Céline visto
da Moresco e Piperno
(ovvero, italiche miserie)
di Andrea Lombardi
Riportiamo di seguito due interventi apparsi recentemente, redatti da Antonio Moresco e Alessandro Piperno [quest'ultimo è stato postato precedentemente]. Nello scritto di Moresco, nonostante lo sforzo dell’autore per apparire iconoclasta e à la page, è degna di nota la pressoché totale assenza di spunti critici originali, e la banale rimasticatura di triti luoghi comuni sulla vita di Céline. Anche considerandole esclusivamente dal punto di vista letterario, queste rapide note ci paiono di una banalità disarmante: quanto appare gratuita e banale l’invettiva di Moresco al confronto della prosa di chi egli vorrebbe commentare! L’accenno alla figlia di Céline, appare poi francamente patetico nel suo lirismo d’accatto, oltre che indicativo della profonda ignoranza e del provincialismo dell’autore italiano; foto e notizie di Colette appaiono in quasi tutte le pubblicazioni biografiche o critiche su Louis-Ferdinand Céline. Sia in questo caso sia per Piperno, che leggeremo poco innanzi, sembra che la biografia dello scrittore francese non sia oggetto di studio o di critica, ma sia invece usata a scopi “letterari” dagli autori suddetti, che appaiono compiacersi delle notazioni e delle figure retoriche da loro usate nei loro commenti, grondanti egocentrismo, autoreferenzialità e una spropositata − e mal riposta − stima di sé, caratteristiche comuni, purtroppo, a tanta parte della cultura italiana. Notiamo, inoltre, come entrambi si scaglino prevedibilmente contro il solito reprobo antisemita, ripetendo le abituali, scontate, e diffamanti accuse contro Céline, pagando l’usuale pedaggio al politically correct, chiaramente ignoranti del fatto che la recente critica francese, alla luce di nuovi documenti e di una interpretazione meno ideologica e più libera della biografia di Céline, hanno da tempo cessato di considerarlo come un bieco Collabo o addirittura come un anticipatore dell’Olocausto − accuse funzionali, queste, al relegare il grande scrittore in un ghetto, a tutto vantaggio di scrittori di ben minore caratura, come Aragon o Sartre, peraltro suoi passati ammiratori (e appassionati cantori dei veri campioni della democrazia progressista, quali la GPU e Stalin). Moresco e Piperno, insomma, lungi dal cercare di comprendere come mai in Francia, finalmente, sia un fiorire d’iniziative su Céline, preferiscano épater le bourgeois con ardite − a loro credere − elucubrazioni. Che nelle loro peggiori, veramente peggiori intenzioni dovrebbero dare lustro alla loro intelligenza. Declassano così l’oggetto della discussione, poiché in loro è presente solo la volontà di apparire, sfruttando il tema del giorno, politico, storico o letterario che sia. Come dei mediocri opinionisti, e non certo dei letterati.
di antOniO mOrescO
Ho parlato più volte di Céline, ma non ho ancora raccolto quello che penso in un unico scritto. Provo a farlo adesso, in queste rapide note buttate giù in un breve intervallo di tempo tra una fase e l’altra del mio lavoro finale su Canti del caos.
