Ma io, filosemita, celebro Céline
di Guido Ceronetti
«La Francia sbaglia a cancellare l’omaggio, era l’occasione per analizzarlo»
Deploro fortemente che uno scrittore come Céline sia stato tolto dal calendario delle celebrazioni per il 2011 in Francia. Un ministro della Cultura, in qualsiasi governo francese, ha sufficiente autorità per resistere ad ogni gruppo privato di pressione, sia pure benemerito, come in questo caso. Céline non è un piccolo pesce; è uno dei massimi scrittori e testimoni del secolo. Il suo cinquantenario (morì nel 1961, a Meudon, in banlieue) non sarà ugualmente dimenticato. Si capisce: la Shoah è una ferita della storia dell’uomo che il tempo non può né deve sanare, e il grido di Rachele in Ramah seguita a irrorarla di lutto. Ma la paranoia antisemita di uno scrittore che non ha versato sangue di deportati va vista come una anomalia della psiche, un’ombra del Fato, il possesso di un demone incubo. Va analizzata come malattia e non elevata a colpa. «Ha una pallottola in testa» lo giustificava Lucette. Lui, l’episodio della Grande Guerra che l’aveva fatto congedare e medagliare in fretta, non l’aveva mai taciuto: l’agitava sempre, il suo congedo di invalido permanente per il settantacinque per cento: ma sopratutto a renderlo furiosamente antisemita era stata l’ossessione che gli ebrei — tutti, in massa, banchieri o straccioni — spingessero ad una nuova spaventosa guerra con la povera Germania, che fino a Hitler non pensava minimamente a difendersene. Nel Trentasette pubblicò il suo manufatto di deliri, Bagatelles pour un massacre, pestando perché la Francia non perdesse tempo a disfarsi dei suoi ebrei, a scrostarli dai muri, a cacciarli via «che non se ne parlasse più» : una scrittura così potente come la sua attirò come miele gli antidreyfusardi, senza guadagnargli le simpatie dei nazisti; per la Gestapo, Céline era più pazzo che utile. Anche come antisemita Céline fu un isolato: i comunisti lo esecrarono dopo Mea culpa, agli antisemiti bisognosi di «razzismo scientifico» o religioso, di motivazioni monotone e piatte, quel Vajont di metafore forsennate, che finivano in pura autodistruzione spense presto il favore iniziale; inoltre, incontenibile, sotto l’occhio dei tedeschi occupanti che rigettavano e temevano il suo zelo pacifista, picchiava pubblicamente anche contro la connerie aryenne (che renderei come fessaggine, stronzaggine ariana). Non furono le sciagurate metafore celiniane dei tre saggi antisemiti a riempire i treni dei deportati da sterminare: chi li avrà mai letti tra i burocrati di Vichy? In una guerra simile contro l’essenza umana (altro che «banalità del male» !) furono senza numero i paradossi tragici. Céline nel Semmelwei, nel Voyage, in Mort à crédit, nei suoi romanzi stilisticamente ultraviolenti del dopoguerra, nei suoi viaggi al seguito del governo collaborazionista in fuga a Sigmaringen, spinse fino all’indicibile l’espressione letteraria della pietà umana; fu un moderno, e rimane, incarnatore di Buddha, un angelo pieno di cicatrici, che sfoga una pena scespiriana. Aggiungi il suo lavoro fino all’ultimo giorno di strenuo medico dei poveri, che quasi mai si faceva pagare. Lucette, a Meudon, mi mostrò la poltrona dove Céline passava la notte di insonne a vita. Il paesaggio, dalla vetrata, erano le officine della Renault-Billancourt, una fumante galera umana, non scorgevi un albero. Di là gli cadevano gocce fisse di delirio, da scavare una pietra, sul cranio della pallottola di guerra, Erinne dettatrici di insulti feroci di satirico, di maniaco di persecuzione (motivato), di aperture denunciatrici di verità crudeli, di amore per la bellezza, di sorriso in travaglio. L’insonnia, alleata del Contrasto, violenta di chiaroscuro, è «madre di tutto» . Il secolo XX ci ha lasciato tre libri, generati direttamente da una interminabile sequela di calvari umani che ha appestato e stravolto la totalità del pianeta abitato o inabitato — e i tre grandi libri mi sono indicati essere i racconti e i diari ultimi di Kafka, i racconti della Kolyma di Varlam Šalamov, e il Voyage au bout de la nuit di Céline. Comparando l’antisemitismo ormai sciolto negli acidi del Tempo di Céline, e il disastro filosofico di Martin Heidegger quando fu pervaso, tra 1933 e 1935, per vanità universitaria, per credulità da debilità mentale (quantunque giovane), di zelo filonazista nascostamente antisemita— mi sarebbe più facile, dovessi fare il minosse e pronunciarmi su entrambi, mandare semiassolto (o del tutto) Céline, astenendomi dall’incolpare Heidegger esclusivamente per motivi di prescrizione. Un pensatore non aveva nessun diritto di degradarsi a quel modo. Il discorso di rettorato del filosofo di Friburgo è peggio, è più mendace, più corruttore, di Bagatelles pour un massacre. Tuttavia, se di valori si parla, Heidegger è Heidegger. Se di gloria letteraria si parla, Céline, riplasmatore del linguaggio, petite musique, affrescatore e medico delle miserie umane, è Céline. Ingiusto e ridicolo, cancellarlo dalle celebrazioni del 2011. Era un’occasione per comprendere, riscoprire, analizzare. L’odio, Spinoza dixit, non può mai essere buono.
