi avesse fornicato solo lui.
Cantore, di parte, di un continente messo a ferro e a fuoco in un epocale regolamento di conti, sotto le mentite spoglie del cronista Céline racconta la fine di un’idea di Europa cui ha creduto e per la quale si è battuto: razziale, antidemocratica, panica e pagana, anti-moderna e mitica.
Scrittore anti-materialista, Céline cercò di combattere il materialismo usando uno strumento, la razza, altrettanto materiale e, come tale, incapace di cogliere differenze di valori e di sensibilità. L’ideale ariano che egli propugna, l’abbiamo visto, fino a voler dividere la Francia in due, una suralgerina, l’altra nordica, e che altri si incaricheranno di mettere bestialmente in pratica, si trasformerà in beffa allorché, dopo essere stato imprigionato in Danimarca, si troverà a scrivere: «Merda agli ariani. Durante 17 mesi di cella non un solo dannato fottuto dei 500 milioni di ariani d’Europa ha emesso un gridolino in mia difesa. Tutti i miei guardiani erano ariani!».
Quando si predica la purezza c’è sempre qualcuno che si crede più puro di te.L’ebreo, nell’allucinazione celiniana, finisce però col perdere un’identità razziale precisa, finisce con il trasformarsi in un simbolo: ebreo è il clero bretone, ebreo il conte di Parigi, ebreo è Maurras, ebreo il Papa, ebrei i re di Francia, ebrei gli atei, ebreo Pétain. Gli ebrei sono tutti, anche Céline.... È l’opposto di quell’«uomo nuovo», di quel «barbaro ritrovato» di cui si fa alfiere... Ma dietro al razzismo c’è anche una questione di stile, come la lettera su Marcel Proust alla Révolution nationale di Lucien Combelle, del febbraio 1943, mette bene in evidenza: «Lo stile Proust? È semplicissimo. Talmudico.
Fra il 1941 e il 1944 scrisse una trentina di lettere, oggi per la prima volta tradotte in Italia, compresa quella relativa alla separazione geografico-razziale della Francia già ricordata, e che non venne pubblicata perché ritenuta «eccessiva» dalla direzione di Je suis partout; rilasciò una dozzina di interviste, ripubblicò i suoi pamphlet, partecipò a conferenze, tenne contatti con le autorità tedesche. E però aveva qualche fondamento di verità la sua linea di difesa del «non aver collaborato». Perché non fu nel libro paga di giornali o movimenti, perché la critica militante nazista trovava troppo nichilista il suo pensiero, perché in sedute conviviali più o meno pubbliche la sua vena esplodeva sinistra, prefigurando scenari catastrofici e rese di conti epocali, perché si adoperò per salvare qualche vita e omise di denunciare qualche gollista poco smaliziato, e perché alla fine sembrò che con i tedeschi avesse fornicato solo lui.
Cantore, di parte, di un continente messo a ferro e a fuoco in un epocale regolamento di conti, sotto le mentite spoglie del cronista Céline racconta la fine di un’idea di Europa cui ha creduto e per la quale si è battuto: razziale, antidemocratica, panica e pagana, anti-moderna e mitica.
Scrittore anti-materialista, Céline cercò di combattere il materialismo usando uno strumento, la razza, altrettanto materiale e, come tale, incapace di cogliere differenze di valori e di sensibilità. L’ideale ariano che egli propugna, l’abbiamo visto, fino a voler dividere la Francia in due, una suralgerina, l’altra nordica, e che altri si incaricheranno di mettere bestialmente in pratica, si trasformerà in beffa allorché, dopo essere stato imprigionato in Danimarca, si troverà a scrivere: «Merda agli ariani. Durante 17 mesi di cella non un solo dannato fottuto dei 500 milioni di ariani d’Europa ha emesso un gridolino in mia difesa. Tutti i miei guardiani erano ariani!».