La faccia di Céline
Questa foto è stata scattata nel 1934. Céline ha quarant’anni esatti. Ha già scritto e pubblicato Viaggio al termine della notte e sta scrivendo Morte a credito. È un uomo maturo, già potentemente formato come scrittore. È Céline. Questo è proprio Céline. La sua foto della maturità, il suo baricentro somatico. Dopo le immagini giovanili in divisa da corazziere e prima di quelle finali, dove appare travestito da delirante clochard in mezzo ai suoi cani e gatti o mentre parla con il suo pappagallo. È una foto che fa problema: uno dei più grandi scrittori del Novecento: uno dei più grandi scrittori del Novecento ha questa faccia da uomo losco, corrotto, cattivo, da brutta persona, da malavitoso che è meglio tenere alla larga. Com’è possibile che uno dei maggiori scrittori del Novecento abbia una faccia simile? Eppure questa faccia appartiene proprio al più grande scrittore lirico del Novecento, al suo inventore più scatenato e più raffinato, al rabdomante del male, all’anima nera dell’Europa, della letteratura e del Novecento, alla cartina di tornasole delle sue abominevoli verità, appartiene a uno dei grandi artisti della parola scritta che siano mai esistiti. Che faccia avevano gli altri grandi scrittori del Novecento? Vediamo. Kafka aveva quella faccia da angelo anoressico con le ali al posto delle orecchie. Proust da mondano un po’ debosciato da cui al massimo non ti potevi aspettare niente. Joyce aveva quella faccia da schiaffi da irlandese alcolista e un po’ dandy. Musil poteva sembrare al massimo un dentista, un direttore di banca austriaco un po’ testa di cazzo o il titolare di un negozio di articoli ortopedici. […] Nessuno, assolutamente nessun’altro grande scrittore del Novecento ha una simile faccia di merda, da alieno salito dagli strati intestinali e gastrici dell’Europa e del Novecento, da meteora piombata all’incontrario, dal basso, nel mondo della cosiddetta letteratura. Nessuno. Solo Céline.
I “libelli” di Céline
I cosiddetti libelli di Céline non sono affatto libelli. Sono una cosa infinitamente più importante e grave. Uno di essi, il famigerato Bagattelle per un massacro, si espande per più di trecento fitte pagine ed è, a mio parere, inestirpabile dalla produzione maggiore di Céline. È un libro nevralgico, non solo per tutta l’opera di questo scrittore ma anche per l’intero Novecento. Se ciò di cui parla non fosse tragico, sarebbe un libro d’infernale comicità. Ci dice cosa bolliva nella pancia dell’Europa. Dobbiamo ascoltarli, gli scrittori, anche quando sono attraversati e agiti dall’orrore del mondo e resi schiavi dalla macchina del dolore. Bisogna ascoltare il grido degli scrittori, anche quando la loro bocca è la bocca stessa del male. Bisogna prenderli maledettamente sul serio, invece che credere di potersene stare al sicuro nell’immaginario e rassicurante spazio separato della cultura. […] Sono libri che bisogna assolutamente leggere, soprattutto Bagattelle, che dovrebbe essere ripubblicato da un buon editore e reso disponibile anche adesso, soprattutto adesso. C’è dentro la pancia e la merda dell’Europa. Com’è stato possibile che il cuore del Novecento diventasse la pancia e la merda dell’Europa? […] Certo, è vero − come è stato fatto notare altre volte − permane un fraintendimento profondo di questo libro. L’opinione comune è che in questo libro si invochi il massacro degli ebrei e che il suo titolo significhi appunto questo. Mentre Céline, in questo libro, sostiene al contrario che sono gli ebrei a preparare le condizioni per una nuova guerra e un massacro in Europa, per la loro avidità, i loro interessi e deliri di potenza, e che lui, combattente e ferito nella Prima Guerra Mondiale, ne sapeva qualcosa della guerra e proprio per questo metteva in guardia il mondo da questa minaccia. In questo senso mai scrittore fu preso più in contropiede e smascherato dalla storia. Ma, anche volendo prendere per buone queste deliranti intenzioni, resta il fatto che il libro è saturo sino a scoppiare di antisemitismo e razzismo, che con monomaniacale diligenza vi vengono continuamente riportate citazioni atte a mostrare la diabolica avidità e malignità degli ebrei, riprese da scrittori, uomini politici e pensatori di tutti i tempi, Cicerone, Fourier, Bakunin, Bela Kun, Rathenau, Disraeli, D’Aubigné, Rochefort, ma anche dalle stesse fonti ebraiche, dal Talmud, dai Profeti, dai Salmi… […] Ci sono dei libri intollerabili, odiosi che ci dicono però anche l’altra parte della “verità”, la sua faccia inconfessabile, nascosta, in ombra, che ci fanno capire con la potenza della letteratura cosa può bollire nella nostra pancia e nella pancia del mondo. Cose orribili, odiose, in questo caso, che stanno ritornando a galla, su cui bisogna che si riformino continuamente gli anticorpi, con cui bisogna avere il coraggio di confrontarsi, da cui non ci salveranno le sole regole, per quanto giuste e lungimiranti, le leggi a largo spettro, le prescrizioni, i divieti. Sono così labili i nostri cuori e le nostre menti da avere una simile paura di entrare dentro questo orrore e di sostenerne lo sguardo? Io questo libro l’ho letto ma non per questo sono diventato antisemita. Sono rimasto − se possibile ancora di più − filosemita.
