L'opera di Céline in brevi schede bibliografiche, estratti, notizie e interviste.
venerdì 26 dicembre 2008
mercoledì 24 dicembre 2008
La casa di Céline a Meudon...
... dal satellite!!! Riceviamo e pubblichiamo molto volentieri!
Andrea,
Credo di aver trovato su Google Maps la casa di Céline a Meudon (vedi allegato).
L’indirizzo e’ “25 ter, Route des Gardes”. A seconda di come si conta, il ter puo’ essere A o B.
Siccome in diverse foto di Céline a Meudon si intravede sullo sfondo la fabbrica Renault
(ora abbattuta) dell’Ile Seguin e che tale vista e’ schermata in B da due-tre alberi molto alti,
propenderei per A.
Lucie Almansor-Destouches a quasi 97 anni vive ancora li’, malgrado un becchino porta-sfiga
avesse a suo tempo inciso un “19..” come data della sua morte sulla tomba Destouches
nel cimitero di Meudon...
[seguono considerazioni fattuali e condivisibili ma "not fit to print" su Ferroni, Piperno, De Luca, usw]
Keep up the good work
Saverio Paleni
giovedì 11 dicembre 2008
Louis-Ferdinand Céline sul Corriere...
...ovvero i pigmei (Piperno, De Luca... a che titolo sono chiamati in causa, peraltro? Sono francesisti insigni? Hanno mai compilato saggi importanti su Céline? O sono solo gli "utili idioti" che servivano al Corriere? Eh, che dubbio amletico...) contro il gigante...
La palma d'oro se la merita il Massimo Onofri, che dall'alto delle sue collaborazioni a La Stampa e Diario, e senza una pubblicazione di rilievo su autori stranieri, proclama che Céline è ultimo tra almeno "venti scrittori, suoi coetanei, più significativi di lui". Questa summa di intellettuale, si riduce a fare la Top Twenty degli scrittori? Meglio un chilo di Sartre che una confezione di Camus? Ambedue sono meglio di un pacco di Céline? Venti? Perchè non ventuno? O diciotto?
Ridiamoci sopra, indignarsi sarebbe troppo.
"Céline antisemita? Va pubblicato", di Cristina Taglietti, Corriere della Sera, 10 dicembre 2008, pagina 41.
Grazie a Harm Wulf per la segnalazione.
mercoledì 10 dicembre 2008
lunedì 24 novembre 2008
Mea culpa e La bella rogna, di Guanda... e il suo falso
Il falso...
L'originale...
In alto, la ristampa non autorizzata, in basso l'originale.
Rispetto a quanto precedentemente indicato, in effetti il cartoncino della brossura è lo stesso; invece rimane valida come indicazione per distinguere originale da copia il fatto che i caratteri dei titoli della copertina e nei risguardi, nel falso sono leggermente fuori registro, come "sbavati" (vedi foto close-up).
Quotazione dell'originale: 80-100 Euro (visti anche a 150 Euro), valore del "falso", 20-30 Euro.
giovedì 30 ottobre 2008
Ristampato Colloqui con il professor Y!
Ristampato da Einaudi, settembre 2008. 110 pa., 16,00 Euro.
In realtà non mancava da "quaranta anni", come riferito dal "Domenicale" scorso, ma dal 1982.
venerdì 19 settembre 2008
Nuove date per lo spettacolo su Céline
Art Garage Pozzuoli- 8 novovembre
Aversa CE - teatro caligola 9 novembre
Caserta - teatro dei mutamenti 21 22 23 novembre
O Bu... Osteria del canale
Siamo in un’osteria. E’ L’alba.
Il romanzo “Viaggio al termine della notte” uscì nel 1928.
Nel romanzo, un ragazzo seduto al bar, dopo un paio di birre, incautamente s’arruola volontario per la prima guerra mondiale.
“il viaggio al termine della notte è romanzo potentemente comico, in cui farsa e tragedia si mescolano continuamente, in cui la rappresentazione dell’abiezione non frena semmai esalta la forza grottesca in un divertimento più forte dell’incubo”
Riduzione e messa in scena Alessandro Cavoli
Durata 1 ora
Contatti: Alessandro Cavoli
Tel.Cell. 340 2933250
rigodonensemble@libero.it
martedì 19 agosto 2008
Antonio Moresco su Céline
Céline visto
da Moresco e Piperno
(ovvero, italiche miserie)
di Andrea Lombardi
Riportiamo di seguito due interventi apparsi recentemente, redatti da Antonio Moresco e Alessandro Piperno [quest'ultimo è stato postato precedentemente]. Nello scritto di Moresco, nonostante lo sforzo dell’autore per apparire iconoclasta e à la page, è degna di nota la pressoché totale assenza di spunti critici originali, e la banale rimasticatura di triti luoghi comuni sulla vita di Céline. Anche considerandole esclusivamente dal punto di vista letterario, queste rapide note ci paiono di una banalità disarmante: quanto appare gratuita e banale l’invettiva di Moresco al confronto della prosa di chi egli vorrebbe commentare! L’accenno alla figlia di Céline, appare poi francamente patetico nel suo lirismo d’accatto, oltre che indicativo della profonda ignoranza e del provincialismo dell’autore italiano; foto e notizie di Colette appaiono in quasi tutte le pubblicazioni biografiche o critiche su Louis-Ferdinand Céline. Sia in questo caso sia per Piperno, che leggeremo poco innanzi, sembra che la biografia dello scrittore francese non sia oggetto di studio o di critica, ma sia invece usata a scopi “letterari” dagli autori suddetti, che appaiono compiacersi delle notazioni e delle figure retoriche da loro usate nei loro commenti, grondanti egocentrismo, autoreferenzialità e una spropositata − e mal riposta − stima di sé, caratteristiche comuni, purtroppo, a tanta parte della cultura italiana. Notiamo, inoltre, come entrambi si scaglino prevedibilmente contro il solito reprobo antisemita, ripetendo le abituali, scontate, e diffamanti accuse contro Céline, pagando l’usuale pedaggio al politically correct, chiaramente ignoranti del fatto che la recente critica francese, alla luce di nuovi documenti e di una interpretazione meno ideologica e più libera della biografia di Céline, hanno da tempo cessato di considerarlo come un bieco Collabo o addirittura come un anticipatore dell’Olocausto − accuse funzionali, queste, al relegare il grande scrittore in un ghetto, a tutto vantaggio di scrittori di ben minore caratura, come Aragon o Sartre, peraltro suoi passati ammiratori (e appassionati cantori dei veri campioni della democrazia progressista, quali la GPU e Stalin). Moresco e Piperno, insomma, lungi dal cercare di comprendere come mai in Francia, finalmente, sia un fiorire d’iniziative su Céline, preferiscano épater le bourgeois con ardite − a loro credere − elucubrazioni. Che nelle loro peggiori, veramente peggiori intenzioni dovrebbero dare lustro alla loro intelligenza. Declassano così l’oggetto della discussione, poiché in loro è presente solo la volontà di apparire, sfruttando il tema del giorno, politico, storico o letterario che sia. Come dei mediocri opinionisti, e non certo dei letterati.
di antOniO mOrescO
Ho parlato più volte di Céline, ma non ho ancora raccolto quello che penso in un unico scritto. Provo a farlo adesso, in queste rapide note buttate giù in un breve intervallo di tempo tra una fase e l’altra del mio lavoro finale su Canti del caos.
