Su "Il Manifesto" di domenica 4 agosto, articolo di Massimo Raffaeli su Albert Paraz: scrittore francese nato a Costantine in Algeria nel 1899 e morto a Vence nel 1957, fu uno dei più accesi sostenitori di Céline.
LOUIS-FERDINAND CÉLINE A ALBERT PARAZ
[Copenaghen]
lunedì [29 marzo 1948]
Vecchio mio
Niente da fare con gli editori. Sono dei
commercianti. Tutto dire. Il loro compito è tosarci a zero. I giornalisti
coprirci di merda. La copertina a fiori orripila il lettore. La copertina in
merda lo fa godere di brutto. Malvagità è Regina. Odiosità una Dea. E comunque
mi esaspera che si parli o si scriva di me in bene o in male dove non importa.
E’ spiccicato. Le reazioni sono sempre ignobili e disastrose. Preferisco mi si
dia per morto. Già è bello da morti essere meno odiati dai vivi. Una amica mi
scrive che in “Ici Paris” hanno passato la notizia dove sarei descritto come
particolarmente sadico! “sulla base
di lettere da me spedite a delle amiche”!!!
Sta schifezza non ne so nulla. Io sadico?
Io che da anni mi trascino nell’angoscia e la miseria e la noia e la malattia.
Cacchio, a me che da anni non mi si drizza! Dov’è che lo trovo l’umore santo
Iddio? Io che l’unica passione è rubare dei ¼ d’ora di sonno grazie al véronal…
Io che me ne sono sempre fottuto delle fregature del sesso! eccomi sadico! non
più che alcolista ahimé! Gli oblii e le ebbrezze mi sono tutti impediti.
Vecchio bevitore d’acqua, vecchio sfinito, naturalmente casto ho sempre descritto
ogni specie di porcherie per spassare le scimmie umane che tanto le disprezzo!
Si bagnano godono e ci credono pure sti sgorbi! E ne fanno di intrugli coi loro
miserabili 3 secondi di riproduzione! Commedia e dramma e piselli dovunque!
L’immenso spasso!
Paulhan fa uscire finalmente Casse-pipe. Quanto mi sono rotto con le
bozze. E gratuitamente. Diranno
ancora che mi sono intascato dei lingotti!
Il tuo polmone va. Va bene. Tu mi
affosserai è ovvio. Io non mi reggo più in piedi. Se solo un po’ mi rianimo –
poi lo pago a notti di insonnia. Ah! Rianimarmi con lo sgobbo. Non stare a
eccitarti! Ogni giorno noi coricati alle 7 alzati alle 6. Mai una visita. Mai una passeggiata. Mai un
cine. Niente. Mi divertirei di più in
un lebbrosario. Mi guadagnerei da vivere, prima cosa. Se ti capita di scendere
a Nizza vai a trovare i miei suoceri (molto gentili e molto signorili) i Sigg. Pirazzoli 8 Rue Massena Nizza. Ti
riceveranno senz’altro. MA TU NON DIRLO A NESSUNO.
Molto affett. tuo
LFC
[Louis-Ferdinand
Céline, Lettres à Albert Paraz
(1947-1957), Edition établie et annotée par Jean-Paul Louis, “Cahiers
Céline” 6, Gallimard 1980, poi in Lettres,
Edition établie par Henri Godard et Jean-Paul Louis, “Bibliothèque de la
Pléiade”, Gallimard 2009, pp. 1034-1035]
Nel marzo del 1948, Louis-Ferdinand Céline
è reduce da quasi un anno di prigione a Copenaghen ed è ospite dell’avvocato
Thorwald Mikkelsen che sta arredando alla meglio per lui, sua moglie Lucette
(la ballerina che i lettori conoscono come Lili), il loro gatto Bébert e la
cagna Bessy una baracca di legno sulle rive del Baltico. Céline è fuggito da
Montmartre nel giugno del ’44, è stato a Sigmaringen a margini della cricca di
Pétain e Laval, poi ha attraversato la Germania in fiamme puntando sulla
Danimarca dove tempo prima aveva messo in banca (tradotti in lingotti d’oro) i
diritti d’autore dei due grandi romanzi anteguerra, Viaggio al termine della notte e Morte a credito. Fin dalla Liberazione è ricercato dalla giustizia
francese e presto viene condannato a morte in contumacia sulla base dell’art.
