domenica 13 dicembre 2015

Incontro con Andrea Lombardi, curatore del libro di Dominique de Roux "La morte di Céline", a Genova

Venerdì 18 Dicembre 2015. Ore 17


Incontro con ANDREA LOMBARDI

curatore di Dominique de Roux: LA MORTE DI CÉLINE (Lantana, 2015)

Pubblicata in Francia nel 1966 e qui tradotta per la prima volta in italiano, quest’opera ha contribuito in maniera determinante a far sì che l’opera di Louis-Ferdinand Céline non venisse seppellita con lui. De Roux contribuì a togliere lo scrittore dall’oblio nel quale era stato relegato dopo la scomparsa e a legittimarlo letterariamente, suscitando l’inizio di una discussione critica che ancora oggi non accenna a fermarsi.

Maurizio Cabona condurrà l’incontro. Presentazione di Carlo Romano




Fondazione De Ferrari
Genova, P.zza Dante 9/18
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fabrizio@deferrari.it | wolfbruno@libero.it

mercoledì 18 novembre 2015

Il Dottor Destouches in Italia




Di seguito, documenti provenienti dall'archivio OMS di Ginevra:




Lettera del Dr. Destouches.




Il programma della visita.

giovedì 15 ottobre 2015

"La morte di Céline" recensito da Manlio Triggiani per Il Borghese







Dominique De Roux
La morte di Céline
Lantana ed. Roma 2015
Pp. 136, € 16,00

Dopo gli anni di internamente in Danimarca, nel carcere di Vestre Faengsel, e un periodo di esilio,
Louis-Ferdinand Céline tornò in Francia nel 1951, dopo la promulgazione dell’amnistia, e si ritirò a Meudon, un piccolo centro a dieci chilometri da Parigi. Ormai i suoi libri non erano ristampati, lo scrittore era odiato dai suoi connazionali che vedevano in lui il collaborazionista che l’aveva fatta franca e che, come disse Sartre, era stato «al soldo dei nazisti», cosa non vera perché Celine non
collaborò mai con i nazionalsocialisti. Dieci anni dopo, quando erano già usciti Da un castello all’altro e Nord, opere importanti che non riscossero successo dato il clima dell’epoca, scrisse Rigodon, che ultimò il 29 giugno del 1961. Morì di aneurisma il successivo primo luglio.

A questa scomparsa seguì il silenzio della critica e degli editori. Pareva proprio che l’oblio sarebbe caduto sullo scrittore francese. Lo stesso editore Gallimard pubblicò l’ultimo volume della trilogia soltanto nel 1969, otto anni dopo la morte. Ma nel 1966, un giovane intellettuale francese, il 31enne Dominique de Roux, dedicò allo «scrittore maledetto» un volume, La morte di Céline, ora uscito in italiano, che rilanciò l’interesse verso lo scrittore francese.

La casa editrice Lantana ha svolto un’ottima operazione culturale facendo conoscere ai lettori italiani un intellettuale, agitatore culturale, editore e giornalista di livello come de Roux, che mori prematuramente all’età di 41 anni, e un libro che fu centrale nel rilancio dell’interesse per uno scrittore come Céline. De Roux agitò la scena intellettuale con provocazioni, con articoli molto acuti, promuovendo il rilancio del dibattito culturale su scrittori francesi che erano stati ormai ostracizzati per le loro scelte legate alla propria visione del mondo.

Un testo che non segue schemi precisi ne' preconcetti questo di de Roux che partendo dall’elencazione di avvenimenti passa poi a digressioni, analisi, osservazioni, allegorie, tutto per ripercorrere i punti fondamentali di una vita davvero unica, quella di Céline. Dall’infanzia alla
giovinezza de Roux narra una storia di idee, di letteratura, di vita, di mostrare l’opera dello scrittore di Courbevoie che fu capace di penetrare l’umanità, capire l’uomo, attraverso le esperienze a Londra, all’estero, i viaggi in Africa, in America, la professione medica, fino alle notti stancanti nelle quali, dopo una giornata trascorsa nel dispensario di Clichy, scriveva storie, narrava la vita, raccontava quello che aveva visto. Come spiegò più tardi, aveva prima vissuto e poi aveva cominciato a descrivere la vita iniziando dal Viaggio al termine della notte.

Dominique de Roux apprezzava questo nuovo stile letterario, questa nuova scrittura, che cambia i registri attraverso iperboli ed ellissi, con una impronta colloquiale, che si richiamava al parlato, alternando volgarità a irrisione, a toni sottilmente poetici.

È così che de Roux ci narra Céline, attraverso la sua vita ma soprattutto attraverso la sua opera. Le due cose sono intrecciate ed emerge dalle idee che esprime attraverso le proprie narrazioni: dai pamphlet antisemiti all’anticomunismo espresso in Mea culpa, libretto di annotazioni sul suo
viaggio in Russia. Fino ad arrivare alla fuga dalla Francia verso il Nord al seguito delle truppe tedesche, verso Sigmaringen. Céline era attivamente ricercato in Francia.

Per de Roux parlare di Céline è stato, con questo libro, narrare uno fra i maggiori letterati del Novecento in una prospettiva nuova: quella di uno scrittore visionario, che anticipava i tempi e che paventava pericoli e catastrofi che in seguito si sono avverati. C’è tutto l’atto di accusa contro
il Novecento, contro la modernità nella scrittura del solitario di Meudon e nella sua tragica e cupa visione.

Peraltro, con grande coraggio, soprattutto in quei tempi, de Roux non distingueva l’opera dall’autore e non suddivideva l’opera fra quella letteraria e quella dei pamphlet. Un modo
per accettare Céline totalmente, e nella sua essenza.

Manlio Triggiani
Il Borghese

Luglio 2015

lunedì 12 ottobre 2015

“Céline ha più dinamite di quanta ne abbia avuta Hitler”, di Henry Miller


Henry Miller, autore dello scandaloso Tropico del cancro dichiarò in più occasioni la sua ammirazione e il suo debito di formazione letteraria con le opere di Céline, citandolo, tra l’altro, in due delle sue lettere a Lawrence Durrell1:

21 novembre 1942
[…] Ho appena terminato di leggere Morte a credito di Céline. Stranamente mi ci sono voluti più di due anni. Ho bighellonato per le ultime duecento pagine. Splendido, feroce. Penso davvero che sia il più grande scrittore oggi in vita. Dopo aver sconfitto le potenze dell’Asse, dovranno battere Céline: ha più dinamite lui di quanto ne abbia mai avuta Hitler. È un odio continuo, e per tutta la razza umana; ma che allegria!

C’è un cadavere, verso la fine, che diverte più di una compagnia di comici. Una comicità che ti fa ghiacciare il sangue nelle vene, e che talvolta ti dà il voltastomaco. Procuratelo, Larry, ti tirerà su il morale. E forse a te piacerà ancora più che a me: il traduttore era inglese, e tutte le espressioni gergali sono in inglese britannico; per me è come leggere il turco. È molto buffo: immagina un francese che dice: “Fottiti!2”. […]

9 febbraio 1947
[…] Céline è a Copenhagen, in prigione, credo, e ha perso trenta chili. I francesi vorrebbero processarlo e immagino giustiziarlo, ma i danesi stanno cercando di salvargli la vita. Lui dice: “Come potete chiamarmi fascista o collaborazionista? Vi disprezzo tutti, non importa da che parte stiate”. Non sono le sue parole precise, ma il senso è quello. E posso proprio credergli. C’è stata una meravigliosa recensione del suo Les Beaux Draps scritta da un ebreo francese [sic], Milton Hindus3 (non Maurice), su un numero recente di “Angry Penguins”: dovresti leggerla, è proprio meravigliosa!

