sabato 9 luglio 2011

Céline e il suo doppio. Com’è difficile celebrare un genio cattivo, di Alan Riding




Céline e il suo doppio. Com’è difficile celebrare un genio cattivo
Alan Riding (NY Times) per “la Repubblica”

Gli anniversari di solito sono una buona occasione per celebrare grandi artisti del passato. E così sembrava dovesse essere anche per lo scrittore francese noto con il nome d´arte di Louis-Ferdinand Céline, morto cinquant´anni fa. I preparativi per commemorare la ricorrenza erano già in fase avanzata quando qualcuno ha cominciato a rimarcare che Céline era un feroce antisemita, che fomentò l´odio nei confronti degli ebrei prima e durante l´occupazione tedesca della Francia.Il problema è che la Francia venera ancora Céline, non per le sue idee politiche ma per il suo modo di scrivere, soprattutto in Viaggio al termine della notte. Quando questo straordinario romanzo semiautobiografico fu pubblicato, nel 1932, cinque anni prima che Céline abbracciasse l´antisemitismo come suo nuovo credo, fu subito salutato come un capolavoro, e oggi nella letteratura francese moderna occupa un posto paragonabile a quello che occupa per la letteratura inglese l´Ulisse di Joyce.Ma è possibile separare il Céline scrittore dal Céline uomo?Nel suo caso, la distinzione non è così netta, perché ha scritto anche tre pamphlet contro gli ebrei – Bagattelle per un massacro (1937), Scuola di cadaveri (1938) e Le belle bandiere (1941) – che vendettero bene proprio perché era un autore famoso. Per i suoi ammiratori, però, importano soltanto i suoi meriti letterari.Lo sconcerto per i comportamenti personali di artisti acclamati naturalmente non è un fenomeno inedito. Anzi, siamo attratti, come se sentissimo il bisogno di sgonfiare il mistero del loro dono, da biografie che “umanizzano” creatori famosi sottolineando i loro limiti come coniugi, o la loro nevrotica insicurezza, o il loro debole per l´alcol e le droghe.Ma è un altro discorso quando gli artisti cercano (o, come spesso succede, ci si aspetta che cerchino) di influenzare l´opinione pubblica. In questi casi, possono aspettarsi di essere giudicati per qualcosa di più che per la loro arte.Sono innumerevoli gli esempi di artisti, in particolare scrittori, che hanno preso posizioni politiche. Aleksandr Solzhenicyn, ad esempio, è ricordato, da un numero di persone molto superiore a quello dei suoi lettori, per aver denunciato il comunismo sovietico; il premo Nobel per la letteratura del 2010, Mario Vargas Llosa, nel 1990 si presentò senza successo alla corsa per la presidenza del Perù; e la dissidenza esplicita dell´artista cinese Ai Weiwei recentemente gli è costata un soggiorno dietro le sbarre.Al tempo stesso, il coinvolgimento politico comporta il rischio di finire dal lato sbagliato della storia. E in questo senso si può tracciare un parallelo tra Céline e Richard Wagner.Nel saggio Il giudaismo nella musica, pubblicato da Wagner sotto uno pseudonimo nel 1850, il grande musicista scriveva della «nostra naturale ripugnanza contro la natura giudaica». Anche se la sua animosità nei confronti degli ebrei non era livorosa come quella di Céline, l´antisemitismo è associato alla sua identità pubblica fin dagli anni Trenta, quando diventò il compositore preferito di Hitler.Quindi dovremmo boicottare la sua musica? Israele per molto tempo ci ha provato, anche se il direttore d´orchestra israeliano (e nato in Argentina) Daniel Barenboim ha sfidato questo divieto ufficioso, eseguendo nel 2001 a Gerusalemme l´ouverture wagneriana del Tristano e Isotta, e dichiarando l´anno scorso che «un giorno dovremo liberare Wagner» dalla sua associazione con Hitler e i nazisti.Potrà succedere lo stesso per Céline? Non è stato certo l´unico scrittore francese a vomitare dichiarazioni antisemite durante l´occupazione tedesca. Ma mentre, per fare qualche esempio, Pierre Drieu La Rochelle si suicidò e Robert Brasillach fu fucilato dopo la liberazione, Céline fuggì in Danimarca, e dopo un´amnistia tornò in Francia, nel 1951, da uomo libero. Comprensibilmente, per qualcuno il desiderio di vederlo punito non è finito con la sua morte.D´altra parte, a differenza di Drieu La Rochelle e di Brasillach, Céline è ancora molto letto e insieme a Proust e a Camus rappresenta la pietra angolare della letteratura francese del Novecento. Ed è sicuramente per questo motivo che all´inizio di quest´anno il ministero della Cultura francese ha considerato normale includere l´anniversario della sua morte tra gli eventi culturali rilevanti del 2011.Poi Serge Klarsfeld, famoso cacciatore di nazisti che perse il padre nell´Olocausto, è intervenuto, sostenendo che la Francia non doveva celebrare un uomo che perorava lo sterminio degli ebrei. Temendo problemi, il ministero della Cultura si è affrettato a dissociarsi da Céline e dall´anniversario, suscitando però lamentele e accuse di censura.Tutto questo trambusto tuttavia non è stato inutile. Quest´anno è uscita una nuova, importante biografia di Céline, più altri libri che analizzano aspetti diversi della sua scrittura. Numerose riviste inoltre hanno dedicato allo scrittore corposi supplementi letterari. Ma almeno i funzionari pubblici oggi dovrebbero restare in silenzio. E gli ammiratori del Céline scrittore non possono più ignorare il Céline uomo. Un genio? Probabilmente. Cattivo? Senza dubbio.