La faccia di Céline
Questa foto è stata scattata nel 1934. Céline ha quarant’anni esatti. Ha già scritto e pubblicato Viaggio al termine della notte e sta scrivendo Morte a credito. È un uomo maturo, già potentemente formato come scrittore. È Céline. Questo è proprio Céline. La sua foto della maturità, il suo baricentro somatico. Dopo le immagini giovanili in divisa da corazziere e prima di quelle finali, dove appare travestito da delirante clochard in mezzo ai suoi cani e gatti o mentre parla con il suo pappagallo. È una foto che fa problema: uno dei più grandi scrittori del Novecento: uno dei più grandi scrittori del Novecento ha questa faccia da uomo losco, corrotto, cattivo, da brutta persona, da malavitoso che è meglio tenere alla larga. Com’è possibile che uno dei maggiori scrittori del Novecento abbia una faccia simile? Eppure questa faccia appartiene proprio al più grande scrittore lirico del Novecento, al suo inventore più scatenato e più raffinato, al rabdomante del male, all’anima nera dell’Europa, della letteratura e del Novecento, alla cartina di tornasole delle sue abominevoli verità, appartiene a uno dei grandi artisti della parola scritta che siano mai esistiti. Che faccia avevano gli altri grandi scrittori del Novecento? Vediamo. Kafka aveva quella faccia da angelo anoressico con le ali al posto delle orecchie. Proust da mondano un po’ debosciato da cui al massimo non ti potevi aspettare niente. Joyce aveva quella faccia da schiaffi da irlandese alcolista e un po’ dandy. Musil poteva sembrare al massimo un dentista, un direttore di banca austriaco un po’ testa di cazzo o il titolare di un negozio di articoli ortopedici. […] Nessuno, assolutamente nessun’altro grande scrittore del Novecento ha una simile faccia di merda, da alieno salito dagli strati intestinali e gastrici dell’Europa e del Novecento, da meteora piombata all’incontrario, dal basso, nel mondo della cosiddetta letteratura. Nessuno. Solo Céline.
I “libelli” di Céline
I cosiddetti libelli di Céline non sono affatto libelli. Sono una cosa infinitamente più importante e grave. Uno di essi, il famigerato Bagattelle per un massacro, si espande per più di trecento fitte pagine ed è, a mio parere, inestirpabile dalla produzione maggiore di Céline. È un libro nevralgico, non solo per tutta l’opera di questo scrittore ma anche per l’intero Novecento. Se ciò di cui parla non fosse tragico, sarebbe un libro d’infernale comicità. Ci dice cosa bolliva nella pancia dell’Europa. Dobbiamo ascoltarli, gli scrittori, anche quando sono attraversati e agiti dall’orrore del mondo e resi schiavi dalla macchina del dolore. Bisogna ascoltare il grido degli scrittori, anche quando la loro bocca è la bocca stessa del male. Bisogna prenderli maledettamente sul serio, invece che credere di potersene stare al sicuro nell’immaginario e rassicurante spazio separato della cultura. […] Sono libri che bisogna assolutamente leggere, soprattutto Bagattelle, che dovrebbe essere ripubblicato da un buon editore e reso disponibile anche adesso, soprattutto adesso. C’è dentro la pancia e la merda dell’Europa. Com’è stato possibile che il cuore del Novecento diventasse la pancia e la merda dell’Europa? […] Certo, è vero − come è stato fatto notare altre volte − permane un fraintendimento profondo di questo libro. L’opinione comune è che in questo libro si invochi il massacro degli ebrei e che il suo titolo significhi appunto questo. Mentre Céline, in questo libro, sostiene al contrario che sono gli ebrei a preparare le condizioni per una nuova guerra e un massacro in Europa, per la loro avidità, i loro interessi e deliri di potenza, e che lui, combattente e ferito nella Prima Guerra Mondiale, ne sapeva qualcosa della guerra e proprio per questo metteva in guardia il mondo da questa minaccia. In questo senso mai scrittore fu preso più in contropiede e smascherato dalla storia. Ma, anche volendo prendere per buone queste deliranti intenzioni, resta il fatto che il libro è saturo sino a scoppiare di antisemitismo e razzismo, che con monomaniacale diligenza vi vengono continuamente riportate citazioni atte a mostrare la diabolica avidità e malignità degli ebrei, riprese da scrittori, uomini politici e pensatori di tutti i tempi, Cicerone, Fourier, Bakunin, Bela Kun, Rathenau, Disraeli, D’Aubigné, Rochefort, ma anche dalle stesse fonti ebraiche, dal Talmud, dai Profeti, dai Salmi… […] Ci sono dei libri intollerabili, odiosi che ci dicono però anche l’altra parte della “verità”, la sua faccia inconfessabile, nascosta, in ombra, che ci fanno capire con la potenza della letteratura cosa può bollire nella nostra pancia e nella pancia del mondo. Cose orribili, odiose, in questo caso, che stanno ritornando a galla, su cui bisogna che si riformino continuamente gli anticorpi, con cui bisogna avere il coraggio di confrontarsi, da cui non ci salveranno le sole regole, per quanto giuste e lungimiranti, le leggi a largo spettro, le prescrizioni, i divieti. Sono così labili i nostri cuori e le nostre menti da avere una simile paura di entrare dentro questo orrore e di sostenerne lo sguardo? Io questo libro l’ho letto ma non per questo sono diventato antisemita. Sono rimasto − se possibile ancora di più − filosemita.
Lettera a Céline
Un paio d’anni fa, all’interno di un libro sullo sbrego della letteratura, ho scritto questa lettera a Céline:
“Figlio di puttana Céline! Fetente Céline! Con tutto il tuo odio per Proust, mentre sei il suo fratello siamese rovesciato e incanaglito. Quando vai nell’Unione Sovietica e, durante la visita a un ospedale per sifilitici, ti domandi come mai uno scrittore come Dostoevskij abbia quella tenuta dall’inizio alla fine. Capisco un libro, magari due o tre, dici, ma tutti, uno dopo l’altro, fino alla fine, senza mai cedere di un pollice! E la cosa ti brucia, si sente. Ti brucia il culo di fronte a scrittori come Dostoevskij, perché sei un pezzo di merda e non riesci a tollerare la grandezza al di fuori del tuo pezzo di merda, perché capisci che sei della stessa razza, saresti potuto essere della stessa razza, per essere della stessa razza devi rovesciare tutta la razza, entrare nel cono d’ombra del Novecento, il secolo delle guerre mondiali e dei massacri delle menti e dei corpi e dell’allevamento dell’uomo col terrore della razza e delle ideologie. […] Io ti ho sempre difeso, sempre, anche quando militavo in organizzazioni rivoluzionarie e stavo dentro una certa visione politico-ideologica del mondo e potevo provare il massimo orrore per le tue posizioni. Non perché, anche allora, non provassi pena e orrore per il tuo antisemitismo e razzismo e per la tua meschinità e paura e grettezza da piccolo borghese incattivito e con la merda al culo, spaventato, vigliacco e disposto a tutto. Posizioni e atteggiamenti che mettono tra l’altro in intima contraddizione la tua stessa opera e che ne svelano dall’interno un elemento di pesante demagogia e finzione, perché − se pensi davvero le cose che dici sul genere umano − cosa te ne frega se i suoi appartenenti sono di una razza, di un colore, di una religione o di un’altra? In questo senso, il tuo caso è un enigma. Eppure, eppure − pur con tutto questo − la tua opera contiene una tale allucinata e deformata tensione allo svelamento e all’esplosione creazionale e cosmica delle forme e dell’orrore nascosto nel cuore stesso della vita da costituire qualcosa di unico, fondamentale e fenomenale, sia per la modernità e il Novecento che in senso universale. Per questo trovo altrettanto intollerabile sia chi ti esalta per alcuni aspetti separati e non per altri, come certi cattolici marci e pieni di merda confessionale che ti leggono attraverso le loro proiezioni e campionature, reazionari e retrivi e spaventati e vigliacchi, che si fingono anarchici in arte ma che se ne stanno bene attaccati alle potenti tette secolari di un’istituzione religiosa che dovrebbe fare orrore a chi senta dentro di sé anche solo una minima tensione religiosa. Sia quegli avanguardini accademici irresponsabili, che vanno in sollucchero per il puro gioco alfabetico formale separato e per i tre puntini, gente che tu avresti disprezzato e trattato come merita. […] Io non ho nessun culto ideologico per la “vita”, cosa di cui sono stato accusato. Ma la vita crea tutto, anche la morte, anche la deformazione, i poveri bambini siamesi con i crani attaccati e con unico cervello che pensa e sogna e soffre sull’enorme cellula cerebrale del pianeta Terra rotante a enorme distanza dalle altre cellule cerebrali dell’universo col loro marasma di luci in viaggio senza ritorno e pianeti siamesi nella massa cieca, invisibile e oscura dell’universo”.
