Un Caffè con Céline
di Gilberto Tura
Nell'ambito della nascita della critica céliniana in Italia, fondata, finalmente, su basi scientifiche e sviluppatasi nella seconda metà degli anni '60, s'inserisce il n. 3 del 1970 della rivista bimestrale IL CAFFE' letterario e satirico. Vi compaiono, tradotti da Lino Gabellone, due testi di Céline: Viva l'amnistia, signore! e L'esagitato in provetta, due saggi (di seguito trascritti), il primo di Gianni Celati e il secondo dello scrittore francese, premio Nobel per la letteratura nel 2008, Jean-Marie-Gustave Le Clezio e infine Cinque sogni per Céline e cinque disegni e testi di Antonio Faeti, uno dei quali troverete in chiusura di post.
CELINE UNDERGROUND
di Gianni Celati
Presentando la traduzione americana di Morte a credito su "The New York Times Book Review" il romanziere Jay Friedman concludeva il suo discorso celebrativo con una dichiarazione meno scontata delle precedenti: « Una parte di me stesso spera che Céline non divenga un Grande Scrittore ufficiale ». Un bel pensiero e niente più, siccome nel mondo delle merci la logica dell'attribuzione di valore è regolata da ben più concreti meccanismi che non siano le opinioni dei critici. Ma è possibile registrare la fondatezza d'un simile atteggiamento, poiché Céline è scrittore underground in modo tanto esemplare da indicare oggi, come nessun Grande Scrittore ufficiale potrebbe fare, un limite di separazione decisivo; il limite tra le scelte negative che nascono da sillogismi verbali e finiscono lì, e quelle che si traducono in un completo coinvolgimento della persona coi rischi personalmente corsi che ci van dietro.
Céline fa effetto sul pubblico, ma davvero spaventa ancora gli esperti editoriali; soprattutto i benpensanti pronti a cavar di tasca tanti certificati di questa o di quella resistenza, ma poi servi ossequienti di un padrone che non vuol grane. Sicchè i suoi libri possono essere sì diffusi, ma ci si sente in dovere di attutire l'impatto con prefazioni bigotte che distinguano il pro e il contro e in fondo mostrino questo autore come il genio maledetto che non sapeva quel che faceva e perciò è da prendere con le molle. Tipica in questo senso la prefazione a Morte a credito, nata dall'incompetenza d'un tal Carlo Bo professore, la quale a buon diritto fa sospettare che il menzionato Carlo Bo non abbia mai letto niente di più del menzionato Morte a credito nella cattiva traduzione italiana d'un tal Giorgio Caproni poeta.
E' poi un fatto che i nuovi raffinati francesi di Tel Quel e Changes come i vecchi raffinati francesi della scuola dello sguardo manifestino una civile noncuranza per Céline. E' un fatto che ( quale che sia l'opinione di Monsieur David ) nell'avanguardia italiana altrettanto nobile e raffinata, Céline non trovi alcuna considerazione. Dovunque passino i confini dell'ufficialità e del professionismo culturale, lì non c'è posto per Céline, autore per molti versi dilettantesco e insostenibile partendo da una "coerente visione del mondo". E' un fatto anche che la moda di Céline si trasmetta per linee esterne, attraverso culti privati, passioni segrete che non raggiungono il piano della dichiarazione pubblica; perchè, chi se la sente di mettersi a inneggiare, e senza riserve, all'autore di Bagatelles pour un massacre, all'antisemita presunto collaborazionista amico dei collaborazionisti fucilati Denoël, Brasillach etc?
La BUONA COSCIENZA dell'europeo civilizzato illuminista e la cattiva coscienza del nazista bianco potrebbero confondersi o essere confuse e precipitare l'inneggiatore nel caos dell'indistinto. E' il timore magico che salta fuori, il timore di rivelare un contagio contratto privatamente, come l'assuefazione ad una droga, che porta il contagiato alla connivenza col nemico. Dove finisce la buona coscienza dell'europeo civilizzato illuminista e comincia l'anarchia della ribellione permanente, lì c'è un piccolo spiraglio verso il caos o l'irrazionale, dal quale bisogna tenersi a debita distanza perchè è lo spiraglio demoniaco della rabbia e dell'orrore che non quadra con i buoni propositi dei nostri uomini di cultura.