Insomma, a sentire Man Ray, gli esistenzialisti e i surrealisti stanno per iniziare la battaglua. Ma secondo me sono entrambi finiti. Due cadaveri che si azzuffano senza senso. Il mondo, mi sembra, vuole solo caffè, zucchero, strutto e indumenti caldi. La guerra ideologica è finita. Russia e America si stanno spartendo la terra. Non so ancora da che parte stia l’Inghilterra. Probabilmente si butterà con tutto il suo peso dalla parte del più forte. Ma se entriamo in guerra, stavolta non sono affatto sicuro della vittoria. Mi sembra proprio una situazione senza via d’uscita: l’Orso contro l’Aquila. […]


1 In Lawrence Durrell – Henry Miller, I fuorilegge della parola. Lettere 1935-1980, Milano 1991, pagg. 143-144 e 176-177. Un ringraziamento all’amico Maurizio Pansini per la segnalazione. 

2 “bugger off!” (“vaffanculo!”, “levati dal cazzo!”), nel testo originale, NdC. 

3 Come noto, Milton Hindus, autore della discutibile biografia di Céline The Crippled Giant, era statunitense, non francese, NdC.

domenica 23 agosto 2015

Emmanuel Ratier: 29 septembre 1957 - 19 août 2015. In memoriam.

Emmanuel Ratier: 29 settembre 1957 - 19 agosto 2015. Qui un ricordo di Adriano Scianca dell'intelletuale controcorrente, proprietario della libreria Facta (più volte vandalizzata da estremisti di sinistra) e organizzatore di incontri culturali. Una grave perdita anche tra i céliniani: fu attento divulgatore dell'opera di Céline. 




Emmanuel Ratier a consacré son "Libre Journal" du mercredi 16 novembre 2011 à Louis-Ferdinand Céline. Une émission de trois heures avec pour invités : Marc Laudelout (Le Bulletin célinien), David Alliot (D'un Céline l'autre), Alain de Besnoit (Céline et l'Allemagne, 1933-1945), Marc Hanrez (Céline), Joseph Vebret (Spécial Céline), Valeria Ferretti, et Matthias Gadret.

domenica 2 agosto 2015

"Céline è Bloy meno Dio", di Pierre Drieu la Rochelle





Il saggista Frédéric Saenen, nel suo recente Drieu la Rochelle face à son œuvre (Infolio, 2015) ben sintetizza il giudizio dell'autore di Fuoco fatuo sull'opera letteraria céliniana e sullo sguardo di Céline sulla realtà:

Nelle Notes pour comprendre le siècle1, Céline occupa uno spazio preminente nel panorama delle migliori penne del XX secolo. “È Bloy meno Dio”, decreta Drieu, che lo pone nella “vena medievale, la più profonda, veggente”, delle lettere francesi. Un'idea sviluppata nella NRF del maggio 1941 quando, dando notizia de La bella rogna, Drieu inscrive Céline “in una grande tradizione francese”, quella del pensiero immediato, che prende spunto dalle umane vicende nei termini fisici del momento, al suo livello di maggior urgenza, a livello popolare”. Quindi, vi è questo passaggio diventato celebre tra i céliniani: “Nel Medio Evo sarebbe stato un domenicano, “cane del Signore”; nel XVI secolo, monaco della Lega. Vi era del religioso in Céline, nel senso ampio del termine: era legato alla totalità della cosa umana, benché non la veda che nell'immediatezza del secolo”. Drieu scopre in Céline ben più che un temperamento nichilista. Comprende che il medico dà una diagnosi spietata sulla società solo per pervenire meglio a guarirla dai mali che la opprimono; e che malgrado l'onnipresenza della morte nel suo universo, è in fondo la vita che intende servire, con l'esaltazione della danza, del canto, d'una poesia dell'anima inaudita sino ad allora nella letteratura francese.

1 Appunti per comprendere il secolo, saggio di Drieu la Rochelle del 1941.

giovedì 30 luglio 2015

Céline in Danimarca, in un ricordo di Ole Vinding



"Il suo volto che, la prima sera, mi aveva ispirato repulsione o meglio paura, divenne per me come un metronomo quando – e era sovente il caso – dirompeva in un furor sacro, soffiando sul mondo come un drago vomitante fuoco."

Ricordo di Céline a Korsor di Ole Vinding (1906-1985), giornalista e scrittore danese.

martedì 14 luglio 2015

wrong: Intervista ad Andrea Lombardi

wrong: Intervista ad Andrea Lombardi: Chi passa da queste parti sa bene quanto spazio e tempo dedico a Louis-Ferdinand Céline, ai suoi libri e a quelli a lui dedicati....