75 del codice penale, “intelligenza col
nemico”, ritenendosi tale non tanto gli infami libelli antisemiti di cui si è
macchiato nel decennio precedente quanto i suoi reiterati rapporti con la
stampa e gli alti papaveri collaborazionisti sotto l’0ccupazione e dunque sotto
il tallone nazista, sous la botte des
nazis. Pescato dalla Resistenza a Copenaghen nel dicembre del ’45,
incarcerato, poi ricoverato in ospedale e infine ai domiciliari sulla parola, ora
è in attesa di una estradizione che il suo avvocato sta procrastinando con ogni
cavillo. Céline non ha un soldo e non ha più un editore perché Robert Denoel
(colui che aveva scommesso sul Voyage
dopo il gran rifiuto di Gallimard) è stato giustiziato a Parigi, in circostanze
mai chiarite, poco dopo la liberazione della città. Peraltro è difficile immaginare
al presente un editore per colui che in patria è sinonimo di una canaglia soltanto
meritevole, pari a Robert Brasillach, del plotone di esecuzione. Per parte sua
Céline non ha mai avuto se non astio e disprezzo nei confronti degli editori,
che considera in blocco peggio dei giornalisti, turpi ignoranti, pescicani
affamatori o avidi parassiti: una volta amnistiato e di nuovo a Parigi già alla
fine del 1951, egli non risparmierà neanche il suo grande redentore, Gaston
Gallimard in persona, dandogli regolarmente, in privato come in pubblico, del
truffatore e del maniaco sessuale (le
vieux cochon, vecchio porco per
antonomasia, come attestano a oltranza Lettere
agli editori, a cura di Martina Cardelli, Quodlibet 2016). Grazie ad alcuni
fan, tra cui il giovanissimo Pierre
Monnier, ora sta cercando di piazzare con scarsi risultati in Belgio e nella
Svizzera francese i suoi vecchi capolavori, meglio se in edizioni di lusso, e
però sta evidentemente sottovalutando il lavoro sottotraccia di Jean Paulhan, longa manus di Gallimard e neodirettore
della “N.R.F.”, che ha il compito sia di rimuovere dal catalogo le macchie
collaborazioniste sia di acquisire in silenzio Céline (primo segnale è la
pubblicazione di uno squarcio narrativo inedito, Casse-pipe) cioè un autore perduto dalla casa editrice molti anni
prima per un ambiguo giudizio del comitato di lettura. Céline proprio grazie a
Paulhan verrà “pleiadizzato” (immesso da vivo nella prestigiosissima collana
della Pléiade) eppure nei suoi romanzi terminali contraccambierà trattandolo
alla stregua di un paraninfo ipocrita e viscido, del servo più zelante del vecchio
Gaston, ribattezzandolo Loukoum,
leccalecca. Il fatto è che Céline, nella sua paranoia perfettamente autocentrata,
non ha bisogno di interlocutori ma di sparring
che ogni volta gli facciano da sponda e ne rilancino la logorrea o necessita
insomma di qualcuno che riceva la sua giaculatoria perpetua di vittima e di
capro espiatorio. In questo è ideale Albert
Paraz, anche lui un ex di Denoel, e il loro carteggio è infatti il più cospicuo
del periodo danese, oltre trecento lettere a testa. Paraz (Costantine, Algeria
1899-Vence 1957) è per taluni aspetti l’antipode di Céline perché nonostante la
tubercolosi è un bon vivant, uno
scapigliato, un poligrafo disordinato e dispersivo, ma per altri riguardi Paraz
è un doppio di Céline: anarchico di simpatie destrorse, collabora a “Rivarol” e
purtroppo nel ’50 accoglie il volume di un ex socialista, Mensonge d’Ulysse di Paul Rassinier, accettando di scrivere la
prefazione (con un gesto di presunto e del tutto male inteso anticonformismo) a
quanto viceversa farà da battistrada ai futuri negazionisti. Mai tradotto in italiano,
ci informa il suo maggiore studioso Jacques Aboucaya (in Paraz le rebelle, L’Age d’Homme 2002) che anche in Francia è poco letto
e confinato tra gli eccentrici. Molto datati i due romanzi picareschi del suo
portavoce e antieroe Bitru (1936-’37),
di Paraz rimangono in sostanza tre pamphlet
in onore di Céline ovvero scritti virtualmente con Céline medesimo, Le Gala des vaches (’48), Valsez saucisses (’50) e Le Menuet du haricot (postumo, 2003). Paraz
vi incorpora le lettere céliniane via via che le riceve come materia prima per
la apologia di uno scrittore braccato, umiliato e ormai quasi cancellato. Lo
stile di Paraz non è affatto mimetico e alla piccola musica di Céline (la poetite musique che in effetti è una
musica sincopata, jazzistica) oppone la cadenza di chi cerca la leggerezza e la
rapidità stenografica. Paraz non vedrà mai né il proprio redentore né l’edizione
complessiva dei libelli uscita solo nel 2003 a Losanna presso L’Age d’Homme
dell’indimenticabile Vladimir Dimitrijevic. A dispetto del maestro che l’aveva
ripetutamente messo in guardia dagli editori: quelle joie de nous assassiner! Quanto gli gusta di assassinarci!
Massimo Raffaeli