Di seguito, la lettera inviata a Repubblica dall'amico Maurizio:

L'articolo apparso ieri su Repubblica, solleva una questione; attuale: come celebrare oggi un autore come Céline? Un uomo la cui scelta fu quella di occupare il posto di marginale; inclassificabile. L'esilio di Medoun dopo le accuse di collaborazionismo, fu il culmine di una vita vissuta da marginale. In quel luogo fisico Céline ha lasciato il suo corpo, degradandolo, lasciando che a parlare fossero solo le sue opere. L'autore di quel Voyage che ha svelato le angosce dell'uomo contemporaneo, incarna alla lettera quelle caratteristiche di maestro come le indica Filippo La Porta: irregolare, scomodo, inappartenente. Céline il rabbioso, paranoico e antisemita, non ha edificato monumenti al suo narcisismo. Compiendo una scelta incomprensibile in un tempo di narcisi che si fanno fotografare sulla copertina, intellettuali da festival multipli, antiberlusconiani dell'ultima ora : staccare la persona dalla sua opera per essere 'puro stile'. Céline, insensibile alle edulcorazioni, ha mostrato con coraggio, sino alla fine, la deriva delle sue pulsioni di odio. Celebrarlo è accettare in toto quel brutto che lui ha mostrato di se e del mondo: antisemitismo compreso.

Maurizio Montanari

25 commenti:

johnny doe ha detto...

Bravo Maurizio Montanari!!!!

guignol ha detto...

sottoscrivo il commento di Johnny!

patrizio paolinelli ha detto...

l'articolo di alan riding è un piccolo capolavoro di equilibrismo. ha il merito di parlare di céline senza demonizzarlo. certo alla fine gli tocca dire che céline è cattivo. poteva evitarlo (ammesso e non concesso che lo volesse)? no, non poteva. d'altra parte, céline obbliga a dichiararsi su alcune questioni politiche. non c'è niente da fare.
patrizio paolinelli
il salto di qualità da compiere per leggere oggi céline è quello di non separare l'uomo dall'artista. per quanto piccolo si tratta di uno sforzo enorme. sforzo che consiste nel sottrarsi dalla tenaglia autore del voyage / autore di bagatelles. se si continua a cadere in questa trappola céline oggi ci serve a poco. ossia non ci aiuta a comprendere la nostra realtà, la nostra attualità.
se céline ha ancora molto da dirci è proprio perchè ha scritto il voyage e bagatelles. cosicché separare l'uomo dall'autore, il céline buono da quello cattivo può rioslvere (maldestralmente) un problema di coscienza del lettore. ma non ci aiuta nella comprensione. e nostro dovre è comprendere dato che molti, troppi problemi del mondo che céline ha affrontato sono presenti nella nostra quotidianità.
si pensi solo alal parola: crisi. céline è uno dei maggiori esponenti della crisi della modernità. e dal secondo dopoguerra ad oggi (a parte la breve parentesi del boom economico)viviamo da quattro generazioni immersi nella crisi (di ogni tipo: economica, identitaria ecc. ecc.). céline è un effetto della crisi di un'epoca e comprenderlo aiuta a comprendere il nostro vivere.
una sola annotazione biografica per monatanari. l'autoesilio a meudon non è "il culmine di una vita vissuta da marginale". céline cerca (e trova) il successo e la sicuerezza economica con tutte le sue forze. oltretutto céline non è mai stato povero anche e per tutta la vita ha sostenutyo il contrario inventando bvalle su balle circa la propria esistenza (delirio?). ma è proprio questa contraddizione (una delle tante) che ce lo rendono vicino: il suo essere contradditorio, opaco, doppio, politicamente confuso, disorientato, speventato,terrorizzato dal futuro... a ben guardare chi non si riconosce oggi in questo ritratto?