venerdì 10 luglio 2015

Maurizio Montanari: Céline, l'abiezione e lo stile


Leggendo le non facili pagine della Kristeva, riesco meglio a comprendere il valore di un certo tipo di intellettuali, rimasti rigorosi e coerenti nei confronti di un corpo sociale che li ha allontanati, prendendone le distanze quasi come esseri infetti. La psicoanalisi insegna che l’uomo e il suo sistema simbolico si costituiscono attraverso la costruzione di barriere tra l’osceno (la sozzura) , escrementi, sangue, saliva, i quali , limitati da una ben definita linea di demarcazione dopo l’espulsione, sono destinati a non essere toccati o maneggiati ( se non, appunto, con disgusto), pena l’ammenda. ‘Non giocare con i tuoi escrementi’ è l’imperativo categorico che tutti noi abbiamo subito e dispensiamo ai nostri figli. Ciò che determina il lordo, l’immondo, è appunto il pulito, il lindo, il lecito. Che può definirsi come tale solo grazie all’esistenza del suo contraltare. E viceversa. Tra i due sistemi non ci sarà mai comunicazione se non in casi, appunto, di perversione. Il passaggio che Kristeva fa parlando di Céline è esemplare. Egli si occupò di indagare quello ‘sporco’ che la Francia non voleva vedere, testimone di Vichy e dell’antisemitismo assai diffuso all’epoca in cui LFC Scriveva. O si pensi alla veemente accusa contro Sartre e tutti gli intellettuali in fondo conniventi con quel regime , senza mai sporcassi troppo, velo squarciato su legami non ufficiali, ma reali. La cesura tra i due mondi era radicale ed irrimediabile, quanto le due posizioni erano l’una elemento costituente dell’altra (nel Viaggio al Termine della Notte, sono ben chiare le atmosfere coloniali sulle quali la Francia costruì la sua fortuna). Solo una netta distanza permise ai due mondi di vivere distanti, necessari l’uno all’altro. Come accade oggi. Ovunque, Dunque in questo caso è chiara la funzione dell’intellettuale che si sporca le mani con le cose schifose della madre patria, e per questo suo agire perverso, viene messo fuori contesto. Da qua la cifra del vero intellettuale che non è sufficiente definire ‘contro’, quanto ‘altro’ Distante, isolato perché compromesso con le sozzure indicibili sottoposte ad interdetto. Intoccabile. Scrive Julia Kristeva: ' inizialmente la sporcizia non è una qualità in sè, ma si applica solamente a quanto si riferisce a un limite, e più in particolare rappresenta l'oggetto caduto di questo limite, l'altro suo aspetto, un margine. (Poteri dell'orrore. Spirali. p. 78). Céline incarna questo limite. La sua lucida analisi della sozzura, dell'orrore della Francia coloniale, del capitalismo e del Comunismo, l'aver dunque visto il lato oscuro, celato, di ogni rappresentazione che diviene quindi allegorica, lo pone come guardiano, gestore del passaggio codificato tra i due mondi, affinché l'uno possa sostenersi in forma negativa dell'altro. Fu, con il suo argot, l'inventore di una neo lingua, la sola che servì da cesura rinnegata dalla Francia tra il mondo abitabile e quello che tutti sanno esistere, ma al quale non vogliono accedere. Céline è colui il quale coglie e narra quel ' che non si confessa, ma si sa comune'. Céline è quell'abbietto che, come dice Kristeva, ' si separa, erra anzichè riconoscersi'. Céline fu tutto questo. E pagò un prezzo alto nel voler venire meno a questa sua funzione di guardiano silente dello scambio tra i due mondi, di controllore dei canali in entrata e uscita tra mondo legale e mondo illegale, sbattendo in faccia ai proprio connazionali l'oscenità della normale collusione tra i due universi. Céline era un kynico, termine usato da Zizek per definire chi mina coscientemente gli apparati dell’ideologia dominante, al fine di esporre gli interessi corrotti che si celano dietro le dichiarazioni ideologiche. Al contrario il cinico è ‘ ben consapevole degli interessi particolari che sono alla base degli assiomi ideologici, ma (..) sostiene e riproduce i medesimi apparati ideologici come se ne fosse inconsapevole’ 'Tutto quello che è interessante accade nell'ombra, davvero. Non si sa nulla della vera storia degli uomini' è una delle sue frasi piu' pregnanti in tal senso . Quale è dunque il destino di questi 'delatori' del malcostume sotterraneo? Questi novelli infanti che, dopo anni passati sulla diga che separa il mondo grigio da quello regolato, si lanciano nella più' provocatoria delle esclamazioni , ' il re è nudo' ? L'isolamento. La deriva. La marginalizzazione preceduta dalla reprimenda sociale qualora osino strappare la tendina che separa i due universi. Orit Yushinsky sostiene che il Céline del 'Viaggio al termine della notte' 'gode dello svelamento dei rozzi interessi che si celano dietro le pretese ideologiche', ponendosi al contempo come gestore del limite, ma preso dal desiderio di tenere aperto lo squarcio che cela l'abbietto sul quale la società benpensante si fonda, e si sostiene’.Solo con questo apparato simbolico l'individuo può sostenere determinate affermazioni ideologiche mantenendo in pratica le proprie convinzioni sconfessate. Si pensi ad esempio alla promiscuità sessuale, e l'adesione all'ideologia moralizzante (censoria nei confronti della prostituzione) che permette di tenere celata l'inconfessabile spinta a frequentare i bordelli. LFC pagò, come hanno pagato uomini come Snowden, Julian Assange, o gli ufficiali che sapevano dell'uso dell'uranio impoverito, per molto tempo obbedienti custodi del finto confine tra questi universi. Hanno pagato con l'infamia, con la gogna, con la rabbia degli abitanti dell'uno e dell'altro mondo, entrambi infastiditi dal loro aver scoperchiato quel calderone del quale tutti sapevano, e che per tutti stava a tacito fondamento dell'ordine della città. Lo dice bene Dostoevskij: ‘ E, del resto, sapete che vi dico? Io sono convinto che noialtri uomini del sottosuolo, dobbiamo essere tenuti al guinzaglio. Siamo capaci di starcene magari per quarant’anni rinchiusi in silenzio, nel sottosuolo., ma se una volta riusciamo a liberarci e a tornare alla luce, allora cominciamo a parlare, parlare, parlare..’ Nel suo voler a tutti i costi tornare in Patria, incombente con le parole e col corpo che si lascia degenerare a Medoun, troviamo negli atti quel che Julia Kristeva dice sull’abbietto che :’ Risulta come gettato colui per il quale l’abbietto esiste e cioè (si) pone, (si) separa, si situa e erra anziché riconoscersi, desiderare, appartenere o rifiutare’. Céline è più di ogni altro quel viandante ‘smarrito’ in una ‘notte senza fine’ Céline non è mai monotono, pur con la sua scrittura ‘cattiva’. Non scivola mai nella ripetizione estenuante delle noiose righe sadiane, intrise di un godimento senza interesse, sempre identico a sé stesso, mai nuovo per chi ascolta. Cinico, appunto. Il brutto di Céline è intimamente divertente e scorrevole, mai banale. Non c’è alcun desiderio di apparenza dietro al suo volersi seppellire tra gatti e scartoffie. E’ un dolore vero, di chi non teme alcuna accusa di vittimismo. Lui è a tutti gli effetti un arto strappato dal corpo letterario francese, che rimane monco senza dolore, lasciando a lui tutto il male della lacerazione. Su questo non c’è scampo, politico o morale. I reietti della città, vivono e sono in bella evidenza proprio per permettere alla parte ‘buona’ della polis di esistere, e di compiacersi nella propria immagine. Le cene per i poveri, la raccolta indumenti o giocattoli per i disgraziati delle case dimenticate, sono la quotidiana passerella sulla quale il ‘buon cittadino’ cammina esibendo la sua appartenenza e le sue buone doti, rigorosamente in una zona libera dalla povertà, dalla sozzura e dal disagio. Senza i quali, la sua stessa appartenenza sarebbe messa in discussione, obbligando ad un vagare in una infinta zona franca, libera, nella quale ricchi e poveri, malnati e privilegiati, sfigati e imbellettai possono incontrarsi col rischio di confondersi. L’insopportabile reale di Céline, poteva essere allontanato con la bellezza: la forma dello stile, le gambe delle ballerine. Essere stile anzitutto. La scrittura come sintomo, come punto di tenuta e galleggiamento sulle acque del fiume sporco. 'Il francese è una vecchia lingua, secca, decrepita’. (..) 'Io sono uno stilista, solo questo. Mi importa solo lo stile, dunque solo il colore’ Le sue opere sono una condanna a scavare sino all’osso nel lato oscuro dell’umanità. Il dr Destouches fa il medico e va al fronte. Il medico conosce la malattia, la caducità dei corpi. ‘…. In guerra conosce la violenza e la sopraffazione come regola di vita, come elemento ineliminabile dell’essere umano. Céline non trova alcuno scampo, alcuna consolazione. Né nell’uomo, né nelle ideologie. Céline svela la mostruosità del sistema produttivo americano, nonché la brutalità del sistema sovietico. Céline fugge tutta la vita in cerca di quelle piccole bellezze che rendono sopportabile questo viaggio ( ‘ un lampo di luce che finisce nella notte) Dopo tutto quel peregrinare egli confessa la sua obbedienza totale alle lettere, la sua condanna a scrivere. Un godimento malefico dal quale non riesce a liberarsi. Un uomo che ha visto e patito tutto il buio degli uomini, scoprendo mentre avanzava che non esiste speranza né luce. La sola possibilità è un identificazione totale, una immedesimazione che da stordimento alla scrittura, all’estetica dell’argot. Sarebbero sue le frasi della serie televisiva 'True detectives' 'Sai cosa farebbe la gente se non credesse in Dio?' 'No' 'Le stesse cose che fa ora. Ma alla luce del sole'

Maurizio Montanari

domenica 28 giugno 2015

La Distruzione, di Dante Virgili, ristampa 2015




"Ma... la prossima volta, non saranno eterni santuari. Le città yankee combuste dilaniate. VEDO i grattacieli di acciaio sotto un diluvio di fiamme."

