sabato 20 aprile 2013

Céline e il surrealismo, di Francesca Bergadano



















Pubblichiamo un estratto della interessante tesi della nostra lettrice Francesca Bergadano, che ha come oggetto i rapporti tra Céline e il surrealismo. Per noi, Céline stesso non aveva una grande opinione del surrealismo, cfr. Rago: 

Il surrealismo, considerato da Céline come un prolungamento del «naturalismo imbecille», è un'altra fonte di virtuosismi imbelli di una letteratura in rovina: «letteratura insomma più morta della morte stessa . . . » (B, 172)

Mentre 

La scelta « positiva » cade su Barbusse, su Malraux dei Conquérants, su Marcel Aymé, su Dabit di Villa Oasis, su Simenon dei Pitard (« se ne dovrebbe parlare ogni giorno »), su Elie Faure (« benché mezzo ebreo e mezzo massone, mi appassiona fuorché quando parla d'amore »: da notare che Faure non era né ebreo né massone), su Paul Morand, su Mac Orlan (« aveva tutto previsto, tutto messo in musica trent'anni prima »). 

E aggiungerei Rabelais. Detto questo, la tesi di Francesca dà comunque un gran numero di spunti interessanti, e vi auguro buona lettura.


Per un Céline surrealista
di Francesca Bergadano

Prima di passare ad analizzare nello specifico i testi céliniani per dimostrarne l’ascendente surrealista, è necessario sottolineare le sostanziali differenze che stanno alla base delle due sperimentazioni letterarie. Michel Beaujour, nell’articolo La quête du délire[1] dedicato all’autore del Voyage, ravvisa in Céline e nel Surrealismo “un certain état de fureur, fureur contre le monde donné” che si manifesta però in opere poetiche estremamente differenti. Nel Surrealismo esiste una precisa “componente di negatività, di insubordinazione e di rivolta[2]” che si rinnova verso il positivo, tesa alla creazione di una cultura alternativa. Céline sembra essersi fermato invece alla fase nichilista della poetica surrealista, dove alla triste constatazione della ruine non segue alcuna substitution[3]. In questi termini l’autore del Voyage appare più vicino alla tabula rasa[4] attuata dei Dadaisti che non al processo di superamento della fase puramente anarchica messo in atto dal Surrealismo. Céline denuncia e grida il proprio sdegno ma non propone valori nuovi da sostituire a quelli vecchi e questo perché la sua rivoluzione, basata prevalentemente sul linguaggio, non ha alla base quella fiducia nell’uomo che spinge i surrealisti a voler cambiare il mondo e la vita. Céline parte da un esasperato individualismo e, nel corso degli anni, non si è mai stancato di ripetere e sottolineare la sua originalità rispetto ad ogni altro autore[5] e la sua autonomia nei confronti di qualsiasi referente letterario[6]. I surrealisti al contrario hanno rifondato una tradizione culturale alla quale collegarsi[7], portando alla luce autori importanti come Lautréamont, e hanno basato sulla fiducia e la pratica di gruppo larga parte dell’esperienza intellettuale[8] del movimento. Per questo motivo è importante contestualizzare la nascita e lo sviluppo di due tendenze ben distinte: il Surrealismo è un movimento d’avanguardia, volto allo sperimentalismo, che non poteva certo prescindere dal raffronto diretto e dalla collaborazione reciproca tra i vari componenti del gruppo, che uniscono nella stesura dei manifesti teorici le proprie diverse esperienze culturali. Non si può pensare ad un’attività avanguardistica svincolata da un’ideologia comune, anche se possiamo affermare che, per quanto riguarda il Surrealismo, Breton ha giocato un ruolo predominante all’interno del gruppo. Céline, quanto a lui, opera in un mondo culturale e storico diverso, dove la sperimentazione è finita per lasciare spazio ad un ritorno all’ordine che vede lo scrittore alle prese con gli avvenimenti storici della propria epoca e con la ridefinizione del proprio ruolo all’interno della società.
