L’autocensura di Céline
Il caso delle “Bagatelle”, un saggio di Riccardo De Benedetti
di Patrizio Paolinelli
Vedersi censurati è quanto di più sgradevole possa capitare ad un autore. Ma autocensurarsi? In questo caso le cose si complicano. Si complicano a tal punto che il critico deve sudare sette camicie per aprire un varco nell’interdetto volontario. Dinanzi a questo difficile lavoro (anche contro la volontà dell’autore) Riccardo De Benedetti non si spaventa. Rimboccatosi le maniche ha appena dato alle stampe: Céline e il caso delle “Bagatelle”, (Postfazione di Giancarlo Pontiggia), Medusa, 166 pagg. 14 euro.
All’indomani del secondo conflitto mondiale l’autore del Voyage au bout de la nuit vieta la pubblicazione dei suoi pamphlet antisemiti e anticomunisti: Bagatelles pour un massacre (1937), L'École des cadavres (1938), Les Beaux draps (1941). Divieto ancor oggi fatto valere da Lucette Almanzor, moglie dello scrittore e depositaria dei diritti sull’opera letteraria del marito. Insomma, bisognerà attendere ancora una ventina d’anni prima che i libri di Céline siano di dominio pubblico. Nel frattempo Bagatelles e gli altri libelli restano oggetti misteriosi di cui si discute (quasi sempre per bollarli d’infamia) ma che non si conoscono, transitano nei circuiti semiclandestini dell’estrema destra e sono presenti in pochissime biblioteche pubbliche.
Céline e il caso delle “Bagatelle” è un tascabile composto da tre brevi e densi capitoli curiosamente privi di titolo. Il primo affronta i motivi dell’antisemitismo céliniano. Il secondo ripercorre il dibattito sulle opere dello scrittore nel corso del processo in contumacia celebrato a Parigi nel 1945. Il terzo capitolo affronta l’accoglienza di Bagatelle in Italia. In un piccolo volume si ha così un quadro assai completo della vicenda del pamphlet più noto di Céline.
Per affrontare l’ostracizzato Bagatelles dal mondo delle lettere De Benedetti si interroga sulla natura dell’interdizione che lo ha colpito. E’ giuridica? Morale? Letteraria? Il testo céliniano è semplicemente grottesco e privo della pur minima dignità scientifica. Dunque le sue tesi sono facilmente smontabili. Eppure per il biografo di Céline, François Gibault, pubblicare oggi Bagatelles e gli altri pamphlet sarebbe una provocazione. Affermazione che non convince De Benedetti. Il quale ritiene (e siamo d’accordo con lui) che i libelli di Céline vadano rieditati. Anche perché la loro vita sotterranea non fa che alimentarne l’aura, rallentando la ricostruzione critica.
Tenere sottochiave i libri maledetti di Céline ostacola sostanzialmente il dibattito su domande decisive: Bagatelles e gli altri pamphlet sono opere di finzione? Hanno contribuito alla Shoah? Il razzismo di Céline è un’opinione e come tale resta esclusivamente nel regno delle opinioni? Hanno ragione André Gide e Henry Miller che pur con qualche arrampicata sugli specchi assolvono l’autore delle Bagatelles? Di che tipo è il pacifismo di Céline? I libelli rientrano nell’idea della morte della letteratura? Pur offrendo le proprie risposte a queste e ad altre domande De Benedetti apre soprattutto la strada per un confronto. E confronto sia.
Dopo essere tornato pacifista dal fronte della Grande Guerra, Céline diventa filonazista e abbraccia la teoria della razza ariana. Sono gli anni in cui pubblica i suoi poemi dell’odio dando la stura a una travolgente paranoia che lo condurrà all’emarginazione. E’ patologicamente ossessionato da ebrei e comunisti (che, attenzione, per lui sono la stessa cosa). Questo assillante senso di persecuzione riguarda solo Céline? O è un endemico meccanismo della modernità di cui ancora non ci siamo liberati? In altri termini: abbiamo implacabilmente bisogno di un nemico? Sembra proprio di sì. E sembra che questa spinta muova anche De Benedetti. Appena s’imbatte in qualcosa di sinistra vede rosso e, come Céline, perde il lume della ragione. Un esempio. A un certo punto De Benedetti si chiede: se le Bagatelles sono un testo dell’odio quanti altri
testi dell’odio di classe dovrebbero essere sottoposti allo stesso embargo? Dimentica così che l’embargo delle Bagatelles è volontario, ma soprattutto che storicamente il concetto di odio di classe è stato sviluppato dal padronato (per promuovere leggi contro i lavoratori) e niente ha a che fare con il concetto di lotta di classe (criticabile finché si vuole, naturalmente, ma si tratta di tutt’altra cosa). Sono diversi i passaggi in cui, accecato dall’anticomunismo, De Benedetti perde la bussola e precipita nell’intolleranza. Esattamente come Céline. Per questo è importante studiare le Bagatelles. Capirle e criticarle ci può indurre a un maggior rispetto della pluralità di pensiero.
VIAPO, inserto culturale del quotidiano Conquiste del Lavoro, 18 febbraio 2012