Nel 1970, Dante Virgili pubblicò il suo primo romanzo senza ricorrere all'uso di pseudonimi, La Distruzione. Scritto come una sorta di autobiografia onirica, con una scrittura decisamente sperimentale, il romanzo è un flusso di coscienza costruito come una sequela di farneticazioni d’un modesto correttore di bozze, ex interprete delle SS in Italia durante la Guerra Civile, e rappresenta, assieme al successivo Metodo della Sopravvivenza, una delle poche opere di rottura letteraria nel panorama italiano. Presto esaurito e dimenticato, è qui ristampato in una edizione ricercata. In appendice, resoconti giornalistici sulla sorte dei resti mortali di Dante Virgili e sulla recente riuscita iniziativa per salvarli dall'oblio.

F.to 14x21, 210 pagg., edito da OFF TOPIC.

Ristampa 2015 per l'iniziativa "Salviamo La Distruzione!"

Edizione limitata a 100 copie, Euro 20,00 ESAURITA
Edizione numerata e nominativa personalizzata (comunicare nome nel modulo di pagamento), Euro 50,00 POCHE COPIE

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domenica 7 giugno 2015

"La morte di Céline" recensita da Massimo Raffaeli su "Alias"





SU CÉLINE
Dominique De Roux, elettrica e deragliante apologia in forma di poemetto: anno, precoce, il 1966
di MASSIMO RAFFAELI

Non solo esiste in Francia una cultura di destra ma ha sempre avuto un posto di rilievo quella che viene detta buissonnière e cioè fuori schema, irregolare, perdigiorno. Comunque non perdette un giorno della sua vita troppo breve, minata dalla cardiopatia, Io scrittore poligrafo Dominique De Roux (1935-1977), della cui folta bibliografia il solo testimone in italiano a tutt'oggi è il romanzo borghese, quasi un apprendistato della inconcludenza e della abulia, che una decina di anni fa comparve negli «Oscar» Mondadori col titolo originale di Mademoiselle Anicet. Giornalista, inviato in Angola e Mozambico (memorabile una sua intervista al colonnello Otelo de Carvalho, leader della «rivoluzione dei garofani» in Portogallo), saggista e critico letterario
(altrettanto memorabile un suo studio sullo stile oratorio, nientemeno, del generale De Canile), in realtà De Roux è stato innanzitutto un grande promotore di cultura e il fondatore, giovanissimo, dei «Cahiers de l'Herne» dove propose ritratti monografici di autori allora contropelo quali Pound, Borges, Gombrowicz (con cui firmò un bel libro di conversazioni) e finalmente Louis-Ferdinand Céline che, al principio degli anni sessanta, per il senso comune era l'impresentabile tout court, non tanto l'autore di quello che fu definito il solo romanzo «comunista» del secolo, Viaggio al termine della notte, quanto l'immondo firmatario di libelli antisemiti, a partire da Bagatelle per un massacro. Dalla officina dei «Cahiers» (ben due numeri monografici, tra il '63 e il '65), De Roux dedusse una vera e propria apologia che pubblicò una prima volta nel '66, La morte di Céline (traduzione di
Valerla Ferretti, a cura di Andrea Lombardi, prefazione di Mare Laudelout, Lantana, pp.132, € 16.00). Scritto in un'unica presa di fiato, ritmato da uno stile elettrico, deragliante e sprezzante di qualunque convenzione accademica, La morte di Céline è.un poemetto in prosa costruito per capitoli brevi come fosse un album di istantanee su cui aleggino tanto la vicenda biografica quanto la leggenda del dottor Destouches che prende forma di via crucis e in sostanza, vale a dire per etimologia, di martirio. Se De Roux avalla con un certo candore gli alibi e le menzogne autoassolutorie di Celine (il suo razzismo come esorcismo di una guerra voluta dagli ebrei), tuttavia ha il merito di rivendicare con precocità, e anzi in solitudine, la forza di una scrittura che dal Viaggio alla Trilogia del Nord sa dragare la vita dal basso, stilizzarne la cadenza emotiva come si trattasse, per il
prodigio di un'arte lenticolare, di un Flaubert delle viscere e del buio puramente animale. Qui De Roux ha buon gioco nell'opporre la originalità della petite musique céliniana, la fosca violenza di un immaginario sempre incandescente a certo schematismo surrealista e al sussiego accademico che nei primi anni sessanta ipoteca sia il Nouveau Roman sia, specialmente, la produzione letteraria sostenuta da Tel Quel: «Constatare la tragica impasse della letteratura odierna non è ancora veramente dire che è defunta, ma è invocare il fuoco della vendetta che le restituirà la vita, e nuova leggerezza al linguaggio. Nel frattempo regnano il notariato più arido e lo stile letterario misurato. Dappertutto, descrizioni amorevoli del mestiere di scrivere o il processo verbale autobiografico». Oggi è vero talvolta il contrario, ma non era da opportunisti dirsi allora partigiani di Céline.

