Notre ancien collègue, l'écrivain et journaliste neuchâtelois Louis-Albert Zbinden, s'est éteint à Paris à l'âge de 86 ans. Forum diffuse un extrait de l'un de ses entretiens, réalisé avec l'écrivain Louis-Ferdinand Céline.
Après des études à Genève, Louis-Albert Zbinden a travaillé à la Radio suisse romande dès 1947. Il a réalisé pour la RSR maintes émissions littéraires, en particulier avec l'écrivain Louis-Ferdinand Céline. Ses auditeurs se souviennent de ses chroniques « Le regard et la parole», diffusées de 1977 et 1986, le samedi matin. Il y commentait avec verve des faits d'actualité.
Dramaturge et poète, Louis-Albert Zbinden a signé plusieurs romans ainsi que des nouvelles. Il laisse une vingtaine d'ouvrages. Parmi eux un recueil de poésie, «Les yeux ouverts» paru en 1956, les romans «L'emposieu» (1981), «L'orgue de Barbarie» (1988) et «Le Pollen de Satan» (1992), ainsi que des nouvelles réunies sous le titre «Marie Casamance, suite jurassienne» en 1995.
Louis-Albert Zbinden sera enterré à Paris.
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... sua una notevole intervista a LFC:
intervista a Céline di Louis-Albert Zbinden
a cura di Sergio Falcone
Questa intervista radiofonica con Céline, condotta da Louis-Albert Zbinden, è stata trasmessa da Radio-Télé Suisse Romande (Losanna), il 25 giugno 1957.
Vorrei farle una domanda forse un po’ ingenua. Per quali ragioni ha pubblicato questo nuovo libro, Da un castello all’altro? Perbacco! Debbo confessarlo ancora una volta: è chiaro che lo faccio soprattutto per delle ragioni economiche,… per parlare con una certa finezza. Da un certo numero di anni sono oggetto d’una sorta d’interdizione; ma faccio uscire un libro che, malgrado tutto, è abbastanza pubblico, poiché parla di fatti ben noti, e che riguardano nello stesso modo i francesi. E’ una piccola parte, del tutto piccola, ma pur sempre una piccola parte della storia di Francia: alludo a Pétain, a Laval, mi riferisco a Sigmaringen (Città della Germania, già capoluogo dell’Hohenzollern, alla destra del Danubio. Fu l’ultimo rifugio del governo collaborazionista francese di Vichy; settembre 1944 – maggio 1945. s.f.). Lo si voglia o no, è un episodio della storia francese; può essere doloroso, ce se ne può rammaricare, ma è comunque un momento della storia di Francia. Tutto questo è accaduto e, un giorno, se ne parlerà nelle scuole. D’altra parte torneremo sull’argomento fra poco, se lei è d’accordo. Ma preferirei toccare le questioni letterarie. Quelli che non hanno letto il suo libro, si chiedono se assomiglia, nello stile, per esempio, ai suoi libri passati, al Viaggio al termine della notte… E’ difficile cambiare lo stile; anzi, è impossibile. Pare che i pittori riescono a cambiare lo stile, ma infine anche gli scrittori; in quanto a me, non credo che questo mi sia accaduto. La faccenda dello stile, se così posso dire, m’interessa assai da vicino, anche se non mi ritengo uno stilista, ossia uno scrittore che ha gran cura dello stile. Ho questa debolezza, e credo che sia una scelta non molto frequente, dal momento che quel che c’è di più difficile è lo stile. Per inviare dei messaggi o dei pensieri profondi, non ho che da aprire un’opera specialistica, ne sono pregno; non ho che da sfogliare tra i testi di medicina, così posso facilmente eccellere, brillare, ma non è questo… No. Sono un colorista di certi fatti. Per caso mi sono trovato in circostanze tali per cui la materia da descrivere era interessante. Proust si occupava di tipi del bel mondo, io invece mi sono interessato ai personaggi che mi capitava d’incontrare e di osservare. Ho narrato le loro piccole storie, con uno stile che mi sembrava essere il mio. La letteratura, dunque, è per lei anzitutto una questione di stile, e quando parla di stile, lo distingue dalla storia propriamente detta? La vicenda, la adatto senz’altro allo stile; del resto come fanno i pittori, che non si occupano esclusivamente del frutto. La mela di Cézanne, lo specchio di Renoir, o la bella femmina di Picasso, o la capanna di Vlaminck, sono piuttosto lo stile