sabato 18 febbraio 2012

"Bagatelle per un massacro", Meglio sapere o non sapere?

 

"BAGATELLE PER UN MASSACRO", MEGLIO SAPERE O NON SAPERE?

Il caso è noto. L’assessorato alla Cultura prima supporta la presentazione di un saggio che prende in esame perché “Bagatelle per un massacro”, il testo di Louis-Ferdinand Céline del 1937 che in Italia quasi nessuno ha letto-perché censurato causa i contenuti antisemiti, poi, sulle rimostranze della “base” dei social network (e prima o poi del rapporto tra la giunta e facebook bisognerà scrivere qualcosa, perché affidarsi alla pancia non è sempre buona cosa per un amministratore), nega la presenza dell’assessore Stefano Boeri e spiega che la Sormani ha un programma di eventi autonomo (e ci mancherebbe altro che il palinsesto lo decidesse Boeri).
Coda o covone di paglia che sia, vorremmo un po’ più di pragmatismo. Bastava dare una scorsa al nome dei relatori (Marco Vallora, Giancarlo Pontiggia, Gian Paolo Serino, oltre al filosofo Franco De Benedetti, autore per Medusa di “Céline e il caso delle Bagatelle”), per capire che non si trattava di un convegno di Casa Pound. Il patrocinio di Palazzo Marino può andare dunque solo a quegli eventi incentrati su testi edificanti? Eppure nelle cineteche comunali è circolato più volte “Moloch” di Sokurov, incentrato sulla vita di coppia di Hitler e Eva Braun, e Leni Riefenstahl è stata premiata qualche anno fa a Palazzo dei Giureconsulti, con un riconoscimento alla carriera. Non è la stessa cosa, direte voi. E certamente gli esempi scelti sono volutamente grezzi. Perché di un tabù, e nulla di più, si tratta. Così come siamo interessati a osservare dallo spioncino il mènage extraconiugale del “mostro” Hitler, o a visionare le fotografie apologetiche del regime nazista di una talentuosa artista di propaganda, non vedo perché non si possa discutere serenamente sui motivi per cui oggi esiste ancora un libro all’indice, sui cui tutti esprimono un giudizio fermo, senza che nessuno l’abbia letto. Il motivo sta nel fatto che l’antisemitismo che vi è espresso è strettamente contiguo dal punto di vista temporale all’Olocausto. Questa è l’unica ragione.
Gian Paolo Serino ha ricordato in questi giorni che l’antisemitismo era diffuso tanto nella società americana quanto in quella europea sin dagli inizi del “secolo breve”. Era, aggiungiamo noi, altrettanto radicato nella civiltà cattolica, e i retaggi di quel radicamento si riscontrano ancora nel linguaggio e nella considerazione verso gli ebrei che caratterizza le aree “bianche” del nostro Paese. Nel caso di Céline, l’antisemitismo attraversava anche i romanzi, ma nessuno si è curiosamente mai messo ad analizzare da questo punto di vista “Viaggio al termine della notte” o “Morte a credito”. Eppure i testi di fiction di altri autori francesi, a partire da quello che, a torto o a ragione, è considerato l’erede di Céline, ossia Michel Houellebecq, da sempre sono passati alla lente d’ingrandimento, per provare a capire se il punto di vista dei protagonisti è in tal senso quello dell’autore. Da questo di punto di vista il dibattitto è particolarmente vivace. Può essere considerato decisivo al fine del giudizio ultimo sul valore dei romanzi dell’autore di “Piattaforma”, o venire liquidato come una pruderie, ma certamente nessuno si è mai sognato di mettere all’indice lo scrittore di punta di Flammarion. Ricordo invece una circostanza curiosa. La prima volta che mi procurai “Morte a Credito”, nella prima edizione italiana, quella di Garzanti del 1964, con la traduzione di Giorgio Caproni, il testo era censurato. Nel senso che ogni tanto il lettore incontrava degli spazi bianchi. Spesso si trattava di una sola parola, più raramente di intere frasi o periodi. Quelle cancellazioni non erano in alcun modo legate a passaggi di contenuto antisemita, e facevano riferimento piuttosto a situazioni scabrose, o utilizzavano termini allora “proibiti”. Di fatto dovemmo aspettare il 1997 per leggere la traduzione di Caproni nella sua integrità, grazie ai tipi di Tea (in precedenza c’era stata un’edizione Mondadori, nel 1987). Ma il fatto è che Ferdinand Bardamu era un alter ego di Céline. Altra cosa, nella percezione del lettore, è evidentemente un pamphlet, in cui non c’è possibile equivoco in merito tra la posizione di chi parla e quella dell’autore. È dunque solo una questione di codice? Quel che si può dire in un romanzo (i passi antisemiti non sono mai stati “sbianchettati”) non ha diritto di cittadinanza in un saggio? Evidentemente sì, per quanto