Il manifesto, 7/6/2015

mercoledì 3 giugno 2015

"La morte di Céline" recensito da Francesco Borgonovo su Libero



Céline proibito. [...] Lo splendido libro di De Roux “La morte di Céline” ne racconta l’anima, andando all’origine del suo antisemitismo
Libero, mercoledì 3 giugno 2015
La morte di Louis-Ferdinand Céline è un caso di omicidio. Premeditato e messo in pratica con scientifica precisione, senza pietà né rimpianti. «Céline fu ucciso dai suoi colleghi scrittori», dice lapidario Dominique De Roux in uno splendido libro intitolato La morte di Céline, pubblicato per la prima volta in Italia grazie al curatore Andrea Lombardi e all’editore Lantana (pp. 140, euro 16). De Roux ha i gradi per parlare: nel 1961, proprio l’anno in cui Céline crepa – povero, trattato come un rifiuto radioattivo dagl’intellettuali – e viene sepolto quasi in silenzio nel cimitero di Meudon, egli fondò i Cahiers de l’Herne. Da quelle pagine passò la riscoperta (o addirittura la scoperta) di un pugno d’autori fenomenali, deprezzati o direttamente disprezzati dall’accademia e dalla cultura ufficiale. Céline, appunto (a cui fu dedicato il terzo numero dei Cahiers), Ezra Pound, H.P. Lovecraft, Solzenicyn, Koestler. E poi Witold Gombrowicz, uno dei preferiti di De Roux: le conversazioni tra i due sono divenute un grande libro, tradotto in Italia da Feltrinelli col titolo Testamento.
La morte di Céline uscì in Francia nel 1966, e non è un testo di critica – come specifica l’autore – bensì una narrazione polemica e sfavillante, quasi celiniana, che indaga le profondità dell’opera del «maledetto» per eccellenza. Se è possibile spiegare Céline, tanto del suo significato si trova nelle pagine di De Roux, che a volte ne prendono gli scoppiettii jazzistici e ne condividono le intemerate contro l’universo molliccio delle lettere francesi. Un mondo ottuso che mise all’indice Céline e, appunto, lo uccise. Fu accoppato, Céline, «da questa consorteria di gentucola unita (in ogni epoca) per autocompiacersi del proprio talento e scacciare l’uomo libero, lo scrittore senza compromessi, colui che finisce in cella, in fin dei conti, per il suo rifiuto di appartenere a chicchessia», scrive De Roux. «Dal 1932 Céline, malgrado il successo, o lo scandalo, fu maledetto. Rifiutò subito di entrar a far parte della “sua” famiglia e, come scriveva, dei “suoi” compagni di strada». Come si sa, a pesare più d’ogni altra cosa sulla sorte di Louis-Ferdinand fu la patacca di «antisemita», che gli rimase impressa in virtù del trittico di pamphlet pubblicati tra il 1937 e il 1941: Bagattelle per un massacro, La scuola dei cadaveri e I bei pasticci. Tre libri su cui il marchio d’infamia è perenne, tanto che non si possono ripubblicare. Almeno ufficialmente, perché vagando per librerie (specialmente online) si possono acquistare ristampe anastatiche dell’edizione Corbaccio, e sempre su internet c’è chi ha reso disponibile il pdf dell’edizione Guanda del 1981. Ma, appunto, bisogna andare a cercare col lume, e al grande pubblico queste opere sono tutt’ora interdette. Un divieto ridicolo, come se l’antisemitismo celiniano potesse oggi far danni. Tanto più che, in quei libri, Céline non se la prende solo con gli ebrei. Ne ha per tutti, hitleriani compresi. Quale fosse poi la ratio del suo antisemitismo, lo spiega proprio Dominique De Roux: «Per Céline», scrive, «il termine Ebreo non ha il suo significato abituale. Non indica un preciso gruppo etnico o religioso: lo dimostra il fatto che sotto questo vocabolo avrebbe potuto raggruppare tutti gli uomini, compreso lui. Il termine, ai suoi occhi, ha qualcosa di magico. Vi ripone tutta la sua paura. L’Ebreo, per lui, è il profittatore della guerra, quello che la voce popolare chiama il mercante di armi, le Duecento Famiglie. Mai questa sensibilità infinitamente soave avrebbe tollerato la minima persecuzione razziale, dato che non poteva sopportare il dolore negli altri, e fondava i suoi princìpi terapeutici non sui veri rimedi, ma sui calmanti e la medicina preventiva. (...) Aveva il progetto di scongiurare il male presente o futuro, pronunciando la parola Ebreo in cui voleva fissare tutta una carica malefica, tutti i crimini di questo mondo che incarna in sé le Erinni, le divoratrici, le cagne grigie dell’alba. Cinque anni dopo, i cani di Himmler, invece di dare la caccia ai criminali vanno a caccia degli innocenti». 
Francesco Borgonovo



sabato 30 maggio 2015

Dominique Venner: Céline e i pamphlet in Un samourai d'Occident



La virulenta polemica anticristiana di Céline*
di Dominique Venner

Considerato come il più grande scrittore francese del XX secolo, rinnovatore della lingua e dello stile, posseduto da una specie di delirio profetico, Louis-Ferdinand Destouches, alias Céline, costituisce un altro esempio di ribellione radicale. Gravemente ferito nel corso dei primi combattimenti del 1914, venne decorato e riformato. Avendo intrapreso studi di medicina, discusse la tesi nel 1924 sulla vita e le opere del Dottor Semmelweis. Entrato nel Servizio di Igiene della S.D.N., fu inviato in missione negli Stati Uniti, in Europa e in Africa fino al 1927. Cinque anni dopo pubblicò Voyage au bout de la nuit, accolta come un'opera letteraria capitale. Proprio come Léon Daudet ne l'Action française, l'intelligentsia di sinistra riservò un'accoglienza calorosa a un autore che sembrava appartenergli, ma il medico-scrittore era restio a ogni intruppamento. La pubblicazione di Mea culpa (1936), dopo un viaggio in U.R.S.S., mostrò che non si era lasciato ingannare dal paradiso sovietico. Questo libro consumò il suo divorzio con una sinistra che i comunisti dominavano. Presagendo una nuova guerra, Céline ne attribuì la responsabilità a una cospirazione ebraica. Uno dopo l'altro, pubblicò due pamphlet che lo fecero subito apparire come un rabbioso antisemita: Bagatelle pour un massacre (1937) e L'École des cadavres (1938). Vituperando la guerra e le carneficine future, denunciava a modo suo “la coalizione del capitalismo anglosassone, dello stalinismo e della lobby ebraica” il cui obiettivo (secondo lui) era di inviare al massacro la gioventù francese in una guerra franco-tedesca dove la prima non sarebbe intervenuta che dopo lo sfiancamento dei combattenti sacrificati.
In un genere abbastanza diverso, Céline pubblicò nel 1941un nuovo pamphlet, Les Beaux Draps, forse l'unica delle sue opere che riluca di un leggero alone di speranza. Accanto a una celebre tirata sul “comunismo Labiche”, consegnava una meditazione poetica sullo spirito della Francia, scritta nello stile delle ballate e dei virelais del XV secolo, non senza qualche zampata molto ingiusta data a Montaigne.
Questo libro curioso, dove l'antisemitismo, sebbene presente, è piuttosto sfumato, portava stavolta un furibondo attacco alla predicazione cristiana, ultimo rifugio del regime di Vichy che disprezzava: “Diffusa tra le razze virili, tra le razze ariane detestate, la religione di “Pietro e Paolo” svolse il suo dovere in modo ammirevole, ridusse in povertà, in sottouomini a partire dalla culla, i popoli sottomessi, le orde ebbre di letteratura cristica, lanciate smarrite rimbecillite alla conquista della Sacra Sindone, di ostie magiche, abbandonando per sempre i loro Dei di sangue, i loro Dei di razza... Ecco la triste verità: l'ariano non ha mai saputo amare, adulare che il dio degli altri, mai avuto una propria religione, una religione bianca... Quello che adora, il suo cuore, la sua fede, gli vennero forniti di sana pianta dai suoi peggiori nemici...” Nietzsche aveva detto la stessa cosa con altri termini.
L'opera venne proibita dai servizi di Vichy nella zona meridionale e suscitò le più vive riserve del Propaganda Abteilung...

* Da Un samourai d'Occident, traduzione Valeria Ferretti e Andrea Lombardi

venerdì 29 maggio 2015

"La morte di Céline" e i suoi céliniani irregolari!

Mandateci le vostre foto a ars_italia@hotmail.it e sarete pubblicati in questa gallery!
 