Quando si predica la purezza c’è sempre qualcuno che si crede più puro di te.L’ebreo, nell’allucinazione celiniana, finisce però col perdere un’identità razziale precisa, finisce con il trasformarsi in un simbolo: ebreo è il clero bretone, ebreo il conte di Parigi, ebreo è Maurras, ebreo il Papa, ebrei i re di Francia, ebrei gli atei, ebreo Pétain. Gli ebrei sono tutti, anche Céline.... È l’opposto di quell’«uomo nuovo», di quel «barbaro ritrovato» di cui si fa alfiere... Ma dietro al razzismo c’è anche una questione di stile, come la lettera su Marcel Proust alla Révolution nationale di Lucien Combelle, del febbraio 1943, mette bene in evidenza: «Lo stile Proust? È semplicissimo. Talmudico.
Il Talmud è imbastito come i suoi romanzi, tortuoso, ad arabeschi, mosaico disordinato. Il genere senza capo né coda. Per quale verso prenderlo? Ma al fondo infinitamente tendenzioso, appassionatamente, ostinatamente. Un lavoro da bruco. Passa, viene, torna, riparte, non dimentica nulla, in apparenza incoerente, per noi che non siamo ebrei, ma riconoscibile per gli iniziati. Il bruco si lascia dietro, come Proust, una specie di tulle, di vernice, che prende, soffoca riduce e sbava tutto ciò che tocca - rosa o merda. Poesia proustiana. Quanto alla base dell’opera: conforme allo stile, alle origini, al semitismo: individuazione delle élites imputridite, nobiliari, mondane, invertiti eccetera, in vista del loro massacro. Epurazioni. Il bruco vi passa sopra, sbava, le fa lucenti. I carri armati e le mitragliatrici fanno il resto. Proust ha assolto il suo compito». Conclusione: nel 1943 l’autore della Recherche avrebbe applaudito la sconfitta tedesca a Stalingrado...
Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo due stralci di altrettante lettere contenute nel volume: Louis-Ferdinand Céline, Céline ci scrive , «Le lettere di Louis-Ferdinand Céline alla stampa collaborazionista francese, 1940-44» (Edizioni Il Settimo Sigillo, pagg. 240, euro 25; a cura di Andrea Lombardi, traduzione di Valeria Ferretti, prefazione di Stenio Solinas).
“Atto di fede di L.-F. Céline”, in “La Gerbe”, n.32, 13 febbraio 1941, p.1.
L’Articolo non è per nulla il mio forte. Del resto, la politica nemmeno. Ci vuole uno stile che io non possiedo. Così come sono. Ma una domanda si pone: perché tutto questo chiacchiericcio? Questa ipocrisia?
***
Ho conosciuto in riva al mare, in Bretagna, una ragazzina a cui la mamma leggeva molte parabole. Questa ragazzina venne colpita dalla vicenda di Giuseppe, a cui capitava di essere frequentemente visitato dalle visioni. Anche la ragazzina si mise ad avere delle visioni. Solo che le aveva “dopo”. – Mamma, ho avuto una visione, stanotte, che tu cascavi di bicicletta!
Fatto esattissimo, ma del giorno prima.
Così Sergine, mai alla sprovvista, mai si sbagliava sulle sue visioni: cosa divertente per un autore di quarant’anni, ma in un altro modo.
Mi riferisco a tutti quei libri, a tutti quegli articoli, arringhe, movimenti, testimonianze, e i loro autori che si mostrano, si agitano nelle nostre zone submaledette, da giugno.
L’opera dei “post-visionari”.
Scorrevo ieri un altro libro recentemente pubblicato; è chiaro che il suo autore, se le cose fossero girate in modo assai diverso, si teneva pronto a offrirci, diritto come una pallottola, un “225-pagine-forti”, “Dopo la Vittoria”, una cosa coi fiocchi, e rassomigliante come un fratello a quello che ha pubblicato: stessi stili, documenti, stessa rifrittura, lo stesso insomma, al contrario, visto di spalle. Non abbiamo via di scampo. Le opere dei “post-visionari” sono tutte rigorosamente reversibili. Hanno questo carattere comune, e poi non parlano mai degli Ebrei. Preservano il futuro. L’autore ci afferma (come si avventura!) che il suo celebre amico scrittore Raoul Trudule de la Gardière aveva da solo, in termini di una profondità ammirevole, e ben prima di giugno, abbozzato un tale scenario di catastrofe! E che l’altro suo geniale e celebre amico scrittore Prosper de la Médouze aveva tremendamente avvertito tutta la tragedia dell’epoca. Prima notizia! I presentimenti di questo tipo portavano più spesso del convenuto direttamente in 12ª sezione, in cui non incontrai mai, né l’uno né l’altro, quanto mai conformi di questi tempi.
