Dominique De Roux
La morte di Céline
Lantana ed. Roma 2015
Pp. 136, € 16,00
Dopo gli anni di
internamente in Danimarca, nel carcere di Vestre Faengsel, e un
periodo di esilio,
Louis-Ferdinand Céline
tornò in Francia nel 1951, dopo la promulgazione dell’amnistia, e
si ritirò a Meudon, un piccolo centro a dieci chilometri da Parigi.
Ormai i suoi libri non erano ristampati, lo scrittore era odiato dai
suoi connazionali che vedevano in lui il collaborazionista che
l’aveva fatta franca e che, come disse Sartre, era stato «al soldo
dei nazisti», cosa non vera perché Celine non
collaborò mai con i
nazionalsocialisti. Dieci anni dopo, quando erano già usciti Da un
castello all’altro e Nord, opere importanti che non riscossero
successo dato il clima dell’epoca, scrisse Rigodon, che ultimò il
29 giugno del 1961. Morì di aneurisma il successivo primo luglio.
A questa scomparsa seguì
il silenzio della critica e degli editori. Pareva proprio che l’oblio
sarebbe caduto sullo scrittore francese. Lo stesso editore Gallimard
pubblicò l’ultimo volume della trilogia soltanto nel 1969, otto
anni dopo la morte. Ma nel 1966, un giovane intellettuale francese,
il 31enne Dominique de Roux, dedicò allo «scrittore maledetto» un
volume, La morte di Céline, ora uscito in italiano, che rilanciò
l’interesse verso lo scrittore francese.
La casa editrice Lantana
ha svolto un’ottima operazione culturale facendo conoscere ai
lettori italiani un intellettuale, agitatore culturale, editore e
giornalista di livello come de Roux, che mori prematuramente all’età
di 41 anni, e un libro che fu centrale nel rilancio dell’interesse
per uno scrittore come Céline. De Roux agitò la scena intellettuale
con provocazioni, con articoli molto acuti, promuovendo il rilancio
del dibattito culturale su scrittori francesi che erano stati ormai
ostracizzati per le loro scelte legate alla propria visione del
mondo.
Un testo che non segue
schemi precisi ne' preconcetti questo di de Roux che partendo
dall’elencazione di avvenimenti passa poi a digressioni, analisi,
osservazioni, allegorie, tutto per ripercorrere i punti fondamentali
di una vita davvero unica, quella di Céline. Dall’infanzia alla
giovinezza de Roux narra
una storia di idee, di letteratura, di vita, di mostrare l’opera
dello scrittore di Courbevoie che fu capace di penetrare l’umanità,
capire l’uomo, attraverso le esperienze a Londra, all’estero, i
viaggi in Africa, in America, la professione medica, fino alle notti
stancanti nelle quali, dopo una giornata trascorsa nel dispensario di
Clichy, scriveva storie, narrava la vita, raccontava quello che aveva
visto. Come spiegò più tardi, aveva prima vissuto e poi aveva
cominciato a descrivere la vita iniziando dal Viaggio al termine
della notte.
Dominique de Roux
apprezzava questo nuovo stile letterario, questa nuova scrittura, che
cambia i registri attraverso iperboli ed ellissi, con una impronta
colloquiale, che si richiamava al parlato, alternando volgarità a
irrisione, a toni sottilmente poetici.
È così che de Roux ci
narra Céline, attraverso la sua vita ma soprattutto attraverso la
sua opera. Le due cose sono intrecciate ed emerge dalle idee che
esprime attraverso le proprie narrazioni: dai pamphlet antisemiti
all’anticomunismo espresso in Mea culpa, libretto di annotazioni
sul suo
viaggio in Russia. Fino
ad arrivare alla fuga dalla Francia verso il Nord al seguito delle
truppe tedesche, verso Sigmaringen. Céline era attivamente ricercato
in Francia.
Per de Roux parlare di
Céline è stato, con questo libro, narrare uno fra i maggiori
letterati del Novecento in una prospettiva nuova: quella di uno
scrittore visionario, che anticipava i tempi e che paventava pericoli
e catastrofi che in seguito si sono avverati. C’è tutto l’atto
di accusa contro
il Novecento, contro la
modernità nella scrittura del solitario di Meudon e nella sua
tragica e cupa visione.
Peraltro, con grande
coraggio, soprattutto in quei tempi, de Roux non distingueva l’opera
dall’autore e non suddivideva l’opera fra quella letteraria e
quella dei pamphlet. Un modo
per accettare Céline
totalmente, e nella sua essenza.
Manlio Triggiani
Il Borghese
Luglio 2015