Postiamo su gentile concessione dell'autore i seguenti estratti dal libro Céline e il caso delle «Bagatelle»
Da p. 16 a p. 17
[...] ha senso per noi il rinnovarsi della domanda: perché non è possibile leggere le Bagatelles? Oggi. Di che natura è questa impossibilità? È davvero solo una faccenda giuridica? È forse morale? O solo letteraria? Di che natura è l’embargo che graverebbe su scritture come quella di Céline, che ci impediscono la rassicurante coincidenza tra verità del discorso morale e verità della storia così come essa si è imposta all’esperienza e alla valutazione dei contemporanei? La nostra Storia, la nostra contemporaneità. Bagatelles è, come avviene in qualsiasi testo antiebraico, una collazione di accuse e attribuzioni di colpa agli ebrei, con l’aggravante di utilizzare un linguaggio straordinariamente efficace e potente. Un testo nel quale si alternano affermazioni palesemente insostenibili e grottesche, insulti e agghiaccianti generalizzazioni, una girandola infernale di espressioni quasi sempre volgari e blasfeme, eppure composte e montate con un ritmo e una cadenza che neppure la più sapiente sceneggiatura moderna sarebbe in grado di proporre. Nulla ci è risparmiato dello scatologico e dello stercoraro; il basso ventre la fa da padrone e là dove sembra che non è al solo ebreo che ci si rivolge ci si accorge, con ancor più sgomento, che è solo per retorica digressione che s’insulta l’ariano non ancora perfettamente antisemita; che è solo per indicare meglio il vero obiettivo, per prendere meglio la mira, si direbbe. Basterebbero, tra decine di altre, queste righe: «E ora il film si occupa di noi, attenzione! Ariani dell’Intelligenza!... Attenzione! Contrasto! La nostra élite: intellettuali, nobiltà ariana, borghesia ariana, si dimostrano tutti assolutamente, radicalmente, grottescamente incapaci di capire una sola vigliacca parola delle rivendicazioni del popolo! Ah! È scoraggiante... ma è così!... Perversi, mostruosi egocentrici! Che schifosi! Irrimediabili! Che mostri... Che super-bruti!... Infiniti!... Ai margini di qualunque evoluzione... Conclusione! Questa “élite” ariana deve passar la mano agli Ebrei, e subito, e sparire!... C.Q.F.D. Implacabile decreto dell’Avvenire!... Bum! Bum!... Ritardano, sabotano, quei biechi, il meraviglioso slancio sociale, così evidente che è! Sboccio dei Soviet! Operai + Ebrei redentori, il Regno ebreo insomma: Allora?... A tempi nuovi! Uomini nuovi!... L’Ebreo, “uomo nuovo”! È una trovata...»
E lo stesso uso intensivo di quella parola con la maiuscola, Ariano, andrà preso più sul serio di quanto si sia fatto finora; il sospetto di trovarsi di fronte a un costrutto artificioso, a una delle tante idées reçues, lascito di una cultura diffusa e data per scontata, è fondato, già lo ricordava Maritain ai contemporanei di Céline. E se essere consapevoli di ciò non attenua affatto il potere dell’orrore che questo testo ci procura è altrettanto vero che colloca, credo correttamente, il suo discorso anche all’interno di una tradizione di pensiero nella quale l’idea di razza non è certo solo il frutto di un delirio paranoico, ma il sedimento, vario e articolato, di una molteplicità di discorsi scientifici e illuminati dai quali non era del tutto all’oscuro lo stesso Céline, uomo di formazione essenzialmente medica.
da p. 35 a p. 37
L’effetto della violenza libellistica il più delle volte è tale che la possibilità di confutarne le tesi viene meno. Però, ci sono momenti nei quali, senza tanti puntini, la scatologia viene sospesa e si formulano analisi così congegnate: «L’Ebreo non si integra mai, scimmiotta, abborraccia e detesta. Non può abbandonarsi che a un mimetismo grossolano, senza prolungamenti possibili. L’Ebreo, i cui nervi africani sono sempre più o meno di “zinco”, possiede solo un volgarissimo reticolo di sensibilità, per nulla elevato nella scala umana, come tutto ciò che proviene dai paesi caldi, precoce, appena sbozzato. Non è fatto per elevarsi molto spiritualmente, per andare molto lontano... L’estrema rarità dei poeti ebrei, d’altronde tutti rifriggitori di lirismo ariano... L’Ebreo, nato scaltro, non è sensibile. Non salva le apparenze che a forza di continue pagliacciate, simulacri, smorfie, imitazioni, parodie, pose, “cinegeismo”, fotografie, impapocchiamenti, arroganza. Nella sua stessa carne, per scuoterlo, non possiede che un sistema nervoso di negro dei più rudimentali, cioè un equilibrio da tanghero. L’Ebreo negro, incrociato, degenerato, sforzandosi nell’arte europea, mutila, massacra e non aggiunge nulla. Sarà costretto un giorno o l’altro a far ritorno all’arte negra, non scordiamolo mai. L’inferiorità biologica del negro o del semi-negro sotto i nostri climi è evidente. Sistema nervoso “spacciato”, espiazione della precocità, egli non può andare molto lontano...».