Bando ai divertimenti! Sotto Blum, tutta la Francia era blumista! E pugno teso per quanto si può! Antihitleriana fino a crepare! E la Médouze e la Gardière peggio di tutti gli altri! Se gli scrittori francesi sono della razza “post-visionari”, sono anche, per l’occasione, splendidi pecoroni panurgici.
Li vedo tutti tambur-maggiori, tutto un vortichio di mazze, non disposti davanti alle truppe ma dietro tanto più fieri! Come Artaban! E al riparo da ogni rischio! Fronte popolare e Pacificazione.
Va da sé, ben inteso, che un libro come quello è osannato da tutta la grande stampa pacifista. Chi si rivede!
Neanche quelli parlano mai della grave domanda. A nessun prezzo: gli stessi ordini di prima di giugno! Non parlare mai degli Ebrei! Mi dico eppur leggendoli: “Toh!” sono dei “retro-pensatori”! che aspettano tutti a tradirci? Il momento giusto.
Centomila volte “Viva Pétain” urlati non valgono un piccolo “via gli ebrei” nella pratica. Un po’ di coraggio, cris… di Dio! “Coraggio dopo” e meno chiacchiere!...e ti ritroverò Péguy e il Grand Méaulnes [sic] e il seguito!...., domani la Remarie Chapdelaine, solo per svago! Affogamento di pesci! Ninnoli nella polvere, superati a dismisura dal cataclisma del giorno!
Rimpicciolire, edulcorare i cicloni alla misura “mini-menefotto”, misura francese, è lo scopo sornione.
Vede che siamo veramente lontani dall’obiettivo…“grandissimi ripieghisti”, “retro-pensisti”, “piccoli ripieghisti”, “post-visionari”, “eludisti”… è troppo per me! Che cricca! Che tris di acrobati! Bricconi! Tutti al lavoro con la rete di protezione! Preferirei ancora Lecache, il somaro, l’impiegato di provocazione, tutto onestamente vergognoso, grassa panza cancrosa, Sampaix, ‘sto stronzo incredibile… c’è di tutto sui suoi giornali! E ri-di tutto, per così dire! Cripto-, para-, micro-ebrei! Non si sa mai, con ciò, chi le scriverà dietro le spalle! Le hanno provato il contrario? Che importa! Non me lo proverebbero! Cornuto chi vuol bene! Prende Pavlowa, Huysmans per ariani? Che Dio la ascolti!?
***
E che cos’è questa sfilza di super-nazionali sbalorditivi? Imbecilli? “Più lotte tra i trust?” Leggo nei programmi… li coccoliamo allora? Li preserviamo o li culliamo? Abbiamo paura che si facciano del male? La bua? È questa la sua Rivoluzione? Ai pazzi! Accorra a svegliarmi quando aboliremo i trust. Non prima, di grazia!
Facciamo la guerra dei Cento Anni? Non sono al corrente di nulla. Vorrei davvero che mi si informi. Se le cose continuano con questo andazzo, è un piano di tre, quattro secoli. È una faccenda tra morti.
***
Ah! Quando penso a tutto ciò che si poteva fare con ragazzi che hanno fegato! Ah! Come non andrebbe per le lunghe, non farebbe una piega! Non un uff! Ah! Rimango tutto meravigliato, pensoso, incantato, atterrito. Sente il minimo rumore? Il più piccolo brontolio? Ma no! Che Diavolo! na! na!