Lettera a Céline
Un paio d’anni fa, all’interno di un libro sullo sbrego della letteratura, ho scritto questa lettera a Céline:
“Figlio di puttana Céline! Fetente Céline! Con tutto il tuo odio per Proust, mentre sei il suo fratello siamese rovesciato e incanaglito. Quando vai nell’Unione Sovietica e, durante la visita a un ospedale per sifilitici, ti domandi come mai uno scrittore come Dostoevskij abbia quella tenuta dall’inizio alla fine. Capisco un libro, magari due o tre, dici, ma tutti, uno dopo l’altro, fino alla fine, senza mai cedere di un pollice! E la cosa ti brucia, si sente. Ti brucia il culo di fronte a scrittori come Dostoevskij, perché sei un pezzo di merda e non riesci a tollerare la grandezza al di fuori del tuo pezzo di merda, perché capisci che sei della stessa razza, saresti potuto essere della stessa razza, per essere della stessa razza devi rovesciare tutta la razza, entrare nel cono d’ombra del Novecento, il secolo delle guerre mondiali e dei massacri delle menti e dei corpi e dell’allevamento dell’uomo col terrore della razza e delle ideologie. […] Io ti ho sempre difeso, sempre, anche quando militavo in organizzazioni rivoluzionarie e stavo dentro una certa visione politico-ideologica del mondo e potevo provare il massimo orrore per le tue posizioni. Non perché, anche allora, non provassi pena e orrore per il tuo antisemitismo e razzismo e per la tua meschinità e paura e grettezza da piccolo borghese incattivito e con la merda al culo, spaventato, vigliacco e disposto a tutto. Posizioni e atteggiamenti che mettono tra l’altro in intima contraddizione la tua stessa opera e che ne svelano dall’interno un elemento di pesante demagogia e finzione, perché − se pensi davvero le cose che dici sul genere umano − cosa te ne frega se i suoi appartenenti sono di una razza, di un colore, di una religione o di un’altra? In questo senso, il tuo caso è un enigma. Eppure, eppure − pur con tutto questo − la tua opera contiene una tale allucinata e deformata tensione allo svelamento e all’esplosione creazionale e cosmica delle forme e dell’orrore nascosto nel cuore stesso della vita da costituire qualcosa di unico, fondamentale e fenomenale, sia per la modernità e il Novecento che in senso universale. Per questo trovo altrettanto intollerabile sia chi ti esalta per alcuni aspetti separati e non per altri, come certi cattolici marci e pieni di merda confessionale che ti leggono attraverso le loro proiezioni e campionature, reazionari e retrivi e spaventati e vigliacchi, che si fingono anarchici in arte ma che se ne stanno bene attaccati alle potenti tette secolari di un’istituzione religiosa che dovrebbe fare orrore a chi senta dentro di sé anche solo una minima tensione religiosa. Sia quegli avanguardini accademici irresponsabili, che vanno in sollucchero per il puro gioco alfabetico formale separato e per i tre puntini, gente che tu avresti disprezzato e trattato come merita. […] Io non ho nessun culto ideologico per la “vita”, cosa di cui sono stato accusato. Ma la vita crea tutto, anche la morte, anche la deformazione, i poveri bambini siamesi con i crani attaccati e con unico cervello che pensa e sogna e soffre sull’enorme cellula cerebrale del pianeta Terra rotante a enorme distanza dalle altre cellule cerebrali dell’universo col loro marasma di luci in viaggio senza ritorno e pianeti siamesi nella massa cieca, invisibile e oscura dell’universo”.