Al fondo è questo crogiuolo di rabbia e di orrore che può essere accostato solo privatamente, con riti segreti, come vizio estetizzante, ma mai esaltato in pubblico perchè inadatto ai gusti delle grandi menti illuminate. E allora poi, sapendo che Céline è stato antisemita, che non è stato per niente resistenziale, che è fuggito nella Germania nazista invece che nella ridente Inghilterra, che è stato in galera e processato come collaborazionista, come non giungere all'inferenza diretta e identificare le repulsioni per il proprio vizio nascosto con più razionali giudizi politici sulla persona del dottor Destouches? Le streghe sono sempre tra di noi, così come sopravvive la regola del capro espiatorio, e ancora un pacco di fogli demoniaci può costituire il movente d'una esecuzione.
COSI' CELINE vive nel sottosuolo, con tutte le streghe dell'inconscio dell'uomo bianco e nazista, popola i sogni delle scaltre menti con le perverse ambivalenze della colpa, affascina e ripugna, eccita la necrofilia latente di cui la nostra civiltà non può liberarsi. Il prezzo intero d'un rifiuto totale può essere solo l'esclusione totale; ma l'esclusione è totale solo quando arriva ad essere anche inconscia. Chi ne ha voglia faccia i dovuti confronti, ne cavi le conclusioni che vuole, per Cèline i conti tornano.
Adesso forse l'industria culturale può fare diventare Céline un Grande Scrittore; ma sarebbe ora di smettere di parlare di lui e di cominciare a parlare delle sue maschere comiche, anch'esse creature del sottosuolo come tutte le maschere comiche della nostra civiltà.
COME SI PUO' SCRIVERE IN ALTRO MODO?
di J.-M.-G. Le Clézio
Non si può non leggere Céline. Un giorno o l'altro ci si capita, perché è fatto così, perché c'è, e non si può ignorarlo. La letteratura francese contemporanea passa attraverso di lui, come passa attraverso Rimbaud, Kafka e Joyce. Céline appartiene a quella cultura sempre allo stato nascente che è in qualche modo il sogno del pensiero moderno.
Si arriva a lui e però lui non fa niente per attirare. Non cerca fedeli. Li rifiuta. Non vuole far parte della cultura, ha chiuso la porta del suo universo e ghigna. Quelli che l'accostano, lui li respinge. Sfugge tutti coloro che vogliono rinchiuderlo nella grande macchina classificatrice, sistematrice. Sa star lontano dagli omaggi. Non ha accettato la propria sepoltura.
Da lui non c'è né alto né basso, né entrata né uscita. Non propone nessuna forma geometrica, nessun genere, nessun sillabario. E tuttavia sappiamo che una parte del mondo è sua. E' sempre presente alla memoria, vero, completo, esemplare. E' sempre in vita.
Il fatto è che sta dentro la negazione in modo assoluto. L'idea della rivolta - contro la borghesia, il denaro, l'esercito, l'ordine - non ha avuto il tempo di diventare utilitaria. L'ha realizzata in un solo moto, dove la riflessione non è intervenuta. Non ci sono crimini in letteratura, né possono essercene. Ma c'é l'insulto. E' così che Céline accoglie quelli che l'avvicinano: insultandoli. L'insulto è una delle forme primarie del linguaggio, sia esso diretto: « Piscialetto! Fintoni! Somari! Puzzoni! Zucche! Voltagabbana! Ohé! Mammolette! ». Sia che si formi per mezzo d'un aneddoto, d'una immagine: «Ma a pensarci su, tutto considerato, la mia muta di cani mi dà dei bei fastidi, sicuro!... Ma mi protegge dai cialtroni... Io non mi fido di quelli che passano... gli sconosciuti... e i conosciuti! Sentono i cani che abbaiano... spiavano, fanno dietro front!... gli assassini non vogliono mica correr rischi!... Quando v'ammazzano sono più prudenti d'un borghese che si compra le Suez... ». Si tratta sempre dello stesso atto d'aggressione che prevede il male e lo combatte per mezzo d'un altro male. Non è un linguaggio che cerca di sedurre in maniera lineare, ma un linguaggio che procede con una serie di colpi, un linguaggio che si fonda sul dolore. E' attraverso il dolore che Céline sfugge alla letteratura, che ne resta per così dire al di fuori, fuori tiro. Lui non è stato al gioco. Non ha ammesso né il romanzo né la storia. Non ha accettato la società degli uomini.