Così si fa il gran lavoro delle persone esperte nella questione. Chi va là? Dannato sangue! Chi va là? Quindici giorni in tutto ci vogliono per scongelare la Francia, quindici giorni e sapere ciò che si vuole.
È un decreto di natura che le formiche, sempre, mangeranno le larve.
Si rilascia ad alcuni altissimi brevetti di francismo. Ci intimano di fare mea culpa! Ci rimbrottano all’improvviso! Andiamo! Siamo in piena abbuffata! Vogliono la medaglia militare? Io voglio eccome! Tuttavia, sono difficile! Non mi basta! Vorrei che ci dicano un po’ tutto ciò che pensano della questione ebraica! Saremmo felici, giubilanti! Fede che non agisce non è affatto sincera! Ah! Occorre prendere posizione! Oggi stesso, non domani! Tutto ciò che possiede penna in Francia, teatro, cinema,volatili, dovrebbe per il momento, proprio come in Loggia!..., compiere il proprio dovere. Che questo costituisca dossier! Compromettiamoci! In tutta libertà certo, spontaneamente, ai piedi del muro. Senza nessuna pressione. E finalmente si saprebbe a chi si parla! Atto di battesimo non è per nulla tutto! Atto di fede, netto, per iscritto.
Gli Ebrei sono responsabili della guerra o no? Rispondete dunque nero su bianco, cari scrittori acrobati.
Chi va là? Chi va là?
Abbiamo il diritto davvero di essere dispiaciuti su questa terra dove, decisamente, niente cresce.
L’Articolo non è per nulla il mio forte. Del resto, la politica nemmeno. Ci vuole uno stile che io non possiedo. Così come sono. Ma una domanda si pone: perché tutto questo chiacchiericcio? Questa ipocrisia?
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Ho conosciuto in riva al mare, in Bretagna, una ragazzina a cui la mamma leggeva molte parabole. Questa ragazzina venne colpita dalla vicenda di Giuseppe, a cui capitava di essere frequentemente visitato dalle visioni. Anche la ragazzina si mise ad avere delle visioni. Solo che le aveva “dopo”. – Mamma, ho avuto una visione, stanotte, che tu cascavi di bicicletta!
Fatto esattissimo, ma del giorno prima.
Così Sergine, mai alla sprovvista, mai si sbagliava sulle sue visioni: cosa divertente per un autore di quarant’anni, ma in un altro modo.
Mi riferisco a tutti quei libri, a tutti quegli articoli, arringhe, movimenti, testimonianze, e i loro autori che si mostrano, si agitano nelle nostre zone submaledette, da giugno.
L’opera dei “post-visionari”.
Scorrevo ieri un altro libro recentemente pubblicato; è chiaro che il suo autore, se le cose fossero girate in modo assai diverso, si teneva pronto a offrirci, diritto come una pallottola, un “225-pagine-forti”, “Dopo la Vittoria”, una cosa coi fiocchi, e rassomigliante come un fratello a quello che ha pubblicato: stessi stili, documenti, stessa rifrittura, lo stesso insomma, al contrario, visto di spalle. Non abbiamo via di scampo. Le opere dei “post-visionari” sono tutte rigorosamente reversibili. Hanno questo carattere comune, e poi non parlano mai degli Ebrei. Preservano il futuro. L’autore ci afferma (come si avventura!) che il suo celebre amico scrittore Raoul Trudule de la Gardière aveva da solo, in termini di una profondità ammirevole, e ben prima di giugno, abbozzato un tale scenario di catastrofe! E che l’altro suo geniale e celebre amico scrittore Prosper de la Médouze aveva tremendamente avvertito tutta la tragedia dell’epoca. Prima notizia! I presentimenti di questo tipo portavano più spesso del convenuto direttamente in 12ª sezione, in cui non incontrai mai, né l’uno né l’altro, quanto mai conformi di questi tempi.
Bando ai divertimenti! Sotto Blum, tutta la Francia era blumista! E pugno teso per quanto si può! Antihitleriana fino a crepare! E la Médouze e la Gardière peggio di tutti gli altri! Se gli scrittori francesi sono della razza “post-visionari”, sono anche, per l’occasione, splendidi pecoroni panurgici.