La figlia di Céline
Nei pochi anni i cui è stato sposato con Edith Follet, Céline ha una figlia, che poi abbandona di lì a un po’ assieme alla madre. Leggo in una sua bibliografia che la bambina nasce nel 1920 e viene chiamata Colette. Non ho mai sentito parlare di lei, non so neppure se in questo momento è viva o morta. Probabilmente è morta. Se fosse viva avrebbe 87 anni. Ho spesso pensato a lei, leggendo i libri di Céline. Forse è solo ignoranza mia, ma non ho mai visto una sua foto, mai letto una sua intervista, nonostante un padre così importante. Niente, come se non esistesse, non fosse esistita, che faccia avrà, o avrà avuto? Cosa avrà pensato di un padre simile? Lo avrà amato? Lo avrà odiato? Chissà! Sono cose inspiegabili! Si sa, per essere amati dai propri figli a volte non basta amarli ed essere degni, per cui può darsi che per essere odiati non basti non amarli ed essere indegni. […] Mi piacerebbe vedere una fotografia della figlia di Céline, se ne esiste una. Mi piacerebbe incontrarla, se fosse viva da qualche parte. Chissà, forse tra noi due avrebbe potuto esserci amore (1)
(1) Il primo amore, numero 2, 2007.
NOte sulle “rapide nOte” su Céline
di andrea lOmbardi
Nel capitoletto La faccia di Céline delle sue Note, Moresco scrive:
Questa foto è stata scattata nel 1934. Céline ha quarant’anni esatti. […] È una foto che fa problema: uno dei più grandi scrittori del Novecento: uno dei più grandi scrittori del Novecento ha questa faccia da uomo losco, corrotto, cattivo, da brutta persona, da malavitoso che è meglio tenere alla larga […] Nessuno, assolutamente nessun’altro grande scrittore del Novecento ha una simile faccia di merda, da alieno salito dagli strati intestinali e gastrici dell’Europa e del Novecento.
La fotografia in questione è una tipica foto di studio, che mostra semplicemente Céline − reduce dal successo del suo libro d’esordio e dalla candidatura al Goncourt − che fissa l’obiettivo con aria sicura di sé. Ci pareva che Lombroso fosse passato di moda, particolarmente a sinistra. Evidentemente sbagliavamo.
Ne I“libelli” di Céline invece Moresco afferma:
I cosiddetti libelli di Céline non sono affatto libelli. Sono una cosa infinitamente più importante e grave. Uno di essi, il famigerato Bagattelle per un massacro […] è un libro nevralgico, non solo per tutta l’opera di questo scrittore ma anche per l’intero Novecento. Se ciò di cui parla non fosse tragico, sarebbe un libro d’infernale comicità. Ci dice cosa bolliva nella pancia dell’Europa. Dobbiamo ascoltarli, gli scrittori, anche quando sono attraversati e agiti dall’orrore del mondo e resi schiavi dalla macchina del dolore. Bisogna ascoltare il grido degli scrittori, anche quando la loro bocca è la bocca stessa del male.
Temo si perderebbe solo del tempo a cercare di spiegare a Moresco che le più o meno dissennate decisioni dei capi di stato d’ogni latitudine, dipendono da tutto tranne che dal grido degli scrittori. Ma l’autore de I canti del caos prosegue:
Bisogna prenderli maledettamente sul serio, invece che credere di potersene stare al sicuro nell’immaginario e rassicurante spazio separato della cultura
Più avanti, Moresco cita anche I proscritti, dell’appartenente ai Freikorps Ernst von Salomon, quale libro da prendere maledettamente sul serio; stranamente, mai che sia indicato dai Maitre à penser quale Moresco qualche libro da prendere maledettamente sul serio sui GuLag, o sul genocidio armeno o ucraino, sul Laogai, sulla Cambogia sotto Pol Pot, sulla repressione nel Caucaso, su Katyn, etc. Invece, insistendo su Bagattelle…
Sono libri che bisogna assolutamente leggere, soprattutto Bagattelle, che dovrebbe essere ripubblicato da un buon editore e reso disponibile anche adesso, soprattutto adesso.