Anonimo ha detto...

Credo anche io che non si possa in alcun modo separare il Céline dei pamphlet dal Céline grande romanziere. C'è una evidente unicità di stile e di pensiero ...
L'antisemitismo di Céline, in un mondo più coraggioso, potrebbe essere addirittura la chiave per capire il novecento e i tempi in cui viviamo. Invece si preferisce relegare il tutto nell'ambito della pazzia, dell'aura di scrittore maudit ... Céline ha semplicemente scelto di non tacere quello che migliaia di francesi (ed europei e americani) pensavano ai suoi tempi.
L'ha fatto per idealismo, masochismo, senso di giustizia ecc. ecc. perché secondo le sue parole era "un artista e quindi un po' coglione" ...
L'avesse fatto nell'ottocento sarebbe passato inosservato.
Massimo

johnny doe ha detto...

Vedo che l'idea che c'è un solo Céline prende sempre più campo.
Sostenendolo da sempre,non posso che rallegrarmi.

guignol ha detto...

...non ho mai fatto "fatica" a considerare da sempre un solo Céline, peraltro dalla personalità multisfaccettata, si sa, piena di contraddizioni ma di più...la sua complessità è un valore aggiunto, come per me lo è il suo essere "politically scorrect", tutto l'insieme fa di lui l'uomo straordinario e lo scrittore eccezionale ed insuperabile.

guignol ha detto...

"politically incorrect", sorry, a volte mi piace inventarmi le parole...

johnny doe ha detto...

Polemizzavo con un editor che stigmatizzava la punteggiatura...chissà come avrebbe fatto ad editare Céline o Joyce...siamo al romanzo come saggio accademico..quanto a parole inventate Dante fu maestro.
Quindi Guignol,esteticamente e foneticamente,meglio scorrect (che adombra anche altre assonanze in tema..)che incorrect.

johnny doe ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Giulio ha detto...

Ma ragazzi, ma chissenefrega di quali idee politiche abbia avuto Céline. Quando si giudica un artista, è importante solo la sua opera in sè, non le idee politiche che vi stanno dietro. L'arte esula dalla sfera mondana, politica e sociale, altrimenti non sarebbe arte ma propaganda.
Poi ho letto che Céline avrebbe scritto i suoi pamphlet per influire sull'opinione pubblica. Ma è sicuro? A me pare che a Céline non gliene importasse nulla del suo pubblico. Io credo che lui abbia scritto quei pamphlet perchè gli andava di scriverli, senza nessun secondo fine. Così come non si può dire che Kubrick abbia fatto "Arancia Meccanica" per istigare violenza.
No. Un artista ha la libertà di espressione, può dire e fare quel che vuole. Se poi il pubblico recepisce un certo "messaggio", non è colpa dell'artista, la cui arte è certamente priva di qualsiasi "messaggio" strettamente politico e pratico.
Personalmente, io ammiro la vita di Céline, e non credo vi siano stati uomini che più di lui abbiano amato la vita. Costui esercitava la professione di medico gratuitamente, curava coloro che non potevano permettersi di pagare le cure mediche. Costui si è scagliato violentemente contro la condizione umana, e la sua stessa vita ne è una prova. Se tutto ciò non prova un grande amore verso l'uomo..
Ma bisogna chiarire: il suo "odio" manifestato verso l'uomo è in realtà un grande amore, un amore verso un uomo e un'umanità che ormai non esistono più, verso un uomo e un'umanità ormai perduti per sempre.
Detto questo, non credo possano essere fatte critiche a Céline; l'unica cosa che si può fare, è inchinarsi alla Sua umanità e al Suo amore verso un'umanità ormai scomparsa.

guignol ha detto...

gran bel film Arancia meccanica...ma davvero qualcuno ha pensato che Kubrick istigasse alla violenza? sarebbe una visione riduttiva e semplificata...

ciao Giulio, anche tu grande appassionato di LFC, noto... io figurati, vivo con quell'uomo appresso!

Giulio ha detto...

Beh, subito dopo l'uscita di "Arancia Meccanica" nel '71, alcune gang terrorizzarono Londra (e anche altre città), ispirandosi alle violenze del film. Addirittura, mi pare che una donna fosse stata stuprata all'esatta maniera dello stupro del film. Per questi motivi, la solita, demente stampa accusò Kubrick (e non Burgess, si badi bene) di fomentare violenza..

Si, anch'io appassionato di Céline. Me ne sono innamorato a Parigi, quando comprai "Voyage au bout de la nuit": in francese ha, ovviamente, tutto un altro sapore. Adoro quell'uomo, lo sento troppo vicino a me. Uno dei pochi giganti del '900, ancora troppo sconosciuto, ancora troppo sottovalutato. Ma forse è meglio così, meglio non gettare le perle ai porci!