Ma è anche l'insulto, il linguaggio gettato, sincopato, impulsivo, dove ogni punto esclamativo è un ostacolo in cui va a sbattere l'intelligenza ( il punto esclamativo è prima di tutto l'indizio d'un punto muto), che esercita tanto fascino su di noi che siamo stati conquistati dal linguaggio coerenre. Fascino fatto d'orrore, e giubilo fatto di paura. Qualcuno ha scelto di restare in ombra, qualcuno ha scelto d'essere testimone.
Il veicolo di questo insulto continuamente eretto contro di noi, è un linguaggio che sta ai margini, si capisce. L'argot celiniano non ha niente a che fare con quello del romanzo populista o del romanzo poliziesco. Può trattarsi dell'argot di guerra come in Casse-Pipe e Guignol's Band. Ma in Voyage, in Mort à credit e in D'un château l'autre è davvero un altro linguaggio che Céline inventa, un codice segreto da cui siamo deliberatamente esclusi. Dalla chiusura del linguaggio indoviniamo il sistema celiniano: il rifiuto non è più soltanto un atteggiamento davanti al mondo, è l'invenzione d'un altro mondo.
Questo particolarismo è spaventoso. Ma superata la barriera ( eper far ciò dobbiamo abbandonare ogni pretesa di giudizio ) eccoci noi stessi inventati dal sistema. Chi ha letto Voyage, e soprattutto lo straordinario Mort à credit, chi li ha vissuti, si trova sottomesso alle regole dell'universo celiniano: come si può scrivere in altro modo? Come sfuggire a questo sguardo bruciante, come sfuggire la mostruosa ferocia del mondo? Céline è uno di quelli che bisogna dimenticare per poter vivere.
Il fatto è che nell'universo di Céline niente è gratuito. Niente è immaginato. Quel mondo lì esiste, proprio accanto a noi, dall'altra parte del vetro del nostro scompartimento. Voyage au bout de la nuit è quello che ci avvicina a questa realtà del rifiuto, a questa altra verità. Non sorprende che questi libri siano degli itinerari. Non nello spazio, non nel tempo, ma attraverso lo spettacolo della conoscenza. Mentre gli scrittori, i veri ( forse che siano loro i falsi? ) osservano lo spettacolo dal di fuori, Céline ci attira verso l'interno delle cose. Bardamu è l'eterno adolescente al quale il mondo non cessa di aprire le porte dell'avventura. Avventura verso il dubbio, verso l'orrore, avventura verso la lucidità e la distruzione.
Céline si è aperto al linguaggio solo per questo: per esecrare. La sua disgrazia, e la nostra, è d'essere un giorno riconosciuti sotto le spoglie del fanciullo Jonkind, l'innocente che non sa parlare. La signora Merrywin ha un bel ripetergli senza tregua: « No trouble, Jonkind? No trouble! ». Il caos è stato scoperto. La disgrazia, il dubbio, la morte hanno rivelato i loro tratti sotto la maschera. Allora, più niente da sperare. Più niente da perdonare.
«Io non ci rispondevo niente. Io me ne stavo lì, sull'attenti. Lui si tastava il revolver. Io non capivo un bel niente. Lui doveva ancora avercela con me. Io per me, io non perdona mai».
