giovedì 30 giugno 2011

Razza e nazismo, ecco il Céline maledetto: "Céline ci scrive - Le lettere di Louis-Ferdinand Céline alla stampa collaborazionista francese, 1940-1944"





Razza e nazismo, ecco il Céline maledetto
di
Stenio Solinas




Tradotte per la prima volta le lettere dello scrittore francese pubblicate sui giornali collaborazionisti tra il 1941 e il 1944. Testi in cui rivendica il proprio ideale "ariano", che poco dopo si rimangerà...




Da tempo ormai sappiamo, sulla base di documenti, di ricerche d’archivio, di riscontri incrociati, di epistolari rimasti a lungo sepolti, che la qualifica di «collaboratore», per Louis-Ferdinand Céline (1894-1961), era pertinente. Céline «collaborò», non si limitò a scrivere qualche lettera ai giornali: rivendicò l’aver capito prima degli altri il disastro che si preparava per il suo Paese; rivendicò l’aver chiesto un’alleanza franco-tedesca; rivendicò la necessità di uno scontro all’ultimo sangue contro bolscevismo e democrazie liberali; rivendicò una linea di condotta recisa contro gli ebrei; auspicò una Francia razzialmente pura, nordica, separata geograficamente dal suo Sud meticcio e mediterraneo... Scelse con attenzione i giornali dove far apparire le sue provocazioni, ne seguì la pubblicazione, se n’ebbe a male quando qualche frase troppo forte gli venne tagliata, polemizzò aspramente.
Fra il 1941 e il 1944 scrisse una trentina di lettere, oggi per la prima volta tradotte in Italia, compresa quella relativa alla separazione geografico-razziale della Francia già ricordata, e che non venne pubblicata perché ritenuta «eccessiva» dalla direzione di Je suis partout; rilasciò una dozzina di interviste, ripubblicò i suoi pamphlet, partecipò a conferenze, tenne contatti con le autorità tedesche. E però aveva qualche fondamento di verità la sua linea di difesa del «non aver collaborato». Perché non fu nel libro paga di giornali o movimenti, perché la critica militante nazista trovava troppo nichilista il suo pensiero, perché in sedute conviviali più o meno pubbliche la sua vena esplodeva sinistra, prefigurando scenari catastrofici e rese di conti epocali, perché si adoperò per salvare qualche vita e omise di denunciare qualche gollista poco smaliziato, e perché alla fine sembrò che con i tedeschi avesse fornicato solo lui.
Cantore, di parte, di un continente messo a ferro e a fuoco in un epocale regolamento di conti, sotto le mentite spoglie del cronista Céline racconta la fine di un’idea di Europa cui ha creduto e per la quale si è battuto: razziale, antidemocratica, panica e pagana, anti-moderna e mitica.
Scrittore anti-materialista, Céline cercò di combattere il materialismo usando uno strumento, la razza, altrettanto materiale e, come tale, incapace di cogliere differenze di valori e di sensibilità. L’ideale ariano che egli propugna, l’abbiamo visto, fino a voler dividere la Francia in due, una suralgerina, l’altra nordica, e che altri si incaricheranno di mettere bestialmente in pratica, si trasformerà in beffa allorché, dopo essere stato imprigionato in Danimarca, si troverà a scrivere: «Merda agli ariani. Durante 17 mesi di cella non un solo dannato fottuto dei 500 milioni di ariani d’Europa ha emesso un gridolino in mia difesa. Tutti i miei guardiani erano ariani!».
Quando si predica la purezza c’è sempre qualcuno che si crede più puro di te.L’ebreo, nell’allucinazione celiniana, finisce però col perdere un’identità razziale precisa, finisce con il trasformarsi in un simbolo: ebreo è il clero bretone, ebreo il conte di Parigi, ebreo è Maurras, ebreo il Papa, ebrei i re di Francia, ebrei gli atei, ebreo Pétain. Gli ebrei sono tutti, anche Céline.... È l’opposto di quell’«uomo nuovo», di quel «barbaro ritrovato» di cui si fa alfiere... Ma dietro al razzismo c’è anche una questione di stile, come la lettera su Marcel Proust alla Révolution nationale di Lucien Combelle, del febbraio 1943, mette bene in evidenza: «Lo stile Proust? È semplicissimo. Talmudico.



Il Talmud è imbastito come i suoi romanzi, tortuoso, ad arabeschi, mosaico disordinato. Il genere senza capo né coda. Per quale verso prenderlo? Ma al fondo infinitamente tendenzioso, appassionatamente, ostinatamente. Un lavoro da bruco. Passa, viene, torna, riparte, non dimentica nulla, in apparenza incoerente, per noi che non siamo ebrei, ma riconoscibile per gli iniziati. Il bruco si lascia dietro, come Proust, una specie di tulle, di vernice, che prende, soffoca riduce e sbava tutto ciò che tocca - rosa o merda. Poesia proustiana. Quanto alla base dell’opera: conforme allo stile, alle origini, al semitismo: individuazione delle élites imputridite, nobiliari, mondane, invertiti eccetera, in vista del loro massacro. Epurazioni. Il bruco vi passa sopra, sbava, le fa lucenti. I carri armati e le mitragliatrici fanno il resto. Proust ha assolto il suo compito». Conclusione: nel 1943 l’autore della Recherche avrebbe applaudito la sconfitta tedesca a Stalingrado...







Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo due stralci di altrettante lettere contenute nel volume: Louis-Ferdinand Céline, Céline ci scrive , «Le lettere di Louis-Ferdinand Céline alla stampa collaborazionista francese, 1940-44» (Edizioni Il Settimo Sigillo, pagg. 240, euro 25; a cura di Andrea Lombardi, traduzione di Valeria Ferretti, prefazione di Stenio Solinas).







“Atto di fede di L.-F. Céline”, in “La Gerbe”, n.32, 13 febbraio 1941, p.1.

L’Articolo non è per nulla il mio forte. Del resto, la politica nemmeno. Ci vuole uno stile che io non possiedo. Così come sono. Ma una domanda si pone: perché tutto questo chiacchiericcio? Questa ipocrisia?
***
Ho conosciuto in riva al mare, in Bretagna, una ragazzina a cui la mamma leggeva molte parabole. Questa ragazzina venne colpita dalla vicenda di Giuseppe, a cui capitava di essere frequentemente visitato dalle visioni. Anche la ragazzina si mise ad avere delle visioni. Solo che le aveva “dopo”. – Mamma, ho avuto una visione, stanotte, che tu cascavi di bicicletta!
Fatto esattissimo, ma del giorno prima.
Così Sergine, mai alla sprovvista, mai si sbagliava sulle sue visioni: cosa divertente per un autore di quarant’anni, ma in un altro modo.
Mi riferisco a tutti quei libri, a tutti quegli articoli, arringhe, movimenti, testimonianze, e i loro autori che si mostrano, si agitano nelle nostre zone submaledette, da giugno.
L’opera dei “post-visionari”.
Scorrevo ieri un altro libro recentemente pubblicato; è chiaro che il suo autore, se le cose fossero girate in modo assai diverso, si teneva pronto a offrirci, diritto come una pallottola, un “225-pagine-forti”, “Dopo la Vittoria”, una cosa coi fiocchi, e rassomigliante come un fratello a quello che ha pubblicato: stessi stili, documenti, stessa rifrittura, lo stesso insomma, al contrario, visto di spalle. Non abbiamo via di scampo. Le opere dei “post-visionari” sono tutte rigorosamente reversibili. Hanno questo carattere comune, e poi non parlano mai degli Ebrei. Preservano il futuro. L’autore ci afferma (come si avventura!) che il suo celebre amico scrittore Raoul Trudule de la Gardière aveva da solo, in termini di una profondità ammirevole, e ben prima di giugno, abbozzato un tale scenario di catastrofe! E che l’altro suo geniale e celebre amico scrittore Prosper de la Médouze aveva tremendamente avvertito tutta la tragedia dell’epoca. Prima notizia! I presentimenti di questo tipo portavano più spesso del convenuto direttamente in 12ª sezione, in cui non incontrai mai, né l’uno né l’altro, quanto mai conformi di questi tempi.
Bando ai divertimenti! Sotto Blum, tutta la Francia era blumista! E pugno teso per quanto si può! Antihitleriana fino a crepare! E la Médouze e la Gardière peggio di tutti gli altri! Se gli scrittori francesi sono della razza “post-visionari”, sono anche, per l’occasione, splendidi pecoroni panurgici.
Li vedo tutti tambur-maggiori, tutto un vortichio di mazze, non disposti davanti alle truppe ma dietro tanto più fieri! Come Artaban! E al riparo da ogni rischio! Fronte popolare e Pacificazione.
Va da sé, ben inteso, che un libro come quello è osannato da tutta la grande stampa pacifista. Chi si rivede!
Neanche quelli parlano mai della grave domanda. A nessun prezzo: gli stessi ordini di prima di giugno! Non parlare mai degli Ebrei! Mi dico eppur leggendoli: “Toh!” sono dei “retro-pensatori”! che aspettano tutti a tradirci? Il momento giusto.
Centomila volte “Viva Pétain” urlati non valgono un piccolo “via gli ebrei” nella pratica. Un po’ di coraggio, cris… di Dio! “Coraggio dopo” e meno chiacchiere!...e ti ritroverò Péguy e il Grand Méaulnes [sic] e il seguito!...., domani la Remarie Chapdelaine, solo per svago! Affogamento di pesci! Ninnoli nella polvere, superati a dismisura dal cataclisma del giorno!
Rimpicciolire, edulcorare i cicloni alla misura “mini-menefotto”, misura francese, è lo scopo sornione.
Vede che siamo veramente lontani dall’obiettivo…“grandissimi ripieghisti”, “retro-pensisti”, “piccoli ripieghisti”, “post-visionari”, “eludisti”… è troppo per me! Che cricca! Che tris di acrobati! Bricconi! Tutti al lavoro con la rete di protezione! Preferirei ancora Lecache, il somaro, l’impiegato di provocazione, tutto onestamente vergognoso, grassa panza cancrosa, Sampaix, ‘sto stronzo incredibile… c’è di tutto sui suoi giornali! E ri-di tutto, per così dire! Cripto-, para-, micro-ebrei! Non si sa mai, con ciò, chi le scriverà dietro le spalle! Le hanno provato il contrario? Che importa! Non me lo proverebbero! Cornuto chi vuol bene! Prende Pavlowa, Huysmans per ariani? Che Dio la ascolti!?
***