I risultati a cui sono giunti, pur percorrendo strade diverse,  Céline e alcuni autori surrealisti sono però molto simili. Tutti sono convinti che un profondo cambiamento culturale debba essere realizzato a partire dal linguaggio, percepito da entrambe le parti come summa di una tradizione ormai superata e ripetitiva. Per i surrealisti il problema della scrittura ha un’importanza capitale all’interno del processo di elaborazione teorica. Il ricorso all’automatismo psichico denota una forte rottura con i principali canoni della comunicazione classica: non saltano soltanto le tradizionali regole di scrittura ma la figura stessa dello scrittore viene ad eclissarsi dietro un puro processo di trascrizione dell’inconscio[9]. Il sovvertimento stilistico céliniano, invece, pur partendo dagli stessi presupposti di opposizione alla tradizione scrittoria, non sceglie la via dell’automatismo ma piuttosto quella di una rivolta dall’interno effettuata sulla forma romanzo proprio a partire dal romanzo stesso ed è per questo motivo che possiamo parlare di Céline come di un “rivoluzionario classicista”. Céline costruisce un nuovo tipo di opera narrativa che stravolge le usuali formule del racconto senza porsi però completamente al di fuori delle regole imposte dal genere scelto. Anche se spesso egli parla di delirio, conosciamo bene il percorso che ha portato questo autore alla composizione dei suoi testi. Quattro anni di lavoro per ogni romanzo e un’opera di enorme cesello per ogni singola frase non possono di certo essere accomunate alla scrittura automatica, anche se sicuramente rintracciamo nel Voyage au bout de la nuit e in Mort à crédit una componente di automatismo psichico controllato e rielaborato in un secondo momento. Per Céline il linguaggio[10] non coincide esattamente su un piano di elaborazione individuale  come per il Surrealismo, ma è giocato su un piano più strettamente letterario.
Per passare ora all’analisi di brani estrapolati dai romanzi presi in esame, possiamo partire da una frase di Gide pubblicata sulla Nouvelle Revue Française nel 1938[11] a proposito di Bagatelle pour un massacre: “ [...] non è la realtà che Céline dipinge, ma l’allucinazione che la realtà provoca, ed è proprio per questo che ci interessa.” Infatti esempi di trasfigurazione e trasposizione allucinata del dato reale si trovano sparsi tra i due romanzi, anche se all’interno del Voyage lo stacco tra realtà e allucinazione è percepibile più chiaramente. Al contrario in Mort à crédit sogno e verità si susseguono in un unico flusso narrativo nel quale il lettore viene trasportato e coinvolto. Portiamo a dimostrazione del nostro enunciato le seguenti citazioni tratte rispettivamente dal Voyage e da Mort à crédit.
“Sur la petite place, dans le café qui nous sembla, d’après les apparences, être le moins coûteux, nous entrâmes[...]”.

 A questo inizio narrativo segue poi uno stacco dove l’autore inserisce il racconto allucinato di un’apparizione di fantasmi:
“ Ils commençaient sur la Place du Tertre, à côté, les morts. Nous étions bien placés pour les repérer. Ils passaient júste au-dessus des Galeries Dufayel, à l’est par conséquent.  Mais tout de même il faut savoir comment on les retrouve, c’est-à-dire du dedans et les yeux presque fermés, parce que les grands buissons de lumière des publicités ça gêne beaucoup, même à travers les nuages, pour apercevoir, les morts. Avec eux les morts, j’ai compris tout de suite qu’ils avaient repris Bébert, on s’est même fait un petit signe tous les deux Bébert et puis aussi, pas loin de lui, avec la fille toute pâle, avortée enfin, celle de Rancy, bien vidée cette fois des toutes ses tripes [...] enfin tous ces salauds- là, ils étaient devenus des anges sans que je m’en soye aperçu! Il y en avait à présent des pleins nuages d’anges et des extravagants et des convenables, partout. Au- dessus de la ville en vadrouille! [...] Des casaques enfouis près du Moulin n’arrivaient pas à s’extirper de leurs tombes. Ils faisaient des efforts que c’était effrayant, mais ils avaient essayé bien des fois dejà...Ils retombaient toujours au fond des tombes, ils étaient encore soûls depuis 1820.[..][12]”.

