martedì 24 maggio 2011

Satisfiction n.11 in libreria dal 16 giugno con inedito di Céline!




"Satisfiction 11 (dal 16 giugno in 500 mila copie, in tutte le librerie, compresa la vostra!). Saremo ovunque, anche negli stadi: Satisfiction è sponsor ufficiale del LIVE KOM 2011, il tour del nostro editore “spericolato, soddisfatto e rimborsato” Vasco Rossi.

Sul numero 11 inediti: Tom Wolfe, Joyce Carol Oates, L.-F. Céline, Harold Brodkey, Bill Clegg, Andre Dubus, Peter Orner, Jerry Stahl, Victor Gishler, Olivier Adam, Cees Noteboom, Salvatore Scibona, Claudio Magris, Edoardo Nesi, Mariapia Veladiano, Simona Vinci, Tommaso Pincio, Francesco Carofiglio, Vinicio Capossela", Gian Paolo Serino.

Asta Neret-Minet e Tessier dedicata a Céline




Marc Laudelout mi ha spedito il catalogo dell'asta céliniana di Neret-Minet&Tessier che si terrà venerdì 17 giugno 2011: fantastica selezione di libri (uno dei 22 Mort à crédit tirati su carta Japon Imperial, base 50-80.000 Euro!, un Voyage su Alfa 10-12.000 Euro), lettere, gruppi di lettere, lotti di riviste, fotografie, dipinti (Gen Paul) e sculture.

Potete scaricare il catalogo qui!

Da domani al 29 maggio spettacolo teatrale su Céline a Roma!



lunedì 16 maggio 2011

Record per le lettere di Céline/Gentil: vendute a 99.700 Euro!

Parigi, 15 mag. - (Adnkronos) - Un gruppo di trentasei lettere autografe inedite di Louis-Ferdinand Céline (1894-1961), indirizzate tra il 1939 e il 1948 al dottor Alexandre Gentil, che fu un intimo amico dello scrittore francese, è stato venduto a Parigi a un'asta dalla casa Artcurial per quasi 100.000 euro. L'insieme di 116 pagine, che era stimato tra 90.000 e 100.000 euro, è considerato fondamentale per la comprensione degli 'anni neri' di Celine, la sua fuga dalla Francia nel 1944, l'imprigionamento in Danimarca fino al 1947 e poi l'esilio sul Baltico fino al 1951.


Parigi, 13 mag. - (Adnkronos) - Un gruppo di trentasei lettere autografe inedite di Louis-Ferdinand Celine (1894-1961), indirizzate tra il 1939 e il 1948 al dottor Alexandre Gentil, che fu un intimo amico dello scrittore francese, e' stato venduto a Parigi ad un'asta dalla casa Artcurial per quasi 100.000 euro. L'insieme di 116 pagine, che era stimato tra 90.000 e 100.000 euro, e' considerato fondamentale per la comprensione degli 'anni neri' di Celine, la sua fuga dalla Francia nel 1944, l'imprigionamento in Danimarca fino al 1947 e poi l'esilio sul Baltico fino al 1951.

Un collezionista privato francese, che ha richiesto l'anonimato, ha pagato per il lotto 99.700 euro. La casa Artcurial ha venduto anche altri cimeli legati a Celine, tra cui un disegno a pennarello del volto dello scrittore sul suo letto di morte. Complessivamente tutti i lotti hanno totalizzato 175.780 euro.

sabato 14 maggio 2011

Lettere inedite di Céline in asta... i dubbi di Marina Alberghini, biografa di Céline

Come sapete, si stanno tenendo in Francia diverse aste di materiale céliniano, tra le quali:


Parigi, 9 mag. - (Adnkronos) - Un gruppo di una quarantina di lettere autografe inedite di Louis-Ferdinand Celine (1894-1961), indirizzate tra il 1939 e il 1948 al dottor Alexandre Gentil, che fu un intimo amico dello scrittore francese, saranno messe all'asta dalla casa Artcurial a Parigi domani, martedi' 10 maggio. L'insieme di 120 pagine, stimato tra 90.000 e 100.000 euro, e' considerato importante per la comprensione degli 'anni neri' di Celine, la sua fuga dalla Francia nel 1944, l'imprigionamento in Danimarca fino al 1947 e poi l'esilio sul Baltico fino al 1951.

Fin qui la notizia. Abbiamo ricevuto dall'amica Marina Alberghini la seguente comunicazione, che pubblichiamo:


Amici, ho mandato questa al Giornale. Per me le famose lettere inedite-scovate dai famigliari di questo Gentil -mai sentito nominare!- nella spazzatura, sono un falso, o Céline era fuori di testa...
Comunque il prezzo d’ asta partiva da 100.000 euro...

Ciao a tutti!