E che cos’è questa sfilza di super-nazionali sbalorditivi? Imbecilli? “Più lotte tra i trust?” Leggo nei programmi… li coccoliamo allora? Li preserviamo o li culliamo? Abbiamo paura che si facciano del male? La bua? È questa la sua Rivoluzione? Ai pazzi! Accorra a svegliarmi quando aboliremo i trust. Non prima, di grazia!
Facciamo la guerra dei Cento Anni? Non sono al corrente di nulla. Vorrei davvero che mi si informi. Se le cose continuano con questo andazzo, è un piano di tre, quattro secoli. È una faccenda tra morti.
***
Ah! Quando penso a tutto ciò che si poteva fare con ragazzi che hanno fegato! Ah! Come non andrebbe per le lunghe, non farebbe una piega! Non un uff! Ah! Rimango tutto meravigliato, pensoso, incantato, atterrito. Sente il minimo rumore? Il più piccolo brontolio? Ma no! Che Diavolo! na! na!
Così si fa il gran lavoro delle persone esperte nella questione. Chi va là? Dannato sangue! Chi va là? Quindici giorni in tutto ci vogliono per scongelare la Francia, quindici giorni e sapere ciò che si vuole.
È un decreto di natura che le formiche, sempre, mangeranno le larve.
Si rilascia ad alcuni altissimi brevetti di francismo. Ci intimano di fare mea culpa! Ci rimbrottano all’improvviso! Andiamo! Siamo in piena abbuffata! Vogliono la medaglia militare? Io voglio eccome! Tuttavia, sono difficile! Non mi basta! Vorrei che ci dicano un po’ tutto ciò che pensano della questione ebraica! Saremmo felici, giubilanti! Fede che non agisce non è affatto sincera! Ah! Occorre prendere posizione! Oggi stesso, non domani! Tutto ciò che possiede penna in Francia, teatro, cinema,volatili, dovrebbe per il momento, proprio come in Loggia!..., compiere il proprio dovere. Che questo costituisca dossier! Compromettiamoci! In tutta libertà certo, spontaneamente, ai piedi del muro. Senza nessuna pressione. E finalmente si saprebbe a chi si parla! Atto di battesimo non è per nulla tutto! Atto di fede, netto, per iscritto.
Gli Ebrei sono responsabili della guerra o no? Rispondete dunque nero su bianco, cari scrittori acrobati.
Chi va là? Chi va là?
Abbiamo il diritto davvero di essere dispiaciuti su questa terra dove, decisamente, niente cresce.








Lettera a Pierre Costantini, “L.-F. Céline ci scrive”, in “L’Appel”, n. 40, 4 dicembre 1941, p. 1.

Mio caro Costantini, […]

le segnalo che Péguy non ha mai capito niente di niente, e fu contemporaneamente dreifusardo, monarchico e esibizionista.
Ecco, parecchi titoli, certo per l’entusiasmo della giovane francese, così sempliciotta, così ebraizzata. Il giovane francese catecumeno, irascibile, rovinato, brontolone, scopritore di lune, quel Péguy, rappresenta ammirevolmente il giovane francese secondo tutti gli auspici della giuderia. Una perfetta “assicurazione contro ogni rischio”. L’abbrutito a morte.
Si ricorda forse, nel maggio del 1939, di questa “Quinzaine Péguy” alla Comédie-Française?… L’ultimo spettacolo di quel teatro prima della catastrofe…e firmato: Huisman, Mandel.
Che desidera?...
E la mia inchiesta?… Andata a monte?... Ce ne freghiamo alla grande, caro Costantini, di sapere se le balbuzie di quell’autore in fasce rivelassero già la genialità. Ma, oh quanto! vorremmo conoscere l’opinione delle nostre più tumultuose élite sulla questione ebraica, sul delicato problema del razzismo?...
Oh! come si fanno pregare le nostre élite!... Che discrezione improvvisa…
Come tutta questa temerarietà, tante volte declamata, si spacca, si ghiaccia, davanti all’abisso. Tuttavia bisogna buttarsi o perdere tutto.
Ma quali rischi dopotutto…Il menefotto è oggigiorno assai meglio visto dell’eroe.
Subire una sconfitta fortifica l’uomo.
È nel 1941 che sarà necessario, credo, per la storia, situare il trionfo eclatante del menefotto, l’apoteosi definitiva, cosmica, del menefotto.