Più niente. Quasi più niente. Un filo sottilissimo, appena visibile, che trattiene a terra. Un pò di vento, un pò di paura, e il filo trattenuto subito si rompe, lasciando filar via la sfera di vita preziosa.
Scrivere è questo filo.
Per Céline, come per Kafka e per Rimbaud, non si trattava allora più di alimentare il gran concerto dell'intelligenza. Né di portare le sue briciole all'elaborazione d'una coscienza universale. Si trattava solo, ben conoscendo le scadenze, di restar vivo, del tutto vivo, con l'anima e con i sensi. Allora le maledizioni e gli insulti non sono più soltanto parole, o grida dìaiuto. I punti esclamativi non sono più soltanto pugni tirati. Destouches, vecchio guaritore, forse sei tu quello che saprà far scoppiare i nostri bubboni.
(Traduzione di Gianni Celati)
Di come Ferdinand vedesse, in un'ultima passeggiata al Luxembourg, prima di arruolarsi nel Reggimento della Luna, il cielo popolarsi di dirigibili, palloni e macchine volanti costruite in un ultimo sogno da Courtial des Pereires, e il medesimo Courtial des Pereires intento a discutere con Camillo Flammarion del più pesante e del più leggero, affermando contro ogni dubbio che il più leggero trionferà su tutti i voli umani.
Nell'ambito della nascita della critica céliniana in Italia, fondata, finalmente, su basi scientifiche e sviluppatasi nella seconda metà degli anni '60, s'inserisce il n. 3 del 1970 della rivista bimestrale IL CAFFE' letterario e satirico. Vi compaiono, tradotti da Lino Gabellone, due testi di Céline: Viva l'amnistia, signore! e L'esagitato in provetta, due saggi (di seguito trascritti), il primo di Gianni Celati e il secondo dello scrittore francese, premio Nobel per la letteratura nel 2008, Jean-Marie-Gustave Le Clezio e infine Cinque sogni per Céline e cinque disegni e testi di Antonio Faeti, uno dei quali troverete in chiusura di post.
CELINE UNDERGROUND
di Gianni Celati
Presentando la traduzione americana di Morte a credito su "The New York Times Book Review" il romanziere Jay Friedman concludeva il suo discorso celebrativo con una dichiarazione meno scontata delle precedenti: « Una parte di me stesso spera che Céline non divenga un Grande Scrittore ufficiale ». Un bel pensiero e niente più, siccome nel mondo delle merci la logica dell'attribuzione di valore è regolata da ben più concreti meccanismi che non siano le opinioni dei critici. Ma è possibile registrare la fondatezza d'un simile atteggiamento, poiché Céline è scrittore underground in modo tanto esemplare da indicare oggi, come nessun Grande Scrittore ufficiale potrebbe fare, un limite di separazione decisivo; il limite tra le scelte negative che nascono da sillogismi verbali e finiscono lì, e quelle che si traducono in un completo coinvolgimento della persona coi rischi personalmente corsi che ci van dietro.
Céline fa effetto sul pubblico, ma davvero spaventa ancora gli esperti editoriali; soprattutto i benpensanti pronti a cavar di tasca tanti certificati di questa o di quella resistenza, ma poi servi ossequienti di un padrone che non vuol grane. Sicchè i suoi libri possono essere sì diffusi, ma ci si sente in dovere di attutire l'impatto con prefazioni bigotte che distinguano il pro e il contro e in fondo mostrino questo autore come il genio maledetto che non sapeva quel che faceva e perciò è da prendere con le molle. Tipica in questo senso la prefazione a Morte a credito, nata dall'incompetenza d'un tal Carlo Bo professore, la quale a buon diritto fa sospettare che il menzionato Carlo Bo non abbia mai letto niente di più del menzionato Morte a credito nella cattiva traduzione italiana d'un tal Giorgio Caproni poeta.