Anonimo ha detto...

@patrizio paolinelli
poteva evitare di dire che céline è cattivo certo, da quel pamphlet (sempre di quello si parla naturalmente) però non sembra sgorghi un fiume di bontà - la vita del medico pur altra cosa - perciò posso capire riding; d'altra parte non è un pamphlet che farei leggere agli impuberi senza una contestualizzazione. quanto al fatto che l'autore obblighi a dichiararsi su alcune questioni politiche, vorrei capirne di più: è il favore all'antisemitismo o meno la posizione politica su cui céline obbliga a dichiararsi?

@giulio
non sono d'accordo. l'arte che esula dalla sfera mondana, politica e sociale, la creazione oggettiva, è un concetto abbastanza limitato e fine-ottocentesco (un po' l'art pour l'art), fortunatamente superato. il fatto che si giudichi un artista solo per la sua opera finisce per portare a un distacco innaturale, ovvero negare qualsiasi nesso tra il valore dell'opera e le idee dell'autore (cito raboni, l'articolo qui nel blog), lo si neghi per esaltare o giustificare quanto per "criticare" l'autore in questione.
e quando dici

"un artista ha la libertà di espressione, può dire e fare quel che vuole. se poi il pubblico recepisce un certo "messaggio", non è colpa dell'artista, la cui arte è certamente priva di qualsiasi "messaggio" strettamente politico e pratico."

non solo operi una separazione che è giustificazione totale e pericolosa, ma, più gravemente, sottrai céline alla possibilità di qualsiasi critica, come poi infatti concludi, in pratica idealizzandolo (come dire, tutto ciò che ha scritto è bello, giusto e di uguale valore).
nemmeno sul confronto con kubrick sarei d'accordo ma non mi spingo oltre.
Tobia

Giulio ha detto...

1) La "creazione oggettiva" è un concetto positivista smontato da Nietzsche. Non sono così stupido da ritornarvi.
2) L'"art pour l'art" non è la stessa cosa della "creazione oggettiva"; e, comunque, come "poetica", differisce da artista ad artista. L'art pour l'art di Wilde non è la stessa di D'Annunzio né la stessa di Huysmans né la stessa di Mann. Metterle tutte sullo stesso piano, come fai tu, è un errore colossale.
3) Tu dici che l'art pour l'art è stata "fortunatamente superata": ancora, perchè non fai distinzioni. Io mi sento di dire che fortunatamente abbiamo superato D'Annunzio, ma che Mann può essere ancora attuale, ad esempio.
4) Io ho parlato di "arte che esula dalla sfera mondana, politica e sociale"; se esula, significa che “trascende” questa sfera particolare, per pervenire in una sfera più totalizzante che si chiama "metafisica" o, se vuoi, "weltanschauung". Questa sfera trascende sì gli aspetti pratici, tuttavia comprendendoli al suo interno, come è ovvio. Invece, la tua idea di "art pour l'art" (dannunziana direi), è appunto molto limitata, poichè non è una visione globale della vita, ma puro “stile”, senza nessuna weltanschauung dietro. Qui sì che c’è una “separazione”.
5) Detto questo, io non nego nessun nesso, come ho anche detto, tra l'uomo e l'opera. Io ho semplicemente detto che, essendo le idee dell'artista facenti parte di una visione globale della vita, esse non hanno nessuna intenzione strettamente pratica, non c'è una volontà di azione. Per questo dico che è colpa del pubblico se interpreta le idee di un artista in chiave pratica, cioè politica. L'artista non è né un politico, né un economista, né un capo di stato. Per cui non puoi giudicare un artista per le idee politiche, non puoi giudicarlo per gli effetti pratici che queste idee hanno avuto nella società in un certo periodo storico. Nell’arte, contano solo le “visioni globali” dell’uomo e della vita e del mondo.

Giulio ha detto...