[testo del post sopra]
Questa ve la voglio raccontare. È una storia vera. Giuro.
L'altro giorno stavo finendo di bere una bottiglia di vino bianco, quando di colpo ho sentito un rumore fortissimo provenire dalla camera da letto. O almeno così ho creduto. Cioè il rumore era forte e ho creduto potesse provenire dalla camera da letto, ma forse mi ero sbagliato non so. Mi sono quindi fiondato in camera con una certa strana sensazione. Un inizio di infondata paura, dato che vivo al terzo piano e a quell'ora nessuno era in casa dato che i miei figli erano a scuola e mia moglie fuori a fare la spesa. Cosa mai poteva essere stato? Di certo pensavo più a un cosa tipo un animale, magari un uccello che ha sbattuto sul vetro oppure un oggetto magari l'asse da stiro piegato che per qualche motivo era caduto sul pavimento facendo tutto quel fracasso.
Insomma pensavo più a un cosa, giammai pensai a un chi.
Ma di colpo un altro rumore come di passi incerti mi raggiunse l'orecchio. Con un terrore da bambino che lascia un retrogusto di ferro in bocca e un lampo accecante negli occhi, presi il bastone della scopa e mi diressi verso la sala da dove arrivava quel rumore. Ancora adesso mi chiedo quale arcana forza mi mise in marcia verso l'ignota paura? Cosa ci spinge a volte verso un fastidioso è scomodo dovere resta per me un mistero, un mistero che nemmeno il concetto dell 'io devo' categorico Kantiano hai potuto convincermi. Ma questa è un'altra storia.
Quando svoltai dal corridoio alla sala non ero davvero preparato per quello spettacolo: al centro della sala, in piedi davanti a me si ergeva un'Uomo Ragno sovrappeso in evidente stato di imbarazzo. Notai subito la fronte imperlata di sudore che emergeva come un quadro impressionista dalla maschera che si era tirato su forse proprio per il troppo caldo patito o il troppo sforzo.

'E lei chi cazzo è?' Feci con una smorfia di rabbia, mista a paura diventata aggressività.
Il tipo mi guardò con faccia stupida, quasi delusa e poi mi disse 'ma non vede? Sono l'Uomo Ragno!'
Io cercavo di riprendermi da quello che per un attimo pensai essere uno strano brutto sogno, poi dissi la prima cosa che mi passava per la testa 'ah sì e cosa vuole da me?'
L'uomo ragno si rimise la maschera e mi fece 'voglio che tenga il segreto sulla mia identità, nessuno sa che consegno libri per Andrea Lombardi '.
Scoppiai a ridere, non so ancora perché, ma così feci. Mi risvegliai per terra dopo un sonno strano, pensando a uno strano sogno.

Che mi crediate o no, sul letto in camera trovai, assieme a un paio di occhiali e un ukulele mai visto, questo libro 'La morte di Céline' di Dominique De Roux.
Ne ho scattato una foto per dimostrarvi che non sono pazzo.
 






martedì 19 maggio 2015

"La morte di Céline" recensito da Adriano Scianca su Il Foglio e Primato Nazionale



 “È stato come non andarci per niente. / Céline era morto. / Non c’era nessuno / sedersi al tavolino di un caffè / era come attirare sguardi guardinghi dagli altri / clienti / tutti sicuri di essere / più importanti di / te. / Il cibo era troppo caro per mangiare. / Una bottiglia di vino ti costava / la mano sinistra. / Céline se n’era andato. / E Picasso stava morendo. / Parigi era il niente più assoluto”.
Dalla capitale francese, in realtà, il dottor Louis Ferdinand Auguste Destouches se ne era andato tanto tempo prima, ma la cosa non sembrava attenuare la delusione di Charles Bukowski, che in questi versi faceva dello scrittore l’essenza stessa di una città, di una nazione, di una letteratura e di un’epoca.
Paradossale, ma forse no, per uno che la bella società della Rive Gauche aveva scelto di osservarla da lontano, dalla sua casa di Meudon, che vagamente ricordava il Bates Motel di “Psycho”, ma dove non poteva esserci la stessa tensione perché a un certo punto faceva irruzione sulla scena questo vecchio scorbutico vestito da barbone che imprecava contro la moglie Lucette mentre dava da mangiare a Bébert, il gatto più famoso della letteratura francese, tenendo sulla spalla il pappagallo Toto.
È isolandosi dal mondo, odiandolo, maledicendolo che Céline è riuscito a rispecchiarlo. È imprecando contro la modernità che Céline ne ha creato la lingua. Proprio per questo, la morte di Céline ha a che fare con lo spirito del tempo.
La morte di Céline è anche il titolo di un bellissimo pamphlet di Dominique De Roux appena uscito in libreria (Lantana, pp. 135, € 16,00). Scritta come uno scintillante flusso di coscienza, céliniano ma non “à la Céline”, l’opera fu pubblicata in Francia nel 1966, contribuendo in maniera determinante a riaprire il dossier sull’autore del Voyage.
Pagina dopo pagina, scorrono fiammeggianti immagini apocalittiche: “Nell’assenza quindi di qualsiasi letteratura che divenga il destino mondiale, il nostro cammino va avanti, giorno e notte, tra cani e lupi, sui termitai di parole decadute, ripudiate dall’essere”.
La morte di Céline avvenne il 1 luglio 1961, in una giornata di caldo torrido, ma nessuno ne parlò, anche perché fece molto più rumore la fucilata che a poche ore di distanza si sparò Ernst Hemingway (“Ernie. Pensavo che ti fossi sparato un colpo di fucile da caccia”, recita maligno un altro verso di Bukowski). Il 29 giugno aveva terminato Rigodon. Due giorni dopo venne colpito da aneurisma e morì per la successiva emorragia cerebrale.
Viene sepolto non a Père-Lachaise, come aveva richiesto più per dar fastidio che per brama di pubblici onori, ma al cimitero di Meudon. Alle esequie ci sono quattro gatti, più un gatto vero e proprio che gironzola intorno alla tomba: Roger Nimier, Claude Gallimard, l’attrice in odore di collaborazionismo Arletty, e ovviamente Lucette. Ma nessuno di quelli a cui i romanzi di Céline avevano insegnato i rudimenti linguistici di quest’epoca di senso deflagrato.
Per De Roux, del resto, “Céline fu ucciso dai suoi colleghi scrittori; da questa consorteria di gentucola unita (in ogni epoca) per autocompiacersi del proprio talento e scacciare l’uomo libero, lo scrittore senza compromessi, colui che finisce in cella, in fin dei conti, per il suo rifiuto di appartenere a chicchessia”.
Contro questa mafia editoriale, Dominique De Roux lotterà per tutta la sua breve ma intensa vita (si spegnerà nel 1977 per problemi cardiaci). Suo nonno, Marie de Roux, era stato l’avvocato di Charles Maurras e dell’Action française. Suo figlio, Pierre-Guillaume, dirige oggi la casa editrice omonima che ha pubblicato il libro testamento di Dominique Venner e il sulfureo Elogio letterario di Anders Breivik, scritto da Richard Millet.
Proprio nel 1961, Dominique de Roux aveva fondato i Cahiers de l’Herne. Si imporranno grazie al terzo numero, dedicato appunto a Céline. Prima ce n’era stato uno su Bernanos, dopo ce ne saranno altri su Pound, Ungaretti, Lovecraft, Solgenitsin, Meyrink, Koestler, Péguy e Abellio. In seguito dialogherà con i poeti della beat generation e si accapiglierà con i marxisti di Tel Quel. Non farà in tempo a vedere le conventicole del mestiere letterario rinverdire la ferocia di un tempo, ma senza più bisogno di fingere di scrivere davvero. Ma questo è solo un colpo di fortuna.

Adriano Scianca
(articolo uscito sul Foglio di sabato 16 maggio 2015 e su Primato Nazionale il 17 maggio)

sabato 25 aprile 2015

Recensione di Stenio Solinas a "La morte di Céline", su Il Giornale





Il destino di Céline che abbandonò la vita per la letteratura

di Stenio Solinas


La biografia firmata da De Roux è una meditazione sulla morte e sullo stile: "Aveva rischiato per tutti quelli che non rischiano niente, lecchini e giustizieri. 

