martedì 14 luglio 2020

"Mai ne ho visto e ne vedrò così tanto di orrore", le lettere dal fronte occidentale di Céline ai genitori



Céline fu un uomo dalle molte vite: direttore di piantagioni, membro di una commissione sanitaria della Società delle Nazioni, medico di periferia, scrittore, bohémien, infine “collaborazionista” e reprobo. Ma la prima vita, che lo segnò indelebilmente, fu quella vissuta dal giovane Maresciallo d’alloggio del 12° Corazzieri Louis Destouches, scagliato con il suo cavallo nell’inferno delle battaglie della Marna e delle Fiandre, nella Prima guerra mondiale.

Louis Destouches si arruola il 28 settembre 1912, con ferma triennale, nel 12° Régiment Cuirassiers di stanza a Rambouillet, nel dipartimento degli Yvelines (Île-de- France). Era un’unità scelta, con una lunga tradizione militare risalente al 1668: creata da Luigi XIV per suo figlio quale Régiment “Dauphin-Cavallerie”, assunse il suo nome definitivo nel 1791, dopo la Rivoluzione francese. Il reparto si distinse in numerose battaglie: dalle campagne del Re Sole alle guerre della Rivoluzione, subordinato all’Armata del Reno; da Austerlitz, Jena e Waterloo a Solferino, alla disastrosa guerra franco-prussiana del 1870-’71. I primi tempi del servizio ben difficilmente poterono ricordare al giovane Louis le antiche glorie, preso – come doveva essere, da buona recluta – a spalar letame, strigliare il pelo dei cavalli e centellinare i pochi spiccioli della diaria, vessato dalla disciplina di ferro dei sottufficiali in carriera, come ricorda lui stesso in Casse-Pipe! Dopo un anno da militare di truppa, è promosso Brigadiere il 5 agosto 1913, e quindi Maresciallo d’alloggio il 5 maggio 1914.

Il 31 luglio, a Saint-Germain, il Reggimento è mobilitato e il 2 agosto si assembra nella regione a sud di Commercy. Louis accoglierà la notizia della guerra con lo stesso entusiasmo patriottico di milioni di giovani in tutta Europa, come testimoniato da questa lettera ai genitori, scritta poco prima della partenza per il fronte, tanto diversa da Viaggio al termine della notte per stile e spirito: «Cari genitori, l’ordine di mobilitazione è arrivato, partiamo domani mattina alle 9 e 12 per Étain, nelle pianure della Voevre; non credo entreremo in azione prima di qualche giorno. […] È una sensazione unica che pochi possono vantarsi di aver provato. […] Ognuno è al suo posto, sicuro e tranquillo, tuttavia l’eccitazione dei primi momenti ha lasciato il posto a un silenzio di morte che è il segno di una brusca sorpresa. Quanto a me, farò il mio dovere sino in fondo, e se per fatalità non dovessi tornare… siate sicuri, per attenuare la vostra sofferenza, che muoio contento, ringraziandovi dal profondo del cuore. Vostro figlio».

Il 12°, parte della 7a Divisione di Cavalleria, al comando del Colonnello Blacque-Belair condurrà numerose ricognizioni tra la Wöevre, la Mosa e le Argonne nell’agosto e nel settembre 1914: il terreno dove opererà, boscoso, con campi cintati da muretti a secco tagliati da fossi e canali, è inadatto all’impiego della cavalleria, men che meno quella pesante. La guerra del ’14 inizia a mostrarsi per quello che è: nessuna eroica carica di cavalieri, ma un cieco tritacarne. Le lettere che Louis scriverà a casa saranno di un tono ben differente; l’assurdità della guerra inizia a farsi sentire: «La lotta s’impegna formidabile mai ne ho visto e ne vedrò così tanto di orrore camminiamo in questo spettacolo quasi incoscienti per l’assuefazione al pericolo e soprattutto per la fatica schiacciante che subiamo da un mese davanti alla coscienza si para una specie di velo dormiamo appena tre ore per notte e marciamo quasi come automi mossi dalla volontà istintiva di vincere o morire nessuna nuova sul campo di battaglia quasi sulla stessa linea del fuoco da tre giorni i morti sono rimpiazzati continuamente dai vivi a tal punto che formano dei monticelli che bruciamo e in certi punti si può attraversare la Mosa a piè fermo sui corpi tedeschi di quelli che tentano di passare e che la nostra artiglieria inghiotte senza posa. La battaglia dà l’impressione di una vasta fornace dove s’inghiottono le forze vive delle due nazioni e dove la più rifornita delle due sarà la vincitrice».

A ottobre il Reggimento è inviato nelle Fiandre, partecipando a duri combattimenti assieme ad alcune unità di fanteria nel settore tra Ypres e Poelkapelle; il 25 ottobre, una domenica, quest’ultima località è battuta incessantemente dell’artiglieria e dalle mitragliatrici tedesche, tanto che sembra impossibile garantire con le staffette le comunicazioni tra il 125° e il 66° Reggimento di fanteria, che cercano di strappare Poelkapelle al nemico. È qui che il Maresciallo d’alloggio Destouches si fa avanti, offrendosi volontario per una missione quasi suicida. Louis riesce a condurre a termine il pericoloso compito, ma al ritorno, verso le sei, è ferito gravemente al braccio destro. Dopo essersi ricongiunto alla sua unità, data la mancanza di posti nelle ambulanze o nelle tende-ospedale per il gran numero di feriti e moribondi, deve raggiungere a piedi, camminando per sette chilometri, un ospedale da campo presso Ypres. Da lì è evacuato a Hazebrouck, dove viene operata la sua frattura al braccio. Successivamente, è ricoverato in degenza all’ospedale militare Val-de-Grâce a Parigi, dove subisce un secondo intervento chirurgico il 19 gennaio 1915. Dichiarato inabile al servizio per la ferita, viene riformato il 2 settembre 1915: così finisce il servizio attivo nell’Armée di Louis Destouches.