La saluto cordialmente.
L.-F. CELINE

P.S. – Di tutti gli scrittori francesi recentemente rientrati dalla Germania, ce n’è uno che ci abbia dato delle idee sul problema ebraico della Germania del 1941?... Hanno arzigogolato tutti, tergiversato davanti a un bicchiere. Proprio loro non scorgevano nemmeno gli Ebrei in America prima del 1939… È una mania, non li vedono da nessuna parte.
In fondo, non c’è che il cancelliere Hitler per parlare degli Ebrei. Del resto, i suoi fini, sempre più decisi, lo noto, a questo proposito, sono solamente riportati con imbarazzo dalla nostra grande stampa (la più pacificazionista) controvoglia, minimizzati il più possibile, lambiccati, a malincuore…
L’imbarazzo è grande. È il lato, che amiamo meno, l’unico in fondo che temiamo, nel cancelliere Hitler, in modo certo. È quello che amo di più. Lo scrivevo già nel 1937, sotto Blum.




Quei «pezzi» vergognosi e l'intervista con Poulet



Tra le iniziative editoriali che ricordano i cinquant'anni dalla morte di Louis-Ferdinand Céline (nato nel 1894 e morto il 1° luglio 1961), la più importante è senza dubbio la pubblicazione delle lettere dello scrittore alla stampa collaborazionista francese fra il 1940 e il 1944: Louis-Ferdinand Céline, «Céline ci scrive» (Edizioni Il Settimo Sigillo, pagg. 240, euro 25; info@libreriaeuropa.it, tel. 06.3972.2155). Curato da Andrea Lombardi, il libro ha una lunga prefazione - di cui anticipiamo in questa pagina una parte - di Stenio Solinas, firma storica del «Giornale». Tra i temi toccati da Céline in queste lettere-articoli «maledetti», tutti tradotti per la prima volta in italiano, alcuni sono più «urticanti» (il collaborazionismo, Vichy, gli ebrei, il razzismo, come nel lungo articolo-intervista a Jamet o la lettera dove lo scrittore auspica una divisione etico-etnica nord-sud della Francia), altri sono invece più letterari (contro Proust, contro Peguy, la lettera a Théophile Briant). Nel volume sono anche riprodotte le pagine originali delle ormai introvabili riviste e quotidiani dove apparvero gli scritti tradotti, mentre le appendici comprendono la risposta di Céline alle accuse della Procura francese, il ricordo di Karl Epting, un testo sulla cultura politicizzata della Sinistra in quegli stessi anni, uno sui rapporti tra gli intellettuali francesi e tedeschi, e numerose fotografie.



Da segnalare, infine, anche la ripubblicazione di un celebre testo di Robert Poulet «II mio amico Céline», Elliot, euro 14), una sorta di «autobiografia scritta per procura» frutto di un lungo colloquio con l'amico Poulet nel '51 e uscita in Francia nel '58.





mercoledì 29 giugno 2011

"Céline ci scrive" su Il Giornale di oggi!







Oggi 30 giugno sul Il Giornale articolo/recensione di Luigi Mascheroni sul libro Céline ci scrive - Le lettere di Louis-Ferdinand Céline alla stampa collaborazionista francese, 1940-1944; a cura di Andrea Lombardi, prefazione di Stenio Solinas, edizioni Settimo Sigillo, disponibile da metà luglio.



martedì 28 giugno 2011

VIDEO Intelligenze scomode del '900: Louis-Ferdinand Céline, documentario di Giano Accame

Pt.1


Pt.2


Pt.3


Carissimi, grazie a Gilberto e al mio amico Marco Cacciamani, e a dispetto della mia quasi totale incapacità informatica, ecco la prima parte (di tre, le prossime a breve) del bel documentario della serie RAI "Intelligenze scomode del '900" dedicato a Céline!

lunedì 27 giugno 2011

Robert Poulet, Il mio amico Céline



Céline, la musica infernale del secolo breve
MASSIMO RAFFAELI - La Stampa, Tuttolibri