poco voltairiano ci possa sembrare. Il paradosso è che così continueremo a non sapere se “Bagatelle per un massacro” è una sorta di “Mein Kampf” o meno. In Italia esiste un’edizione di “Bagatelle” pubblicata da Guanda nel 1981, che venne ritirata dalle librerie tre mesi dopo la pubblicazione, a seguito delle rimostranze della vedova Céline. Non si trattò dunque di un vero e proprio episodio di censura, quanto piuttosto di tutela-attraverso strumenti indebiti-dello status raggiunto dallo stesso Céline con il corpus complessivo della sua opera. Era sufficiente il pamphlet per sporcarla? La risposta è legata a quella che personalmente considero un’evidenza: se non fosse avvenuto l’Olocausto, “Bagatelle per un massacro” sarebbe un vergognoso testo antisemita, trascurato dalla critica, pubblicato magari da qualche oscuro editore. Credo per esempio che in pochi sappiano che contiene la presentazione di tre balletti ideati per L’Expo del 1937, “La naissance d'une fée”, “Voyou Paul”, “Brave Virginie” e “Van Bagaden”. E che fu proprio il rifiuto di questi balletti scatena la furia razzista di Ferdinand, protagonista del libro. Perché, e questa immagino sia una sorpresa per molti, “Bagatelle” contiene anche molti elementi di finzione letteraria, al punto che potremmo persino pensare che gli alter ego di Céline siano due, lo stesso Ferdinand e il dottor Gutman, con cui il protagonista dialoga (ricordiamo che l’autore esercitava la professione di medico). Ci sono poi diversi passaggi in cui vengono criticati tutti i totalitarismi, e accenni a quelle stesse posizioni pacifiste espresse nel suo primo romanzo. Un pamphlet ha convenzioni diverse da un saggio, genere per cui Céline, anzitutto per organizzazione sintattica della sua prosa, sarebbe stato negato. La prosa di “Bagatelle” vede infatti ricorrere spesso le sperimentazioni/convenzioni del secondo Céline, a partire naturalmente dai tre puntini. Per chi volesse affrontarne la lettura, la traduzione di Giancarlo Pontiggia si trova in rete, in versione Pdf. Da notare che, al contrario di “Mein Kampf”, il successo di pubblico di “Bagatelle” fu enorme, e proseguì anche negli anni dell’occupazione. La critica di destra lo accolse però con qualche sospetto, legato al carattere d’invettiva e alla mancanza di una struttura argomentativa. A sinistra venne massacrato. Con l’eccezione eccellente di Andrè Gide, che si rifiutò di credere all’autenticità delle intenzioni di Céline, e definì il testo una finzione letteraria, assolvendo il dottor Destouches dal peggiore dei suoi crimini.
Non ero presente al dibattito in Sormani. Immagino che di questo e di molto altro abbiano discusso i relatori. Resto dell’idea che Boeri dovrebbe occuparsi di altro, che senza il patrocinio del Comune la discussione su di un testo all’indice resta comunque un evento culturalmente rilevante, e che né il timbro di Palazzo Marino né la presenza dell’assessore avrebbero aggiunto nulla. Qualche anno fa Vinicio Capossella dedicò un intero disco alla cosiddetta “Trilogia del Nord”, i romanzi in cui Céline ricostruisce le peripezie in Danimarca dopo la fuga dalla Francia in quanto collaborazionista. Quasi nessuno si accorse che l’album (s’intitolava “Canzoni a Manovella”) era direttamente ispirato ai climi di “Da un castello all’altro” e agli altri testi di finzione scritti a Meudon dopo il ritorno dalla Danimarca, nel Secondo Dopoguerra. Eppure la prima canzone si chiamava “Bardamù”, che è proprio il nome dell’alter ego di Céline nei suoi scritti di fiction. Vinicio ha più volte sostenuto che il Céline più interessante è quello degli ultimi romanzi, “che lascia le frasi a metà”.
Ma in mezzo tra i due capolavori universalmente riconosciuti come una vetta della narrativa del Novecento e i lavori più sperimentali, resta pur sempre l’autore di “Mea Culpa” e “Bagatelle per un massacro”, e la “Trilogia del Nord” narra le vicende dell’uomo Céline in quegli stessi anni in cui scriveva un testo esplicitamente collaborazionista come “La scuola dei cadaveri” (che in Italia è stato tradotto solo nel 1997 e pubblicato dall’oscuro Edizioni Soleil nella Collana del Nibbio Bianco-anche questo testo è reperibile in rete). Insomma, che piaccia o meno, Bardamù e Fernand sono la stessa persona, anche se la cosa nel dopoguerra infastidiva lo stesso Céline, che fu il primo a opporsi alla ripubblicazione di “Bagatelle”. La critica letteraria ha il dovere e il diritto di prenderne atto, a prescindere dall’ansia del “politicamente corretto” che pervade la giunta arancione.