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All’attenzione del dott. Daniele Abbiati. E per conoscenza al Direttore.

Gentile Abbiati,

credo che non servirà a nulla, ma vorrei rilevare , a proposito del contenuto delle lettere inedite di Louis- Ferdinand Céline (come dal Suo “Le confessioni di Céline ...”del 7 maggio scorso,) molte inesattezze e questo forte del mio essere la prima biografa italiana di Céline , autrice di “Louis- Ferdinand Céline, gatto randagio”-Mursia, di 1200 pagine, .-la più aggiornata dopo le francesi molto datate.

-In primis devo dire che mai ho trovato che Céline chiamasse la moglie Georgette, semmai Arlette.

-Il signor Birger Bartholin era un coreografo danese ,che Céline nella corrispondenza chiamerà Billy, e che , nell’ esilio danese, aiutò la moglie di Céline ,Lucette, a dare lezioni di danza sotto falso nome. Céline era infatti in incognito e tuttavia per una spiata il 17 dicembre 1945 fu arrestato,quindi non è che scrivesse tante lettere, salvo che alla sua segretaria Maria Canavaggia, e al suo avvocato Mikkelsen.E certamente non le firmava.

-Céline a Copenaghen non era ospite di Bartholin, ma della danzatrice Karen Maria Jensen, sua ex amante , che era assente dalla Danimarca. Precisamente a Ved Stranden20.


-Neppure risulta che Céline all’ epoca sapesse niente di Buchenwald e dei “campi”, lo venne a sapere molto più tardi, a metà degli anni ’50 quando era tornato in Francia.tra l’ altro dei campi chi lo sapeva, all’ epoca? nessuno.

-Mai trovato nelle ricerche e nei colloqui con amici dello scrittore e con i migliori saggisti francesi, un riferimento a questo amico medico Alexandre Gentil, tanto più nel ’45. Céline diffidava enormemente dei suoi confratelli medici e non ne frequentava nessuno.Aveva fiducia solo nel ginecologo Tailhefer,di Parigi, al quale fece visitare Lucette al ritorno in Francia.

-Céline non pronostica la fine di Denoel, avvenuta il 2 dicembre del ’45,anche se lo aveva spesso messo in guardia, , la viene a sapere dalla sua segretaria l’ 8 dicembre.


-Assolutamente assurdo il dire che Céline aveva nostalgia “delle Americhe”...egli odiò sempre l’ America,anzi, gli USA, un paese che definiva” privo di ogni vita spirituale”.In particolare odiò New York...diceva che degli americani si salvava solo Topolino!Nel Voyage distrugge il mito americano, figurarsi se ne aveva nostalgia!

-Céline mai ha parlato di “odio”per il genere umano.lo lasciava ai comunisti.Lui ha dedicato la vita a stanare e denunciare il Potere, appunto perché non odiava gli uomini, oltre al fatto che era un medico premuroso e tenerissimo e che curava gratis.Lui credeva in un riscatto dell’ uomo attraverso l’ Arte, la Poesia, la bellezza, la Cultura.

-Inoltre è inesatto dire che a Meudon egli fosse poverissimo,e vivesse di pensione, era riuscito a riscattarsi attraverso l’ opera,con riedizioni dei suoi libri e la nuova Trilogia del Nord, acquistata da Gallimard e che gli fruttò parecchi milioni.Le lettere a Gallimard mostrano un vero Arpagone, se non si sapesse che egli si sentiva vicino alla morte e voleva lasciare la moglie adorata, Lucette Almansor, in buone condizioni finanziarie.

Da tutto questo emerge che ci sono veramente molte inesattezze in queste famose lettere, che mi lasciano molto perplessa .

Un cordiale saluto

Marina Alberghini

giovedì 12 maggio 2011

Morta Colette, la figlia di Céline





Colette Turpin, nata Destouches il 15 giugno 1920, figlia di Louis-Ferdinand Céline e Édith Follet, è morta il 9 maggio 2011 a Lannilis (Finistère), all'età di 91 anni.

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Segnalazione di Guignol!

Reading di Céline al Salone del libro di Torino

Gilberto segnala che il Salone del libro di Torino organizza domenica 15 un reading per la ricorrenza del cinquantenario della morte di Céline.

http://www.salonelibro.it/it/organizza-la-visita/programma/domenica-15/details/3097-omaggio-a-l-f-celine-a-cinquantanni-dalla-scomparsa-giuseppe-battiston-legge-le-piu-belle-pagine-di-viaggio-al-termine-della-notte-memoria-rivisitata.html