6) Quando dico che "Se poi il pubblico recepisce un certo "messaggio", non è colpa dell'artista, la cui arte è certamente priva di qualsiasi "messaggio" strettamente politico e pratico.", sono nel “giusto”, se così di può dire. L’arte, caro Tobia, si è liberata dei “messaggi edificanti”, cioè di qualsiasi messaggio interno all’opera, da circa un secolo. Sei dunque tu che sei rimasto all’ottocento, non io. Come cazzo devi giudicare l’opera di un Joyce, ad esempio? Per il messaggio che dà? E quella di un Proust? Sempre per il messaggio? Eccetera, eccetera.
7) Tornando a Céline: è antisemita? Me ne fotto. Ognuno può avere le idee che vuole. Questo antisemitismo traspare nel suo stile? No. Questo antisemitismo lo rende un criminale? No, era un medico dei poveri. Ma estendiamo la questione a Pound, a Nietzsche, a Heidegger, a Mann. Erano tutti antisemiti/nazisti o fascisti. Erano dei criminali? No. Erano stupidi? No. Nessuno può permettersi di giudicare la tendenza politica di un artista o un filosofo DECONTESTUALIZZANDOLA DALLA SUA WELTANSCHAUUNG. Tu lo sai perché Mann appoggiò la prima guerra mondiale, vero? Tu lo sai perché Heidegger appoggiò il nazismo, vero? Se lo sai, saprai anche che le questioni politiche, economiche, pratiche, non c’entrano un cazzo con i motivi del loro appoggio. E così anche per Céline. Costoro avevano una visione del mondo ben precisa, e hanno visto nel nazismo l’incarnazione delle loro IDEE. Ma mi sembra ovvio che poi abbiano rinnegato la PRASSI del nazismo. Questo per farti capire che il sociale, il mondano, il politico, non c’entrano nulla con un artista, perché, nell’arte moderna, il senso è andato perso, la comunicazione si è inceppata, il messaggio edificante è impossibile. Per cui giudicare le idee politiche di un autore non può influire sul giudizio della sua opera, VISTO CHE DALLA SUA OPERA QUALSIASI MESSAGGIO E’ STRUTTURALMENTE ASSENTE.
8) Mi scuso per la “durezza”, che tuttavia è solo “rigore”. Non ce l’ho con nessuno in particolare, ma con certe tendenze interpretative, che non rendono giustizia all’arte del ‘900.

Giulio ha detto...

Dietro a un'opera d'arte non ci sono dei "messaggi", ma c'è una filosofia, una concezione del mondo. Il "messaggio" implica la comunicazione di un senso; e l'arte del '900 ha mostrato come la comunicazione si è inceppata, e il senso sia sparito.
Per cui, se Céline, con i suoi pamphlet, avesse voluto comunicare un messaggio, allora sarebbe da condannare, poichè ci sarebbe stato un intento attivo e pratico; ma siccome ha soltanto espresso la sua concezione del mondo, la sua IDEA su una certa questione, non capisco perchè si possa condannare l'OPINIONE di qualcuno.
Non ci può essere separazione tra stile e messaggio di un'opera, perchè il messaggio non c'è più. L'arte moderna è solo stile, come diceva lo stesso Céline, e lo stile è giustificato da, e manifesta, una weltanschauung.

Anonimo ha detto...

Non ho detto che creazione oggettiva e art pour l’art siano la stessa cosa, così come non credo che l’art pour l’art si identifichi con la poetica di un artista quanto semmai con un bisogno, una meta verso cui l’artista tende o un obiettivo che si pone (basta anche questo per differenziarla sia dal concetto di creazione oggettiva che di weltanschauung) – e nel senso di bisogno, ritengo corretto anche farne una categoria. a intenderla invece come poetica, è chiaro che l’art pour l’art di huysmans non è quella di wilde o d’annunzio o mann. e se la mia visione dell’art pour l’art, che non esaurisce la poetica di un artista, è dannunziana, forse è perché non mi sentirei di estendere una definizione del genere a un autore come mann – ma qui mi hai dato un buono spunto di riflessione che vedrò di approfondire – così come, a monte e come detto, non mi sentirei di fregiarla del titolo di weltanschauung. ad ogni modo comprendo l’obiezione che mi muovi nella seconda parte del punto quattro, anche se la premessa parte da un equivoco: quando dici “esula” infatti io non penso a “trascende” ma solamente a “è separata, sta fuori”; ma se l’arte trascende la sfera della contingenza (politica, sociale ecc.), ed è come dici e per ciò giustamente non neghi il nesso, continuo però a non condividere il pensiero che nell’arte contino solo le weltanschauung e non gli effetti che queste hanno avuto. il fatto che le idee non abbiano intenzioni strettamente pratiche non implica che non producano effetti nella realtà o siano parte di una realtà, e che per questo siano poi giudicate insieme all’eventuale opera che le ha espresse (con quanta maturità giudicarle, sta al singolo). e se stile è divenuta una categoria che da sola ricomprende l’espressione della weltanschauung d’un autore, il tuo ragionamento diviene tautologico (ovvero le idee sono ingiudicabili). ma siamo lettori di joyce, proust e céline solo per lo stile? dobbiamo giudicarne l’opera solo per lo stile, se certo non possiamo per il messaggio? non credo, e quindi non solo lo stile giudichiamo, ma anche le concezioni del mondo – ammesso che riusciamo a trovarne –, intendano gli autori dar loro un intento attivo e pratico attraverso un messaggio (non mi pare il caso di céline) o solamente esprimerle in forma d’opinione.
non sarei tornato a céline, heidegger, mann, alle loro personali scelte di campo, la mia era una considerazione sulle possibilità di giudizio e di critica. mi interessano relativamente l’antisemitismo di céline o l’influenza di sartre su pol pot.
il fatto che nell’arte del novecento lo stile soppianti il senso, che il messaggio non ci sia più, sia strutturalmente assente, rappresenta per me una difficoltà logica: certo, la sperimentazione formale ha raggiunto con joyce e beckett un limite: ma lo stile da solo rimane sufficiente a esprimere una weltanschauung? le opinioni che, nel tuo ultimo intervento, dici espresse rientrano in ciò che definiresti “stile”?
aiutami a capire.
personalmente leggo céline e mi compiaccio non solo dello stile, ma anche del messaggio che, evidentemente, ancora mi illudo di trovarvi.
Tobia