E' poi un fatto che i nuovi raffinati francesi di Tel Quel e Changes come i vecchi raffinati francesi della scuola dello sguardo manifestino una civile noncuranza per Céline. E' un fatto che ( quale che sia l'opinione di Monsieur David ) nell'avanguardia italiana altrettanto nobile e raffinata, Céline non trovi alcuna considerazione. Dovunque passino i confini dell'ufficialità e del professionismo culturale, lì non c'è posto per Céline, autore per molti versi dilettantesco e insostenibile partendo da una "coerente visione del mondo". E' un fatto anche che la moda di Céline si trasmetta per linee esterne, attraverso culti privati, passioni segrete che non raggiungono il piano della dichiarazione pubblica; perchè, chi se la sente di mettersi a inneggiare, e senza riserve, all'autore di Bagatelles pour un massacre, all'antisemita presunto collaborazionista amico dei collaborazionisti fucilati Denoël, Brasillach etc?
La BUONA COSCIENZA dell'europeo civilizzato illuminista e la cattiva coscienza del nazista bianco potrebbero confondersi o essere confuse e precipitare l'inneggiatore nel caos dell'indistinto. E' il timore magico che salta fuori, il timore di rivelare un contagio contratto privatamente, come l'assuefazione ad una droga, che porta il contagiato alla connivenza col nemico. Dove finisce la buona coscienza dell'europeo civilizzato illuminista e comincia l'anarchia della ribellione permanente, lì c'è un piccolo spiraglio verso il caos o l'irrazionale, dal quale bisogna tenersi a debita distanza perchè è lo spiraglio demoniaco della rabbia e dell'orrore che non quadra con i buoni propositi dei nostri uomini di cultura.
Al fondo è questo crogiuolo di rabbia e di orrore che può essere accostato solo privatamente, con riti segreti, come vizio estetizzante, ma mai esaltato in pubblico perchè inadatto ai gusti delle grandi menti illuminate. E allora poi, sapendo che Céline è stato antisemita, che non è stato per niente resistenziale, che è fuggito nella Germania nazista invece che nella ridente Inghilterra, che è stato in galera e processato come collaborazionista, come non giungere all'inferenza diretta e identificare le repulsioni per il proprio vizio nascosto con più razionali giudizi politici sulla persona del dottor Destouches? Le streghe sono sempre tra di noi, così come sopravvive la regola del capro espiatorio, e ancora un pacco di fogli demoniaci può costituire il movente d'una esecuzione.
COSI' CELINE vive nel sottosuolo, con tutte le streghe dell'inconscio dell'uomo bianco e nazista, popola i sogni delle scaltre menti con le perverse ambivalenze della colpa, affascina e ripugna, eccita la necrofilia latente di cui la nostra civiltà non può liberarsi. Il prezzo intero d'un rifiuto totale può essere solo l'esclusione totale; ma l'esclusione è totale solo quando arriva ad essere anche inconscia. Chi ne ha voglia faccia i dovuti confronti, ne cavi le conclusioni che vuole, per Cèline i conti tornano.
Adesso forse l'industria culturale può fare diventare Céline un Grande Scrittore; ma sarebbe ora di smettere di parlare di lui e di cominciare a parlare delle sue maschere comiche, anch'esse creature del sottosuolo come tutte le maschere comiche della nostra civiltà.
COME SI PUO' SCRIVERE IN ALTRO MODO?
di J.-M.-G. Le Clézio
Non si può non leggere Céline. Un giorno o l'altro ci si capita, perché è fatto così, perché c'è, e non si può ignorarlo. La letteratura francese contemporanea passa attraverso di lui, come passa attraverso Rimbaud, Kafka e Joyce. Céline appartiene a quella cultura sempre allo stato nascente che è in qualche modo il sogno del pensiero moderno.
Si arriva a lui e però lui non fa niente per attirare. Non cerca fedeli. Li rifiuta. Non vuole far parte della cultura, ha chiuso la porta del suo universo e ghigna. Quelli che l'accostano, lui li respinge. Sfugge tutti coloro che vogliono rinchiuderlo nella grande macchina classificatrice, sistematrice. Sa star lontano dagli omaggi. Non ha accettato la propria sepoltura.