che essi gli donano. Gli oggetti non prendono molto spazio,… sparivano più o meno… Saprà che, quando la si legge, si ha l’impressione che lei scriva i suoi libri in un modo diretto, molto fluido, e che il famoso stile parlato, che è la sua caratteristica, nasca da una sorta d’improvvisazione costante. È esatto? Oh no, non è proprio così. Scrivo invece con molta fatica, oserei dire. La capacità di esprimersi è un fatto naturale. E’ così, con ogni probabilità, e questa è già una base. Ma, alla fine, il foglio di carta non trattiene l’eloquenza naturale. Conosciamo bene la povertà che offrono i discorsi alla Camera, o le cause in tribunale, quando sono trascritti in stenografia. No,… è tra la gente che hai l’avvio di una chiusa, oppure di una piccola frase faceta… Ma, conservare uno sforzo di composizione secondo lo stile di 400-500 pagine, richiede molto lavoro; bisogna saper vedere e rivedere. In realtà 400 pagine stampate fanno 80000 pagine manoscritte. Ma il lettore non è obbligato a saperlo. Anzi, non deve saperlo. E’ un problema dell’autore quello di correggere il proprio lavoro. Si fa entrare il lettore in un piroscafo. Tutto deve essere gradevole. Quel che accade nelle stive non lo riguarda. Egli deve gradire il paesaggio, il mare, il cocktail, il ballo, la freschezza dei venti. Tutto ciò che è meccanico, o relativo ai lavori servili, non lo riguarda affatto. E la nave ha un cattivo vapore, un cattivo capitano, un cattivo cuoco, una cattiva compagnia, se il passeggero non è messo a suo agio da chi mette in moto le macchine, da chi arrostisce il pollastro, e da chi conduce la barca fuori degli scogli. Dal momento che lei dà un’importanza così grande allo stile, la si potrebbe credere anzitutto un esteta… Ma lei non è un mandarino della letteratura, poiché è al centro della sua stessa opera. Qui tocchiamo una questione molto delicata. Credo che, in un modo inconscio, ho avuto una gran cura nell’evitare di essere un mandarino della letteratura; eppure l’ho quasi cercato. E, per dire proprio tutto, mi sono rese ostili tante persone; mi sono attirato l’odio di tutti; né ritengo che questo sia un fatto volontario. L’ho fatto per non essere popolare, per non essere lusingato, e per non acquistare importanza, il che mi pareva una cosa orribile, non è così? Ho preferito piuttosto la modestia, ed anche la condanna generale. Non posso dire che l’ho cercata per intero ma, infine, questo m’è capitato. Se avessi voluto evitarlo, era molto semplice sottrarmi, non avevo che da tacere. Non ho taciuto nel ’37 o nel ’38. Non avevo che da impormi il silenzio, mi si lasciava tranquillo. Invece mi sono cacciato in una storia orrenda, e questo m’è valso un isolamento e un’ostilità totale, mio Dio, nella quale sono diventato un “mandarino” dell’orrore, se preferite, poiché ora vedo degli individui che erano considerati dei collaborazionisti, i quali mi svergognano, e riprendono le stesse calunnie dei partigiani di De Gaulle, o del signor..., o di qualunque mediocre partigiano. Sono un isolato, se così si può dire, solo; per essere più a contatto con le cose. Amo molto gli oggetti. Questo non è molto apprezzato nell’epoca in cui viviamo. Ci si preoccupa molto più della personalità anziché dell’oggetto. Si è individualisti, così come si è legati ai processi verbali. Non è questo il mio caso. Semmai sono un artigiano delle cose. Questo è misconosciuto ai nostri giorni, e lo sarà sempre, a meno che non si provochi una rivoluzione antimaterialista, un istante nei secoli e secoli. Ma ora noi siamo con ogni evidenza nell’epoca della pubblicità e della meccanica. Allora… il robot di genio… l’autore ha successo… Quando lei dice che l’oggetto è il suo interesse principale, questo è in contrasto, penso, con le idee generali. Mi pare che su questa questione, alla vigilia della guerra, esattamente negli anni attorno al 1937, a cui lei ora fa riferimento, allo stesso modo ha assunto un atteggiamento a favore di problemi di ordine generale. E questo forse è l’origine di tutti i suoi guai. … per forza ero contro la guerra. Lo ero in