Li vedo tutti tambur-maggiori, tutto un vortichio di mazze, non disposti davanti alle truppe ma dietro tanto più fieri! Come Artaban! E al riparo da ogni rischio! Fronte popolare e Pacificazione.
Va da sé, ben inteso, che un libro come quello è osannato da tutta la grande stampa pacifista. Chi si rivede!
Neanche quelli parlano mai della grave domanda. A nessun prezzo: gli stessi ordini di prima di giugno! Non parlare mai degli Ebrei! Mi dico eppur leggendoli: “Toh!” sono dei “retro-pensatori”! che aspettano tutti a tradirci? Il momento giusto.
Centomila volte “Viva Pétain” urlati non valgono un piccolo “via gli ebrei” nella pratica. Un po’ di coraggio, cris… di Dio! “Coraggio dopo” e meno chiacchiere!...e ti ritroverò Péguy e il Grand Méaulnes [sic] e il seguito!...., domani la Remarie Chapdelaine, solo per svago! Affogamento di pesci! Ninnoli nella polvere, superati a dismisura dal cataclisma del giorno!
Rimpicciolire, edulcorare i cicloni alla misura “mini-menefotto”, misura francese, è lo scopo sornione.
Vede che siamo veramente lontani dall’obiettivo…“grandissimi ripieghisti”, “retro-pensisti”, “piccoli ripieghisti”, “post-visionari”, “eludisti”… è troppo per me! Che cricca! Che tris di acrobati! Bricconi! Tutti al lavoro con la rete di protezione! Preferirei ancora Lecache, il somaro, l’impiegato di provocazione, tutto onestamente vergognoso, grassa panza cancrosa, Sampaix, ‘sto stronzo incredibile… c’è di tutto sui suoi giornali! E ri-di tutto, per così dire! Cripto-, para-, micro-ebrei! Non si sa mai, con ciò, chi le scriverà dietro le spalle! Le hanno provato il contrario? Che importa! Non me lo proverebbero! Cornuto chi vuol bene! Prende Pavlowa, Huysmans per ariani? Che Dio la ascolti!?
***
E che cos’è questa sfilza di super-nazionali sbalorditivi? Imbecilli? “Più lotte tra i trust?” Leggo nei programmi… li coccoliamo allora? Li preserviamo o li culliamo? Abbiamo paura che si facciano del male? La bua? È questa la sua Rivoluzione? Ai pazzi! Accorra a svegliarmi quando aboliremo i trust. Non prima, di grazia!
Facciamo la guerra dei Cento Anni? Non sono al corrente di nulla. Vorrei davvero che mi si informi. Se le cose continuano con questo andazzo, è un piano di tre, quattro secoli. È una faccenda tra morti.
***
Ah! Quando penso a tutto ciò che si poteva fare con ragazzi che hanno fegato! Ah! Come non andrebbe per le lunghe, non farebbe una piega! Non un uff! Ah! Rimango tutto meravigliato, pensoso, incantato, atterrito. Sente il minimo rumore? Il più piccolo brontolio? Ma no! Che Diavolo! na! na!
Così si fa il gran lavoro delle persone esperte nella questione. Chi va là? Dannato sangue! Chi va là? Quindici giorni in tutto ci vogliono per scongelare la Francia, quindici giorni e sapere ciò che si vuole.
È un decreto di natura che le formiche, sempre, mangeranno le larve.
Si rilascia ad alcuni altissimi brevetti di francismo. Ci intimano di fare mea culpa! Ci rimbrottano all’improvviso! Andiamo! Siamo in piena abbuffata! Vogliono la medaglia militare? Io voglio eccome! Tuttavia, sono difficile! Non mi basta! Vorrei che ci dicano un po’ tutto ciò che pensano della questione ebraica! Saremmo felici, giubilanti! Fede che non agisce non è affatto sincera! Ah! Occorre prendere posizione! Oggi stesso, non domani! Tutto ciò che possiede penna in Francia, teatro, cinema,volatili, dovrebbe per il momento, proprio come in Loggia!..., compiere il proprio dovere. Che questo costituisca dossier! Compromettiamoci! In tutta libertà certo, spontaneamente, ai piedi del muro. Senza nessuna pressione. E finalmente si saprebbe a chi si parla! Atto di battesimo non è per nulla tutto! Atto di fede, netto, per iscritto.
