Bagatelle per un massacro è, come sappiamo, uno dei testi più controversi di Céline; non mancando mai di suscitare polemiche e reazioni. Il "navigatore di lungo corso" Saverio ci ha inviato una interessante riflessione su Bagatelle, che pubblichiamo con piacere:
Quel rissoso, irascibile, carissimo Louis-Ferdinand Céline
di Saverio Paleni
Personalmente penso che “Bagatelle…” contenga il meglio e il peggio di Céline, essendo questo rappresentato dal rabbioso antisemitismo… Diciamo la verità: la predica antisemita è per la più parte noiosa e prevedibile, lo stile di Céline è latitante, tocca invece sorbirci un pistolotto involontariamente comico, quasi si stesse leggendo un qualsiasi numero della “Torre di Guardia”, lasciato nelle nostre mani da un prolisso e indisponente Testimone di Geova… L’acerrimo spleen céliniano, in grado di desertificare ogni rigogliosa landa nel raggio di dieci chilometri… di essiccare all’istante ogni ingenuo, tenero virgulto di speranza… di annichilire ogni eventuale, residua rosea, ottimistica visione del futuro…
l’invenzione continua… l’imprevedibilità di ogni nuova riga… in breve: la corsa in ottovolante emozionale è in pausa, l’Acre Stil Novo sonnecchia…
La terribile, furibonda, intollerante, intollerabile sferza céliniana si abbatte sugli Ebrei, in modi del tutto simili a quelli che un idiota come Julius Streicher utilizzava su “Der Stürmer”… questo, secondo me, rappresenta la zoppìa del Colosso, il tallone d’Achille che espone il Nostro agli attacchi di un Sartre qualsiasi, felice, quasi incredulo di potersi sbarazzare di un concorrente imbattibile…
Bisogna peraltro notare che l’antisemitismo è uno di tanti temi trattati in “Bagatelle…”, è perciò solo una frazione di queste e una frazione minima della totalità dell’opera di Céline; si tratta di un incidente di percorso, un’ossessione durata qualche anno che gli ha portato rovina, persecuzione, quasi-morte.
In un infernale contrappasso dantesco, all’indomani dello sbarco in Normandia, al Nostro tocca provare, a sua volta, la non simpatica sensazione di esser diventato un untermensch in casa propria, tocca a lui, adesso, fungere da capro espiatorio… quando i massacratori di Pellerossa giudicheranno in modo sommario i massacratori di Ebrei… Brasillach, catturato con l’inganno, verrà fucilato, Drieu La Rochelle corona il sogno di una vita intera suicidandosi; più modestamente il Nostro muove verso la Germania, con adeguato seguito di una unterfrau e di un unterkatze… In seguito la feroce detenzione in Danimarca gli farà provare un trattamento non molto diverso da quello di un deportato ebreo in un lager…
Ma la gran parte di “Bagatelle…” è straordinaria nel portare a compimento il sincopato céliniano. Il ritmo incalzante dell’emozione originaria, senza mediazioni, viene portato sulla pagina, il coinvolgimento è totale, la nuda realtà è resa nitidamente, senza additivi, edulcoranti, eufemismi… lo stesso Céline non ha nessuna difficoltà a degradare sé stesso e la figura, l’importanza, l’ascendente dello Scrittore, raffigurandosi senza remore come uno
sfigato qualsiasi, a volte come un vero stronzo… Céline non impartisce nessuna lezione… non offre facili vie d’uscita dall’orrido impasse del mondo moderno… non consola, non lenisce il sostanziale fallimento, l’insufficienza della condizione umana sul pianeta terrestre… non offre un ideale per vivere… non crede, per conoscenza diretta e per averli a lungo frequentati, all’imminente riscatto degli umiliati, degli oppressi e degli sfruttati… Eppure con l’esempio delle sofferenze patite… con l’attaccamento profondo, animalesco alla vita… con la volontà di scrivere sempre e comunque… la sovrumana determinazione a non lasciar ridurre al silenzio la sua voce… con l’opporre all’aguzzino le sue risorse di base e cioè la tempra d’acciaio del corazziere Destouches, eroe decorato della Prima Guerra Mondiale e l’impressionante macchina d’acciaio che gira di continuo nel suo cervello e che sforna idee, parole e frasi a getto continuo… con tutto questo Céline diventa paradossalmente un punto di riferimento positivo e una rocciosa fonte di ispirazione per il lettore accorto… che può apprezzare la vita così com’è, qui ed ora, provando comunque a fare meglio che può, riconoscendo il significato invisibile che si condensa nella somma di tante piccole azioni quotidiane, ben fatte, ma che sembrano inutili, prive di significato in sé, nel loro succedersi… “Bagatelle…” rappresenta un banco di prova per l’ardito lettore, che deve (dovrebbe) andare oltre i fuochi d’artificio degli aspetti porno, gore e osceni, oltre il turpiloquio, l’insulto, la volgarità per interrogarsi su tolleranza, moralismo, educazione, ipocrisia, buonismo, politicamente corretto, razzismo, antisemitismo; affrontare onestamente, analizzare, provare a capire l’aggressione céliniana, può portare ad una più profonda conoscenza di sé, in pratica a fare un passo avanti nel trovare sé stessi, unico sensato obiettivo che Céline indicava come raggiungibile “tra la morte e l’esistenza”… In pratica i potenziali benefici superano di gran lunga quelli ottenibili da un ciclo di psicoanalisi della durata di cinque anni…