In questo passo è abbastanza evidente il debito verso una prosaica fin che si vuole «teoria dei climi e degli organismi che vi si adattano subendone l’influenza». «Espiazione della precocità»... è affermazione che il nostro Leopardi non avrebbe poi così disprezzato, visto che lo Zibaldone, sulla scorta delle sue letture francesi, mostra un interesse notevole alle influenze che il clima esercita sui caratteri dei popoli e delle nazioni, e sulla differenziazio- ne delle lingue. In Francia basterebbe citare il J.-J. Rousseau dell’Influence des climats sur la civilisation, sulla scorta del Montesquieu dell’Esprit des Lois, ma il tema è quasi un luogo comune assai dibattuto in tutto il Settecento francese e illuminista. Vi manca l’odio, si potrebbe obiettare; così come non viene esplicitata una gerarchia tra i diversi popoli (ma questo non è del tutto vero e l’Illuminismo francese non sarà certo esente dall’introdurre “valutazioni” gerarchiche); manca la passione antisemita (non sempre, Voltaire ne è tutt’altro che immune, per esempio), ma è altrettanto onesto ammettere che aver introdotto nell’ideologia elementi che fissano, in qualche modo e con considerazioni “materialiste”, i caratteri distintivi dei popoli al variare dei climi, può fornire ai tipi come Céline qualche elemento in più e far apparire non del tutto fuori controllo il suo linguaggio.
Oppure, ed è un altro dei suoi registri retorico-emotivi, Céline si anticipa il giudizio negativo e riparte all’attacco come se fosse una vittima. Per esempio quando espone in esergo questa frase vagamente lacrimevole: «Cosa volete che speri in mezzo a questi cuori imbastarditi, se non di vedere il mio libro gettato nella spazzatura? D’Aubigné». Se mai qualcuno considerasse plausibile ciò che è andato scrivendo sugli ebrei e la loro logica, questo suo modo di passare per vittima designata lo si potrebbe considerare ebraicissimo... una sorta di napoletano “chiagni e’ fotti”. Al che, verrebbe da dire, perché un tale sperpero di inchiostro, carta, bile e sangue marcio estesi e stirati come una pasta per pizza lunga 306 pagine quando se proprio ce l’aveva su con i suoi ebrei immaginari e fantasma- tici poteva utilizzare il ben più sintetico e italico cinismo?
Subito a seguire, dopo la citazione, una tirata contro lo standard da far impallidire Naomi Klein: «Lo Standard in ogni cosa è la panacea dell’Ebreo. Più nessuna rivolta da temere da parte di individui pre-robotici come noi. I nostri mobili, romanzi, film, le nostre macchine, il nostro linguaggio, l’immensa maggioranza delle popolazioni moderne sono già standardizzati. La civiltà moderna è la standardizzazione totale, anima e corpo, sotto gli Ebrei. Gli idoli “standard”, nati dalla pubblicità ebrea, non possono mai essere pericolosi per il potere ebreo. Mai idoli, a dire il vero, furono così fragili, così friabili, più facilmente e definitivamente dimenticabili, in un attimo di sfavore. L’adulazione delle folle avviene su comando dell’Ebreo».
Qualcuno potrebbe esclamare: perché gli ebrei? Perché ha rovinato tutto, sarebbe stato così bello senza quell’intercalare spasmodico e singhiozzante! Ha individuato alla perfezione ciò che più o meno negli stessi anni la Scuola di Francoforte avrebbe diffuso con gergo controllato e scientifico, sebbene non esente, tutt’altro, da stile. Céline, magari con un piccolo (dubito) sforzo di autocontrollo e rifinitura nelle fonti sarebbe forse riuscito a scrivere il suo Minima moralia. Non lo ha fatto. Non lo poteva fare, e per quanto si possano rintracciare per tutto Bagatelles elementi di questo tipo la cosa migliore che ci vien da dire è che, a forza di indicare ossessivamente il responsabile del massacro moderno dell’individualità creativa nell’ebreo, ha perso di vista l’adulatore delle folle che aveva sotto gli occhi, anzi poco oltre l’Alsazia. Imperdonabile.