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I miei complimenti a Serino per aver organizzato la presentazione e per la sua simpatia, e a De Benedetti, Pontiggia (che ringrazio per la dedica apposta sul mio Bagatelle Guanda) e Vallora per la competenza dei loro interessanti interventi.

Andrea Lombardi

sabato 11 febbraio 2012

Cathérine Maubon (Università di Siena) e il “Viaggio al termine della notte” di Louis-Ferdinand Céline


http://www.sienanews.it/2012/02/07/video-la-carica-eversiva-di-celine-a-lunedilibri/

[...] Molto apprezzata, da parte del numeroso pubblico presente, anche la scelta di proiettare un’intervista allo scrittore del 1959, realizzata della televisione pubblica francese, nella quale emerge - ha commentato Cathérine Maubon - l’incontestabile dimensione ironica del personaggio e la sua personalità multiforme.
Marcello Flores d’Arcais, docente di Storia contemporanea e Storia comparata, ha invece contestualizzato l’ambientazione storica del romanzo: La situazione sociale ed economica del tempo risentiva molto della crisi del 1929, anche se i suoi effetti erano più acuti negli Stati Uniti o in Germania, piuttosto che in Francia. Qui, vi era piuttosto una forte instabilità politica, a causa di coalizioni elettorali labili e poco coese.
“Viaggio al termine della notte”, per molti aspetti autobiografico, propone un viaggio-delirio fra le contraddizioni e le ipocrisie dell’inizio del XX secolo: gli orrori della trincea della Prima guerra mondiale, la ferocia dello sfruttamento coloniale, il degrado delle metropoli moderne e dei sobborghi operai, gli incubi tayloristici delle catene di montaggio, l’avvento di una piccola borghesia cinica e faccendiera. La storia si sviluppa intorno alla figura del dottor Bardamu, medico professionista, sorta di alter ego dell’autore che permette a Céline di riversare nel romanzo la sua carica sovversiva nei confronti dell’ordine sociale e dei canoni letterari dell’epoca.
 Céline scandalizza perché rompe lo scarto tra morale e letteratura – ha affermato Cathérine Maubon - La forza dirompente del “Viaggio” e le origini del suo successo, che lo rendono ancora attuale, non stanno tanto nel materiale narrato, quanto nelle forme espressive del romanzo, attraverso le quali sferra un attacco dirompente alla lingua e agli ambienti accademici ed elitari del suo tempo, quelli in cui si parla con l'accento distinto di chi dà gli ordini ai domestici. [...]