…ecco comparire la solita, scontata, logora, tiritera − di Moresco e d’infiniti altri: soprattutto adesso, sottintende, che le Forze Oscure Della Reazione in Agguato (FODRA) berlusconiane-fascio-leghiste progettano nuovi Olocausti di Rom, immigrati, etc.
C’è dentro la pancia e la merda dell’Europa. Com’è stato possibile che il cuore del Novecento diventasse la pancia e la merda dell’Europa?
Non serve essere un geopolitico di vaglia per comprendere come l’emergere degli Stati Uniti quale potenza globale a discapito del British Empire, la Rivoluzione sovietica e cinese, l’espansionismo giapponese, la Prima guerra mondiale e la scomparsa degli Imperi Centrali, il riaccendersi dei nazionalismi, etc., forse magari qualche sconvolgimento potevano portarlo… ma si fa certamente meno fatica a pensare che tutto sia colpa di Céline e di Hitler.
[…] il libro è saturo sino a scoppiare di antisemitismo e razzismo, che con monomaniacale diligenza vi vengono continuamente riportate citazioni atte a mostrare la diabolica avidità e malignità degli ebrei, riprese da scrittori, uomini politici e pensatori di tutti i tempi, Cicerone, Fourier, Bakunin, Bela Kun, Rathenau, Disraeli, D’Aubigné, Rochefort, ma anche dalle stesse fonti ebraiche, dal Talmud, dai Profeti, dai Salmi…
Senza entrare nello specifico dell’accuratezza o meno delle citazioni di Céline, notiamo soltanto come a Moresco sfugga il fatto che alcuni dei personaggi citati, come Bela Kun, Disraeli e Rathenau fossero proprio ebrei.
Ci sono dei libri intollerabili, odiosi che ci dicono però anche l’altra parte della “verità”, la sua faccia inconfessabile, nascosta, in ombra, che ci fanno capire con la potenza della letteratura cosa può bollire nella nostra pancia e nella pancia del mondo.
…e poi ci sono i libri − e gli articoli − degli utili idioti, ogni riferimento a fatti o persone è puramente voluto.
Cose orribili, odiose, in questo caso, che stanno ritornando a galla, su cui bisogna che si riformino continuamente gli anticorpi, con cui bisogna avere il coraggio di confrontarsi, da cui non ci salveranno le sole regole, per quanto giuste e lungimiranti, le leggi a largo spettro, le prescrizioni, i divieti.
Eccole, le FODRA! There she blows! È chiaro: senza gli anticorpi antifa, ritornano l’Inquisizione, le SS, la Muti; more solito, per gli eventuali successori degli ucraini fatti morire di fame da Stalin, i baltici perseguitati, i polacchi trucidati, gli studenti di Praga e Budapest, che siano oggi in Tibet o nel Myanmar, non ci sono anticorpi e coscienze universali; semplicemente, per l’intellettuale radical-chic sinistrorso progressista, essi non esistono, né sono mai esistiti − 1984 docet. Per questi esemplari esponenti della società civile esiste solo l’eterno diplomino di militante antifascista… Moresco poi invoca tutto il democratico arsenale per prevenire il Thoughtcrime… curioso che il fu militante in organizzazioni rivoluzionarie invochi adesso l’autorità del bieco e reazionario Stato borghese.
Sono così labili i nostri cuori e le nostre menti da avere una simile paura di entrare dentro questo orrore e di sostenerne lo sguardo? Io questo libro l’ho letto ma non per questo sono diventato antisemita. Sono rimasto − se possibile ancora di più − filosemita.
Non lo mettevamo in dubbio… pochi sono gli uomini non filo-qualcosa, ma semplicemente liberi. Forse perché il prezzo da pagare è alto, come dimostra la vita di Céline, e Moresco, come molti altri, preferisce invece aspettare i saldi.