La figlia di Céline
Nei pochi anni i cui è stato sposato con Edith Follet, Céline ha una figlia, che poi abbandona di lì a un po’ assieme alla madre. Leggo in una sua bibliografia che la bambina nasce nel 1920 e viene chiamata Colette. Non ho mai sentito parlare di lei, non so neppure se in questo momento è viva o morta. Probabilmente è morta. Se fosse viva avrebbe 87 anni. Ho spesso pensato a lei, leggendo i libri di Céline. Forse è solo ignoranza mia, ma non ho mai visto una sua foto, mai letto una sua intervista, nonostante un padre così importante. Niente, come se non esistesse, non fosse esistita, che faccia avrà, o avrà avuto? Cosa avrà pensato di un padre simile? Lo avrà amato? Lo avrà odiato? Chissà! Sono cose inspiegabili! Si sa, per essere amati dai propri figli a volte non basta amarli ed essere degni, per cui può darsi che per essere odiati non basti non amarli ed essere indegni. […] Mi piacerebbe vedere una fotografia della figlia di Céline, se ne esiste una. Mi piacerebbe incontrarla, se fosse viva da qualche parte. Chissà, forse tra noi due avrebbe potuto esserci amore (1)
(1) Il primo amore, numero 2, 2007.
NOte sulle “rapide nOte” su Céline
di andrea lOmbardi
Nel capitoletto La faccia di Céline delle sue Note, Moresco scrive:
Questa foto è stata scattata nel 1934. Céline ha quarant’anni esatti. […] È una foto che fa problema: uno dei più grandi scrittori del Novecento: uno dei più grandi scrittori del Novecento ha questa faccia da uomo losco, corrotto, cattivo, da brutta persona, da malavitoso che è meglio tenere alla larga […] Nessuno, assolutamente nessun’altro grande scrittore del Novecento ha una simile faccia di merda, da alieno salito dagli strati intestinali e gastrici dell’Europa e del Novecento.
La fotografia in questione è una tipica foto di studio, che mostra semplicemente Céline − reduce dal successo del suo libro d’esordio e dalla candidatura al Goncourt − che fissa l’obiettivo con aria sicura di sé. Ci pareva che Lombroso fosse passato di moda, particolarmente a sinistra. Evidentemente sbagliavamo.
Ne I“libelli” di Céline invece Moresco afferma:
I cosiddetti libelli di Céline non sono affatto libelli. Sono una cosa infinitamente più importante e grave. Uno di essi, il famigerato Bagattelle per un massacro […] è un libro nevralgico, non solo per tutta l’opera di questo scrittore ma anche per l’intero Novecento. Se ciò di cui parla non fosse tragico, sarebbe un libro d’infernale comicità. Ci dice cosa bolliva nella pancia dell’Europa. Dobbiamo ascoltarli, gli scrittori, anche quando sono attraversati e agiti dall’orrore del mondo e resi schiavi dalla macchina del dolore. Bisogna ascoltare il grido degli scrittori, anche quando la loro bocca è la bocca stessa del male.
Temo si perderebbe solo del tempo a cercare di spiegare a Moresco che le più o meno dissennate decisioni dei capi di stato d’ogni latitudine, dipendono da tutto tranne che dal grido degli scrittori. Ma l’autore de I canti del caos prosegue:
Bisogna prenderli maledettamente sul serio, invece che credere di potersene stare al sicuro nell’immaginario e rassicurante spazio separato della cultura
Più avanti, Moresco cita anche I proscritti, dell’appartenente ai Freikorps Ernst von Salomon, quale libro da prendere maledettamente sul serio; stranamente, mai che sia indicato dai Maitre à penser quale Moresco qualche libro da prendere maledettamente sul serio sui GuLag, o sul genocidio armeno o ucraino, sul Laogai, sulla Cambogia sotto Pol Pot, sulla repressione nel Caucaso, su Katyn, etc. Invece, insistendo su Bagattelle…
Sono libri che bisogna assolutamente leggere, soprattutto Bagattelle, che dovrebbe essere ripubblicato da un buon editore e reso disponibile anche adesso, soprattutto adesso.
…ecco comparire la solita, scontata, logora, tiritera − di Moresco e d’infiniti altri: soprattutto adesso, sottintende, che le Forze Oscure Della Reazione in Agguato (FODRA) berlusconiane-fascio-leghiste progettano nuovi Olocausti di Rom, immigrati, etc.
C’è dentro la pancia e la merda dell’Europa. Com’è stato possibile che il cuore del Novecento diventasse la pancia e la merda dell’Europa?
Non serve essere un geopolitico di vaglia per comprendere come l’emergere degli Stati Uniti quale potenza globale a discapito del British Empire, la Rivoluzione sovietica e cinese, l’espansionismo giapponese, la Prima guerra mondiale e la scomparsa degli Imperi Centrali, il riaccendersi dei nazionalismi, etc., forse magari qualche sconvolgimento potevano portarlo… ma si fa certamente meno fatica a pensare che tutto sia colpa di Céline e di Hitler.
[…] il libro è saturo sino a scoppiare di antisemitismo e razzismo, che con monomaniacale diligenza vi vengono continuamente riportate citazioni atte a mostrare la diabolica avidità e malignità degli ebrei, riprese da scrittori, uomini politici e pensatori di tutti i tempi, Cicerone, Fourier, Bakunin, Bela Kun, Rathenau, Disraeli, D’Aubigné, Rochefort, ma anche dalle stesse fonti ebraiche, dal Talmud, dai Profeti, dai Salmi…
Senza entrare nello specifico dell’accuratezza o meno delle citazioni di Céline, notiamo soltanto come a Moresco sfugga il fatto che alcuni dei personaggi citati, come Bela Kun, Disraeli e Rathenau fossero proprio ebrei.
Ci sono dei libri intollerabili, odiosi che ci dicono però anche l’altra parte della “verità”, la sua faccia inconfessabile, nascosta, in ombra, che ci fanno capire con la potenza della letteratura cosa può bollire nella nostra pancia e nella pancia del mondo.
…e poi ci sono i libri − e gli articoli − degli utili idioti, ogni riferimento a fatti o persone è puramente voluto.
Cose orribili, odiose, in questo caso, che stanno ritornando a galla, su cui bisogna che si riformino continuamente gli anticorpi, con cui bisogna avere il coraggio di confrontarsi, da cui non ci salveranno le sole regole, per quanto giuste e lungimiranti, le leggi a largo spettro, le prescrizioni, i divieti.
Eccole, le FODRA! There she blows! È chiaro: senza gli anticorpi antifa, ritornano l’Inquisizione, le SS, la Muti; more solito, per gli eventuali successori degli ucraini fatti morire di fame da Stalin, i baltici perseguitati, i polacchi trucidati, gli studenti di Praga e Budapest, che siano oggi in Tibet o nel Myanmar, non ci sono anticorpi e coscienze universali; semplicemente, per l’intellettuale radical-chic sinistrorso progressista, essi non esistono, né sono mai esistiti − 1984 docet. Per questi esemplari esponenti della società civile esiste solo l’eterno diplomino di militante antifascista… Moresco poi invoca tutto il democratico arsenale per prevenire il Thoughtcrime… curioso che il fu militante in organizzazioni rivoluzionarie invochi adesso l’autorità del bieco e reazionario Stato borghese.
