Il
saggista Frédéric Saenen, nel suo recente Drieu
la Rochelle face à son œuvre
(Infolio, 2015) ben sintetizza il giudizio dell'autore di Fuoco
fatuo
sull'opera letteraria céliniana e sullo sguardo di Céline sulla
realtà:
Nelle
Notes
pour comprendre le siècle,
Céline occupa uno spazio preminente nel panorama delle migliori
penne del XX secolo. “È Bloy meno Dio”, decreta Drieu, che lo
pone nella “vena medievale, la più profonda, veggente”, delle
lettere francesi. Un'idea sviluppata nella NRF del maggio 1941
quando, dando notizia de La
bella rogna,
Drieu inscrive Céline “in una grande tradizione francese”,
quella del pensiero immediato, che prende spunto dalle umane vicende
nei termini fisici del momento, al suo livello di maggior urgenza, a
livello popolare”. Quindi, vi è questo passaggio diventato celebre
tra i céliniani: “Nel Medio Evo sarebbe stato un domenicano, “cane
del Signore”; nel XVI secolo, monaco della Lega. Vi era del
religioso in Céline, nel senso ampio del termine: era legato alla
totalità della cosa umana, benché non la veda che nell'immediatezza
del secolo”. Drieu scopre in Céline ben più che un temperamento
nichilista. Comprende che il medico dà una diagnosi spietata sulla
società solo per pervenire meglio a guarirla dai mali che la
opprimono; e che malgrado l'onnipresenza della morte nel suo
universo, è in fondo la vita che intende servire, con l'esaltazione
della danza, del canto, d'una poesia dell'anima inaudita sino ad
allora nella letteratura francese.