Andrea Lombardi ha detto...

Complimenti a tutti per l'interessante -e costruttiva- discussione!

Andrea

Giulio ha detto...

L'art pour l'art è certamente un bisogno, ma appunto ogni poetica proviene da un bisogno. Coloro che scrivono per puro diletto o sono pochissimi, o sono ipocriti (forse volutamente). E' inutile che io stia qui a ricordare le stupende pagine di Deleuze su Marcel Proust, ma credo che lì si dica il vero per quanto riguarda i rapporti tra bisogno e poetica.
Per il resto, io credo che bisogna liberarsi dei pregiudizi riguardanti lo stile. Siamo troppo abituati a pensare che, se l'importanza di un'opera risiede nello "stile", questa sia in qualche modo inferiore a un'opera con importanti ed edificanti contenuti. Ciò è falso, è solo un pregiudizio.

Lo stile di un autore non è casuale, ma dietro c'è sempre un pensiero, una weltanschauung. Queste due cose sono dunque collegate. L'arte del '900 esige che il lettore riesca a trascendere il "testo", per comprendere la genesi dell'opera. E comprendere la genesi di un'opera significa pensarla, pensare la weltanschauung dell'autore.

"La sperimentazione formale ha raggiunto con joyce e beckett un limite: ma lo stile da solo rimane sufficiente a esprimere una weltanschauung? le opinioni che, nel tuo ultimo intervento, dici espresse rientrano in ciò che definiresti “stile”?"
Io credo che dentro l'Ulisse non si trovi niente di niente per quanto riguarda una weltanschauung. E' ormai lo stile ad esprimere una weltanschauung. Ad esempio, lo stile di Joyce (c'ho fatto una tesi, quindi so di cosa parlo) esprime la scomparsa del soggetto, la dipendenza di questi dal linguaggio, e dunque anche la scomparsa del narratore, e l'impotenza dello scrittore. E potrei continuare. Ma tutto ciò è nello stile, non nel contenuto dell'opera, di per sè infinitamente banale. E la stessa cosa vale per Céline. I temi della sua opera sono "banali", se vogliamo; è "come" tratta questi temi che è meraviglioso e inconfondibile. E' la "petite musique", è lo stile, è la forma ad esserlo.
Che dire di Kafka? Il pedante e noiosissimo uomo tormentato, pieno di sensi di colpa e di desiderio di salvazione? Oppure lo scrittore geniale, dallo stile incredibile, assurdo, inaccettabile, stupefacente?

Io, davvero, dico che amo Céline anche per le sue idee, di cui ho già parlato nel mio primo intervento. Ma queste idee, come ci è stato insegnato, non è che appartengano solo a lui. Le idee non sono di nessuno, il discorso non è nostro. Le sue idee si ritrovano già in Leopardi, Schopenhauer, Nietzsche, Freud, ecc. ecc. Ciò che rende GRANDE uno scrittore non sono tanto le sue idee, non è la sua weltanschauung, quanto la sapiente unione di una weltanschauung e di uno stile. Come ho detto, "lo stile è giustificato da, e manifesta, una weltanschauung".

Per quanto riguarda i pamphlet di Céline, a me sembrano un gran divertissement. La sperimentazione stilistica è evidente, le argomentazioni talmente ridicole da sconfessare qualsiasi intento "propagandistico" dell'opera. E poi, non è forse un pacifista, Céline? E non critica forse duramente qualsiasi regime totalitario? Per cui i pamhlet dovrebbero essere considerati "solo" (!!!) un'opera letteraria, senza temere di sminuirne il valore.

Perchè è proprio questo, a mio avviso, il problema: spesso pensiamo che un'opera priva di messaggi abbia minor valore di un'opera edificante, e magari tendiamo a voler trovare a tutti i costi il "messaggio" anche laddove questo è strutturalmente assente. E' così anche con la vita: siamo in costante ricerca del senso della vita, anche se questo è strutturalmente assente, perchè pensiamo che se la vita non ha nessun senso, allora non valga la pena di essere vissuta. Nonostante tutto, non abbiamo ancora capito il '900.

daniz ha detto...