Gli Ebrei sono responsabili della guerra o no? Rispondete dunque nero su bianco, cari scrittori acrobati.
Chi va là? Chi va là?
Abbiamo il diritto davvero di essere dispiaciuti su questa terra dove, decisamente, niente cresce.
Lettera a Pierre Costantini, “L.-F. Céline ci scrive”, in “L’Appel”, n. 40, 4 dicembre 1941, p. 1.
Mio caro Costantini, […]
le segnalo che Péguy non ha mai capito niente di niente, e fu contemporaneamente dreifusardo, monarchico e esibizionista.
Ecco, parecchi titoli, certo per l’entusiasmo della giovane francese, così sempliciotta, così ebraizzata. Il giovane francese catecumeno, irascibile, rovinato, brontolone, scopritore di lune, quel Péguy, rappresenta ammirevolmente il giovane francese secondo tutti gli auspici della giuderia. Una perfetta “assicurazione contro ogni rischio”. L’abbrutito a morte.
Si ricorda forse, nel maggio del 1939, di questa “Quinzaine Péguy” alla Comédie-Française?… L’ultimo spettacolo di quel teatro prima della catastrofe…e firmato: Huisman, Mandel.
Che desidera?...
E la mia inchiesta?… Andata a monte?... Ce ne freghiamo alla grande, caro Costantini, di sapere se le balbuzie di quell’autore in fasce rivelassero già la genialità. Ma, oh quanto! vorremmo conoscere l’opinione delle nostre più tumultuose élite sulla questione ebraica, sul delicato problema del razzismo?...
Oh! come si fanno pregare le nostre élite!... Che discrezione improvvisa…
Come tutta questa temerarietà, tante volte declamata, si spacca, si ghiaccia, davanti all’abisso. Tuttavia bisogna buttarsi o perdere tutto.
Ma quali rischi dopotutto…Il menefotto è oggigiorno assai meglio visto dell’eroe.
Subire una sconfitta fortifica l’uomo.
È nel 1941 che sarà necessario, credo, per la storia, situare il trionfo eclatante del menefotto, l’apoteosi definitiva, cosmica, del menefotto.
La saluto cordialmente.
L.-F. CELINE
P.S. – Di tutti gli scrittori francesi recentemente rientrati dalla Germania, ce n’è uno che ci abbia dato delle idee sul problema ebraico della Germania del 1941?... Hanno arzigogolato tutti, tergiversato davanti a un bicchiere. Proprio loro non scorgevano nemmeno gli Ebrei in America prima del 1939… È una mania, non li vedono da nessuna parte.
In fondo, non c’è che il cancelliere Hitler per parlare degli Ebrei. Del resto, i suoi fini, sempre più decisi, lo noto, a questo proposito, sono solamente riportati con imbarazzo dalla nostra grande stampa (la più pacificazionista) controvoglia, minimizzati il più possibile, lambiccati, a malincuore…
L’imbarazzo è grande. È il lato, che amiamo meno, l’unico in fondo che temiamo, nel cancelliere Hitler, in modo certo. È quello che amo di più. Lo scrivevo già nel 1937, sotto Blum.
Mio caro Costantini, […]
le segnalo che Péguy non ha mai capito niente di niente, e fu contemporaneamente dreifusardo, monarchico e esibizionista.
Ecco, parecchi titoli, certo per l’entusiasmo della giovane francese, così sempliciotta, così ebraizzata. Il giovane francese catecumeno, irascibile, rovinato, brontolone, scopritore di lune, quel Péguy, rappresenta ammirevolmente il giovane francese secondo tutti gli auspici della giuderia. Una perfetta “assicurazione contro ogni rischio”. L’abbrutito a morte.
