Alla scoperta di Céline: storia di Bagatelle per un massacro
Lo scrittore maledetto si è portato addosso per tutta la vita il marchio dell’antisemitismo più rabbioso. Ma Riccardo De Benedetti cerca di interrompere il cortocircuito intellettuale
Louis-Ferdinand Céline (1894-1961), lo scrittore maledetto, il medico-scrittore che si è portato addosso per tutta la vita il marchio dell’antisemitismo più rabbioso. E di tutti i libri di Céline quello che più ha contribuito a creare la sua leggenda nera: Bagatelle per un massacro (1937), uno dei testi con la storia editorale più tormentata del Novecento.
Ingrandisci immagineOvvero un libro che si legge poco e di cui si parla molto, riducendolo unicamente a icona dell’odio razziale. Ecco il cortocircuito intellettuale che cerca di interrompere il saggio di Riccardo De Benedetti Céline e il caso delle “Bagatelle” (Medusa, pagg. 162, euro 14).De Benedetti, abituato ad occuparsi di autori scomodi e della loro influenza culturale (basti pensare al suo La chiesa di Sade del 2008), in questo caso ricostruisce nel dettaglio le vicende editoriali del volume ponendo grande attenzione all’edizione italiana Guanda del 1981 che venne rapidissimamente ritirata. Ed ecco che subito si sfata una leggenda da salotto. La censura ebbe ben poco a che fare con la scomparsa del pamphlet dagli scaffali. L’abbozzo di dibattito sull’antisemitismo, e qualche sdegno contro l’autore contò molto meno della questione dei diritti. La vedova di Céline, Lucette Destouches, si oppose allora come si oppone adesso alla ristampa dell’opera. La signora sostiene sia la volontà del defunto marito, che in effetti subito dopo la guerra decise di tenere questo virulento libello (che con L’École des cadavres e Les Beaux Draps forma una sorta di trilogia) ben lontano dai torchi. Ecco perché gli editori, consci che il libello proprio per il suo profumo sulfureo è alla fine assai appetibile, sono appostati in attesa che scadano i diritti. Quanto al dibattito che si scatenò in Italia nel 1981, De Benedetti segnala tra i tanti che si spesero nell’eterno minuetto del «sì è letteratura», «no è spazzatura ideologica» (Moravia la pensava così) un articolo di Bernard-Henry Lévy che venne pubblicato sull’Espresso. Ecco cosa scriveva il filosofo d’oltralpe: «È “sociale” come nessuno, questo filantropo confesso che ora propone... la “nazionalizzazione” del credito, delle assicurazioni, dell’industria. Sì, bisogna forse lasciargli un posto al dolce sole del progressismo. Perché Céline il mascalzone, Céline il razzista, Céline il collaborazionista rivendica, piaccia o non piaccia, la sua parte nella fondazione del socialismo alla “Francese”». Insomma, un bel ribaltamento che nessuno ha approfondito.Ma questo è solo uno degli esempi dei tanti modi di guardare a Céline che la damnatio memoriae e le beghe editoriali hanno fatto finire in un cantuccio, fuori dai riflettori dell’odio. Tra i tanti che De Benedetti enumera, basti ricordare tutti i sospetti del fascismo verso Bagattelle per un massacro (allora il titolo veniva scritto così) nella prima edizione italiana fatta da Corbaccio nel 1938. Non piaceva che il suo razzismo fosse così poco scientifico.