Sono così labili i nostri cuori e le nostre menti da avere una simile paura di entrare dentro questo orrore e di sostenerne lo sguardo? Io questo libro l’ho letto ma non per questo sono diventato antisemita. Sono rimasto − se possibile ancora di più − filosemita.
Non lo mettevamo in dubbio… pochi sono gli uomini non filo-qualcosa, ma semplicemente liberi. Forse perché il prezzo da pagare è alto, come dimostra la vita di Céline, e Moresco, come molti altri, preferisce invece aspettare i saldi.
Quindi, in Lettera a Céline, tralasciando di commentare l’originalità e l’eloquenza della prosa seguente…
Un paio d’anni fa, all’interno di un libro sullo sbrego della letteratura, ho scritto questa lettera a Céline: Figlio di puttana Céline! Fetente Céline! […] Ti brucia il culo di fronte a scrittori come Dostoevskij, perché sei un pezzo di merda e non riesci a tollerare la grandezza al di fuori del tuo pezzo di merda […]
…Moresco dichiara, bontà sua:
Io ti ho sempre difeso, sempre, anche quando militavo in organizzazioni rivoluzionarie e stavo dentro una certa visione politico-ideologica del mondo e potevo provare il massimo orrore per le tue posizioni
L’accenno di Moresco alla sua militanza in organizzazioni rivoluzionarie non inganni: non ci troviamo di fronte alla confessione di appartenenza ad un gruppo di fuoco delle Brigate Rosse o di Sendero Luminoso, ma solo, al massimo, della vanteria radical-chic di chi si pavoneggiava velleitariamente in Lotta Continua o similia − come tanti, troppi protagonisti della “cultura” italiana. Non domo, prosegue:
Non perché, anche allora, non provassi pena e orrore per il tuo antisemitismo e razzismo e per la tua meschinità e paura e grettezza da piccolo borghese incattivito e con la merda al culo, spaventato, vigliacco e disposto a tutto.
Notare come il lessico da volantino agit-prop “contro lo stato borghese” sia rimasto tale e quale… magari un po’ di pena e orrore, espressa in questi termini così accesi di “furore civile”, Moresco poteva provarla per i suoi compagni delle Hazet 36 o dei GuLag. Magari, alla fine lo farà. Sono sempre qui, mi assento mai, resto apposta per i ritardatari... scriverebbe Céline. Quindi, disinvoltamente, si passa dall’esecrazione massima e il turpiloquio alle lodi sperticate, forbitamente espresse. Un po’ usurato, come artifizio retorico:
Eppure, eppure − pur con tutto questo − la tua opera contiene una tale allucinata e deformata tensione allo svelamento e all’esplosione creazionale e cosmica delle forme e dell’orrore nascosto nel cuore stesso della vita da costituire qualcosa di unico, fondamentale e fenomenale, sia per la modernità e il Novecento che in senso universale.
E, per non farci mancare niente dell’armamentario radical-chic, il più labile dei pretesti va senz’altro sfruttato per il consueto fervorino da giacobino mangiapreti:
Per questo trovo altrettanto intollerabile sia chi ti esalta per alcuni aspetti separati e non per altri, come certi cattolici marci e pieni di merda confessionale che ti leggono attraverso le loro proiezioni e campionature, reazionari e retrivi e spaventati e vigliacchi, che si fingono anarchici in arte ma che se ne stanno bene attaccati alle potenti tette secolari di un’istituzione religiosa che dovrebbe fare orrore a chi senta dentro di sé anche solo una minima tensione religiosa.
Quindi Moresco regala una perla d’involontario umorismo; quanto gli si addice, infatti, per la sua roboante e vuota prosa − vedi anche paragrafo successivo − la definizione d’avanguardino accademico!
Sia quegli avanguardini accademici irresponsabili, che vanno in sollucchero per il puro gioco alfabetico formale separato e per i tre puntini, gente che tu avresti disprezzato e trattato come merita.
E arrivano anche le sue profonde riflessioni in La figlia di Céline:
Nei pochi anni i cui è stato sposato con Edith Follet, Céline ha una figlia […] Ho spesso pensato a lei, leggendo i libri di Céline. Forse è solo ignoranza mia, ma non ho mai visto una sua foto, mai letto una sua intervista, nonostante un padre così importante.
Togliamo pure il forse.
Niente, come se non esistesse, non fosse esistita, che faccia avrà, o avrà avuto? Cosa avrà pensato di un padre simile? Lo avrà amato? Lo avrà odiato? Chissà! Sono cose inspiegabili!
Sono proprio cose inspiegabili, più o meno come questo capitoletto, e le banalità del paragrafo seguente, che concludono degnamente il compitino di Moresco:
Si sa, per essere amati dai propri figli a volte non basta amarli ed essere degni, per cui può darsi che per essere odiati non basti non amarli ed essere indegni. […] Mi piacerebbe vedere una fotografia della figlia di Céline, se ne esiste una. Mi piacerebbe incontrarla, se fosse viva da qualche parte. Chissà, forse tra noi due avrebbe potuto esserci amore.
mercoledì 11 giugno 2008
Convegno su Céline a Milano
Dal 4 al 6 luglio 2008, Centre culturel français de Milan, Corso Magenta 63 Milano
Traduction et transposition
17ème colloque international Louis-Ferdinand Céline
Ingresso libero nei limiti dei posti disponibili.
Traduction et transposition
Il Convegno è organizzato dalla Société d’Études Céliniennes, creata a Parigi nel 1975, che riunisce ricercatori, scrittori, professori e studenti di tutto il mondo che si ritrovano ogni due anni per fare il punto sull’avanzamento dei loro lavori e confrontarsi con gli altri membri dell’associazione. Ospite ogni anno in un paese diverso, il convegno si terrà quest’anno in Italia, presso il Centre culturel français de Milan. Interamente dedicato all’opera dello scrittore francese Louis-Ferdinand Céline, il convegno affronterà il tema della traduzione e trasposizione, con gli interventi (in lingua francese) di studiosi internazionali. Gli atti del convegno saranno pubblicati successivamente.
La Société d’Études Céliniennes
In occasione della sua costituzione (1975), la società letteraria è stata presieduta dal Professore Lwoff, Premio Nobel e membro dell’Académie Française, al quale è subentrato il rettore Gérard Antoine, oggi membro dell’associazione.
L’attuale presidente, François Gibault, biografo di Céline, animerà il convegno milanese.