Si ricorda forse, nel maggio del 1939, di questa “Quinzaine Péguy” alla Comédie-Française?… L’ultimo spettacolo di quel teatro prima della catastrofe…e firmato: Huisman, Mandel.
Che desidera?...
E la mia inchiesta?… Andata a monte?... Ce ne freghiamo alla grande, caro Costantini, di sapere se le balbuzie di quell’autore in fasce rivelassero già la genialità. Ma, oh quanto! vorremmo conoscere l’opinione delle nostre più tumultuose élite sulla questione ebraica, sul delicato problema del razzismo?...
Oh! come si fanno pregare le nostre élite!... Che discrezione improvvisa…
Come tutta questa temerarietà, tante volte declamata, si spacca, si ghiaccia, davanti all’abisso. Tuttavia bisogna buttarsi o perdere tutto.
Ma quali rischi dopotutto…Il menefotto è oggigiorno assai meglio visto dell’eroe.
Subire una sconfitta fortifica l’uomo.
È nel 1941 che sarà necessario, credo, per la storia, situare il trionfo eclatante del menefotto, l’apoteosi definitiva, cosmica, del menefotto.
La saluto cordialmente.
L.-F. CELINE
P.S. – Di tutti gli scrittori francesi recentemente rientrati dalla Germania, ce n’è uno che ci abbia dato delle idee sul problema ebraico della Germania del 1941?... Hanno arzigogolato tutti, tergiversato davanti a un bicchiere. Proprio loro non scorgevano nemmeno gli Ebrei in America prima del 1939… È una mania, non li vedono da nessuna parte.
In fondo, non c’è che il cancelliere Hitler per parlare degli Ebrei. Del resto, i suoi fini, sempre più decisi, lo noto, a questo proposito, sono solamente riportati con imbarazzo dalla nostra grande stampa (la più pacificazionista) controvoglia, minimizzati il più possibile, lambiccati, a malincuore…
L’imbarazzo è grande. È il lato, che amiamo meno, l’unico in fondo che temiamo, nel cancelliere Hitler, in modo certo. È quello che amo di più. Lo scrivevo già nel 1937, sotto Blum.
Quei «pezzi» vergognosi e l'intervista con Poulet
Tra le iniziative editoriali che ricordano i cinquant'anni dalla morte di Louis-Ferdinand Céline (nato nel 1894 e morto il 1° luglio 1961), la più importante è senza dubbio la pubblicazione delle lettere dello scrittore alla stampa collaborazionista francese fra il 1940 e il 1944: Louis-Ferdinand Céline, «Céline ci scrive» (Edizioni Il Settimo Sigillo, pagg. 240, euro 25; info@libreriaeuropa.it, tel. 06.3972.2155). Curato da Andrea Lombardi, il libro ha una lunga prefazione - di cui anticipiamo in questa pagina una parte - di Stenio Solinas, firma storica del «Giornale». Tra i temi toccati da Céline in queste lettere-articoli «maledetti», tutti tradotti per la prima volta in italiano, alcuni sono più «urticanti» (il collaborazionismo, Vichy, gli ebrei, il razzismo, come nel lungo articolo-intervista a Jamet o la lettera dove lo scrittore auspica una divisione etico-etnica nord-sud della Francia), altri sono invece più letterari (contro Proust, contro Peguy, la lettera a Théophile Briant). Nel volume sono anche riprodotte le pagine originali delle ormai introvabili riviste e quotidiani dove apparvero gli scritti tradotti, mentre le appendici comprendono la risposta di Céline alle accuse della Procura francese, il ricordo di Karl Epting, un testo sulla cultura politicizzata della Sinistra in quegli stessi anni, uno sui rapporti tra gli intellettuali francesi e tedeschi, e numerose fotografie.
Da segnalare, infine, anche la ripubblicazione di un celebre testo di Robert Poulet «II mio amico Céline», Elliot, euro 14), una sorta di «autobiografia scritta per procura» frutto di un lungo colloquio con l'amico Poulet nel '51 e uscita in Francia nel '58.