domenica 7 agosto 2016

Andrea Lombardi: “I romanzi di Céline distruggono le illusioni sulla vita”, intervista di Federica Colantoni




Louis-Ferdinand Céline, nato Louis-Ferdinand Destouches, è stato uno degli scrittori più influenti ed eclettici del Novecento, il cui stile innovativo ha influenzato le penne degli appartenenti alla Beat Generation. Scrittore prolifico e controverso, la critica con lui non si è risparmiata; eppure, ancora oggi, a più di 50 anni dalla sua morte, i suoi libri continuano a suscitare l’interesse dei più.

Andrea Lombardi, insieme a Gilberto Tura, è il curatore del saggio Louis-Ferdinand Céline. Saggi, interviste, ricordi, lettere (Italia Storica, Genova 2016), una raccolta di testimonianze, interviste, ricordi dello stesso Céline e di chi l’ha umanamente o letterariamente conosciuto. Ce ne parla in quest’intervista.

Louis-Ferdinand Céline – Saggi, interviste, ricordi e lettere, 
a cura di Andrea Lombardi e Gilberto Tura, Italia Storica, Genova 2016.

In collaborazione con Gilberto Tura ha curato il saggio Louis-Ferdinand Céline. Saggi, interviste, ricordi, lettere. Attraverso gli scritti che avete raccolto, quanto spazio è riservato al Céline uomo e quanto al Céline letterato?

Difficile separarli, artefacendo una dicotomia tra il dottor Destouches e Céline a mo’ di Dr. Jekyll e Mr. Hyde. Le molte vite di Louis Destouches, dai macelli di massa della prima guerra mondiale, alle piantagioni africane, al fordismo americano, alla disperazione delle banlieue, e, infine, la Germania in fiamme sotto le bombe al fosforo Alleate, hanno formato Céline, l’uomo e, in parte, il romanziere. Come disse egli stesso nel 1939 allo scrittore Pierre Ordioni, appena richiamato: «Senza il maresciallo d’alloggio Destouches, non ci sarebbe mai stato Céline. Vedrà, al ritorno non sarà più lo stesso. […] La guerra vi fa smaltire la sbornia».

Scritti di personaggi importanti della letteratura e non solo – come Ezra Pound, Henry Miller, Charles Bukowski – riempiono le pagine del libro. Qual è il contributo più significativo per capire il personaggio di Céline, a parer suo? Se ve n’è uno.

Sicuramente, nel libro vi sono un gran numero di scritti inediti in italiano di Céline e su di lui, i quali permettono di approfondire tanto gli aspetti più critico-letterari che quelli biografici: dalle sue sulfuree interviste degli anni dell’eremo di Meudon a un suo importante scritto inedito risalente al suo periodo di medico della Società delle Nazioni, a una rarissima intervista alla figlia Colette, rievocante l’eccezionale scrittura del Viaggio al termine della notte, alle sue divertenti lettere all’“ussaro” Roger Nimier sulle vacanze di massa… ai ricordi delle persone più o meno famose che lo conobbero: l’amica di famiglia Eliane Bonabel, l’amico-nemico Gen Paul, il prefetto della “rossa” banlieue di Clichy Frédéric Empeytaz, Karl Epting e Gerhard Heller dell’Istituto di cultura tedesco nella Parigi dell’Occupazione, Robert Brasillach, l’affascinante libertina Maud de Belleroche, il giornalista Ole Vinding che gli fu amico nell’esilio danese, e Pierre Duverger a Meudon, al quale rivelò: «La Rivoluzione, noi la vediamo compiersi ogni giorno. La sola, la vera, è il bracciante negro che si monta la piccola servetta bretone. Tra qualche generazione, la Francia sarà completamente meticciata, e le nostre parole non vorranno più dire nulla. Che piaccia o no, l’uomo bianco è morto a Stalingrado».

«Non si può non continuare a chiederci come mai uno scrittore di quella forza e di quella novità si sia lasciato trascinare da uno spirito più che polemico, predicatore di morte e di rovine», scriveva Carlo Bo riferendosi all’antisemitismo di Céline. Crede si possa dare una risposta?

[Ride] Dalla “banalità del male” alla banalità della banalità! Carlo Bo, in effetti, da fascistissimo laureato a imboscato prima e dopo l’8 settembre 1943 non poteva non continuare a farsi questa domanda, visto che la “morte e rovine” se le è in buona parte evitate!… lasciamo la risposta a chi invece la guerra l’aveva fatta, come Céline… «Céline stesso doveva occasionalmente essersi proprio nauseato della sua mente, e provo a ipotizzare quale fosse il suo difetto principale. Penso che mancasse dell’apparato attutente che la maggior parte di noi ha, e che ci protegge dall’essere travolti dall’assurdità della vita per come realmente è. Così forse lo stile di Céline non è così arbitrario come pensavo fosse. Poteva essere inevitabile, se la sua mente era così indifesa. Per lui poteva non esserci nulla da fare, come se si trovasse sotto uno sbarramento d’artiglieria, se non inveire e inveire e inveire. E le sue opere non possono essere chiamate un trionfo dell’immaginazione umana. Quasi tutto quello su cui inveiva stava realmente accadendo». Sono le parole del grande scrittore liberal americano Kurt Vonnegut, nel 1944 soldatino americano sperduto tra i Panzer tedeschi nelle Ardenne, e testimone, da prigioniero, del bombardamento – della strage – di Dresda nel 1945, da una sua introduzione a una edizione in lingua inglese della Trilogia del Nord di Céline, significativamente intitolata Un simpatizzante nazi difeso a qualche costo, e inclusa nel libro di cui stiamo parlando.

Quanto il suo antisemitismo ha invaso, o meglio si è manifestato nei suoi scritti, oltre in testi come Bagatelle per un massacro?

Beh, negli altri due pamphlet, La bella rogna e La scuola dei cadaveri, che sono ad ogni modo importanti da studiare perché la loro scrittura è tra i primi esperimenti céliniani per arrivare allo “stile emozionale”, vera rivoluzione degli ultimi romanzi di Céline.
In questi libri, più citati che letti, sia da destra che da sinistra, Céline se la prende, cito alla rinfusa, anche con Stalin, con Hitler, con la chiesa cattolica, con i francesi più o meno borsaneristi, più o meno Petainisti, tra una forsennata serie di invettive, ricordi, narrazioni varie e un balletto e l’altro. Fare una specie di “manuale del genocidio per provetti Eichmann” di questo vortice verbale mi sembra sia abbastanza delirante. Ma vediamo succedere di peggio a livello di conformistica demenza, quindi la cosa non mi stupisce troppo.

E quanto, invece, è stato causa di pregiudizio della critica e, soprattutto, dei lettori che per questo motivo tendono a non cimentarsi nella lettura delle sue opere?

Mah, il pregiudizio lo vedo più nella critica, questi “inculatori di mosche”… pur tra alti e bassi Céline è letto da migliaia di lettori, e, specie in Francia, negli ultimi anni non si contano i libri, DVD, documentari di grande successo su lui e la sua opera. Chi poi non legge Céline, semplicemente, si perde dell’alta letteratura, dallo stile innovativo ancora oggi, quasi un secolo dopo.

Invece com’è stato il suo approccio iniziale all’opera di Céline? Di lettore o studioso?

In realtà, dopo aver letto il Viaggio non scoccò istantaneamente il sacro fuoco céliniano; sicuramente, avendolo letto al primo anno d’università, distrusse, però senza che me ne accorgessi subito, buona parte delle illusioni sulla vita, sull’uomo… e Mea Culpa, quella manciata di pagine di geniale smascheramento del fallimento di ogni tentativo politico-religioso di palingenesi dell’uomo, questo «pretenzioso, irrimediabile, impraticabile buco del culo che si vede Giove allo specchio», fecero il resto! Ma, per fortuna di noi lettori, a ben vedere, proprio in fondo in fondo, un bagliore di poesia, di umanità, Céline te lo lascia sempre.

Oltre che del saggio, lei e Tura siete curatori del primo blog italiano dedicato a Céline. Quali sono la genesi del blog e gli obiettivi prefissati?

Il blog, nato per caso mentre testavo la piattaforma blogger, è diventato rapidamente – e con mia sorpresa, inizialmente, non mi ero reso conto che stavo riempiendo un vuoto – un riferimento per i tanti céliniani italiani, spronandomi a pubblicare sempre più piccoli e grandi inediti sul blog e, passando dal virtuale al reale, pubblicando diversi libri su LFC, tra i quali La morte di Céline di Dominique de Roux, Roma 2015, Céline ci scrive – Le lettere di Céline alla stampa collaborazionista francese, 1940-1944, Roma 2011, e Louis-Ferdinand Céline in foto – Immagini, ricordi, interviste e saggi, Genova 2009, più volte citati nel Bulletin célinien e nella Bibliographie internationale de l’oeuvre de Céline, a cura di Alain de Benoist, Parigi 2015. Tutti obiettivi raggiunti non pianificandone a tavolino neanche mezzo, peraltro, e senza appoggi, se non dei céliniani, amici, più che collaboratori o lettori, che mi incoraggiano da anni! Ma, d’altronde, come scrisse nel 1934 Céline a Élie Faure a margine di una lettera: «Non chiedo nulla a nessuno – La gioventù va dove la porta il suo lirismo, a caso».

Federica Colantoni

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