Due scrittori che non potrebbero essere più opposti e complementari, Ernest Hemingway e Louis-Ferdinand Céline, muoiono a distanza di poche ore, il 1˚ e il 2 luglio del 1961: l’uno, circonfuso di gloria e gonfio di rhum, si suicida nel suo buen retiro di Ketchum, Idaho, mentre l’altro, ancora lordo della duplice infamia di antisemitismo e collusione coi nazisti, si spegne per un aneurisma nel villino-catapecchia di Meudon, a Ovest di Parigi, dove è ritornato nel ’52 in semiclandestinità, dopo anni di prigione e di esilio in Danimarca. I giornali sparano su nove colonne il suicidio di colui che traduceva l’esistenza in velocità dattilografica incarnando la via americana alla letteratura, come ne fosse il mito temerariamente hard boiled ; al recluso di Meudon, viceversa, riservano scarne notizie di agenzia e qualche imbarazzato necrologio in cui si riferisce la scomparsa di una belva collaborazionista. A cinquant’anni esatti di distanza, il rapporto può dirsi invertito: il nome di Hemingway è chiuso in una cifra stilistica che retrospettivamente sembra simulare la velocità della radio e del cinema nello stesso momento in cui la subisce e vi soggiace, mentre la petite musique del narratore francese, la musica infera che risuona nel Viaggio al termine della notte o in Morte a credito , con lo spartito che registra il delirio emotivo dell’individuo solo nella massa (e nell’epoca delle guerre mondiali, del colonialismo e del fordismo), sembra oggi l’unica tonalità all’altezza degli orrori del Secolo Breve. Il libro-intervista di Robert Poulet mio amico Céline (ora riproposto da Elliot) esce in Francia nel 1958, tre anni prima della morte dello scrittore, però annuncia un’inversione di tendenza. Poulet (Liegi 1893 - Marly-le-Roi 1989) è uno sparring ideale, anzi è un sosia céliniano in quanto pure lui risulta essere un ex collaborazionista, un ex condannato a morte e un ex amnistiato; scrittore poligrafo, di ascendenza reazionaria, rivivrà trasfigurato, tra Occupazione e Resistenza, nel romanzo-epopea di Hugo Claus che si intitola La sofferenza del Belgio . Per parte sua, Céline lo accoglie volentieri nell’arca di Meudon (tra i cani molossi e l’ineffabile Coco, il pappagallo), gli dà corda, parla e come di consueto straparla, inscena il teatro della propria decadenza e tuttavia non smette mai di raccontarsi e di tornare sui frangenti di un’autobiografia ossessiva, mentre la sua voce è già scrittura in atto, prosodia in forma di jazz, quella stessa che abita la cosiddetta Trilogia del Nord , il ciclo di romanzi che equivale al suo testamento d’autore. È una lingua del risentimento e del rancore, la sua, che ritrova la propria scaturigine nella coscienza del dolore quale atto primordiale dell’essere nel mondo: essa, in altri termini, è la lingua del male che cerca ogni momento di combatterlo prodigando il ricordo del male medesimo. Senza affatto prevederlo, il libro di Poulet anticipa un processo di canonizzazione letteraria che in Francia si avvia poco dopo con l’uscita di un primo volume céliniano nella collana della Pléiade, l’equivalente di uno scranno fra gli immortali: perciò all’avaro stillicidio della bibliografia presto subentrerà il tornado editoriale (tra riedizioni, inediti, carteggi, studi biografici e critici) che trova un suo corrispettivo, dall’altra parte dell’immaginario secolare, solamente in Marcel Proust. Qualcosa di simile gli accade in Italia se è vero che, quando nel novembre del ’93 esce per la prima volta da un piccolo editore marchigiano Il mio amico Céline , il terreno della sua ricezione è da tempo predisposto dove nessuno se lo aspetterebbe, vale a dire con il marchio della sinistra intellettuale. In maniera rigorosamente ufficiosa, è Italo Calvino a propiziare l’ingresso di Céline nel catalogo di Einaudi con la traduzione vivacissima de Il Ponte di Londra – Guignol’s Band I (1971) a cura di due giovani promesse, il francesista Lino Gabellone e lo scrittore Gianni Celati, ed è ancora Italo Calvino a volere il doppiaggio di Nord (’75), l’epicentro della Trilogia , a firma del poeta Giuseppe Guglielmi, che diviene la sua voce consanguinea nel doppiaggio che sa commemorarne la violenza inventiva come il ritmo travolgente e sincopato della partitura: nemmeno è un caso che nel novembre del ’92, già in vista del centenario della nascita, sia un altro einaudiano di lungo periodo, Ernesto Ferrero, a pubblicare la bella e in tutto rinnovata traduzione del Voyage . Così come accade in Francia, dopo una messe di pubblicazioni e riconoscimenti, anche in Italia la comunità dei lettori sa distinguere oramai Céline da Céline, cioè l’ambiguo amico della Kommandantur parigina, il pornografo razzista di Bagatelle per un massacro dal grande narratore (martire, per etimologia) che guarda alle vicende del secolo dai bassi di un’umanità assoggettata, derelitta, priva di qualunque speranza.In quest’ottica, anche Il mio amico Céline , un libro concepito da Poulet come una vera e propria apologia, riguadagna la funzione originaria che lo fa essere tanto un referto in presa diretta quanto un’autobiografia scritta per procura. All’uscita del volume un altro céliniano accanito, il poeta Giovanni Raboni, ne coglie il senso e la necessità alludendo a «un Céline al quadrato, parlato e al tempo stesso scritto, un Céline dal vivo che tuttavia è anche un Céline ricostruito, un personaggio da Museo Grévin». Insomma un autore finalmente approdato alla perfetta solitudine e insieme alla paradossale condizione di ogni classico, la cui attualità è garantita dal fatto che la pagina, già declinata al passato remoto, brucia nel tempo presente solo per ritrovarsi intatta al futuro anteriore.Pure all’eremita di Meudon è dunque capitato, per esclusivo amore della verità, di «venire trascinato più avanti di dove si può andare, fin dove nessuno poteva aiutarlo»: anche se gli si attaglia maledettamente, non è una frase che si debba attribuire a lui, perché a pronunciarla fu invece Ernest Hemingway, un fratello che la morte gli impedì di riconoscere.