Dopo l'uscita di La mort de L.F. Céline, Abel Gance, un nome che da solo incarna il cinema, definì il libro «una delle più grandi pagine della nostra letteratura» e il suo autore, Dominique de Roux, uno di «quegli illuminados » sopravvissuti alla modernità.

«Quando si scava volontariamente il fossato che vi separa dagli altri - si finisce per scavare la propria tomba - ma i geni la superano e se la lasciano alle spalle. Si accorgono allora di non poter tornare indietro perché, come dice Nietzsche, “il precipizio più piccolo è il più difficile da riempire”. La tragedia dei grandi uomini comincia allora, morti o vivi, quando hanno superato la loro tomba».

A quel tempo de Roux aveva appena compiuto i trent'anni, Gance stava per toccare gli ottanta, ma a essere «più vecchio di se stesso» il primo era abituato: gli era successo con Ezra Pound, con Gombrowicz, con Borges, numi tutelari e solitari che si era messo sulle spalle e aveva riportato al centro della scena. A vent'anni aveva già fondato una rivista e scritto il suo primo romanzo, a venticinque una casa editrice da dieci titoli l'anno. La sua era un'esistenza compressa e insieme dilatata, una bulimia di esperienze propria di chi viveva con la morte in tasca: un «soffio al cuore» ereditario senza scampo, a meno di non ritirarsi ai margini, «pensionarsi» nell'illusione così di risparmiarsi. Morì che non ne aveva ancora quarantadue, lasciandosi alle spalle un pugno di libri editi e qualcuno inedito; una serie di reportage sulla guerriglia nell'Africa allora portoghese; un ruolo di consigliere politico di Jonas Savimbi, il capo dell'Unita, il movimento di liberazione antimarxista dell'Angola; un numero incredibile di polemiche giornalistiche e letterarie, prese di posizione, rotture, censure, accuse, maldicenze. «È inutile sforzarsi a invecchiare, ogni riuscita è impossibile, minati come siamo dalle nostre necessità di rottura».


È anche alla luce di questa esistenza di corsa e da corsaro delle idee che quel libro su Céline acquista un valore particolare e ora che per la prima volta è qui da noi tradotto ( La morte di Céline , Lantana editore, pagg. 135, euro 16, traduzione di Valeria Ferretti, a cura di Andrea Lombardi), il lettore italiano capisce di avere di fronte non tanto una biografia o il profilo di uno scrittore, ma una meditazione sulla morte e sullo stile, sul valore e il senso della letteratura, sul ruolo stesso di chi la fa. «L'opera di Céline resta uno degli enigmi esemplari del nostro tempo. È la scrittura a condannare Céline; è anche colei che lo salva». Come nota nella sua introduzione Marc Laudelout, editore del Bulletin célinien , la più incredibile e informata rivista sull'autore del Voyage , «mai in così poche parole il destino tragico di Céline sarà così ben definito».




Proprio perché non è una biografia in senso classico, e proprio perché scritto negli anni in cui il vero e il falso su Céline erano ancora strettamente mischiati, il libro di de Roux conserva qualche cliché céliniano (la trapanazione del cranio mai avvenuta, la copertina dell' Illustré National mai esistita, il lungo viaggio attraverso la Germania in fiamme che in realtà fu breve...) di cui il tempo ha fatto giustizia. Anche la natura dell'antisemitismo di Céline gli sfugge, ponendosi egli sulla scia di quell'interpretazione-metafora di André Gide che ormai non regge più. Non gli sfugge però già allora la natura del suo razzismo, nata sull'ossessione per la decomposizione del mondo moderno, basata sul culto della salute e della bellezza come possibile rinascita.


Di là da ciò, La morte di Céline è, come già accennato, una meditazione sulla scrittura. «La parola letteraria non ha più senso. Scrivere, e ancor più scrivere in francese, sembra essere la proiezione di una certa decadenza, di un totale fallimento di se stessi». Si avanza insomma su «termitai di parole decadute», intorpiditi nell' art and business , dove i critici si auto-proclamano creatori e gli scrittori pensano alla carriera, mai all'opera. «Pubblicano e pubblicano, sono delle pulci, ma non se ne rendono conto. Dandies paurosi come conigli, “vecchi parrucconi” della mia generazione». È l'epoca della colonizzazione dei premi letterari e dell'imperialismo degli editori: «Il prestigio si riduce al vuoto, un folclore di cretini si sostituisce alla crudeltà della poesia; la chitarra la venale vanagloria del disco, e tutte quell'esperienze ridicole, così l'Europa dell'anno I dell'era atomica».


La morte, spirituale prima che fisica di Céline, vuol dire proprio questo, il venir meno di un destino. «Céline attribuiva al poeta il potere di cambiare il mondo! Scrivere pamphlet inauditi fu il suo destino, perché voleva che la sua protesta fosse udita. Passare il limite equivaleva a screditarsi. Abbandonava la vita per la letteratura, pratica opposta a quella di Rimbaud». Isolato nel suo miraggio dell'uomo leggendario, Céline aveva capito che «le masse de-spiritualizzate, spoetizzate sono maledette».


Il fatto è che per de Roux «la carriera dell'uomo di letteratura non richiede né audacia né capacità. Si basa su così tanti stratagemmi infimi, che il primo venuto può arrampicarsi facilmente e ingannare il pubblico, con la complicità della moda del momento». Niente a che vedere, insomma, con uno che «aveva rischiato per tutti i letterati che non rischiano niente, lecchini e giustizieri. Aveva voluto essere il messaggero della totalità. Ma all'ultimo atto della tragedia, la catastrofe si esprime da sé in sentenza di morte. Si voleva che niente restasse di Céline».


Così, il pamphlet che gli dedica è una sorta di chiamata alle armi: «In Francia siamo in territorio nemico. Noi saremo sempre in territorio nemico. Gli scrittori che non vogliono sottomettersi alle parole d'ordine, alla macchina delle critiche ufficiali, che lotteranno contro le leggi e la vile dittatura delle mode, che dimostreranno con la loro opera vivente, con la provocazione delle loro vite - contro i traditori incoscienti e i falsi testimoni di professione, contro le razze degli spiriti prostrati - costoro raggiungeranno le sparse membra di Céline in questo deserto dei Tartari dove egli monta la guardia contro chi non giungerà mai». Da allora è passato mezzo secolo e purtroppo non è cambiato niente.

(Recensione apparsa su Il Giornale, 24 aprile 2015).

sabato 18 aprile 2015

LA MORTE DI CÉLINE, di Dominique de Roux, in libreria!



'Abbiamo scelto di presentare Louis-Ferdinand Céline dottor Destouches affrontando il problema della Letteratura oggi, poiché Céline fu ucciso dai suoi colleghi scrittori; da questa consorteria di gentucola unita (in ogni epoca) per autocompiacersi del proprio talento e scacciare l’uomo libero, lo scrittore senza compromessi, colui che finisce in cella, in fin dei conti, per il suo rifiuto di appartenere a chicchessia. Dal 1932 Céline, malgrado il successo, o lo scandalo, fu maledetto. Rifiutò subito di entrar a far parte della “sua” famiglia e, come scriveva, dei “suoi” compagni di strada. 

[...]