Corriere della sera, 26/01/2011.
6 commenti:
D'accordo sui fondamentali dell'intervento di Ceronetti,ma mi lascia un po' perplesso la frase "Va analizzata come malattia e non elevata a colpa".
Ma quale malattia? A prescindere che l'antisemitismo in Francia a quel tempo era diffuso come la gramigna,sembra che Ceronetti conosca poco le contradditorietà che costantemente sono all'opera nell'animo umano che caratterizzano certi periodi storici decisivi e che hanno interessato altri grandi spiriti.
Che dire di un Aragon che inneggiava ai criminali della Ghepeu? O di quelli che inneggiavano a Stalin? Altro che Ferdinand! Ma qui non si parla mai di malattia.
E anche la "pallottola in testa..."menzionata da Lucette,quasi a confermare "la malattia",poteva risparmiarsela.
Perchè c'è sempre bisogno di trovar scuse,anche questo è l'uomo,non tutti tacciono quel che sentono in certi momenti anche esagerando nelle loro convinzioni ma anche assumendosene le responsabilità,come LFC.
E non tutti han fatto questo.
LFC non era malato,ma lucidissimo,non ha bisogno di questo tipo di scuse.
ma che bel pranzetto. tutti a rigirar forchetta nei maccheroni. la pallottola, il morbo, l'insonnia, la poltrona. e la fessa.
Comunque, concordo su tutto quello che dice Johnny, e aggiungo solo una cosa: l'estromissione varrà il quadruplo della inclusione; sarà un toccasana per l'immagine e le vendite. strano che la fondazione abbia preferito all'anonimato una così sciocca pubblicità da cabaret governativo. ma veramente crediamo che essere inserito in quella listarella della spesa avrebbe portato qualche vantaggio?
in questo modo invece l'icona è salva e intanto le acque ritornano a smuoversi. Dicano questo i giornalisti non filosemita... antisemita... ma che cazzo significa? degno della gente abituata a pensare dentro i comparti stagno delle idee. entrano e escono dai loro container logos-rroici e poi quando vedono una persona libera scrivono sti pistolotti della malora. bonanotte ai sonatori
OTTIMO l'intervento di johnny doe e il successivo.
Ricordiamo che Ceronetti è uno snob intellettuale "futile" quant'altro mai. In una delle sue post-fazioni alle sue traduzioni bibliche SOSTIENE che "solo le lingue semitiche" sono TEOPATICHE,hanno la presenza di Dio. Le altre lingue come il latino o il greco antico non sono TEOPATICHE...sono lingue semplicemente umane,non divine.
Il Corrierone è molto generoso nel dare spazio a tutte queste Mediocrità Intellettuali che dominano in Italia,e che non valgono un pelo del C. di Louis Ferdinand Cèline.
personalmente ho trovato molto interessante e bello l'articolo di ceronetti.in pratica ha inquadrato l'antisemitismo celiniano in un contesto metaforico (non furono le sciagurate metafore celiniane dei tre saggi antisemiti a riempire i treni dei deportati)come a suo tempo fece raboni (metafore letterarie e non letterali). per quanto riguardo la "malattia" fu lo stesso céline a parlare di un'invalidità al 70 %, di terribili mal di testa e ronzii negli orecchi.secondo me ceronetti non si riferisce tanto a questo tipo di sintomi quanto al "nichilismo" come malattia dello spirito che predomina nei libelli sebbene in senso umanistico, in nome del pacifismo(l'ossessione che gli ebrei spingessero a una nuova guerra).per il resto trovo bellissimo il giudizio che "Cèline spinse fino all'indicibile l'espressione letteraria della pietà umana e che fu un moderno, incarnatore di budda, un angelo pieno di cicatrici, che sfoga una pena scespiriana". non lo trovo assolutamente un articolo denigratorio. e che volete che vi dica? che cèline credeva che gli ebrei fossero una razza inferiore? non lo credeva... "non ho nulla contro gli ebrei in quanto esseri umani, come noi tutti, alla ricerca di un pezzo di pane è contro il razzismo ebraico che... " (lo riporto a memoria da bagatelles: quindi non in maniera esatta). dunque céline si scagliava contro una qualità negativa dello spirito comune a tutti anche a coloro che ne sono stati vittima... GINO
Nessuno parla di articolo denigratorio,ma è sembrato che in in una frase,come questa "Va analizzata come malattia e non elevata a colpa.«Ha una pallottola in testa» fosse adombrato un arrière pensée,data l'ambiguità e simili interpretazioni da parte di alcuni.
Ma accettando la tua interpretazione,vorrei chiederti perchè mai il nichilismo (attivo o passivo) dev'essere considerata comunque una malattia dello spirito e il modernismo,la fede,l'ttimismo...invece la salute.
non dovrebbe essere considerato una malattia, semmai un'afflizione che inasprisce l'anima e penso che ceronetti riferisse il termine "malattia" nell'accezione di afflizione, esasperazione ecc.ha ragione nel dire che la sua paranoia antisemita "Va analizzata come malattia e non elevata a colpa". è una solenne incazzatura (non ricordo se fu lo stesso céline a usare questa espressione).
GINO
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