Grazie a Harm Wulf per la segnalazione!

mercoledì 15 giugno 2011

Presentazione di Nello specchio della modernità, di Patrizio Paolinelli venerdì a Santa Marinella





Venerdì 17 giugno alle ore 18,00 nella biblioteca comunale di Santa Marinella (Roma) sarà presentato "Nello specchio della modernità. Fotoritratti di Louis-Ferdinand Céline" - del "nostro" ;-) Patrizio Paolinelli.

Introduce Simone Pazzaglia.

venerdì 10 giugno 2011

"Céline ci scrive" in anteprima su Libero di oggi




Allora, ecco in anteprima su Libero e Satisfiction la sorpresa che vi abbiamo preparato per il cinquantenario della morte di Céline. Il cappello introduttivo è della redazione di Libero (PS nell'articolo c'è un piccolo errore; contrariamente a quanto scritto nell'articolo, la lettera in questione è inclusa nel libro).


Ringrazio sin da ora chi ha collaborato alla realizzazione del libro: Valeria Ferretti, Stenio Solinas, Gilberto Tura, Simona Oddo, Stefano Fiorucci, Jeannine Renaux e Marc Laudelout, l'editore Enzo Cipriano, e Gian Paolo Serino, Satisfiction e Libero.



Un ringraziamento particolare, veramente di cuore, va a Solinas perchè, oltre alla prefazione, con mio grande stupore mi ha rinviato il manoscritto dopo averlo corretto e rivisto; una cortesia veramente inaspettata e di grande valore.



__________________________________



Pubblichiamo qui a fianco una lettera di Louis-Ferdinand Céline, datata 15 giugno 1942 e indirizzata all’amico Henri Poulain, contenuta nel numero 11 della rivista letteraria gratuita “Satisfiction”, diretta da Gian Paolo Serino, in uscita il 28 giugno. Come vedrete, si tratta di un testo molto duro, dai forti connotati razzisti e antisemiti. Talmente sgradevole, a tratti, che Andrea Lombardi - esperto conoscitore dello scrittore francese, di cui ha molto scritto e del quale ha curato varie pubblicazioni - ha preferito non inserirlo nel volume Céline ci scrive. Le lettere di Louis-Ferdinand Céline nella stampa collaborazionista francese, 1940-1944 (prefazione di Stenio Solinas, edizioni Settimo Sigillo) che ha meritoriamente importato (uscirà in libreria a metà luglio). Del resto, nemmeno in Francia questa lettera ha suscitato reazioni particolarmente favorevoli, come ci si può immaginare. La riproduciamo perché siamo convinti che di un grande autore come Céline si debba conoscere tutto, anche il lato più terrificante efastidioso, il quale certononpuò essere separato dalla sua straordinaria opera di romanziere. Ovviamente, non aderiamo alle bestialità che il francese, seppur con prosa splendente, inserisce nella missiva. Anzi, i contenuti per larga parte ci ripugnano. Però siamo convinti che vadano conosciuti, così come sarebbe ora di pubblicare un libro scandaloso e proibito come Bagattelle per un massacro, disponibile nel nostro Paese solo in edizioni pirata o in ristampe anastatiche di una vecchia edizione di epoca fascista. Ci sembra un’enorme ipocrisia non diffonderlo, visto che il contenuto è facilmente reperibile su Internet. Esattamente come le parole di questa lettera: in lingua originale è semplicissimo trovarla sul web. Qui avete occasione di leggerla, in tutta la sua crudeltà, in tutta la sua superficialità che sembra impossibile per un genio quale era Céline. Eppure l’ha scritta: per questo la stampiamo.