una forma esplicita, totale, come ho il diritto di esserlo… Lei è un pacifista… Sono un pacifista integrale. Tanto più che sono medaglia militare dal mese d’ottobre 1914, cioè non da ieri; sono mutilato di guerra all’80%,… e di conseguenza ho tutto il diritto d’essere un pacifista. Mi sono arruolato nella seconda guerra ancora come medico di bordo; sono andato a picco al largo di Gibilterra; conosco bene i piccoli retroscena della guerra. Per questo non l’amo. La trovo stupida e del tutto negativa per qualsiasi società. Allora ho trovato, mi sono immaginato, le cause della guerra, che ho attribuito ad alcune fazioni… Filippo il Bello doveva tutte le sue disgrazie ai Templari;… i Giansenisti sono stati perseguitati attraverso quattro o cinque secoli. La storia di Port-Royal non è del tutto terminata, se ne parla ancora. I Gesuiti sono stati perseguitati, etc. … Forse ho isolato una setta che non era poi così biasimevole come ho detto; forse la riprova è ancora da darsi, forse la testimonianza verrà con la storia. Diciamo il termine esatto: lei è stato un antisemita. Appunto. Nella misura in cui pensavo che i Semiti ci spingevano alla guerra. Senza questo motivo non ho proprio nulla contro di loro; non trovo alcun motivo di conflitto con i Semiti: non sussistono delle ragioni plausibili. Ma finché essi costituivano una setta, come i Templari, o i Giansenisti, era chiaro come Luigi XIV (il quale aveva delle buone ragioni per revocare l’editto di Nantes) e Luigi XV, nel cacciare i Gesuiti, fossero nel giusto… Allora, ecco, la questione è tutta qui: mi sono appassionato a Luigi XV o a Luigi XVI, ma questo, evidentemente, è un grosso errore. Dal momento che dovevo restare quel che sono, e più semplicemente impormi il silenzio. In questo ho peccato d’orgoglio, lo confesso, per leggerezza, per bestialità. Non avevo che da tacere… Sono dei problemi più grandi di me. Sono nato nell’epoca in cui si parlava ancora dell’affare Dreyfus. Tutto questo è un vero errore di cui faccio le spese. Ed è in questo preciso momento che sono tormentato da ogni specie di uomini che mi scoprono transfuga, recidivo, venduto… Che cosa pensa di queste infamie? Proprio nulla. Dico solo che presto avrò sessantacinque anni, avrò la pensione di medico, con una rendita di 200000 franchi all’anno, e che grazie a Dio resterò un po’ tranquillo… Comunque sono passato attraverso la più grossa caccia alla volpe che sia mai stata organizzata nel corso della Storia… e già questo non è male!... Non rinnego proprio niente… non cambio facilmente d’opinione… Insinuo solo un piccolo dubbio, ma si dovrebbe provare che mi sono sbagliato, e non che ho ragione. Ascolti. Lei ha detto che è un pacifista e che lo è ancora. Certo. Ma come conciliare questo col fatto che lei, per esempio, ha lodato l’armata tedesca? L’armata tedesca la magnificavo prima ancora che penetrasse in Francia, e che scatenasse la guerra. Trovavo che era un buon modo d’essere una potenza… La Svizzera ha un esercito. Il Principato di Monaco ha un esercito. Il ferro evidentemente è la forza, è l’ordine. E allora, quando il potere domina, non c’è più altra forza altrove… Dal momento che parliamo dei francesi, potrei ricordare loro che se ci fosse sempre un’armata tedesca, se non fosse stata dichiarata la guerra, e se la Germania fosse quella che era un tempo, ebbene essi avrebbero conservato l’Algeria senza molti problemi, non avrebbero perduto il Canale di Suez, né l’Indocina. I francesi hanno introdotto il disordine, demolendo una struttura portante, proprio com’erano stati abbattuti gli Asburgo, che non sono stati sostituiti da niente. Ma non crede che l’imperialismo tedesco potesse anche essere una causa di distruzione per certe strutture, ivi compresa la fine del primato francese in Europa? Sono convinto che si potesse trattare coi tedeschi in modo molto vantaggioso. Vale a dire che noi esercitavamo ancora su di loro del prestigio. I tedeschi si ricordavano del carico di legnate del ’18, e ci guardavano con molto rispetto. Sappiate che dagli inizi della storia del mondo niente è valso