Io trovo eccezionali i tre balletti, che non vanno secondo me snobbati come divertissement poco importanti: Céline abbandona la narrazione in prima persona, si astrae dalle cure della vita di tutti i giorni, dall’urticante complicazione del mondo reale, dal tormentante fastidio estetico del mondo esterno, e descrive in modo più rilassato e affettuoso tre frammenti del mondo che sta nella sua testa: un mondo semplificato e migliore, il mondo in cui gli sarebbe stato più lieve vivere. Non si tratta comunque di stupido idillio: la vecchia Karalik, il Fulmicoach, Van Bagaden sono messi lì a ricordarci che anche in questi luoghi, sullo sfondo, si agitano i demoni céliniani, ma non sono preponderanti, non così opprimenti: piccoli disturbi, malumori che svaniscono con un’alzata di spalle…
La brutale onestà, al limite dell’autolesionismo, è uno dei motivi della grandezza del Colosso: ha scritto l’inscrivibile, detto l’indicibile, ampliato di cinque volte la gamma espressiva della lingua scritta, includendo tutte le cose che normalmente si tacciono o si ignorano: il momento della bestemmia, dell’incazzatura feroce, dell’invettiva-con-schiumaalla-bocca, capita a tutti, si tratta solo di essere abbastanza adulti da ammetterlo… Eppure nella pagina scritta si tende a evirare, sterilizzare, neutralizzare tutto per giungere a un risultato come “l’indomani erano entrambi invitati al ricevimento della duchessa”…
Céline dà fuori di matto, cerca di scuotere l’inerzia, prova a introdurre qualche elemento di verità nella rivoltante melassa che costituisce il 98% della lingua scritta, assumendo così la preziosa e ormai scomparsa funzione di giullare di corte… egli è l’unico che può dire la verità al Re, gli ricorda che l’uomo di potere è tale perché assomma in sé le frazioni di potere che i suoi sottoposti rinunciano ad esercitare… Per questo privilegio il giullare vive ai margini dalla società, verrà sepolto in terreno sconsacrato, al di fuori della cinta muraria…
Nella foto riprodotta nella quarta di copertina del “Viaggio al temine della notte” Céline appare alla fine del viaggio, una figura ancora potente, stoica… duramente colpito dalla vita ma presente e lucido, non ancora sconfitto… in una posa che sembra ideata per un monumento che non verrà mai eretto… sembra un veggente che indica sicuro il corso futuro delle cose del mondo, per lui chiare, evidenti… una preziosa risorsa per gli uomini, se solo qualcuno volesse ascoltarlo…
Céline è un moderno Ulisse, ha viaggiato in tutto il mondo… ha conosciuto tutti, visto tutto, ascoltato tutto, annusato tutto, provato tutto… per concludere che nulla in fondo importa, per inchiodarsi con la sua piccola cerchia ai margini di Parigi, ai margini della Letteratura, ai margini dell’esistenza…
Da:
“È cominciata così. Io, avevo mai detto niente. Niente.”
A:
“Reims… Èpernay… di quelle profondità spumose che più niente esiste…”
Da un “niente” iniziale ad un “niente” terminale ha realizzato la sua Terrena Commedia, un’opera monumentale di fatto ma non pomposa né solenne né alla moda, che lo colloca nella classe di un Alighieri o di uno Shakespeare…
“Bastano in fondo queste tre parole che si ripetono: il tempo passa… bastano per tutto… Nulla sfugge al tempo… solo piccoli echi… sempre più sordi… sempre più rari… Che importanza hanno?…
(…)
E poi ecco…
Piano piano, diventeranno tutti fantasmi… e tutti… e tutti… e Yubelblat e Borokrom… e la Nonna… e Natalia, proprio come Elisabetta… l’altra Imperatrice…
(…)
come le mie scarpe al Mont-Boron… Tutto diventerà fantasma… huhu!… huhuhu!… Li si vedrà sulle lande… E sarà meglio per loro… Saranno più felici, molto più felici, nel vento… nelle pieghe dell’ombra… vhuhuhu… vhuhuhu… ballando in tondo… Non voglio più andare in nessun posto… Le navi sono piene di fantasmi… verso l’Irlanda… o verso la Russia… Diffido dei fantasmi… Sono dappertutto… Non voglio più viaggiare… è troppo pericoloso… Voglio restare qui per vedere… vedere tutto… Voglio diventare fantasma qui, nel mio bu-co… nella mia tana… A tutti loro farò… Uh! bu!… Uh!… bu!… Creperanno di paura… Mi hanno rotto abbastanza quand’ero vivo… Sarà il mio turno…”
Alla fine, quello che rimane… il potere delle parole, probabilmente insuperate… Dopo settantadue anni… emozione, meraviglia, commozione… lustre, nuove, fresche di giornata…
Louis-Ferdinand Céline, beato-dannato, AltoParlante, Macchina Per Scrivere, non è esistito invano…
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