Fouesnant il 15 giugno





Mio carissimo Poulain, mi coglie su due piedi! Ah, capita bene! Capita a fagiolo! Mi chiede un articolo. Prenda questa lettera e a gratis! Celebrare un anniversario? Quello dei Beaux draps? Perbacco! Sempre proibiti! I governi si succedono, giostrano i loro destrieri, la loro musichetta, e patatì e patatà... e niente cambia intendiamoci. Glielo dico molto educatamente. La storia della Francia continua. Piccolissimo indizio mi dirà: narcisismo d’autore che vede il mondo solo dal suo ombelico. La Francia continua! Come vorrà! Andrà avanti senza di me! Non se n’avrà a male. Maurois, Bernanos, adulati, classici a Tolosa, Céline nella merda.
Tutta una corsa verso Haiti
Domani Duhamel grande censore. Tutto questo è proprio regolare, può sorprendere solo un coglione. La Francia odia istintivamente tutto ciò che le impedisce di darsi ai negri. Li desidera, li vuole. Buon pro le faccia! Che si dia! tramite l’Ebreo e il meticcio, tutta la sua storia in fondo è solo una corsa verso Haiti. Quale ignobile cammino percorso dai Celti agli Zazou! Da Vercingetorige a Gunga Diouf. Tutto qua! Tutto sta lì! Il resto non è che farsa e discorsi. La Francia muore dalla voglia di finire negra, la trovo piuttosto a puntino, marcia, zeppa di meticci. Mi fanno proprio ridere quando mi dicono 5 o 800.000 ebrei in Francia! La battutona! Solo Saint-Louis, l’eletto, ne fece battezzare 800.000 tutti in una volta nella Narbonense! Pensi se hanno avuto prole! Altri 50 anni, e nemmeno un francese che non sia meticcio di qualcosa in “ide”, araboide, armenoide, bicoide, polaccoide... E chiaramente “francese” 100.000 volte più di lei e di me. L’arroganza “patriottica”, la faccia tosta, è sempre in proporzione al meticciaggio, alla giuderia personale. Un altro bel giornale è da creare, molto opportuno, il “giallo e nero” em - blema del futuro francese. Se la guerra civile fosse durata sarebbe del resto già fatto. Avremmo due milioni di morti, ariani, sostituiti immediatamente (Mandel dixit) da due maggioranza schiacciante desidera con tutto sé stesso la sconfitta assoluta della Germania e del suo ideale razzista. Bisogna come proclama Churchill «cancellare l’Hitlerismo dalla mappa del mondo». Mi spiego.
Il colpo di grazia della guerra ’14-’18
Il padiglione nazionale francese copre tutte le mercanzie. La Francia attuale così meticcia non può essere che antiariana, la sua popolazione assomiglia sempre più a quella degli Stati Uniti d’America. Stessi auspici, stessa politica profonda. Attoniti dappertutto riuniti per ordine ebreo, più qualche rimasuglio nordico e celtico a rimorchio, del resto fusi, in via di estinzione (suppergiù come i pellirossa). Veda le nostre squadre nazionali sportive, accozzaglie grottesche, frettolose ammucchiate di non importa chi, pescati non importa dove, dall’Africa alla Finlandia! Il colpo di grazia, senza dubbio, ci fu inferto dalla guerra del ’14-’18: due milioni di morti, più di cinque milioni di feriti e di abbrutiti dai combattimenti e dall’alcol, ossia tutta la popolazione maschile valida, (in maggioranza ariana ben inteso) sfinita, annientata. E tra questi certamente tutti i nostri quadri reali, tutti i nostri capi ariani. La faccenda dei capi! La massa non conta. È plastica, anonima, fa carne, peso di carne, tutto qui. La guerra, la vita lo dimostrano. La massa, la truppa non vale che solo attraverso i suoi quadri, i suoi capi. La truppa meglio inquadrata vince la guerra. È il segreto, il solo. I nostri capi, i nostri quadri sono morti durante la guerra super criminale del ’14-’18. Sono stati immediatamente sostituiti al volo dall’afflusso degli armenoidi, araboidi, italoidi, polaccoidi etc. tutti estremamente avidi, cullati da sempre nel sogno, nei loro paesi infetti, di venire a recitare qui la parte dei capi, di asservirci, conquistarci, (senza alcun rischio). Un ottimo affare! I nostri eroi del ’14-’18, cedettero loro senza esitare i posti ancora caldi. Furono occupati immediatamente. 4 milioni di pulcinella anti-francesi nell’anima e nel corpo, soltanto francesi di chiacchiera, si è visto bene quanto valessero i quadri Boncourt, i naturalizzati Mandel durante la guerra ’39- ’40! Le donne si sposano con ciò che trovano! Certo! Nuova fioritura di meticci! Che commedia! Che lupanare! E così sia! «Vengono fin tra le nostre braccia! Sgozzare, ecc.» non sono affatto i “feroci soldati” a devastare e distruggere la Francia quanto piuttosto i rinforzi negroidi del nostro stesso esercito. Per essere precisi, non sgozzano niente di niente, montano. Ed è l’imprevisto della “Marsigliese”!
Abbrutiti da alcol e incroci nei letti
Rouget non aveva capito niente, la conquista, quella vera, ci viene dall’oriente e dall’Africa la conquista intima, quella di cui non si parla mai, quella dei letti. Un impero di 100 milioni di abitanti di cui 70 milioni di caffellatte, per volere Ebreo è un impero in via di diventare Haitiano, in modo del tutto naturale. Siamo completamente abbrutiti? È un dato di fatto, per via dell’alcol e dell’in - crocio, e poi per molte altre ragioni... (veda i Beaux draps, proibiti...). Anestetizzati, insensibili al pericolo razziale? Lo siamo, è evidente. 50.000 stelle gialle non cambieranno niente. La Francia intera per un po’, più dreyfusarda che mai, per simpatia così cristiana, sfoggia con fierezza il simbolo giudaico. Nuova Legione d’onore, zazou, molto più giustificata dell’altra. E tutto per Blum e per de Gaulle! Maturi per essere colonizzati? Lo siamo! Da non importa chi! Parlare di razzismo ai francesi, è parlare di sangue puro ai nordafricani, stesse reazioni. Non si fa piacere a nessuno. Vichy si occupa, sembra del razzismo, a modo suo, come si occupa dei miei libri. Vada un po’ a chiedere a Claude Bernard quel che pensa del problema ebraico!... Sarà servito. «Si figuri raccontano i suoi assistenti che se il Sig. Bergson fosse ancora qui, i tedeschi gli farebbero indossare la stella gialla!». Altrettanto attaccabriga! Allora bella cosa, ci dica lei stesso, un po’, quel che preconizza? Ah! quant’è più delicato... scomodo... arduo... crudele... che Dio mi guardi dal potere! Dalle pesanti confidenze popolari! Le ridurrò tutte in poltiglia! Taglierei innanzitutto la Francia in due parti. Per la comodità delle cose, la tranquillità dei partiti. Lo slogan “Una, Indivisibile” mi è sempre sembrato una cosa da “masso - ni”. Al punto in cui siamo arrivati nella decadenza, saremo per forza le vittime nell’“Indivisibi - le” noi gente del Nord, poiché è il Sud che comanda, cioè l’ebreo. I Romani troppo meticciati si sono dati due capitali, farò altrettanto. Marsiglia e Parigi. L’una per la Francia meridionale, latina se vogliamo, bizantina, “sovralgerica”, tutto ai meticci, tutto agli zazou, dove si avrebbe tutto il piacere, tutta la libertà di ospitare, amare profondamente tutti i più bei ebreoni del mondo, di eleggerli tutti deputati, commissari del popolo, arcivescovi, druidi, geni, di farsi inculare da loro, all’infinito, aspettando di diventare tutti negri, questione di trenta o cinquanta anni, per come vanno le cose, di raggiungere infine lo scopo supremo, l’ideale delle Democrazie. L’altra per la Francia “a nord della Loira”, la Francia lavoratrice e razzista, è da tentare. Credo che sia forse il momento di attuare alcune grandi riforme...
Tanta sofferenza per una porcheria
La Francia tipo Santo Domingo non mi interessa davvero. Può farsela chi si presenta, me ne frego alla grande. Mi dispiace semplicemente di aver lasciato tanta carne per difendere questa porcheria che non sogna altro che Lecache. Una così grande guerra, tanta miseria, per andare da Rotchild [sic] a Worms! Ci vorrà davvero del nuovo per farmi ritornare patriota. Credo che sarà per un’altra volta, forse per un altro mondo, quello dei morti se ho ben capito, la vera patria dei testardi. A lei Poulain! Stia ben attento! Ah! non mi tradisca! la minima parola! tutte le virgole! e coraggio!