Corrispondenti : Christine Sautermeister (Allemagne), Greg Hainge (Australie), Johanne Bénard (Canada), Mie-Kyong Shin (Corée du Sud), Dalia Alvarez-Molina (Espagne), Véronique Flambard-Weisbart (États-Unis), Judit Karafiath (Hongrie), Elio Nasuelli (Italie), Michaël Ferrier (Japon), Jan Versteeg (Pays-Bas), Simona Bostina-Bratu (Roumanie), Michael Donley (Royaume-Uni), Tatiana Kondratovitch (Russie).
http://www.celine-etudes.org/
Ufficio stampa:
Rosette Ciola tel. 02 485 91 928
presse@culturemilan.it
martedì 29 aprile 2008
Céline a Meudon
CÉLINE INTIMO
Viaggio al termine della giornata, di Stenio Sòlinas,
Il Giornale 05-03-2007
L'ultimo domicilio conosciuto è questa casa di Meudon che si affaccia sull'antica route de Gardes del tempo di Napoleone e abbraccia in lontananza l'intera vista di Parigi. Nel 1969 un incendio la devastò, ma tranne qualche ritocco venne ritirata su «com'era, dov'era», gemella degli altri tre padiglioni che la affiancano eretti dal commediografo Eugène Labiche a metà Ottocento sui terreni del duca di Bassano: due piani, un seminterrato con cantina, un giardino in pendenza. Sul cancello d'ingresso non c'è più la doppia insegna che indicava l'attività di medico del suo proprietario, quella di insegnante di danza della moglie, «danza classica e di carattere», ma identico è lo stato di disordine e di abbandono che allora come oggi la accompagna. Dalle finestre del soggiorno un pappagallo ti fissa con aria indifferente, la veranda dietro la cucina è un deposito di poltrone sfondate, sedie, letti, materassi, il verde che la circonda è spelacchiato sul davanti, incolto e rigoglioso sul lato nascosto della casa. Piove, una pioggia rada ma insistente, il cielo è grigio, l'aria fredda, c'è una luce opaca da pomeriggio d'inverno. L'unico segno di vita, oltre il pappagallo che però se ne resta immobile, è l'abbaiare di un cane all'interno, ma non di quei danesi che un tempo erano l'orgoglio del padrone di casa e il terrore dei vicini, ma più probabilmente un cagnetto da compagnia, di quelli da persone sole, anziane, con poca mobilità. Com'è del resto l'unico abitante di questo falansterio ormai troppo grande per una persona sola e malandata, madame Lucette Almanzor di anni 94, vedova del dottor Louis-Ferdinand Destouches, in arte Céline. Mezzo secolo fa, quando la coppia venne ad abitarci, Meudon era lontana periferia, medio-borghese nella parte alta, proletaria in quella bassa che andava a confrontarsi con Billancourt e gli stabilimenti della Renault, il cuore della classe operaia a cui bisognava risparmiare le sofferenze tacendo, se era il caso, la verità: «Non si può far piangere Billancourt» si giustificava Jean-Paul Sartre a proposito degli orrori, tenuti nascosti, del comunismo... Oggi ci si arriva in venti minuti con il metro veloce che va a Versailles o con il trenino regionale che parte e arriva dalla stazione di Montparnasse... Il colpo d'occhio su Parigi che allora incantò Céline c'è ancora, anche se la città si è dilatata e la sua fisionomia alterata. In quel luglio 1951 che segna il ritorno in patria, lo scrittore ha 57 anni, ma sembra un vecchio di 70, e artisticamente parlando è un morto che cammina: trionfa l'esistenzialismo, è sulla pista di lancio Françoise Sagan e lui è lo scrittore più odiato di Francia, amnistiato da un tribunale militare grazie a un sotterfugio giuridico... Dalla Danimarca, dove ha vissuto, torna con Lucette, un cane e due gatti. Abita prima presso i suoceri, a Mentone, ma la riviera, il caldo, i parenti non fanno per lui e tempo venti giorni accetta l'offerta di un ricco industriale suo ammiratore, Paul Marteau, che si offre di ospitarlo nella sua bella casa di Neuilly-sur-Seine. Anche qui, la coabitazione è difficile, i gatti rovinano la tappezzeria e rigano i mobili, Céline detesta il lusso, è astemio, non ama le riunioni conviviali... Dopo quindici giorni, saggiamente, i coniugi Marteau levano le tende e vanno in vacanza lasciando all'ospite la casa, una macchina e un autista per cercarne un'altra. Il primo ottobre il circo Céline si installa nel padiglione di Meudon. Céline à Meudon. Images intimes 1951-1961 (Ramsay, 157 pagine, 29,90 euro) è il resoconto fotografico, quasi un documentario, di quell'ultimo decennio, il ritorno alla ribalta e alla gloria letteraria di uno scrittore maledetto, l'estrema rappresentazione di un emarginato dalla vita, dalla società, una via di mezzo fra un eremita e un clochard, un profeta di sventura e un alienato, un medico dei poveri e un poveraccio... Messe insieme, le immagini, spesso inedite, che lo compongono arricchiscono di nuova luce quelle più note dello stesso periodo quando i fotografi delle agenzie, dei quotidiani e delle riviste specializzate hanno preso a salire sulla collina di Meudon-Bellevue per immortalare «lo scrittore che visse due volte». Perché se in quest'ultime c'è il folklore del personaggio e della messa in scena, la sottolineatura di un'eccentricità giocata all'esterno, in queste c'è invece la quotidianità, il giorno dopo giorno di un'esistenza quasi scarnificata dove tutto è in funzione ormai della scrittura, l'unico modo per isolarsi dal mondo, dimenticare ciò che si è divenuti, rivendicare ciò che si è stati. Circondata di filo spinato, piena di grossi cani randagi che abbaiano se qualcuno si avvicina al cancello, la casa ha al seminterrato lo studio di Céline nella sua doppia veste di medico e di scrittore, e il letto dove dorme. Al primo piano Lucette ha ricavato la sua camera e organizzato una piccola sala di danza, che poi trasferirà al secondo. La coppia non è di quelle silenziose, e Lucette non è di quelle mogli devote che subiscono senza reagire: lui la chiama urlando, e impreca se lei non risponde, lei gli replica per le rime, il pappagallo Toto si intromette e a sua volta ripete le ingiurie... Le foto raccontano una decadenza fisica che anno dopo anno prende le caratteristiche di una catastrofe, un corpo che sempre più si incurva, un volto che sempre più si incava, dei panni che sempre più coprono ma non vestono, laceri, sporchi stracci senza una forma... Alle sei del mattino Céline è già in piedi e scrive sino alle nove, quando Lucette si alza e gli porta un tè con un croissant. Poi c'è la lettura dei giornali, con un'attenzione particolare per gli annunci mortuari, «Il Corriere delle Parche» come li ha ribattezzati, il disbrigo della corrispondenza, qualche commissione in paese. A mezzogiorno lui mangia, mentre lei fa lezioni di danza, dalle due alle quattro torna medico per i pochi pazienti che osano avvicinarsi al cancello: cura gratis, ha un tocco speciale per i bambini... Il resto del pomeriggio è dedicato ancora alla scrittura, si cena frugalmente alle sette, si va a letto alle nove. La domenica a volte si riceve qualche amico, lo scrittore Marcel Aymé, l'attrice Arletty... Nei dieci anni di Meudon Céline scrive Féerie pour une autre fois e Normance, con pochissimo successo, e la «trilogia tedesca» che gli ridarà la fama, cinque libri per qualche migliaio di pagine. La sua scrivania è un tavolo da cucina ingombro di fogli, raccoglitori fissati con delle mollette, penne, matite, su cui il pappagallo del Gabon che non ha una gabbia, e a cui ha insegnato a cantare, si muove indisturbato. ... Con gli anni il passo si fa incerto, l'equilibrio precario, e più di una volta salendo o scendendo nel seminterrato lo scrittore cade, il pappagallo grida, Lucette corre e si dà da fare per rimetterlo in piedi. L'ipertensione arteriosa lo colpisce sempre più di frequente, le emicranie lo spossano, il braccio destro gli si paralizza di continuo. Il 30 giugno del 1961 Céline mette fine al suo ultimo romanzo, Rigodon, e scrive all'amico Roger Nimier e al suo editore Gallimard per dare loro l'annuncio. Il primo luglio la giornata si annuncia soffocante per il caldo, la respirazione si fa difficile, lui non trova pace, nel pomeriggio la moglie vorrebbe chiamare il medico: «Niente medico, niente punture, niente ospedale» è la risposta. Alle sei del pomeriggio un'emorragia cerebrale se lo porta via. La foto su letto di morte rimanda a una maschera medievale.
Un ringraziamento per la segnalazione a Harm Wulf.