Ingrandisci immagineOvvero un libro che si legge poco e di cui si parla molto, riducendolo unicamente a icona dell’odio razziale. Ecco il cortocircuito intellettuale che cerca di interrompere il saggio di Riccardo De Benedetti Céline e il caso delle “Bagatelle” (Medusa, pagg. 162, euro 14).De Benedetti, abituato ad occuparsi di autori scomodi e della loro influenza culturale (basti pensare al suo La chiesa di Sade del 2008), in questo caso ricostruisce nel dettaglio le vicende editoriali del volume ponendo grande attenzione all’edizione italiana Guanda del 1981 che venne rapidissimamente ritirata. Ed ecco che subito si sfata una leggenda da salotto. La censura ebbe ben poco a che fare con la scomparsa del pamphlet dagli scaffali. L’abbozzo di dibattito sull’antisemitismo, e qualche sdegno contro l’autore contò molto meno della questione dei diritti. La vedova di Céline, Lucette Destouches, si oppose allora come si oppone adesso alla ristampa dell’opera. La signora sostiene sia la volontà del defunto marito, che in effetti subito dopo la guerra decise di tenere questo virulento libello (che con L’École des cadavres e Les Beaux Draps forma una sorta di trilogia) ben lontano dai torchi. Ecco perché gli editori, consci che il libello proprio per il suo profumo sulfureo è alla fine assai appetibile, sono appostati in attesa che scadano i diritti. Quanto al dibattito che si scatenò in Italia nel 1981, De Benedetti segnala tra i tanti che si spesero nell’eterno minuetto del «sì è letteratura», «no è spazzatura ideologica» (Moravia la pensava così) un articolo di Bernard-Henry Lévy che venne pubblicato sull’Espresso. Ecco cosa scriveva il filosofo d’oltralpe: «È “sociale” come nessuno, questo filantropo confesso che ora propone... la “nazionalizzazione” del credito, delle assicurazioni, dell’industria. Sì, bisogna forse lasciargli un posto al dolce sole del progressismo. Perché Céline il mascalzone, Céline il razzista, Céline il collaborazionista rivendica, piaccia o non piaccia, la sua parte nella fondazione del socialismo alla “Francese”». Insomma, un bel ribaltamento che nessuno ha approfondito.Ma questo è solo uno degli esempi dei tanti modi di guardare a Céline che la damnatio memoriae e le beghe editoriali hanno fatto finire in un cantuccio, fuori dai riflettori dell’odio. Tra i tanti che De Benedetti enumera, basti ricordare tutti i sospetti del fascismo verso Bagattelle per un massacro (allora il titolo veniva scritto così) nella prima edizione italiana fatta da Corbaccio nel 1938. Non piaceva che il suo razzismo fosse così poco scientifico.
14 commenti:
mi fa piacere che da più parti si cominci a considerare LFC uno solo,senza divisioni strumentali tra il biono e il cattivo,un must di tanta critica ancora oggi in auge.
Dopo aver letto il libro di De Benedetti possiamo dire come Céline: “siamo in pieno fascismo ebreo”? Ha divagato un pochettino ma ora torniamo bomba! È vero o non è vero che gli ebrei non restano mai con le mani in mano? Eccolo, con quel cognome pavoneggiarsi sulle ceneri di un autore che non conosce... Si vede e si sente che ha letto solo Bagatelle perché gli conveniva. Ha massacrato Céline, lo ha ridotto alle Bagatelle e lo spaccia come scrittore di un solo libro. Un’operazione indegna e sottilmente mistificatoria.
Mah, qua c'è la rece di Sergio Luzzatto
Riccardo De Benedetti ricostruisce la presenza (e poi la sparizione dalle librerie) del testo violentemente antisemita del controverso scrittore. E riapre la questione sull'autore
«Gli italiani sono sempre stati i migliori, con mio marito!»: questo – correva l'anno 1995 – il parere informato di Lucette Almanzor, vedova Destouches. La vedova di Céline. L'ex ballerina e maestra di danza allora ultraottantenne e oggi quasi centenaria che nello sfacelo di una villetta della periferia parigina, a Meudon, fra un brulicare di animali domestici e l'incombere delle case popolari, aveva nuovamente aperto la porta – come già quarant'anni prima, vivente il marito – a un italiano viaggiatore di professione, l'Alberto Arbasino di Parigi o cara.
Céline e l'Italia: una questione da riaprire. Approfittando dell'uscita imminente, per le edizioni Medusa, di un saggio scritto da Riccardo De Benedetti e dedicato al più scabroso fra gli scabrosissimi testi di Céline, Bagatelles pour un massacre: il pamphlet «abominevolmente antisemita» (così lo definiva Céline stesso) pubblicato da Denoël nel dicembre 1937 e sollecitamente tradotto in italiano nell'aprile 1938, con appena pochi mesi d'anticipo sulla promulgazione delle nostre «leggi razziali».
Il libro di De Benedetti vale a sottolineare il paradosso di una divisione persistente e incongrua, ma forzosa e inaggirabile, tra due Céline. Da una parte il Céline editorialmente coltivato e letterariamente venerato del Viaggio al termine della notte, di Morte a credito, di Rigodon, quello che contende a Proust la palma di massimo scrittore francese del ventesimo secolo. Dall'altra parte il Céline ideologicamente maledetto e legalmente interdetto delle bagatelle, quello che circola qua o là in versioni clandestine stampate in Paraguay, che percorre sul web le autostrade dell'odio, e che in Italia si può comprare fermo posta grazie a un marchio – la Libreria Ar – di trasparente ispirazione neonazista.