più del prestigio della guerra che si sta per vincere, o del prestigio di quella che si va a vincere… Di conseguenza, noi conservavamo il prestigio della vittoria nella guerra ’14-’18. Occorreva difendere questo prestigio comunque, non importa come, ma non in modo da metterlo in pericolo, o in discussione… Si custodiva il piccolo trincerista… il ’18… Verdun… questo contava enormemente, questo valeva molto. E allora non saremmo stati attaccati; nessuno ci avrebbe affrontato, Suez non si sarebbe scosso, l’Indocina non si sarebbe agitata, l’Algeria non si sarebbe mossa, né il Marocco, né la Tunisia. Tutti i paesi sarebbero restati al loro posto. Era sufficiente inviare un battaglione della Legione per regolare tutto. Mentre ora, scusatemi, tutti quei popoli sanno che siamo deboli. Perbacco, nella storia dell’umanità, non si è mai minacciato troppo a lungo i deboli, che lo sia stato dichiarato o no. Era lì che vedevo utile l’esercito tedesco, il soldato tedesco. Era tutto. E’ semplicemente questo. Forse mi sono sbagliato. Non domando di meglio. Non ne discuto più. In quanto a me, sono alla fine della corsa. Ci si potrebbe stupire di un particolare, signor Céline. Ossia, nel momento in cui i fatti sono cambiati, ossia quando le potenze dell’Asse hanno cominciato a non avere più il vento in poppa, lei ha insistito. Ma questo era per lei un fatto d’onestà o di coscienza? Si spieghi un po’. Non ho mai insistito su alcuna questione politica. In nessun modo. Non ho mai collaborato ad alcun giornale, né concesso delle interviste, né rilasciato dichiarazioni alla stampa, né votato, né fatto parte di un partito. Sono assolutamente e rigorosamente indipendente. Mi costruivo solo come scrittore. Nella mia incoscienza credevo di poter influenzare ognuno a favore della pace. Bene. E’ tutto. Assolutamente tutto. Non sono mai stato vicino a nessuno. Mai un soldo da nessuno, né americano, né inglese, né tedesco, né svizzero. Nulla. Per cui non ho vissuto che dei miei diritti d’autore, e anche molto modestamente. Quando altri, invece, hanno persistito nella loro opinione, o non persistito… Dopo Stalingrado, diciamo pure la parola, c’erano delle facce di bronzo. Tutti hanno fatto marcia indietro, sono diventati antitedeschi. Bene. Ma io non avevo alcun motivo di essere antitedesco, né antichiunque. Nel corso della guerra, i tedeschi sono venuti a trovarmi e mi hanno sempre detto: “Vinceremo, abbiamo la vittoria”. Ma io dicevo: “Datemi delle prove, qualcosa, non vedo niente”. E loro non mi hanno mai portato delle prove. La prova è che essi hanno perduto. Non ho mai voluto nient’altro che la pace. Quando i tedeschi sono entrati in Francia, non ero partigiano. Non ho mai detto: “Urrà! Evviva i tedeschi!”. Questo non mi divertiva, al contrario degli altri. I tedeschi sono stati abbastanza stupidi, Hitler in particolare, per non aver fatto la pace al momento opportuno, come noi abbiamo fatto la pace troppo tardi nel ’18. Noi francesi avremmo dovuto farla nel ’15 o nel ’16. Così i tedeschi si sono accaniti, o piuttosto Hitler s’è accanito in alcune operazioni belliche che determinarono la fine della Germania. E’ tutto qui. Sempre questo principio assurdo della guerra. E’ tutto. In quanto a me, non ho da pentirmi di niente. Non sono mai stato sostenitore di questo o di quello. Ero a favore delle armate tedesche, perché esse mantenevano la pace in Europa, in Francia in particolare, e l’aiutavano a conservare le proprie colonie. Ma è tutto. A meno che non mi si provi il contrario. Vorrei chiederle,… perché lei è finito a Sigmaringen? Per il motivo molto semplice che a Parigi non si chiedeva altro che la mia morte. Non avrei voluto neppure la Corte di giustizia. Sarei stato assassinato nell’Istituto dentario, oppure a Villa Said. Tutto era predisposto. Mi sono salvato, me la sono svignata, perché non volevo essere assassinato; né io, né mia moglie. Sono stato beccato. Bene. Siamo intesi. E’ una inezia. Sono stato sbattuto in prigione lassù, in Danimarca. Ho fatto dieci anni di reclusione. Bene. Ma tutto è così banale… Ecco i piccoli