Il libro può essere ordinato presso la
Libreria Francese di Roma
Piazza San Luigi de Francesi 23. Tel: 06.6796641
Aperta dalle 9 alle 19.30. Chiusa la domenica
giovedì 17 aprile 2008
Céline nelle riviste della destra
Riportiamo qualche brano di alcuni articoli su L.-F. Céline apparsi su "La voce della fogna" e "Diorama letterario" negli anni '70.
E veniamo a Bagatelle, il profluvio antisemita. Un’ apologia del genocidio? Si disperino i mitomani: No: L’ ebreo da “massacrare” , per Céline, non è fuori alla luce del sole, ma è in noi. È lo spirito di veglia dell’ istinto sordido, dell’ accomodamento, dell’ intrallazzo. È, anche, la tela di ragno del potere occulto ma non troppo, è un anticipo delle multinazionali, è la ridda dei “ gruppi di pressione” . È l’ uomo ingannato, eterodiretto [… ]. “ Se un giorno in Francia si costituisse una lega antisemita, il Presidente, il Segretario e il Tesoriere sarebbero ebrei” . E bravo Céline: hai messo i piedi nel piatto. E se chi legge imparasse, la speranza di slevantizzare noi stessi potrebbe ancora far capolino…
Da «La voce della fogna» di Stefania Pase.
martedì 25 marzo 2008
Spettacolo Teatrale su Céline
O Bu... Osteria del canale
Pozzuoli- Art garage 29-30 marzo
Orario spettacoli: Sabato ore 21; Domenica 19.30. Info e prenotazioni-Artgarage 0813031395
Siamo in un’osteria. E’ L’alba.
Il romanzo “Viaggio al termine della notte” uscì nel 1928.
Nel romanzo, un ragazzo seduto al bar, dopo un paio di birre, incautamente s’arruola volontario per la prima guerra mondiale.
“il viaggio al termine della notte è romanzo potentemente comico, in cui farsa e tragedia si mescolano continuamente, in cui la rappresentazione dell’abiezione non frena semmai esalta la forza grottesca in un divertimento più forte dell’incubo”
Riduzione e messa in scena Alessandro Cavoli
Durata 1 ora
Contatti: Alessandro Cavoli
Tel.Cell. 340 2933250
rigodonensemble@libero.it
giovedì 6 marzo 2008
Céline e Alessandro Piperno
Sicché eccolo lì, sullo schermo del televisore della mia stanza d'albergo: il collo avvolto dai leziosi foulard con cui i barboni si danno un tono. Eccolo lì, nella dimora-tomba di Meudon, ostentare il corpo martoriato con la cristologica impudicizia di Artaud. La vacuità dello sguardo corrisponde all'atonia della voce: monotona come quella di certi bambini autistici, marcata da uno smangiucchiato accento parigino. È il Céline che ti aspetti, che gioca a depistare gli intervistatori con risposte vezzose. A quello che gli chiede perché ha scritto il Voyage risponde che lo ha fatto per pagare l'affitto. A quello che gli domanda se lui pensa che si possa scrivere solo del proprio vissuto, oppone ancora un'altra metafora economica: «Solo delle cose che hai pagato». E allora quello gli chiede se non ci sia affettazione in tutto quel dolore esibito dalla sua voce e strillato dai suoi libri. Céline s'infuria. Quello che nessuno capisce è che lui è figlio di una ricamatrice di merletti e come tale, a dispetto di molti suoi colleghi che utilizzano formule corrive (Mauriac, un politicante; Morand, un rincoglionito; Giono, insignificante), lui ha una artigianale dedizione per la raffinatezza dello stile. Ma certo il solito adagio celiniano: io sono solo uno stilista.
Ma perché Céline insiste tanto sulla raffinatezza? Perché conosce i suoi punti di forza. Perché sa di rappresentare uno di quei casi virtuosi in cui la rivoluzione stilistica trova sontuosa corrispondenza nella rivoluzione della sensibilità.
Lo capì Robert Denoël, un giovane editore, quando, nella primavera del '32, s'imbatté nel manoscritto del Voyage e sentì di avere tra le mani uno dei libri del secolo. Fu così che nella Parigi di Breton e di Cocteau atterrò quell'astronave giunta da un'altra galassia, guidata da un medico non ancora quarantenne, invalido a un braccio per una gravissima ferita di guerra, con la sua collezione di viaggi in capo al mondo: dall'Africa nera agli Stati Uniti. Un libro che, sotto forma di monologo, irradiava un'energia titanica. Ferdinand Bardamu — il Narratore — era un vitalista delle tenebre: la sua voce appariva moderna, mimetica, capace di esprimere tutto il sarcasmo della disperazione e di irradiare l'infuocata luce delle grandi disfatte. A suo modo Ferdinand si rivelava perfino un umorista (qualità che, purtroppo, il suo creatore avrebbe sacrificato in seguito sull'altare della paranoia). Ma ciò che rendeva davvero speciale il Voyage era quella miscela di lucidità e pietà per la condizione umana. Ed è esattamente questo cocktail che spinse tutti a urlare al miracolo: da Sartre a Daudet, da Bernanos a Nizan, da Bataille a Trotzkij, tutti intuirono che l'entità copernicana di quella rivoluzione era nel modo con cui Céline aveva sporcato la sua prosa di mille inflessioni tratte dalla vita vera e, allo stesso tempo, nel modo in cui tutta quella sporcizia aveva reso la sua prosa scandalosamente raffinata. Così i francesi, dopo Flaubert, hanno di nuovo uno scrittore il cui virtuosismo stilistico è pari solo al disincanto nichilista delle sue convinzioni. D'altra parte, a dispetto delle abiure con cui Céline negli anni successivi avrebbe provato a ridimensionare la potenza innovativa di quel capolavoro, nessuno meglio di lui sapeva cosa lo avesse spinto a scrivere il libro in quella precisa maniera. «Non si sa niente della vera storia degli uomini» esclama a un tratto Ferdinand, nel romanzo.
Esiste aspirazione più novecentesca di questa? Raccontare la vera storia degli uomini. Come ogni scrittore di genio (come James Joyce con il quale condivide un debole per l'ellisse grammaticale e per la scatologia), Céline sapeva che tale ricerca della «vera storia» passava attraverso un nuovo modo di esprimersi. E quindi, banalmente, attraverso un nuovo modo di girare le frasi.
Ecco cosa intende Céline per raffinatezza. Il problema è che ci si può ammalare di stile. Già in Morte a credito — il secondo memorabile romanzo — la consapevolezza stilistica si è come cristallizzata. La prosa sta assumendo la forma che non perderà più. L'ironia cede al sarcasmo. La frase si spappola in singulti inframmezzati dai celebri tre punti di sospensione. Il presente indicativo sta prendendo il sopravvento su tutti gli altri tempi e modi verbali. La lucidità è offuscata dal delirio. La pietà dall'odio. La misantropia degenera in razzismo. Molti anni dopo Simone de Beauvoir annoterà: « Morte a credito ci aprì gli occhi. Vi è un certo disprezzo velenoso per la piccola gente. Che è un atteggiamento prefascista». Atteggiamento prefascista che inaugura l'era sciagurata dei Pamphlet nazisti (come altro chiamarli?). Cosa spinge lo scrittore pacifista del Voyage a inneggiare allo sterminio degli ebrei? A mettersi al fianco della più violenta organizzazione criminale della storia, in nome di una pace che sicuramente i nazisti tradiranno? Ragioni personali e non confessabili? Un'idea pervertita dell'anticonformismo e dell'anarchia? O semplice opportunismo? A tal proposito Sartre scrisse: «Se Céline ha potuto sostenere le tesi socialiste dei nazisti, è perché lui era pagato». Ma purtroppo le motivazioni erano più nobili del danaro e quindi ancora più aberranti. L'antisemitismo di Céline non ha niente di originale. Non c'è nulla in quello che lui dice che non abbia detto Drumont — e con lui tanti altri — molti decenni prima. Bagatelle, con buona pace di chi ne apprezza certi passaggi, è un libro schifoso. E lo è tanto più perché è scritto con raffinatezza. La cosa più sconcertante è come l'uomo distintosi per lucidità di visione e capacità empatica, dia prova stavolta di ottusità e mancanza di simpatia.