lunedì 6 febbraio 2012

Recensione a Viaggio al termine della notte di Elio Germano

GELO IN SALA
GERMANO, L'ATTORE CHE SE NE INFISCHIA DEL PUBBLICO

DI FRANCESCA BARAGHINI

 «Se per qualcuno è stata un'immensa rottura di palle me ne frego». Elio Germano, uno degli attori più amati d'Italia, è fatto cosi. Parla poco e non ama le interviste. Schivo quanto basta per fare breccia nel cuore delle fan, anche se gli interessa poco: «Se piaccio bene e se non piaccio amen».
Filosofia di un 32enne. L'ultimo progetto si chiama "Viaggio al termine della notte", andato in scena giovedì al Politeama Genovese. Cinquanta minuti di Louis Ferdinand Celine in chiave Germano, accompagnati da una chitarra elettrica e un violoncello. Risultato? Pochi applausi e qualche commento deluso in platea. «Ma io non voglio essere capito» dice lui «mi sembra sia andata bene, sono soddisfatto. Il mio obiettivo è che la gente rifletta».
Perché senza Germano non succede? «Ma certo» sorride «però il teatro serve a mettersi in discussione e io odio i pensieri pre confezionati, lascio libera interpre-tazione». Eppure qualcuno è rimasto perplesso. Il pubblico si è spaccato: dove voleva arrivare? «Non voglio arrivare da nessuna parte»       risponde piccato «solo allenare le persone a provare qualcosa. Sono   convinto che       nello sforzo si possa crescere». Già, crescere.
A cominciare con "Viaggio al termine della notte" di Celine. Flash back letti sul palco illuminato solo da una lampadina. Voglia di crescere per uno degli attori più eclettici del cinema italiano? »Ma no, io voglio rimanere piccolo» ride Germano con le mani infilate nei jeans «faccio tante cose nella vita, non saprei rispondere». Ci pensa e poi aggiunge: «Semmai mi stimola parlare di temi che dovrebbero aiutarci a superare certi ostacoli».
Si tocca i capelli con fare timido quando prova a spiegare i suoi pensieri. Crede davvero di essere piaciuto? «Io faccio quello che mi piace» si fa serio «credo di sì, ma alla fine chissenefrega». Un «chissenefrega» sibilato veloce e con accento romano. E se dall'altra parte c'è un pubblico che torna a casa senza avere avuto il tempo di un intervallo, poco importa. Le signore perdonano facilmente quando si tratta di uno come Germano. Bello, dannato e pieno di rabbia in tutti i personaggi che interpreta. Fascino da bullo? Tanto lui se ne frega.

Dal Secolo XIX di Genova, 4 febbraio 2012.

E qui una intervista a Germano (anche) su Céline: http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/02/elio-germano-porta-celine-teatro-%E2%80%9Calla-crisi-economica-risponde-liberismo%E2%80%9D/188606/

Il Lumpenball di Colonia, foto di August Sander...


... che ricorda certe atmosfere di Guignol's Band!

mercoledì 1 febbraio 2012

La prima vita di Céline: il corazziere a cavallo Louis Destouches nella prima guerra mondiale



La prima vita di Céline: il corazziere a cavallo Louis Destouches nella prima guerra mondiale

di Andrea Lombardi

Louis Destouches si arruolerà il 28 settembre 1912, con ferma triennale, nel 12eme Régiment Cuirassiers (12° Reggimento Corazzieri) di stanza a Rambouillet, nel dipartimento degli Yvelines nella regione dell’Île-de-France. Il 12eme “Cuir” era un’unità scelta, con una lunga tradizione militare risalente al 1668: creato da Luigi XIV per suo figlio quale Régiment “Dauphin-Cavallerie”, fu rinominato 12° Reggimento di Cavalleria nel 1791 dopo la Rivoluzione Francese. Il reparto si distinse in numerose battaglie: dalle Campagne del Re Sole alle Guerre della Rivoluzione, subordinato all’Armata del Reno; da Austerlitz, Jena e Waterloo a Solferino, alla disastrosa guerra franco-prussiana del 1870-1871. I primi tempi di servizio presso il 12° ben difficilmente potevano ricordare al giovane Louis queste antiche glorie, preso come doveva essere, da buona recluta, a spalare letame, strigliare il pelo dei cavalli e centellinare i pochi spiccoli della diaria, vessato dalla disciplina di ferro dei sottuff’ di carriera, come ricordato d’altronde da lui stesso in Casse-Pipe! Dopo un anno da militare di truppa, Louis è promosso Brigadiere il 5 agosto 1913, e quindi Maresciallo d’alloggio il 5 maggio 1914. 
 
Tavola ritraente un Maresciallo d'alloggio del 12° Corazzieri, 1913

Il 31 luglio, a Saint-Germain, il Reggimento è mobilitato e il 2 agosto si assembra nella regione a sud di Commercy. Louis accoglierà la notizia della guerra con lo stesso entusiasmo patriottico di milioni di giovani come lui in tutta Europa, come testimoniato da questa lettera ai genitori scritta poco prima della partenza per il fronte, tanto diversa per stile e spirito dal Viaggio al termine della notte:

“Cari genitori: l’ordine di mobilitazione è arrivato partiamo domani mattina alle 9 h 12 per Étain nelle pianure della Voevre non credo che entreremo in azione prima di qualche giorno […] è una sensazione unica che pochi possono vantarsi di aver provato […] Ognuno è al suo posto sicuro e tranquillo tuttavia l’eccitazione dei primi momenti ha fatto posto a un silenzio di morte che è il segno di una brusca sorpresa. Quanto a me farò il mio dovere sino in fondo e se per fatalità non dovessi tornare… siate sicuri per attenuare la vostra sofferenza che muoio contento, e ringraziandovi dal profondo del cuore. Vostro figlio”.