Fa comodo a molti questa divisione fra i due Céline: a cominciare dagli editori di letteratura "alta", che possono passare all'incasso con l'arte dello scrittore senza sporcarsi le mani con l'abominio del pamphlettista. Culturalmente parlando, è una divisione che non regge: il Céline maggiore – il Céline degli anni Trenta – fu un tutt'uno, ed è assurdo farlo a fette. Ma giuridicamente parlando, non c'è nulla da fare: depositaria dei diritti sull'opera del marito, Lucette Destouches ha finora vietato qualunque ripresa editoriale dei testi antisemiti, e tutto lascia prevedere che il divieto sarà compreso, dopo la morte della vedova, fra le clausole trasmesse all'esecutore testamentario. Dunque, si dovrà forse attendere il 2031 (l'anno in cui l'intera opera di Céline diventerà di dominio pubblico) per leggere le bagatelle senza farsi complici di una pirateria.
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Mah, qua c'è la rece di Sergio Luzzatto
Riccardo De Benedetti ricostruisce la presenza (e poi la sparizione dalle librerie) del testo violentemente antisemita del controverso scrittore. E riapre la questione sull'autore
«Gli italiani sono sempre stati i migliori, con mio marito!»: questo – correva l'anno 1995 – il parere informato di Lucette Almanzor, vedova Destouches. La vedova di Céline. L'ex ballerina e maestra di danza allora ultraottantenne e oggi quasi centenaria che nello sfacelo di una villetta della periferia parigina, a Meudon, fra un brulicare di animali domestici e l'incombere delle case popolari, aveva nuovamente aperto la porta – come già quarant'anni prima, vivente il marito – a un italiano viaggiatore di professione, l'Alberto Arbasino di Parigi o cara.
Céline e l'Italia: una questione da riaprire. Approfittando dell'uscita imminente, per le edizioni Medusa, di un saggio scritto da Riccardo De Benedetti e dedicato al più scabroso fra gli scabrosissimi testi di Céline, Bagatelles pour un massacre: il pamphlet «abominevolmente antisemita» (così lo definiva Céline stesso) pubblicato da Denoël nel dicembre 1937 e sollecitamente tradotto in italiano nell'aprile 1938, con appena pochi mesi d'anticipo sulla promulgazione delle nostre «leggi razziali».
Il libro di De Benedetti vale a sottolineare il paradosso di una divisione persistente e incongrua, ma forzosa e inaggirabile, tra due Céline. Da una parte il Céline editorialmente coltivato e letterariamente venerato del Viaggio al termine della notte, di Morte a credito, di Rigodon, quello che contende a Proust la palma di massimo scrittore francese del ventesimo secolo. Dall'altra parte il Céline ideologicamente maledetto e legalmente interdetto delle bagatelle, quello che circola qua o là in versioni clandestine stampate in Paraguay, che percorre sul web le autostrade dell'odio, e che in Italia si può comprare fermo posta grazie a un marchio – la Libreria Ar – di trasparente ispirazione neonazista.
Fa comodo a molti questa divisione fra i due Céline: a cominciare dagli editori di letteratura "alta", che possono passare all'incasso con l'arte dello scrittore senza sporcarsi le mani con l'abominio del pamphlettista. Culturalmente parlando, è una divisione che non regge: il Céline maggiore – il Céline degli anni Trenta – fu un tutt'uno, ed è assurdo farlo a fette. Ma giuridicamente parlando, non c'è nulla da fare: depositaria dei diritti sull'opera del marito, Lucette Destouches ha finora vietato qualunque ripresa editoriale dei testi antisemiti, e tutto lascia prevedere che il divieto sarà compreso, dopo la morte della vedova, fra le clausole trasmesse all'esecutore testamentario. Dunque, si dovrà forse attendere il 2031 (l'anno in cui l'intera opera di Céline diventerà di dominio pubblico) per leggere le bagatelle senza farsi complici di una pirateria.
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Per misurare quanto sia incongrua la divisione fra i due Céline, è sufficiente aprire la raccolta di Lettere recentemente pubblicata da Gallimard nella collana della Pléiade. Lì, il Céline-tutt'uno degli anni Trenta non è stato colpito da interdetto: nella sua corrispondenza lavorativa come in quella privata, l'arte dello scrittore e l'abominio del pamphlettista convivono fianco a fianco, senza distinguo di comodo fra il narratore geniale e il pornografo razzista. Ma per misurare quanto sia incongrua la divisione fra i due Céline riesce utile prendere le mosse anche dal saggio di De Benedetti. In particolare, dalle sue pagine sopra la prima traduzione italiana delle bagatelle per un massacro, pubblicata nel 1938 dall'editore milanese Corbaccio.