Joyce è arrivato dove nessun altro uomo è arrivato, compresi quelli che si sono arrampicati sulla luna o in marte.
la sua operazione, che ha disciolto narratore, soggetto, trame e oggetti, è la sbobinatura del pensiero immediato che è quindi solo immagine, suono, incastratura: vita oltre il soggetto soggettivo. Joyce ha superato la poesia. Joyce è oltre il modale.

In Céline, che non è arrivato a tanto, il movimento accentra tutto su di sé, sul poeta, e non potrebbe che essere così: Céline è l'ultimo o il penultimo lirico del Novecento. Come potrebbe essere diversamente quando è proprio lui a parlare di Petit Musique? La petit musique è un concetto altamente democratico, universale, e in quanto tale Utile. Se uno non ha pratica di scrittura non capisce la petit musique. Cercare di far passare il parlato nello scritto vuol dire che quello che è scritto non deve sembrare scritto, ma sussurrato, e ci vuole veramente un metodo una fatica della madonna. ogni cosa che scriviamo risente di letterario. fare alla pagina una trasfusione di vita è cosa che è riuscita solo a Céline. è una cosa nello stile, ma nello stile di Céline. Il soggetto quindi c'è, il narratore pure, e lo stile resa emotiva ha bisogno di una pasta particolare, i contenuti, che non possono essere indifferenti.
In Céline, per chiudere, c'è sia stile che messaggi, e la materia dei suoi romanzi è l'unica che di volta in volta riesce a mettere in mano a Céline il pennello emotivo per transcodificarlo sulla pagina.

Il suo antisemitismo poi è lirico, come tutto ciò che riguarda questo autore, ossessionato da una vita spirituale e fantasmagorica, una vita mistica, soprattutto antimondialista e antimaterialista. In più Céline è un replicante del Dottor Sommelweis, è un apostolo avvocato al martirio che vede dal bassofondo sventrato, dall'escremento, dal sudicio zampillare la fontanella delle sue visioni suggestive.
L'antisemitismo di Céline, lirico e autolesionista, da masochismo mediatico, certo sgorgato da una vena destroide molto pulsante all'epoca, è una identificazione del Male, della Morte cui Céline colla sua resa emotiva (che è Vita vissuta un attimo, ma vissuta) vuole contrastarsi fino all'ultimo secondo della partita. I suoi pamphlet sono un equivalente di CéLine contro la Morte. Ecco perché non sono utili a nessuna propaganda. Sono lirici.
Ma l'antisemitismo è una divisa che una volta indossata, anche solo il cappellaccio della divisa, uno è segnato per sempre. E' una macchia che non si toglie e non si perdona.

Giulio ha detto...

Sono d'accordissimo con te, anche per il tuo evidente apprezzamento verso Carmelo Bene.
Quel che ha fatto Joyce di certo non lo ha fatto nessun altro; gli autori di cui ho parlato sono diversissimi fra loro, seppur provengano da una stessa tradizione (e grazie, è la grande tradizione occidentale..)
I pamphlet sono appunto grande lirica; l'antisemitismo è la metafora di un atteggiamento fortemente critico verso il male del mondo, da Céline identificato in blablabla ecc. ecc. ecc.
Ma ovviamente non sono d'accordo sull'ultima frase. L'antisemitismo, come qualsiasi altra cosa, è stato vissuto in modo diverso da persona a persona. Mio nonno è fascista; lo rinnego? I miei genitori sono credenti, io no; mi hanno rinnegato? Sono scelte personali. E condannare delle scelte personali significa non aver nessun rispetto per la sensibilità (cioè per la soggettività stessa) di una persona.

daniz ha detto...

@Giulio

Non dicevo che Céline va rinnegato per il suo antisemitismo, dicevo che la storiografia e la prosopopea dominanti hanno dei puntelli che non possono essere varcati. Tutto ciò che oltrepassa il recinto è fagocitato dall'abiezione collettiva. E' per questo che Céline non sarà perdonato per il suo antisemitismo e il suo antiparrocchialismo.
Io non lo rinnego di certo visto che è il mio scrittore preferito.
ciao

Anonimo ha detto...