da p. 45 a p. 47
La scrittura di Céline non è certo una teoria. Neppure, forse, una semplice invettiva; una polemica; un pamphlet. E se le Bagatelles fossero “solo” un romanzo? Allora potremmo forse far valere uno scarto tra racconto e realtà? Ma non quello tra racconto e suo significato, che continuerebbe a rimanere intollerabile. Non c’è mai coincidenza tra verità estetica e verità morale del romanziere. La verità del romanzo è la sua verità estetica, ma si crede che essa debba seguire da quella morale dell’Autore o perlomeno coincidervi e possibilmente non essere in opposizione. Ma questo non è sempre vero. Qual è la verità estetica di un pamphlet, la sua morale forse? Ma quanto leggibile? E davvero è leggibile una morale? Può ridursi a sola enunciazione?Queste domande richiamano un problema che lo stesso Céline affronta. Il fatto che sia il medesimo che ci poniamo nei suoi confronti può forse gettare un po’ di luce su uno di quei pochi aspetti che si riescono a isolare dalla sua ossessione antiebraica. In Bagatelles Céline cerca di demistificare il trucco morale della logica dei grandi organismi, quello, cioè, di agire sotto l’influenza di massime altruistiche che in realtà nascondono l’interesse privatissimo dei suoi componenti. Sono caratteristiche che Céline incontra lavorando per la Società delle Nazioni e che denuncerà al suo superiore Rejchmann, ricevendone risposte evasive e l’impossibilità pratica a modificare il funzionamento di questi organismi. I quali registrano, però, correttamente lo stato misero delle popolazioni operaie, i loro problemi igienici ecc. Il salto logico che muove Céline, sulla base dei suoi pregiudizi antisemiti, è quello di attribuire agli ebrei non solo la responsabilità di questo stato di cose, ma un’intima e solidale complicità con i meccanismi che promuovono il malfunzionamento della macchina sociale. È evidente che in Céline trovano accoglienza, al di là della conclamata professione di nichilismo esistenziale e cosmico, gli spiriti frustrati di ciò che rimaneva ai suoi tempi della fiducia nel discorso medico-sociale progressista. Il lavoro di medico di base a Parigi lo pone di fronte alla condizione di vita delle classi subalterne a cui, come prevedibile e in coerenza con la filantropia positivista, vanno offerti programmi di igiene pubblica efficienti ed efficaci. La salvezza per il tramite della medicina sociale, senza attraversare il fuoco della rivoluzione. Discorso al quale non era del tutto esente il pragmatismo del comunismo parigino se è vero che il comunista Henri Barbusse ospitò nella sua rivista le considerazioni medico-sociali di Céline, confermando la buona accoglienza che la sinistra francese riservò, almeno inizialmente, al Viaggio al termine della notte. La convivenza di queste che al nostro presente paiono contraddizioni irrisolvibili, e cioè l’ingenua credenza positivista nella capacità di individuare dispositivi medico-sociali, in fondo tecniche di intervento sulle grandi quantità umane ammassate nelle città, e l’apostrofe virulenta nei confronti di un popolo restio, per meri interessi egoistici e di razza, a fornire il supporto necessario al realizzarsi di questi programmi, è uno dei dati, credo, dal quale ha origine la violenza verbale di Céline contro gli ebrei. Come già osservato, nel suo antisemitismo non vi è traccia di un motivato odio religioso nei confronti dell’ebreo. Non è la religione ebraica a guastargli l’umore, o almeno, non lo è più di quanto Céline, per esempio, attribuisca al cattolicesimo la stessa responsabilità dell’ebreo nell’impedire il realizzarsi dell’utopica e modernissima igiene sociale tra le classi popolari. Una delle poche misure in grado di restituire dignità alla maggioranza della popolazione francese stremata dagli esiti della prima guerra mondiale e incapace di trovare di per se stessa motivi di dignità, è quella che prevede una seria prevenzione delle malattie polmonari. Céline, in questo senso, e dopo aver lavorato con il programma della Fondazione Rockefeller per la prevenzione della TBC, sottolinea e stigmatizza il tradizionale disprezzo del corpo instillato nella popolazione dal cattolicesimo che diventa così corresponsabile, al pari dell’organizzazione capitalista del lavoro, dello stato di profondo degrado nel quale versa la popolazione operaia di Parigi.