Céline era un delicato, un giusto sotto la sua scorza d’ingrato urlatore.
Adesso è dappertutto.
L’inchiostro che cola dalle sue vene non perderà mai il suo tono bluastro di verità. Ascoltatelo:
“Non ho mai rinnegato nulla… mai adorato niente… mai aderito a nulla… aderisco a me stesso fin che posso… Il mio cammino e io… è là… da solo… è il viaggiatore solitario quello che va più lontano… Nella vita si entra, si esce, come in una stazione… le partenze… sono spesso un sollievo… ma talvolta anche della pena… autentica, una volta tanto, per il mondo intero, per me, per lei, per tutti gli uomini… È forse questo che si cerca nella vita, nient’altro che questo, la più gran pena possibile per diventare se stessi prima di morire”'.

Dominique de Roux, 1966.

Finalmente in libreria (distribuzione nazionale tramite Messaggerie) il capolavoro di de Roux su Céline: vi giriamo già "in esclusiva" il comunicato stampa dell'editore Lantana con le info per ordinarlo in anteprima!!! Un libro essenziale nella biblioteca degli amanti di Céline e della letteratura!

Dominique de Roux
LA MORTE DI CÉLINE
a cura di Andrea Lombardi
Prefazione di Marc Laudelout • traduzione di Valeria Ferretti
collana: le stelle





pp. 144, prezzo 16 euro
in libreria: 30 aprile 2015


Disponibile su Amazon, Mondadori, Feltrinelli, IBS, Hoepli...


http://www.amazon.it/La-morte-C%C3%A9line-Dominique-Roux/dp/8897012787

http://www.mondadoristore.it/La-morte-di-Celine-Dominique-de-Roux/eai978889701278/

http://www.lafeltrinelli.it/libri/dominique-de-roux/morte-celine/9788897012788


mercoledì 25 marzo 2015

Céline e Adrien Arcand, il Führer canadese, 1938





Nell'ingrandimento, Céline è seduto in alto a destra.



Nel 1938, Louis-Ferdinand Céline confermò la sua "fascinazione" per i movimenti fascisti partecipando, a margine di un suo viaggio in Canada, a una assemblea del locale Partito Nazionalsocialista Cristiano (PNSC) canadese, guidato da Adrien Arcand, che così ricorda, in una lettera, il suo breve incontro con Céline.

"Ho un amico a Parigi che è venuto a pssare due giorni con noi per vedere il nostro movimento all'opera: è il dottor Destouches, che scrive con il nome di Céline (Bagatelle per un massacro, etc). Se lo incontrate, lo troverete molto interessante. Parla come scrive: a colpi di dinamite, melinite, cordite e TNT. Mi ha sorpreso dicendo che non vede neanche l'ombra di un barlume di speranza per la Francia".

Adrien Arcand a Eugène Berthiaume, primavera 1938.
Traduzione Andrea Lombardi

domenica 8 febbraio 2015

Le ultime parole di Brasillach su Céline

Brasillach, Céline e i bombardamenti Alleati contro la Francia e suoi luoghi d’arte
 di Andrea Lombardi



Il 6 giugno 1944 gli Alleati sbarcarono in Normandia, scatenando dei durissimi bombardamenti sulle città normanne. Specialmente colpite furono le città di Rouen e Caen, con gravissime perdite tra i civili, la distruzione di numerosi beni architettonici francesi, e limitati danni invece alle poche forze tedesche dentro le città. 

Robert Brasillach, del quale ricorrono in questi giorni i settanta anni dalla la tragica morte il 6 febbraio 1945 per esecuzione capitale dopo il "processo alle idee" svoltosi a Fresnes, commentò su “L’Echo de France” questi fatti, attaccando i diversi intellettuali francesi, da Valery a Mauriac, i quali, chiamati in causa sull’argomento dei danni arrecati ai capolavori d’arte francesi dai bombardamenti Alleati da un inchiesta della rivista “La Gerbe”i, avevano preferito defilarsi, dimostrando una certa pavidità anche perché una loro parola in difesa del patrimonio artistico nazionale non avrebbe certo “compromesso la loro preziosa indipendenza”. E Brasillach, in un passo del suo scritto – inedito in italiano – che riportiamo di seguito, evoca a riprova la risposta alla stessa inchiesta dell’inclassificabile Célineii. Sarà questa l’ultima volta che l’autore de Il mio paese mi fa male citerà Céline; due personalità molto diverse, inconciliabili prima e durante la Collaborazione, accomunate però dall’amor di Francia.





“La prova è data dalla risposta di Céline. In realtà, ammiro tantissimo quelli che vogliono legare Céline a qualsiasivoglia partito. L’avventura del Fronte popolare avrebbe dovuto dare di che riflettere ai lettori superficiali e ai loro cervelli di mosca. Poiché nel Viaggio al termine della notte vi era una netta condanna del mondo borghese, allora l’autore fu consacrato da “L’Humanité” come un Grand’uomo, e le Case della Cultura l'ammirarono. Questo fino a quando non riportò da Mosca le brevi e violente parole di Mea Culpa. Oggi, se fossi nei panni di chi intende incatenare Céline alle magnifiche profezie de La scuola dei cadaveri, starei in guardia: tutti sanno che Bardamu è il refrattario totale, che non si accoda a nessun conformismo, neanche al conformismo dell’anticonformismo, che dice le sue quattro verità a chi le vuol capire, e che non baratterà mai con le parole la forza della realtà. È pienamente convinto che la follia del mondo sia una gran fregatura, e che abbiamo rigettato ogni valido rimedio volto ad attenuarne gli effetti. Per questo, quando gli si chiede la sua opinione sulle distruzioni artistiche in Francia, risponde in tutta tranquillità che per fermare il massacro [della guerra] darebbe in cambio tutte le cattedrali del mondo. Ecco qui un’opinione schietta e sana, che mi sembra pochi abbiano il coraggio di dare. E che prova, tanto per iniziare, che nessuno ha preteso da Céline delle lacrime di coccodrillo per le cattedrali di Caen e Rouen. Ma Céline dice ciò che pensa, e pensa ciò che vuole. I nostri “taciturni”, non oseranno mai dire che se ne fregano delle cattedrali. Ne vivono, dell’amore della cattedrali, ne scrivono, e ne fanno professione. Sì, sono dei professionisti di questo amore, come ci sono professionisti di altri amori. E sanno bene, e Céline lo sa anche, beninteso, che la distruzione delle cattedrali o dei palazzi non farà cessare per questo il massacro. Ma ecco, sembra proprio che anche il solo disapprovare - timidamente, peraltro - l’inutile distruzione della Bellezza del mondo, sia dar sostegno alla Germania. […]



(Traduzione di Andrea Lombardi)





i“Le élite francesi davanti al saccheggio della Francia”, condotta da P. Larcher, in “La Gerbe”, n. 206, 22 giugno 1944.


iiEcco il testo integrale della risposta di Céline all’inchiesta (traduzione di Valeria Ferretti, in Céline ci scrive – Le lettere di Louis-Ferdinand Céline alla stampa collaborazionista francese, 1940-1944, Settimo Sigillo, Roma 2011).

Darei volentieri alle fiamme tutte le cattedrali del mondo se questo potesse placare la Bestia e far firmare la pace domani. Duemila anni di preghiere inutili, trovo che sia molto. Un po’ d’azione!

Domani faremo forse un’architettura di buchi! Niente frecce! Le lezioni della guerra avranno retto. Con il terrore delle bombe, i nostri discendenti vivranno probabilmente da Tutti nel tombino. E così sia!