Confrontando l'originale francese e la versione italiana, De Benedetti sottolinea come quest'ultima uscì emendata (resta da sapere se per iniziativa personale del traduttore, o dietro esplicita richiesta dell'editore, o per l'intervento esterno di un'autorità fascista). In pratica, rispetto alle Bagatelles francesi, le bagatelle italiane finivano per temperare l'antisemitismo di Céline: ne tagliavano le punte più aguzze, sia in quanto a volgarità escrementizie o sessuali, sia in quanto ad allusioni ideologiche o politiche. «Tutte le fighette, Ferdinand, tutte vogliono sbattersi i giudei»; «Siamo in pieno fascismo ebreo»; «La politica del Vaticano è sempre a favore della giudaglia»: ecco tre esempi di tagli operati sulla versione italiana rispetto all'originale francese.
Curiosamente, De Benedetti rinuncia a interrogarsi sulla figura di quell'Alex Alexis che il frontespizio dell'edizione Corbaccio indicava come autore della traduzione. «Con ogni probabilità uno pseudonimo», De Benedetti si limita a ipotizzare. Né si preoccupa di aggiungere che il medesimo pseudonimo aveva figurato cinque anni prima sul frontespizio della traduzione italiana dell'opera prima di Céline: il Voyage au bout de la nuit, che nel 1932 aveva rivelato immenso il talento del medico-scrittore Destouches. Così, De Benedetti perde l'occasione per notare come già il primo libro di Céline fosse stato abbondantemente emendato nell'edizione Corbaccio. Non già per temperare un eccesso di antisemitismo, assente nel Voyage, quanto per occultare – anche in quel caso – le volgarità più esplicite e i riferimenti sessuali più spinti.
Censure a parte, domandarsi chi si nascondesse dietro lo pseudonimo di Alex Alexis vale a ritrovare l'essenziale: il contesto culturale che rese possibile anche nell'Italia di Mussolini una ricezione immediata di Céline, il quale pure – per anni ancora dopo il 1932 – poteva ben sembrare, nella sua durissima critica della guerra, del colonialismo, del fordismo, scrittore «di sinistra». Alex Alexis era il nom de plume di tale Luigi Alessio, un trentenne piemontese emigrato a Parigi che la polizia segreta del Duce, sempre a caccia di cospirazioni da smascherare, considerava vicino agli ambienti di Giustizia e Libertà, ma che più banalmente cercava di sbarcare il lunario secondo la vecchia tradizione della bohème letteraria: attraverso collaborazioni editoriali pagate un tanto alla pagina.
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La bohème è di destra o di sinistra? In realtà, l'internazionale bohémienne della Parigi anni Trenta – un sottobosco poligrafico di immigrati italiani, russi, ebrei tedeschi, spagnoli, ungheresi – condivideva passioni più che idee e pulsioni più che progetti. Non tutti potevano essere, né erano, Carlo Rosselli o Walter Benjamin. I precari della penna di cui Alex Alexis faceva parte somigliavano piuttosto a Ferdinand Bardamu, l'eroe autobiografico di Céline: vivevano meno di valori politici che di espedienti quotidiani, meno di speranza nel riscatto che di vertigine della negazione. Viaggio al termine della notte li rappresentava pienamente, ma in un senso che nulla aveva di fascista. Tanto è vero che l'arbitra del gusto nell'Italia mussoliniana, Margherita Sarfatti, non aveva atteso la traduzione del Corbaccio per denunciare nel primo libro di Céline la nichilistica quintessenza del non-fascismo.
Insomma, chi segua il filo di Alex Alexis e del Céline uno e indivisibile degli anni Trenta si ritrova in un mondo ni droite ni gauche assai più complicato di quanto non si vorrebbe oggi vederlo alla luce del politicamente corretto. È il mondo stesso delle edizioni Corbaccio, dove un imprenditore coraggioso come Enrico Dall'Oglio e un editor sensibile come Gian Dàuli pubblicavano Arthur Schnitzler, Thoman Mann, Jakob Wassermann, Stefan Zweig, Alfred Döblin, Italo Svevo, insieme con il Lion Feuchtwanger di Süss l'ebreo e con il Céline del Viaggio e poi delle bagatelle per un massacro. Fino al paradosso editoriale e politico della primavera 1938, quando proprio il Corbaccio entrò nel mirino della «bonifica libraria» di regime per una sovrabbondanza in catalogo di autori di «razza ebraica», ma il medesimo Corbaccio pubblicò il pamphlet abominevolmente antisemita di Céline tradotto da Alex Alexis.