«Vorrei proprio fare un'alleanza con Hitler. Perché no? Lui non ha detto niente contro i Bretoni, contro i Fiamminghi... Lui ha parlato solo degli ebrei... Lui non ama gli ebrei... E neanch'io... E non amo neppure i negri fuori dal loro Paese...». Una frase (in mezzo a tante altre dello stesso tenore) che dimostra come uno degli errori di questo libro stia nell'aver confuso le vittime con i carnefici. E come l'errore di questo stile così esagitato (ormai totalmente celiniano) sia di essersi messo al servizio di quell'errore di valutazione storica. Così come c'era una relazione inestricabile tra la lucidità esibita da Céline nel Voyage e l'innovazione stilistica, allo stesso modo c'è un nesso tra la cantonata ideologica e l'oracolare impreziosirsi dello stile. Ecco perché concordo con quelli che dicono che Bagatelle fu un fallimento artistico (e intellettuale) ancor prima che etico. E non mi convince Pasolini quando bacchetta gli intellettuali di sinistra, che in nome di Céline, si sono messi a distinguere tra le scelte ideologiche di uno scrittore e il suo valore letterario. Questa «dissociazione» a Pasolini è indigesta. Bah, non credo che le scomuniche politiche abbiano importanza in letteratura. Il problema di Céline non è di aver scelto l'ideologia sbagliata, ma di aver consacrato a quell'ideologia una troika di libelli eccessivamente raffinati, incapaci di raccontare il dramma che l'umanità stava per vivere. Tre pamphlet che nulla tolgono all'esemplare magnificenza del Voyage edi Morte a credito, ma che forse gettano una luce fosca sui tre libri della maturità: la così detta Trilogia del nord. Ancora una volta i detrattori di Céline considerano Da un castello all'altro, Nord e Rigadon opere biecamente auto-apologetiche di un nazista che non ha voluto fare i conti con il passato. Jean-Pierre Martin, nel suo
Contre Céline, scrive: «In Rigadon, Céline ci dice, dall'inizio alla fine, in lungo e in largo: io muoio razzista ». Ancora una volta un'osservazione mal calibrata. Nelle opere di Sade o di Lautréamont troviamo confessioni non meno indigeste. La questione anche stavolta è artistica: la Trilogia è l'affascinante scoria di un genio paranoico ormai incapace di entrare in relazione con il mondo. Un'opera fallita per eccesso di ambizione e di stile (un po' come la joyciana Finnegans Wake). C'è qualcosa nell'ossessiva ripetitività dei suoi stilemi che appare fin troppo estetizzante. È quella che Massimo Raffaelli, con felice espressione, non senza ammirazione, chiama: «stilizzazione dell'orrore».
Così quando uno degli intervistatori (quello che gli ha dato più filo da torcere) chiede conto a Céline dei suoi eventuali sensi di colpa, lui risponde che tutti gli uomini sono colpevoli, tranne lui.
È possibile scrivere qualcosa di necessario senza sentirsi — almeno un po'! — colpevoli?
Credo che non si debbano sprecare molte parole su questo "compitino" di Piperno. Trascureremo di evidenziare le boutade stilistico-radical chic come "i leziosi foulard con cui i barboni si danno un tono", notazione che, sia in riferimento ai senzatetto, sia alla drammatica situazione di Céline nel dopoguerra, poteva venire in mente solo ad un ragazzino mantenuto, che nella vita ha pagato ben poco di suo, e la metafora non è solamente, per l'appunto, "economica". Céline ha pagato con il carcere e l'isolamento il suo genio, come gli scrisse nel 1949 Roger Nimier. Mi vergogno a citare nello stesso capoverso l'Hussard Nimier e il professorino saccente Piperno, ma tant'è, spero che i due grandi francesi mi perdoneranno. Piperno dimostra di conoscere l'opera e soprattutto la vita di Céline in maniera molto superficiale, altrimenti non avrebbe scritto:
"Atteggiamento prefascista che inaugura l'era sciagurata dei Pamphlet nazisti (come altro chiamarli?). Cosa spinge lo scrittore pacifista del Voyage a inneggiare allo sterminio degli ebrei? A mettersi al fianco della più violenta organizzazione criminale della storia, in nome di una pace che sicuramente i nazisti tradiranno? Ragioni personali e non confessabili? Un'idea pervertita dell'anticonformismo e dell'anarchia? O semplice opportunismo? A tal proposito Sartre scrisse: «Se Céline ha potuto sostenere le tesi socialiste dei nazisti, è perché lui era pagato». Ma purtroppo le motivazioni erano più nobili del danaro e quindi ancora più aberranti. L'antisemitismo di Céline non ha niente di originale. Non c'è nulla in quello che lui dice che non abbia detto Drumont — e con lui tanti altri — molti decenni prima. Bagatelle, con buona pace di chi ne apprezza certi passaggi, è un libro schifoso."
Céline non si mise mai "al fianco" di alcun partito o organizzazione, tantomeno "la più violenta organizzazione criminale della storia". Piuttosto, quando i Piperni deprecheranno a chiare lettere altre "organizzazioni criminali", minori o maggiori che siano, senza se e senza ma, sarà un bel momento.
Si ripropone la leggenda del "Céline pagato dai nazisti", negandola retoricamente, come si propone un passo della de Beauvoir, dove Céline è definito "prefascista". In realtà quest'ultima scopre Céline "prefascista" ovviamente solo DOPO che Céline aveva rifiutato di schierarsi con il marxismo, come aveva rifiutato capitalismo e fascismo. Sartre, e altri, avevano invece solamente una pura, folle invidia dell'abilità di Céline quale scrittore. Forse, anche nel caso di Piperno, c'è un pò di miserabile invidia verso il successo dell'opera di Céline "Voyage... andava come un best seller natalizio", e della sua grandezza come scrittore, a fronte del piccolo, piccolo omicciuolo Piperno.
Bagatelle e i cosidetti pamphlet sono una violenta denucia del Potere; in questo caso, per Céline, a ragione o torto, questo Potere -potere economico e politico, potere che stava spingendo la Francia ad una guerra che Céline avvertiva come inutile agli interessi della Francia, e per questa nazione fatale- aveva il volto dell'ebreo. I temi pipernici non sono nuovi, vedi http://louisferdinandceline.free.fr/indexthe/opprobr/alberghini.htm
Poi Piperno cita la Trilogia del Nord:
Niente di nuovo sotto il sole: già nelle opere di critica letteraria stampate in URSS si divideva il Céline "buono", ossia il Céline che denunciava colonialismo, capitalismo, povertà (temi considerati "buoni" perchè affini all'ortodossia marxista), del Voyage, e il Céline "cattivo" di tutto il resto; Piperno, pavidamente "stronca" la Trilogia solo dal punto di vista del critico letterario "affascinante scoria... fin troppo estetizzante", almeno i redattori sovietici, il "compitino" lo svolgevano sino in fondo.
Cfr. Gor'kij, al primo congresso degli scrittori sovietici: "[Céline]... non avendo alcun requisito per aderire al proletariato rivoluzionario, è del tutto maturo per accettare il fascismo".
Da Gor'kij a Piperno; buon sangue non mente.