Il 12°, al comando del Colonnello Blacque-Belair, e facente parte della 7ª Divisione di Cavalleria, condurrà numerose missioni di ricognizione tra la Wöevre, la Mosa e l’Argonne nell’agosto e settembre 1914: il terreno dove opererà, boscoso, con campi cintati da muretti a secco tagliati da fossi e canali, è inadatto all’impiego della cavalleria, men che meno quella pesante. La guerra del ’14 inizia a mostrarsi per quello che è: niente eroiche cariche di cavalieri, ma un cieco tritacarne. Louis scriverà allora a casa lettere di ben altro tono rispetto a quelle precedenti; l’assurdità della guerra inizia a far nascere in lui Céline:

“La lotta s’impegna formidabile, mai ne ho visto e ne vedrò di così tanto orrore, noi camminiamo lungo questo spettacolo quasi incoscienti per l’assuefazione al pericolo e soprattutto per la fatica schiacciante che subiamo da un mese davanti alla coscienza si para una specie di velo dormiamo appena tre ore per notte e marciamo quasi come automi mossi dalla volontà istintiva di vincere o morire Nessuna nuova sul campo di battaglia quasi sulla stessa linea del fuoco da 3 giorni i morti sono rimpiazzati continuamente dai vivi a tal punto che formano dei monticelli che bruciamo e in certi punti si può attraversare la Mosa a piè fermo sui corpi tedeschi di quelli che tentano di passare e che la nostra artiglieria inghiotte senza posa. La battaglia lascia l’impressione di una vasta fornace dove s’inghiottono le forze vive delle due nazioni e dove la più fornita delle due sarà la vincitrice”.

Ad ottobre il Reggimento è inviato nelle Fiandre, partecipando a duri combattimenti assieme ad alcune unità di fanteria nel settore tra Ypres e Poelkapelle; il 27 ottobre, quest’ultima località è battuta incessantemente dal tiro dell’artiglieria e delle mitragliatrici tedesche, tanto che sembra impossibile garantire con staffette le comunicazioni tra il 125° e il 66° Reggimento di fanteria, che stanno cercando di strappare l’abitato di Poelkapelle al nemico. È in questo momento che il Maresciallo d’alloggio Destouches, comandato presso il Comando di Reggimento, si fa avanti, dandosi volontario per questa missione quasi suicida. Louis riuscirà a condurre a termine il pericoloso compito, ma al ritorno, intorno alle ore 18, è ferito gravemente al braccio destro. Dopo essersi ricongiunto alla sua unità, data la mancanza di posti disponibili nelle ambulanze o tende-ospedale a causa del gran numero di feriti e moribondi, dovrà raggiungere a piedi, camminando per sette chilometri, un ospedale da campo presso Ypres. Sarà poi da lì evacuato a Hazebrouck, dove sarà operata la frattura del braccio, e poi ricoverato in degenza all’ospedale militare Val-de-Grâce a Parigi, dove subirà un secondo intervento chirurgico il 19 gennaio 1915. Dichiarato inabile al servizio a causa della sua ferita, viene riformato il 2 settembre 1915: finisce così il servizio attivo di Louis Destouches nell’Armée. 
Per l’eroismo dimostrato sul campo sarà citato nell’ordine del giorno del 29 ottobre del Reggimento, insignito della Medaglia Militare il 24 novembre 1914 e della Croce di Guerra con Stella d’Argento. 


La rivista L’Illustré National del dicembre 1914 dedicherà al fatto d’arme che lo vide protagonista una tavola a colori a tutta pagina: 


Louis-Ferdinand Céline la mostrerà sempre con orgoglio a ogni suo visitatore nell’eremo di Meudon, tanti anni e tante vite più tardi.


Bibliografia:

Dauphin-Boudillet, Album Céline
Gibault, Céline
Ruby - de Labeau, Historique du 12eme Régiment Cuirassiers (1668-1942)
Le 12eme Régiment Cuirassiers (1871-1928)