Confesso: ho tradotto Céline e lo rifarei




Confesso: ho tradotto Céline e lo rifarei
di Ernesto Ferrero


Sono passati vent’anni da quando ho tradotto per il risorto Corbaccio il Voyage au bout de la nuit di Louis-Ferdinand Céline. Giusto sessant’anni dopo la versione di Alex Alexis, alias Luigi Alessi, polimorfo letterato, drammaturgo, giornalista, editore cuneese, già legionario fiumano con D’Annunzio, che nel 1927 aveva tentato la fortuna a Parigi, conducendo a Montparnasse un’esistenza da bohémien in mezzo a irregolari e devianti d’ogni tipo e Paese.
A me hanno dato sei mesi di tempo, a lui la metà. Ma l’avventuroso Alessio non ha dovuto lottare soltanto contro il tempo tiranno. Si è ritrovato in una situazione addirittura drammatica, perché non aveva una lingua in cui trasporre le novità perturbanti dello stile di Céline; o, se anche se la fosse inventata, non sarebbe stata accettata, in primis dal pur bravissimo editore Enrico Dall’Oglio, il più lesto a capire, con l’aiuto di Gian Dàuli, le qualità di quel capolavoro; e poi dal pubblico, abituato a ben altri standard stilistici. L’italiano letterario degli anni trenta è un italiano da salotto buono, ben educato, inamidato, compassato, finto elegante, un po’ narciso e squisito, curtense per abitudine secolare, afflitto da pesanti complessi di superiorità, poco adatto a rappresentare una realtà popolare o degradata, a misurarsi con il parlar basso: con la verità tutta intera dell’uomo com’è. Impensabile, in quegli anni, irrobustirlo con apporti dialettali. I dialetti erano considerati dei relitti di un Paese povero e arretrato da nascondere accuratamente, parenti poveri che era meglio non esibire; al massimo, delle toppe arlecchinesche buone per produrre colore locale a buon mercato. All’epoca Gadda non aveva ancora scritto né L’Adalgisa né il Pasticciaccio, e Pasolini aveva dieci anni.
Il problema non era tanto e solo lessicale. Henri Godard, curatore delle opere nella Pléiade, ha contato 37 voci argotiche, e lo stesso Céline guardava l’argot quasi con fastidio, perché sapeva che nulla invecchia tanto rapidamente. Mirava a ben altro, lui. Come ha osservato Giuseppe Guglielmi, cui le traduzioni céliniane tanto devono, l’uso che Céline fa dell’argot non è mimetico, ma sporadicamente omeopatico.
Il problema era sintattico, di tono generale, legato all’invenzione di una lingua popolare e simil-quotidiana che in realtà nessuno parla. Il dottor Destouches è stato il primo a capire che il parlato che esce da una registrazione stenografica o da un registratore audio è inutilizzabile, per iscritto. Suona piatto, banale, approssimativo, sciatto. Su pagina, il parlato esige una capacità di reinvenzione assoluta. Quello che Céline perfeziona, sotto la spinta emotiva di un amore deluso per l’uomo che diventa furia irridente, è un puro jazz, un jazz metropolitano arrischiato su tutti gli oggetti che gli capitano a tiro, come in una qualunque banlieu creola. La sua «petite musique» è fatta di slogature sintattiche, salti, fratture, dislocazioni e inversioni di parole all’interno delle frasi, un incrociarsi ossessivo e percussivo di pronomi, avverbi, congiunzioni. È un batterista nato, il medico dei poveri. Scardina sistematicamente la consecutio temporum per ricreare nel flusso di un discorso tutto al passato le emozioni, i soprassalti, le urgenze del presente; usa il condizionale al posto degli aborriti congiuntivi: «me ne stavo andando e mai la rivedrei di sicuro».
Altra «grana» céliniana che il traduttore deve affrontare, l’uso frequente, vorrei dire teppistico, del que, su cui si sono dottamente esercitati grammatici e linguisti d’Oltralpe: «C’est à la fête qu’on est!, que je hurle moi». Riprodurlo tal quale in italiano si può fare, ma alla lunga risulta un po’ cacofonico e inutilmente fastidioso. Proprio sullo scoglio della resa italiana del que si sono appuntati i missili critici del convegno Tradurre Céline tenuto all’Università di Cassino nel marzo 1997.
Perché ricordo questi passaggi di sesto grado, non sempre riusciti, sulle impervie pareti nord del Voyage? Perché la traduzione, come l’analisi psicoanalitica, è per sua natura interminabile. Non le è concesso di raggiungere un termine, un’uscita dal tunnel degli scavi. A un certo punto bisogna uscirne perché così chiedono la logica e l’editore, ma il lavoro non è compiuto: è un’imbastitura, un’ipotesi, una modesta proposta, una pratica servile che dovrebbe consentire al lettore di misurarsi con l’originale in prima persona, tanto più che, come sappiamo, ogni lettura, anche dalla propria lingua materna, è una traduzione.
Appena finito il lavoro, se ne colgono le manchevolezze, e il tempo che passa non fa che accrescerle. Così come ogni generazione è chiamata a riscrivere la propria storia, è anche vocata a ritradurre i suoi classici. Perché i codici, il linguaggi, le sensibilità cambiano insieme a noi, rapidamente, e impongono interpretazioni sempre nuove, come accade con la musica.
Stefano Mauri, presidente del gruppo Mauri Spagnol cui appartiene il Corbaccio, mi ha già invitato da tempo a riprendere la vecchia traduzione e a darne una nuova, tanto più che il 1° luglio 2011 ricorre il 50° della morte dell’eremita di Meudon. Sono d’accordo con lui, evidentemente, e l’impresa mi tenta, anche perché ricordo i mesi passati nella luminosa oscurità della miniera del Voyage come una lunga apnea felice, l’occasione irripetibile di convivere per qualche tempo con uno scrittore grandissimo, una fonte continua di sorprese, emozioni, sbalordimenti, gratificazioni, come sempre accade quando riusciamo a metabolizzare la grande arte (che so, Dante, Shakespeare, Mantegna, Bach), fino a sentircene arricchiti, appagati; fino a trovare in essa il senso di un’intera civiltà e del nostro stesso vivere. Fin che possiamo diventare una parte anche infinitesimale di questa storia, tutto si giustifica.
Se traccheggio e tiro di lungo, e comunque mancherò l’occasione del cinquantenario imminente, è per i soliti banalissimi motivi: altri impegni che incombono, l’idea di compensi non proporzionati alla fatica. Ma ha ragione Andrea Casalegno, che alla traduzione ha dedicato pagine assai fini: nessuna traduzione deve essere mai buttata. Anche la meno riuscita, la più approssimativa concorre alla storia della cultura, ne fa parte integrante, come certi antenati di cui magari ci vergogniamo un po’ ma che servono a spiegare da dove veniamo, nel bene e nel male. Raffrontare traduzioni vecchie e nuove non è solo utile, è fondamentale, l’esercizio che ogni scrittore serio dovrebbe fare per proprio conto, e senz’altro fine che la propria crescita espressiva, perché non si impara mai tanto, e mai tante cose si capiscono come da questo confronto riga per riga, parola per parole, fra codici e sistemi diversi. Chi sappia un po’ di tedesco trarrà non poco profitto e diletto dalla comparazione della storica traduzione di Ervino Pocar della Montagna incantata con quella recentissima di Renata Colorni, nuova sin dal titolo cambiato e filologicamente più esatto: La montagna magica.
Ecco, sentirmi parte di questa continuità, di questo lavoro che non finisce mai, di questa comunità operosa di api traduttorie che danno tanto e ricevono così poco, in tutti i sensi, e tuttavia continuano a vivere la loro passione con l’intensità di una prima volta, tutto questo mi fa sentire meglio, e mi spinge a mettere per iscritto che un giorno non troppo lontano dovrò pur rimettere mano a quella beata, impervia fatica.
Marzo 2011