Per l’eroismo dimostrato sul campo viene citato all’ordine del giorno del Reggimento il 29 ottobre 1914, insignito della Medaglia Militare il 24 novembre e della Croce di Guerra con Stella d’Argento. «L’Illustré National» (n. 52, novembre 1915) dedicherà al fatto d’arme che lo vide protagonista una tavola a colori a tutta pagina in quarta di copertina: Céline la mostrerà sempre con orgoglio nell’eremo di Meudon, tanti anni e tante vite più tardi.

Andrea Lombardi

*

Addì 15 settembre [1914]
[In una calligrafia diversa:]
Ricevuta il 18 settembre 1914

Cari Genitori,

ho ricevuto da Nantes tre delle vostre lettere. Non ci fermiamo da cinque giorni e così non ho potuto scrivervi. Il convoglio è stato sotto il fuoco quindici minuti, fortunatamente senza danni. La fatica e il cattivo tempo cominciano a far danni tra gli uomini e i cavalli, c’è già il 35% d’evacuati; a Rambouillet ci sono però due squadroni di Riservisti intatti, che non si sono mai mossi. A proposito, vorrei che papà andasse a Rambouillet per cercare di salvare le mie cose dallo sgombero, in particolare il mio abbigliamento, perché se tornassi non saprei cosa mettermi. Ciò che vedo è indescrivibile. Ieri, in particolare, ho visto sul bordo della strada i cadaveri di tre fanti che sono stati allievi d’ordinanza del 12° C[orazzier]i quando sono stato nominato sottufficiale. Ci sono villaggi a cui non ci si può avvicinare, tanto violento è l’odore che vi esce, non c’è un pozzo in cui non ci sia un cadavere.

Questa mattina siamo entrati per la prima volta in una città, Verdun, dopo quarantotto giorni passati negli avamposti. La gente usciva per assistere allo spettacolo poco banale d’una divisione che bivacca da trentadue giorni senza sosta e che ha viaggiato per più di tremila chilometri dalla sua partenza.

Mi auguro e ci auguriamo tutti di vedere presto la fine di quest’orrendo massacro, dove la vita umana non pesa molto nella grande bilancia. Fortunatamente, la stanchezza t’impedisce di pensare a tutti questi orrori con grande intensità; si va sempre avanti con una specie di casco sul cervello, non dormiamo mai più di due o tre ore, i dorsi dei cavalli sono così malandati che l’odore che si sparge è insopportabile quando si tolgono le coperte. Ma non è nulla, dato che riprendiamo l’offensiva, anche se si dovesse sopportare venti volte di più; ad averci ucciso è la lunga ritirata di fronte a questa marea selvaggia e soprattutto lungo la strada, di notte, le decine di villaggi che illuminavano l’orizzonte, villaggi che avevamo occupato il giorno prima e che altri avrebbero bruciato l’indomani, visto che fuggivamo davanti a loro.

Vorrei che tu facessi due o tre cose:

1. La mia tunica a Rambouillet.

2. Vedere la sig.ra Roux e ringraziarla.

3. Vedere il sig. o la sig.ra Lacloche, 29 rue Octave Feuillet, e avere notizie.

Inoltre, inviare un maglione per pacco postale – si può, anche due paia di calze, e poi dalle vostre lettere si sente un terribile nervosismo, è comprensibile, ma vi scongiuro di avere coraggio, ce ne vuole molto, anzi moltissimo, soprattutto per lottare contro il sonno, anche se sembra stupido, è una sofferenza più terribile di fame e freddo. Molti preferiscono andare venti giorni al fuoco per un’ora di sonno.

Se mi succedesse qualcosa, eh be’, sarò sulla stessa barca degli altri centomila che sono già stati fatti fuori. Lo sforzo principale, ora, sono arrivati alle porte di Parigi ma il colpo di reni è stato dato, la Germania è a terra, non resta che ucciderla, braccarla fino alla fine, fino a quando non ne resti neanche uno e, Dio mio, se ne rimangono per strada, saranno morti per qualcosa. Avranno fatto meglio che nel 1870 e la famosa e tanto bistrattata nuova generazione avrà dimostrato almeno di essere all’altezza delle precedenti.

Forza e, spero, a presto.

Vostro figlio affett[uosamente]

Destouches

Saluti a Bézard e alla sig.ra Carlier, alla sig.ra Forjonel. Ditemi se sapete di morti tra i nostri conoscenti. Sono preoccupato soprattutto per Henry Lacloche, mi hanno detto a Stenay che ci sono state vere ecatombi a Rossignol.



Tratto da:



Un profeta dell’Apocalisse. Scritti, interviste, lettere e testimonianze

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