Traduttor non porta pena: sette anni dopo – nell'Europa del 1945 liberata dal nazifascismo – Luigi Alessio sarebbe riuscito ancora a vivacchiare dentro la bohème letteraria di Milano, stampando sotto pseudonimo libri da bancarella sul Mussolini di piazzale Loreto e sulle gambe di Claretta Petacci; mentre l'autore delle Bagatelles avrebbe dovuto percorrere fin dentro il marcio di Danimarca un terribile cammino di espiazione senza redenzione.
da Il Sole 24 ore
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Mi lascia perplesso per esempio che De Benedetti non conoscesse chi si celasse dietro lo pseudonimo Alexis; tra l'altro De Benedetti mi contattò telefonicamente questa estate chiedendomi se potevo inviargli le scan dell'intro del Bagatelle di Aurora (che quindi non aveva per l'appunto ancora consultato - non riuscii poi a mandargli le scan, e gli chiedo scusa, ma in quel periodo stavo veramente facendo mille cose...). Non ho ancora letto il suo libro, ma mi sembra che vista la circostanza di Alexis, l'autore non sia esattamente uno specialista di Céline, poi, chissà...
Andrea
Ciao Andrea, grazie per l'attenzione. No, non sono uno specialista dei traduttori di Céline. Alex Alexis nell'economia del mio discorso ha un peso molto relativo. È una nota. Mi sono interessato e ho cercato di ricostruire il senso di quella che credevo fosse una censura e invece si è rivelata nel corso della mia ricerca un'abile e ancipite operazione editorial culturale. Dal mio punto di vista che non è quello dello specialista mi stava a cuore indicare lo strano modo che la nostra cultura ha di affrontare i testi scomodi, a torto o a ragione considerati promotori di violenze e dolori. Luzzatto, se proprio la devo dir tutta, ha fornito il lettore ipotetico del mio libro di ulteriori informazioni senza però riservare molta attenzione a quel che ho scritto... Nulla ha poi detto dell'ultimo traduttore, quel Giancarlo Pontiggia, che mi ha permesso e a permesso ai pochi lettori di quegli anni di assaporare una scrittura dolorosamente abietta eppure maledettamente efficace. Su questi temi mi piacerebbe che i lettori céliniani, che so di rara attenzione, esprimessero il loro informato parere.
Caro Riccardo, grazie per l'intervento; se vuoi inviarci qualche estratto del libro faremo volentieri un post apposito. Ciao, Andrea
Dove lo devo inviare?
Segnalo la risposta di Sergio Luzzatto a un lettore nella rubrica “Fermo posta” di oggi del Sole24Ore. Al centro la questione dei due Céline, grande scrittore e/o polemista antisemita. Continuo però a registrare il sostanziale disinteresse riguardo le tesi del mio libro che ha per oggetto l’interdizione di un testo. Mi chiedo: in virtù di cosa e in base a quali considerazioni un libro non si può leggere... pur continuando a darne per scontata la conoscenza? Con tutta la perizia storica e l’acribia che a Luzzatto va riconosciuta, questo punto non riesce ad attirare la sua attenzione. Tra le altre nel libro pongo questa domanda: “Viene prima il testo dell’orrore o l’orrore medesimo? Per la sua realizzazione occorre necessariamente un pre-testo, un testo che ne scateni l’occasione alla prima opportunità politica? E a quale ordine appartiene questa presunta necessità, ammesso che se ne possa parlare in questi termini? Non possiamo, credo, utilizzare la nozione, di carattere eminentemente pubblicistico, di clima culturale. Incarnazioni e forze storiche come il nazismo e il fascismo non possono essere ascritte all’influenza procurata da libri”. Perché quindi proibirlo? Le mie pagine non si sono limitate a documentare le motivazioni utilizzate dagli eredi di Céline per giustificare la proibizione di rieditare “Bagatelle”, ma l’effetto che questa proibizione produce sulla lettura di questo straordinario scrittore.
Ne parla entrando finalmente nel merito Valter Binaghi: http://valterbinaghi.wordpress.com/2011/11/13/bagatelle-o-dellimmondo-in-letteratura/
Ciao Riccardo, mandami pure gli estratti a ars_italia@hotmail.com
Grazie,
Andrea
per edizioni clandestine uscirà ad ottobre una traduzione di bagatelle. non so se si tratta di una nuova traduzione o della ripresa di una vecchia, qualcuno sa qualche notizia in più? (https://www.edizioniclandestine.com/calendario-uscite/)
Boh, mi sembra un classico ripescaggio. Cmq in tal caso c'è già quella (orrenda) di Omnia Veritas, da pdf online, a sua volta basato su quella "Aurora", che ai tagli della Corbaccio 1938 aggiungeva alcuni interventi apocrifi.
AL
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