Comunque, la foto di Piperno e la sua prosa involuta, mi ricordano il Sartre tratteggiato da Céline ne L'Agité du bocal:
Nel mio culo dove si trova, non si può pretendere da J.-B. S. di vederci bene, né di spiegarsi chiaramente, sembra tuttavia che il J.-B. S. avesse previsto la solitudine e l’oscurità del mio ano… J.-B. S. evidentemente parla di se stesso quando scrive a pagina 451: “Questo uomo teme tutte le specie di solitudine, quella del genio come quella dell’assassino”. Cerchiamo di capire…
Facendo fede ai rotocalchi, il J.-B. S. non si vede ormai più che nei panni del genio. Ma secondo me e visti i suoi stessi scritti, io sono costretto a vedere J.-B. S. solo nei panni dell’assassino, o meglio ancora di un marcio delatore, maledetto, laido, merdoso servente, mulo occhialuto.
Ecco, mi sto agitando troppo! Non me lo posso più permettere, l’età, la salute… La chiuderei qui… disgustato, ecco… Ma ripensandoci… Assassino e geniale!? Può anche succedere… Dopo tutto… Ma sarà il caso di Sartre? Assassino lo è, o lo vorrebbe essere, questo è inteso, ma geniale? Questo piccolo stronzo attaccato al mio culo, geniale? Hum?… si vedrà… si, certamente, può ancora fiorire… manifestarsi… ma J.-B. S.!? Questi occhi da embrione? queste spalle da mezza sega!?… questo panzone finto magro!? Tenia sicuramente, una tenia d’uomo, attaccata dove sapete… e filosofo, per giunta… fa un po’ di tutto… Sembra che, in bicicletta, abbia anche liberato Parigi.
lunedì 18 febbraio 2008
Céline contro Sartre
Il pamphlet sarà prima inviato a Jean Paulhan, che non lo pubblicherà, e quindi a Paraz, che lo riprodurrà in appendice al suo libro Le Gala des Vaches (L’Elan, 1948).
Inoltre nel 1948 ne fu tirata, a cura di alcuni amici di Céline, una edizione di duecento esemplari (À l’agité du bocal, Lanauve de Tartas, Parigi, s.d.).
Riportiamo le considerazioni di Pierre Monnier riguardo a Le Gala de Vaches e su Cèline, pubblicate sul n°217 di Europe-Amérique dell’11 agosto 1949:
Alla fine del ’48 uscì un libro straordinario, Le Gala des Vaches di Albert Paraz, che prendeva le difese di Céline con un coraggio senza precedenti. Per misurare il terreno percorso, occorre che la storia quotidiana dia conto di questo: otto grandi settimanali francesi rifiutarono la pubblicità (a pagamento) per Gala. Alcuni critici letterari osarono parlare di provocazione.
Un’amica d’infanzia di Céline, la grande Arletty, fu né più né meno minacciata di morte perché aveva accettato di vendere Le Gala des Vaches, che raccoglieva quaranta lettere di Céline, una delle quali contro l’aborto Sartre, “L’agité du bocal”!
Le librerie che avevano messo in vetrina quel libro vennero devastate. E da chi? Ecco il punto. Dagli ebrei? No! Molti ebrei sono fervidi ammiratori di Céline: Milton Hindus in America, Paul Lévy, direttore di Aux écoutes a Parigi.
Coloro che si oppongono a Céline sono semplicemente degli scalmanati comunisti o altri che rappresentano solo se stessi, che non hanno mai letto una sola riga dei suoi libri, che non sanno niente del suo caso. Sbraitano a più non posso perché Céline ha fatto le prime rivelazioni su ciò che accade in Russia con Mea Culpa e Bagatelle. Molto prima di Koestler, Gide e Kravčenko. Costoro, però, non vengono bistrattati come Céline. Perché? Perché lui ha genio!
La pirotecnica reazione di Cèline alla infamante - e falsa - accusa rivoltagli da Sartre, va collocata, per essere compresa a fondo, nel contesto storico delle epurazioni dei “Collaborazionisti” in Francia nel 1944-1949. Circa 40.000 francesi, che a vario titolo avevano avuto rapporti o con lo Stato di Vichy o con l’Amministrazione tedesca, svolgendo funzioni burocratiche, amministrative e intellettuali, oppure avevano militato in raggruppamenti politici o in unità militari, paramilitari o di Polizia furono condannati a pene detentive e privati dei diritti civili. Furono inoltre eseguite ben 7.037 condanne a morte, che colpirono anche gli intellettuali ritenuti rei di “collaborazione con il nemico”, come Robert Brasillach, Jean Luchaire e molti altri, mentre 10.000 francesi caddero vittima di esecuzioni sommarie. Ancora nel 1952, 2.400 francesi si trovavano in prigione con l’accusa di collaborazionismo.
L’epurazione degli scrittori “Collaborazionisti” sarà compito del Conseil national des écrivains (CNE), che stenderà, democraticamente, degli elenchi di libri e di autori “impubblicabili”. Anche uno scrittore pacifista come Jean Giono, che durante l’Occupazione scelse l’”emigrazione interiore”, fu messo all’indice e incarcerato.
Si capisce facilmente quindi che l’accusa di Sartre, uno dei più irremovibili persecutori degli intellettuali Collabos, poteva risultare molto pericolosa per Céline, vista la fine fatta dal ricordato Robert Brasillach, giustiziato tramite fucilazione il 6 febbraio 1945 nonostante una richiesta di grazia indirizzata a De Gaulle firmata, tra gli altri, da Mauriac, Claudel, Valéry, Duhamel, Paulhan, Cocteau, Colette…
In aggiunta a questo, il 19 aprile 1945 un Tribunale francese aveva spiccato un mandato di cattura per “Tradimento” contro Cèline, riparato in Danimarca, e, dal dicembre 1945 al febbraio 1947, Louis Ferdinand Destouches sarà incarcerato a Vestre Faengsel, passando diversi mesi in cella di isolamento.
Tornando alla Querelle Sartre-Céline, notiamo che, durante l’Occupazione, Céline sarà uno tra gli intellettuali che meno contribuiranno, tramite articoli o altri contributi, alle conferenze ed alle riviste collaborazioniste come Je suis partout, Au pilori e La Gerbe su temi quali l’alleanza tra Francia e Germania, la lotta contro il Bolscevismo ed il Capitalismo, l’antisemitismo…
Infatti, escludendo i suoi pamphlet, visto che sono stati scritti quasi tutti prima del 1940 (Mea Culpa, 1936, Bagatelles pour un massacre, 1937, L’Ecole des cadavres, 1938 e Les Beaux Draps, 1941), Céline, durante il 1941-1944, pubblicherà appena un solo articolo, venticinque lettere e tre interviste. Da notare poi come la diffusione di alcuni dei suoi libri sarà in più occasioni ostacolata tanto dalle autorità di Vichy (come nel caso de Les Beaux Draps) quanto dai tedeschi (anche se Céline avrà degli alleati in Karl Epting, direttore dell’Istituto tedesco di Parigi, e nell’ambasciatore Otto Abetz), mentre, paradossalmente, come ricorda anche Cèline nell’Agité du bocal, il “Resistente” Sartre metterà in scena il suo dramma teatrale Les Mouches, allegoria dell’Occupazione nazista… nel giugno 1943, in piena Occupazione, al Théâtre de la Cité!
Tratto da:
http://lf-celine.blogspot.com/2008/01/contro-sartre.html
Louis Ferdinand Céline
Contro Sartre. A' l'agitè du bocal.
Seguito dalle lettere di Céline al "Je suis partout" e dallo scritto Viva l'amnistia, Signore!
Introduzione a cura di Andrea Lombardi.
Edizioni Effepi, 50 pagine, f.to 14x21, 10,00 euro.
Richiedere a: ars_italia@hotmail.com