Nota della Redazione



La traduzione del Voyage di Alex Alexis, cioè Luigi Alessi, uscì per il Corbaccio di Enrico Dall’Oglio, Milano, nel 1933; quella di Ernesto Ferrero nel 1992. La montagna incantata, traduzione italiana di Ervino Pocar di Der Zauberberg di Thomas Mann, uscì nel 1965 come nono volume di Tutte le opere di Thomas Mann, a cura di Lavinia Mazzucchetti, per Mondadori, Milano, e fu poi ristampato più volte dallo stesso Corbaccio; sempre presso Mondadori, nella collana «I Meridiani» da lei stessa diretta, Renata Colorni ha dato, nel 2010, la nuova versione dal titolo La montagna magica.












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Grazie a Valeria per la segnalazione!

lunedì 2 maggio 2011

“Satisfiction”, a Milano 5 giorni di conferenze, concerti e reading





Musica: “Satisfiction”, a Milano 5 giorni di conferenze, concerti e reading


Da lunedì 2 a venerdì 6 maggio Satisfiction alla facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano (Via Conservatorio, 2), per 5 giornate di conferenze, concerti e reading in cui l’Università torna ad essere un luogo d'innovazione.
Saranno presenti, tra gli altri, l’attore Giulio Cavalli, l’architetto Matteo Bolocan, l’innovatore urbano Giovanni Petrini e il vice-sindaco di Venezia Michele Vianello.



Satisfiction, la rivista letteraria “gratuita ma non scontata” edita da Vasco Rossi e diretta da Gian Paolo Serino, presenterà in anteprima alcuni degli inediti del prossimo numero (in uscita ai primi di Giugno) di grandi scrittori e intellettuali come William Burroughs, Tom Wolfe, Claudio Magris, Victor Gishler, Oliver Adam, Andre Dubus, L. F. Céline, Vinicio Capossela.