Da lui non c'è né alto né basso, né entrata né uscita. Non propone nessuna forma geometrica, nessun genere, nessun sillabario. E tuttavia sappiamo che una parte del mondo è sua. E' sempre presente alla memoria, vero, completo, esemplare. E' sempre in vita.
Il fatto è che sta dentro la negazione in modo assoluto. L'idea della rivolta - contro la borghesia, il denaro, l'esercito, l'ordine - non ha avuto il tempo di diventare utilitaria. L'ha realizzata in un solo moto, dove la riflessione non è intervenuta. Non ci sono crimini in letteratura, né possono essercene. Ma c'é l'insulto. E' così che Céline accoglie quelli che l'avvicinano: insultandoli. L'insulto è una delle forme primarie del linguaggio, sia esso diretto: « Piscialetto! Fintoni! Somari! Puzzoni! Zucche! Voltagabbana! Ohé! Mammolette! ». Sia che si formi per mezzo d'un aneddoto, d'una immagine: «Ma a pensarci su, tutto considerato, la mia muta di cani mi dà dei bei fastidi, sicuro!... Ma mi protegge dai cialtroni... Io non mi fido di quelli che passano... gli sconosciuti... e i conosciuti! Sentono i cani che abbaiano... spiavano, fanno dietro front!... gli assassini non vogliono mica correr rischi!... Quando v'ammazzano sono più prudenti d'un borghese che si compra le Suez... ». Si tratta sempre dello stesso atto d'aggressione che prevede il male e lo combatte per mezzo d'un altro male. Non è un linguaggio che cerca di sedurre in maniera lineare, ma un linguaggio che procede con una serie di colpi, un linguaggio che si fonda sul dolore. E' attraverso il dolore che Céline sfugge alla letteratura, che ne resta per così dire al di fuori, fuori tiro. Lui non è stato al gioco. Non ha ammesso né il romanzo né la storia. Non ha accettato la società degli uomini.
Ma è anche l'insulto, il linguaggio gettato, sincopato, impulsivo, dove ogni punto esclamativo è un ostacolo in cui va a sbattere l'intelligenza ( il punto esclamativo è prima di tutto l'indizio d'un punto muto), che esercita tanto fascino su di noi che siamo stati conquistati dal linguaggio coerenre. Fascino fatto d'orrore, e giubilo fatto di paura. Qualcuno ha scelto di restare in ombra, qualcuno ha scelto d'essere testimone.
Il veicolo di questo insulto continuamente eretto contro di noi, è un linguaggio che sta ai margini, si capisce. L'argot celiniano non ha niente a che fare con quello del romanzo populista o del romanzo poliziesco. Può trattarsi dell'argot di guerra come in Casse-Pipe e Guignol's Band. Ma in Voyage, in Mort à credit e in D'un château l'autre è davvero un altro linguaggio che Céline inventa, un codice segreto da cui siamo deliberatamente esclusi. Dalla chiusura del linguaggio indoviniamo il sistema celiniano: il rifiuto non è più soltanto un atteggiamento davanti al mondo, è l'invenzione d'un altro mondo.
Questo particolarismo è spaventoso. Ma superata la barriera ( eper far ciò dobbiamo abbandonare ogni pretesa di giudizio ) eccoci noi stessi inventati dal sistema. Chi ha letto Voyage, e soprattutto lo straordinario Mort à credit, chi li ha vissuti, si trova sottomesso alle regole dell'universo celiniano: come si può scrivere in altro modo? Come sfuggire a questo sguardo bruciante, come sfuggire la mostruosa ferocia del mondo? Céline è uno di quelli che bisogna dimenticare per poter vivere.