sabato 4 giugno 2011

Novità librarie...






Stefano e Johnny Doe mi segnalano rispettivamente:



- L'uscita in edizione Folio delle lettere alla NRF.


Lettres à la N.R.F.

Mon cher Éditeur et ami, Je crois qu'il va être temps de nous lier par un autre contrat, pour mon prochain roman «RIGODON»... dans les termes du précédent sauf la somme – 1 500 NF au lieu de 1 000 – sinon je loue, moi aussi, un tracteur et vais défoncer la NRF, er pars saboter tous les bachots! Qu'on se le dise! Bien amicalement votre Destouches


De l'envoi du manuscrit de Voyage au bout de la nuit en 1931 à cette dernière missive adressée la veille de sa mort, ce volume regroupe plus de deux cents lettres de l'auteur aux Éditions Gallimard et réponses de ses interlocuteurs. Autant d'échanges amicaux parfois, virulents souvent, truculents toujours de l'écrivain avec Gaston Gallimard, Jean Paulhan «L'Anémone Languide» et Roger Nimier, entre autres personnages de cette «grande partouze des vanités» qu'est la littérature selon Céline.

Edition : Pascal Fouché Préface : Philippe Sollers

Collection Folio n° 5256 Parution le 27/05/2011
256 pages Prix : 5.7 €
ISBN : 9782070440702






- La nuova biografia di Céline scritta da Godard.





Stupidario céliniano

Allora, su grande richiesta :-) iniziamo questo stupidario! Posteremo qui tutte le vostre segnalazioni di strampalate affermazioni critico-biblio-bio-grafiche sul Nostro (scrivete a ars_italia@hotmail.com se avete un allegato da postare o direttamente nei commenti).


Iniziamo con questa segnalazione (un record di refusi e errori in due righe due!!!) di Guignol: