giovedì 15 ottobre 2015

"La morte di Céline" recensito da Manlio Triggiani per Il Borghese







Dominique De Roux
La morte di Céline
Lantana ed. Roma 2015
Pp. 136, € 16,00

Dopo gli anni di internamente in Danimarca, nel carcere di Vestre Faengsel, e un periodo di esilio,
Louis-Ferdinand Céline tornò in Francia nel 1951, dopo la promulgazione dell’amnistia, e si ritirò a Meudon, un piccolo centro a dieci chilometri da Parigi. Ormai i suoi libri non erano ristampati, lo scrittore era odiato dai suoi connazionali che vedevano in lui il collaborazionista che l’aveva fatta franca e che, come disse Sartre, era stato «al soldo dei nazisti», cosa non vera perché Celine non
collaborò mai con i nazionalsocialisti. Dieci anni dopo, quando erano già usciti Da un castello all’altro e Nord, opere importanti che non riscossero successo dato il clima dell’epoca, scrisse Rigodon, che ultimò il 29 giugno del 1961. Morì di aneurisma il successivo primo luglio.

A questa scomparsa seguì il silenzio della critica e degli editori. Pareva proprio che l’oblio sarebbe caduto sullo scrittore francese. Lo stesso editore Gallimard pubblicò l’ultimo volume della trilogia soltanto nel 1969, otto anni dopo la morte. Ma nel 1966, un giovane intellettuale francese, il 31enne Dominique de Roux, dedicò allo «scrittore maledetto» un volume, La morte di Céline, ora uscito in italiano, che rilanciò l’interesse verso lo scrittore francese.

La casa editrice Lantana ha svolto un’ottima operazione culturale facendo conoscere ai lettori italiani un intellettuale, agitatore culturale, editore e giornalista di livello come de Roux, che mori prematuramente all’età di 41 anni, e un libro che fu centrale nel rilancio dell’interesse per uno scrittore come Céline. De Roux agitò la scena intellettuale con provocazioni, con articoli molto acuti, promuovendo il rilancio del dibattito culturale su scrittori francesi che erano stati ormai ostracizzati per le loro scelte legate alla propria visione del mondo.

Un testo che non segue schemi precisi ne' preconcetti questo di de Roux che partendo dall’elencazione di avvenimenti passa poi a digressioni, analisi, osservazioni, allegorie, tutto per ripercorrere i punti fondamentali di una vita davvero unica, quella di Céline. Dall’infanzia alla
giovinezza de Roux narra una storia di idee, di letteratura, di vita, di mostrare l’opera dello scrittore di Courbevoie che fu capace di penetrare l’umanità, capire l’uomo, attraverso le esperienze a Londra, all’estero, i viaggi in Africa, in America, la professione medica, fino alle notti stancanti nelle quali, dopo una giornata trascorsa nel dispensario di Clichy, scriveva storie, narrava la vita, raccontava quello che aveva visto. Come spiegò più tardi, aveva prima vissuto e poi aveva cominciato a descrivere la vita iniziando dal Viaggio al termine della notte.

Dominique de Roux apprezzava questo nuovo stile letterario, questa nuova scrittura, che cambia i registri attraverso iperboli ed ellissi, con una impronta colloquiale, che si richiamava al parlato, alternando volgarità a irrisione, a toni sottilmente poetici.

È così che de Roux ci narra Céline, attraverso la sua vita ma soprattutto attraverso la sua opera. Le due cose sono intrecciate ed emerge dalle idee che esprime attraverso le proprie narrazioni: dai pamphlet antisemiti all’anticomunismo espresso in Mea culpa, libretto di annotazioni sul suo
viaggio in Russia. Fino ad arrivare alla fuga dalla Francia verso il Nord al seguito delle truppe tedesche, verso Sigmaringen. Céline era attivamente ricercato in Francia.

Per de Roux parlare di Céline è stato, con questo libro, narrare uno fra i maggiori letterati del Novecento in una prospettiva nuova: quella di uno scrittore visionario, che anticipava i tempi e che paventava pericoli e catastrofi che in seguito si sono avverati. C’è tutto l’atto di accusa contro
il Novecento, contro la modernità nella scrittura del solitario di Meudon e nella sua tragica e cupa visione.

Peraltro, con grande coraggio, soprattutto in quei tempi, de Roux non distingueva l’opera dall’autore e non suddivideva l’opera fra quella letteraria e quella dei pamphlet. Un modo
per accettare Céline totalmente, e nella sua essenza.

Manlio Triggiani
Il Borghese

Luglio 2015

lunedì 12 ottobre 2015

“Céline ha più dinamite di quanta ne abbia avuta Hitler”, di Henry Miller


Henry Miller, autore dello scandaloso Tropico del cancro dichiarò in più occasioni la sua ammirazione e il suo debito di formazione letteraria con le opere di Céline, citandolo, tra l’altro, in due delle sue lettere a Lawrence Durrell1:

21 novembre 1942
[…] Ho appena terminato di leggere Morte a credito di Céline. Stranamente mi ci sono voluti più di due anni. Ho bighellonato per le ultime duecento pagine. Splendido, feroce. Penso davvero che sia il più grande scrittore oggi in vita. Dopo aver sconfitto le potenze dell’Asse, dovranno battere Céline: ha più dinamite lui di quanto ne abbia mai avuta Hitler. È un odio continuo, e per tutta la razza umana; ma che allegria!

C’è un cadavere, verso la fine, che diverte più di una compagnia di comici. Una comicità che ti fa ghiacciare il sangue nelle vene, e che talvolta ti dà il voltastomaco. Procuratelo, Larry, ti tirerà su il morale. E forse a te piacerà ancora più che a me: il traduttore era inglese, e tutte le espressioni gergali sono in inglese britannico; per me è come leggere il turco. È molto buffo: immagina un francese che dice: “Fottiti!2”. […]

9 febbraio 1947
[…] Céline è a Copenhagen, in prigione, credo, e ha perso trenta chili. I francesi vorrebbero processarlo e immagino giustiziarlo, ma i danesi stanno cercando di salvargli la vita. Lui dice: “Come potete chiamarmi fascista o collaborazionista? Vi disprezzo tutti, non importa da che parte stiate”. Non sono le sue parole precise, ma il senso è quello. E posso proprio credergli. C’è stata una meravigliosa recensione del suo Les Beaux Draps scritta da un ebreo francese [sic], Milton Hindus3 (non Maurice), su un numero recente di “Angry Penguins”: dovresti leggerla, è proprio meravigliosa!

Insomma, a sentire Man Ray, gli esistenzialisti e i surrealisti stanno per iniziare la battaglua. Ma secondo me sono entrambi finiti. Due cadaveri che si azzuffano senza senso. Il mondo, mi sembra, vuole solo caffè, zucchero, strutto e indumenti caldi. La guerra ideologica è finita. Russia e America si stanno spartendo la terra. Non so ancora da che parte stia l’Inghilterra. Probabilmente si butterà con tutto il suo peso dalla parte del più forte. Ma se entriamo in guerra, stavolta non sono affatto sicuro della vittoria. Mi sembra proprio una situazione senza via d’uscita: l’Orso contro l’Aquila. […]


1 In Lawrence Durrell – Henry Miller, I fuorilegge della parola. Lettere 1935-1980, Milano 1991, pagg. 143-144 e 176-177. Un ringraziamento all’amico Maurizio Pansini per la segnalazione. 

2 “bugger off!” (“vaffanculo!”, “levati dal cazzo!”), nel testo originale, NdC. 

3 Come noto, Milton Hindus, autore della discutibile biografia di Céline The Crippled Giant, era statunitense, non francese, NdC.