Il fatto è che nell'universo di Céline niente è gratuito. Niente è immaginato. Quel mondo lì esiste, proprio accanto a noi, dall'altra parte del vetro del nostro scompartimento. Voyage au bout de la nuit è quello che ci avvicina a questa realtà del rifiuto, a questa altra verità. Non sorprende che questi libri siano degli itinerari. Non nello spazio, non nel tempo, ma attraverso lo spettacolo della conoscenza. Mentre gli scrittori, i veri ( forse che siano loro i falsi? ) osservano lo spettacolo dal di fuori, Céline ci attira verso l'interno delle cose. Bardamu è l'eterno adolescente al quale il mondo non cessa di aprire le porte dell'avventura. Avventura verso il dubbio, verso l'orrore, avventura verso la lucidità e la distruzione.
Céline si è aperto al linguaggio solo per questo: per esecrare. La sua disgrazia, e la nostra, è d'essere un giorno riconosciuti sotto le spoglie del fanciullo Jonkind, l'innocente che non sa parlare. La signora Merrywin ha un bel ripetergli senza tregua: « No trouble, Jonkind? No trouble! ». Il caos è stato scoperto. La disgrazia, il dubbio, la morte hanno rivelato i loro tratti sotto la maschera. Allora, più niente da sperare. Più niente da perdonare.
«Io non ci rispondevo niente. Io me ne stavo lì, sull'attenti. Lui si tastava il revolver. Io non capivo un bel niente. Lui doveva ancora avercela con me. Io per me, io non perdona mai».
Più niente. Quasi più niente. Un filo sottilissimo, appena visibile, che trattiene a terra. Un pò di vento, un pò di paura, e il filo trattenuto subito si rompe, lasciando filar via la sfera di vita preziosa.
Scrivere è questo filo.
Per Céline, come per Kafka e per Rimbaud, non si trattava allora più di alimentare il gran concerto dell'intelligenza. Né di portare le sue briciole all'elaborazione d'una coscienza universale. Si trattava solo, ben conoscendo le scadenze, di restar vivo, del tutto vivo, con l'anima e con i sensi. Allora le maledizioni e gli insulti non sono più soltanto parole, o grida dìaiuto. I punti esclamativi non sono più soltanto pugni tirati. Destouches, vecchio guaritore, forse sei tu quello che saprà far scoppiare i nostri bubboni.
(Traduzione di Gianni Celati)
Di come Ferdinand vedesse, in un'ultima passeggiata al Luxembourg, prima di arruolarsi nel Reggimento della Luna, il cielo popolarsi di dirigibili, palloni e macchine volanti costruite in un ultimo sogno da Courtial des Pereires, e il medesimo Courtial des Pereires intento a discutere con Camillo Flammarion del più pesante e del più leggero, affermando contro ogni dubbio che il più leggero trionferà su tutti i voli umani.
7 commenti:
caspita! sulla prefazione di Bo, siamo d'accordo tutti. ma non pensavo che la traduzione di Giorgio Caproni fosse cattiva... allora mi chiedo che Morte a Credito(non) ha letto l'Italia?
Ciao!
sulle traduzioni italiane di LFC un buon saggio è a mio parere:
Céline in Italia, di Maurizio Makovec, ed. Settimo Sigillo, Roma
http://www.centrostudilaruna.it/celineinitalia.html
Andrea
Celati, che grande. Uno dei più grandi viventi, quando trovi un classico ancora vivo è così. Che potenza...
il fatto è che su Céline ogni opinione è vera e parziale al tempo stesso. Caproni ha realizzato una pessima traduzione ma in giro non ce ne sono altre. Ma che un nobel si inginocchi così davanti al genio può far solo piacere. Un ennesimo grazie per la segnalazione.
ti ringrazio Andrea della segnalazione! come sempre informatissimo
un saluto
Obiettivamente c'è da inorridire tra Bo e Caproni sullo scempio che hanno fatto di Morte a credito. Bisognerebbe fare una colletta e pregare uno tipo Ceronetti di ritradurlo in maniera decente, visto che nessuna casa editrice ci pensa...
Benvenuto a bordo! :-)
purtroppo, viste le politiche editoriali italiane attuali, è ancora tanto che siano ristampati (e peraltro senza una vera strategia), i libri di LFC... per alcuni, nuove traduzioni sarebbero gradite!
Andrea
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