risvolti della storia. Ma, in quel momento, ce li spiegano così male, poiché il mondo è materialista e si domanda: “Ma perché? Se ha fatto così, vuol dire che aveva un interesse”. Ma io non avevo alcun tornaconto. Era solo una vocazione al martirio. Mi sacrificavo per i miei simili… Ma… sicuramente non ne vale la pena,… ho pensato di strapparli alla guerra. E’ un particolare che con loro non è il caso di riepilogare. Per loro è meno comprensibile della quadratura del cerchio… Che ci si getti nella mischia senza un giusto motivo. L’ho fatto a scopo gratuito… Come una donna di piacere. E’ tutto. Allora mi hanno insultato, dicendomi: perché? quale vantaggio?... Ma io non ho dei guadagni. Non ho mai detto: “Per di qua. Sono il capo di un partito”. Non sono un uomo politico. Non sono un attore. Ero, credo, uno scrittore e un medico. Sono uscito da questa mia privacy, per entrare in un’orrenda avventura in cui non ho ricevuto che violenze e atrocità. Questo è tutto. Non cambia niente. In questo momento, coloro che mi bersagliano perché sono questo, sono quello, mi seccano. Non debbo essere questo o quello. Non si chiede a una donna se vuole il biondo, il bruno, il nero, il rosso… Lei dice: “Quello mi piace. Oppure, non mi piace più. E via! E’ un alcoolizzato. E’ un pazzo”. Ne ha ogni diritto. Voglio tralasciare queste questioni che, nonostante tutto, sono prive d’importanza… Si tratta veramente di bassezze umane che un po’ di sabbia cancella. Dunque, è un fatto secondario. Ma forse c’è una cosa che può interessarvi… che, mi dispiace, insisto ancora col mio modesto punto di vista. E’ la posizione delle masse umane, dei territori abitati. E’ chiaro che la Francia era la prima nazione del mondo quando contava venticinque milioni d’abitanti, sotto Luigi XIV; il nostro paese dettava legge al mondo. Quando Luigi XIV era indisposto, tutti tremavano per lui. Ai giorni nostri, la Francia non conta più niente per media di nascite, per numero di abitanti. La Francia conta quaranta milioni, di fronte a dei blocchi che contano alcuni miliardi. Oggi, dunque, si parla di miliardi. Già ai tempi di Hitler… il grosso errore di Hitler, è che egli ha parlato in un momento in cui aveva ottanta milioni di uomini dietro di sé. Ma avrebbe avuto quattrocento milioni di uomini dietro di sé; quindi, avrebbe vinto. E’ chiaro. E’ solo una questione di numero. Se non avete la maggioranza, tacete. In questo momento parliamo in un’Europa piccola, molto piccola. La Francia è diventata le Due-Sèvres senza accorgersene. E’ diventata non più importante del dipartimento della Drome o dell’Ariège. Sì, ma lei sa anche che la potenza di una nazione non si misura solo dal numero dei suoi abitanti. Ah, si misura dalle risorse materiali, che la Francia non ha più. Allora non le resta che tacere. Napoleone, che non era così idiota come lo si vuol far credere, diceva: “La Cina è un gigante che dorme. Quando muoverà il dito mignolo, farà tremare il mondo intero”. Siamo nell’epoca in cui il gigante agita il dito mignolo, e ho il fondato timore ch’egli non faccia tremare il mondo. Ma allora quale futuro vede per il suo paese? Non vedo un avvenire migliore della Danimarca, dell’Olanda, e secondario anche rispetto alla Svizzera, che conserva una sua tradizione in queste circostanze. La Francia, invece, è un paese che continua a parlare, ritengo, come sotto Luigi XVI, anche ora che è ridotta come il dipartimento delle Deux Sèvres. Ma quel che blatera non ha alcuna importanza. Non ha più un’autorità, il che è grave. La Francia trae il proprio potere ora dalla Russia, ora dall’America. Da sola non può definire più niente. La questione di Suez lo dimostra. La Francia non ha più una sovranità. Le è stato tolto il comando. E’ obbligata a prenderlo là dove glielo danno in prestito. E questo non sarebbe accaduto, come ho già detto, se fosse stata unita con la Germania. E’ quel che tentano di fare in questo momento. La Francia europea, essi la creano sulla carta, la sperimentano. Ma la storia non rivede mai i piatti. Gli altri hanno una forza schiacciante in