Quindi, in Lettera a Céline, tralasciando di commentare l’originalità e l’eloquenza della prosa seguente…
Un paio d’anni fa, all’interno di un libro sullo sbrego della letteratura, ho scritto questa lettera a Céline: Figlio di puttana Céline! Fetente Céline! […] Ti brucia il culo di fronte a scrittori come Dostoevskij, perché sei un pezzo di merda e non riesci a tollerare la grandezza al di fuori del tuo pezzo di merda […]
…Moresco dichiara, bontà sua:
Io ti ho sempre difeso, sempre, anche quando militavo in organizzazioni rivoluzionarie e stavo dentro una certa visione politico-ideologica del mondo e potevo provare il massimo orrore per le tue posizioni
L’accenno di Moresco alla sua militanza in organizzazioni rivoluzionarie non inganni: non ci troviamo di fronte alla confessione di appartenenza ad un gruppo di fuoco delle Brigate Rosse o di Sendero Luminoso, ma solo, al massimo, della vanteria radical-chic di chi si pavoneggiava velleitariamente in Lotta Continua o similia − come tanti, troppi protagonisti della “cultura” italiana. Non domo, prosegue:
Non perché, anche allora, non provassi pena e orrore per il tuo antisemitismo e razzismo e per la tua meschinità e paura e grettezza da piccolo borghese incattivito e con la merda al culo, spaventato, vigliacco e disposto a tutto.
Notare come il lessico da volantino agit-prop “contro lo stato borghese” sia rimasto tale e quale… magari un po’ di pena e orrore, espressa in questi termini così accesi di “furore civile”, Moresco poteva provarla per i suoi compagni delle Hazet 36 o dei GuLag. Magari, alla fine lo farà. Sono sempre qui, mi assento mai, resto apposta per i ritardatari... scriverebbe Céline. Quindi, disinvoltamente, si passa dall’esecrazione massima e il turpiloquio alle lodi sperticate, forbitamente espresse. Un po’ usurato, come artifizio retorico:
Eppure, eppure − pur con tutto questo − la tua opera contiene una tale allucinata e deformata tensione allo svelamento e all’esplosione creazionale e cosmica delle forme e dell’orrore nascosto nel cuore stesso della vita da costituire qualcosa di unico, fondamentale e fenomenale, sia per la modernità e il Novecento che in senso universale.
E, per non farci mancare niente dell’armamentario radical-chic, il più labile dei pretesti va senz’altro sfruttato per il consueto fervorino da giacobino mangiapreti:
Per questo trovo altrettanto intollerabile sia chi ti esalta per alcuni aspetti separati e non per altri, come certi cattolici marci e pieni di merda confessionale che ti leggono attraverso le loro proiezioni e campionature, reazionari e retrivi e spaventati e vigliacchi, che si fingono anarchici in arte ma che se ne stanno bene attaccati alle potenti tette secolari di un’istituzione religiosa che dovrebbe fare orrore a chi senta dentro di sé anche solo una minima tensione religiosa.
Quindi Moresco regala una perla d’involontario umorismo; quanto gli si addice, infatti, per la sua roboante e vuota prosa − vedi anche paragrafo successivo − la definizione d’avanguardino accademico!
Sia quegli avanguardini accademici irresponsabili, che vanno in sollucchero per il puro gioco alfabetico formale separato e per i tre puntini, gente che tu avresti disprezzato e trattato come merita.
E arrivano anche le sue profonde riflessioni in La figlia di Céline:
Nei pochi anni i cui è stato sposato con Edith Follet, Céline ha una figlia […] Ho spesso pensato a lei, leggendo i libri di Céline. Forse è solo ignoranza mia, ma non ho mai visto una sua foto, mai letto una sua intervista, nonostante un padre così importante.
Togliamo pure il forse.
Niente, come se non esistesse, non fosse esistita, che faccia avrà, o avrà avuto? Cosa avrà pensato di un padre simile? Lo avrà amato? Lo avrà odiato? Chissà! Sono cose inspiegabili!
Sono proprio cose inspiegabili, più o meno come questo capitoletto, e le banalità del paragrafo seguente, che concludono degnamente il compitino di Moresco:
Si sa, per essere amati dai propri figli a volte non basta amarli ed essere degni, per cui può darsi che per essere odiati non basti non amarli ed essere indegni. […] Mi piacerebbe vedere una fotografia della figlia di Céline, se ne esiste una. Mi piacerebbe incontrarla, se fosse viva da qualche parte. Chissà, forse tra noi due avrebbe potuto esserci amore.
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