d'accordo quasi in toto con entrambi gli interventi. condivido pienamente le premesse, giulio - anche se non ritengo di vivere un eccessivo "pregiudizio sullo stile" -, ma non alcune conclusioni che ne trai (primi messaggi). le idee, poi le ideologie, anche se propriamente non appartengono, possono però essere frutto di scelte personali. l'antisemitismo di céline (più simbolico che realmente vissuto e praticato ecc. - come spesso nel caso di artisti a cui le categorie vanno inevitabilmente strette) è un aspetto che pur non sminuendo il valore dell'artista - anzi paradossalmente forse esaltandone il valore, almeno in potenza -, ritengo possa essere sottoposto a critica (come il fascismo del nonno o qualunque altra idea o, nel caso di autori, unione di weltanschauung e stile), senza per questo assumere un atteggiamento radicale di condanna o rinnegamento – non c’è dunque nemmeno bisogno di perdono, come non è necessario che un messaggio debba essere edificante. ma forse qualche ebreo superficiale ha letto dei pamphlet e s’è sentito offeso, non volendo o non riuscendo ad andare oltre la dimensione storico-linguistica, magari intendendo l’opera, metaforica, di un antisemitismo vissuto in maniera personale, in un modo che però mi sento di poter comprendere; ponendo un personale limite valoriale al divertissement diciamo. non si tratta di condannare, ma di criticare, anche deplorare, nel rispetto sì della sensibilità/soggettività altrui ma anche della nostra, di quella di ognuno.
io spero che abbiate inteso che questo non voleva essere il solito stupido discorso “bravo céline sì, peccato che...”; niente di più lontano. si era partiti dalla constatazione del rapporto tra artista e opera per giungere a quella sulle possibilità di una critica.
nel “parallelo” tra céline-joyce mi trovo più vicino al pensiero espresso da daniz, quanto ai messaggi, e trovo inoltre che i temi trattati siano meno banali di quel che sembrano e meno banali soprattutto nel modo di percepirli di céline – oltre la “semplice” dimensione dello stile, come comunque un po’ tutti sono certo riteniamo. qualcosa che avete scritto mi ha fatto pensare anche a broch: caso di stile non rivoluzionario (non è céline, non è joyce), ma mirabile in quanto a elaborazione ed analisi di weltanschauung.
Tobia

daniz ha detto...

Tobia
I temi di Céline sono tutt'altro che banali come giustamente dici. Céline ha raccontato la prima guerra mondiale, il colonialismo, le catene di montaggio, la povertà, la meschinità miseria la seconda guerra mondiale la prigionia l'esilio l'oblio generale la morte... per dirne solo alcune. Céline sapeva che la sua piccola musica non poteva azionarsi con tutte le storie del mondo, ci voleva quella giusta, intravista, intravissuta, per poter mettere la pelle sul tavolo.
Céline è anche uno scrittore di cose, e i pamphlet sono un messaggio di salvezza per il mondo, contro la guerra, la morte e l'abbrutimento che avrebbe investito l'europa.
In Morte a credito non disintegra la famiglia standard piccolo borghese?
Joyce parlava di un uomo mediocre in un paese mediocre e ottuso con una vita stupida in un giorno insipido come quello prima e quello dopo. insipido più o meno, certo.

Mi pare che ci sia una diversa concezione della materia che fa un romanzo.

GEORGE ha detto...

Ola daniz,redivivo!

Vedo che,in modi anche interessanti,c'è sempre in fondo la solita diatriba tra l'uomo Céline e lo Scriitore Céline,poi fortunatamente il discorso si allarga a temi letterari capitali.
Non condivido assolutamente il primo intervento di Tobia e specialmente

"il fatto che si giudichi un artista solo per la sua opera finisce per portare a un distacco innaturale, ovvero negare qualsiasi nesso tra il valore dell'opera e le idee dell'autore"

che finisce inevitabilmente perintrodurre elementi d'ordine morale nell'arte,come infatti accade a Tobia.
C'è già stata una querelle simile tra Proust e Saint Beuve.
Il valore dell'opera non ha nulla a che vedere con le idee dell'autore e coi messaggi che eventualmente lancia (auspicabile il meno possibile).Ci può essere uno scrittore con idee orripilanti che scrive un capolavoro.
Non son nemmeno d'accordo nel GIUDICARE la visione del mondo,ma solo lo stile ed in secondo luogo il contenuto,che non necessariamente contiene una visione del mondo,ma nel caso, posso solo prenderne atto e basta, e comunque non ha certo influenza nel giudizio sull'opera.
Può pure avere la visione del mondo di Satana.

Sullo stile,non poteva dir meglio Giulio.Non è solo un fatto tecnico.
Così come Daniz per le differenze tra Joyce e Céline,(a vantaggio di quest'ultimo),scrittori che restano comunque i due maggiori innovatori del Novecento.

Circa l'antisemitismo,passo,perchè ormai è stato fin troppo oggetto di discussioni e polemiche che non portano a nulla se non a strumentalizzare in un senso o un altro Céline.