fatto di dinamismo e noi, noi restiamo a dibatterci nelle nostre piccole questioni. Non più importanti delle Deux-Sèvres. Non vedo altro… Si raccontano delle storie… ma no… no… Per quel che la riguarda, come vede il futuro? Una frase del suo libro mi ha spaventato. E’ chiaro che il suo libro è un “romanzo”. Ma alla fine questa parola “romanzo” non mi frena poi tanto, poiché la vicenda appartiene tanto a Céline… vi è talmente una parte di lei in questo romanzo. Ora, proprio alla pagina 35 di Da un castello all’altro, lei pronostica il suo suicidio, e tende anche a precisare: in uno scantinato e mediante una carabina. Questo potrebbe anche accadere, è una questione che esamino con molta calma. E’ un problema di gas, di corrente elettrica, anche di fagioli. Mangio molto poco. Bevo solo acqua. Non fumo. L’ascetismo è una mia condizione naturale. Pertanto, solo Dio sa come ho vissuto la mia esistenza. Ma sono un “voyeur”, non un esibizionista. In fondo, vi sono due razze d’uomini: i guardoni e gli esibizionisti. Sono un “voyeur” che si accontenta di guardare. Non sciupo le cose. Ma, anche consumando molto poco, la vita costa egualmente cara. E, se il costo della vita aumenta, i guadagni non aumentano. Allora, può capitarmi una grave malattia. Alcuni accettano di convivere con una terribile malattia. Io no. Ho molti amici che sono malati di cancro, o di tubercolosi. In quanto a me, troverei più naturale andarmene all’altro mondo. Non mi costerà poi tanto crepare. Me ne andrò, finalmente. Seguirò quelli che sono morti. E’ tutto. Se suicidarsi presuppone,… mica male, del disprezzo per se stesso, dicono, Céline, che lei disistimi gli uomini. Forse che questo disprezzo per gli uomini, se è autentico, si spinge fino all’irrisione di se stesso? Sono stato apostrofato in modo assai più chiaro come “il nemico del genere umano”. È un nuovo modo di trattarmi. Sono l’avversario del genere umano. Sono un fautore del genocidio platonico, verbale. Non sanno più che cosa inventare. Ma non è molto importante. Sono delle infamie umane che un po’ di sabbia cancella. Imito la sorella di Marat. Quel che importa veramente è il conto del droghiere, che è molto gentile, ma che è là, e poi poter cogliere la morte, se possibile indolore. Non mi preme che questo. Insomma, conosco bene i rimedi per farla finita. Vuol dire, con questo, che medita sulla propria morte, che è rassegnato a questa idea? Con assoluta tranquillità. Con la maggiore calma possibile! Io adopero il frasario, la retorica se si vuole, per guadagnarmi la vita e quella di mia moglie. Ma, mio Dio, il giorno in cui le forze mi abbandoneranno completamente, e mi scoprirò incapace di provvedere ai miei bisogni, non sarò il solo ad andarmene. Non è una novità… Quale parola vorrebbe pronunciare, quale frase vorrebbe scrivere prima di sparire? “Sono degli imbecilli”. Ecco quel che penso. Gli uomini in genere sono spaventosamente imbecilli. Sono imbecilli e volgari, ecco che cosa sono. In più meschini e bestiali… ma soprattutto imbecilli e volgari. Lei, invece, ha cercato di mostrarsi piacevole? Oh, non ho bisogno di fornire le prove. Sono figlio d’una riparatrice di antichi merletti. Mi ritrovo una collezione abbastanza rara, la sola cosa che mi resta, e sono tra i pochi uomini che sappia distinguere la tela di batista da quella di Valenciennes, la tela di Valenciennes da quella di Bruges, la tela di Bruges da quella d’Alençon. Me ne intendo di cose di gusto. Molto bene. Non ho bisogno d’essere dirozzato. Ne so abbastanza. E conosco nello stesso modo la bellezza delle donne, come quella degli animali. Molto bene. Sono pratico anche di questo. Ma per essere competente, occorre intendersene veramente. È nel proprio laboratorio intimo che ci si occupa di queste cose. Lo ripeto, trovo che gli uomini sono soprattutto degli imbecilli. E’ questo che ci trovo prima di tutto: Dio, come sono imbecilli! Ecco tutto l’effetto che mi fanno. Soprattutto quando cercano di fare i furbi… E’ peggio ancora. E’ tutto quel che riesco a vedere.
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