L’innesto della sequenza surreale è qui messo in evidenza anche dall’ “usage du pronon on[13] e dal movimento di tempi verbali che si avvicinano all’imperfetto e al passato remoto, in opposizione al presente e al passato utilizzati nel racconto, per segnalare ancora più chiaramente l’inserimento di una digressione immaginaria. In Mort à crédit il passaggio al fantastico non è quasi avvertito dal lettore che di colpo si trova catapultato in una realtà delirante. Ferdinand, il protagonista, sta accompagnando un’amica a fare una passeggiata quando:
“Arrivée à l’Arc de Triomphe, toute la foule s’est mise en manège. Toute la horde poursuivait Mireille. Y avait déjà plein de morts partout. Les autres s’arrachaient les organes. L’Anglaise coltinait son auto, au-dessus de sa tête, à bout de bras! Hurray! Hurray! Elle en culbute l’autobus. Le trafic est intercepté par trois rangs de mobiles au port d’armes. Les honneurs c’est alors pour nous. La robe à Mireille s’envole. la vielle Anglaise bondit sur la môme, lui croche dans les seins, ça gicle, ça fuse, tout est rouge. On s’écroule, on grouille tous ensemble, on s’étrangle. C’est une grande furie. La flamme sous l’Arc monte, monte encore, se coupe, traverse les étoiles, s’eparpille au ciel...Ça sent partout le jambon fumé...Voici Mireille à l’oreille qui vient me parler enfin. «Ferdinand, mon chéri, je t’aime!...C’est entendu, t’es plein d’idées!» C’est une pluie de flammes qui retombe sur nous, on en prend des gros bout chacun...On se les enfonce dans la braguette grésillantes, tourbillonnantes. Les dames s’en mettent un bouquet de feu...On s’est endormi les uns dans les autres. 25 000 agents ont déblayé la Concorde. On y tenait plus uns dans les autres. C’était trop brûlant. Ça fumait. C’était l’enfer.[14]

In questi due brani sono rintracciabili echi surrealisti in evocazioni come quella di “nuages pleins d’anges et des extravagants et des convenables”, o di  una “flamme, flamme sous l’Arc monte, monte encore, se coupe, traverse les étoiles, s’eparpille au ciel...Ça sent partout le jambon fumé...”. Mentre nel passo successivo di Mort à crédit vediamo trasformarsi sotto i nostri occhi la stanza da letto di Ferdinand in una nave:
“Moi alors j’avais si chaud que je me suis traîné à la fenêtre. Par le travers de l’Étoile mon beau navire il taille dans l’ombre... chargé de toile jusqu’au trémat... Il pique droit sur l’Hôtel-Dieu... La ville entière tient sur le Pont, tranquille... Tous les morts je les reconnais... Je sais même celui qui tient la barre... Le pilote je le tutoye... Il a compris le professeur... il joue en bas l’air qu’il nous faut... «Black Joe»... Pour les croisières... Pour bien prendre le Temps... le Vent... les menteries... Si j’ouvre la fenêtre, il fera froid d’un coup... le bandagiste, dans sa boutique... Je veux qu’il voyage... Il ne sort jamais... Mon navire souffre et il malmène au-dessus du Parc Monceau... Il est plus lent que l’autre nuit... Il va buter dans les Statues...Voici deux fantômes qui descendent à la Comédie-Française... Trois vagues énormes emportent les arcades Rivoli. La sirène hurle dans mes carreaux... Je pousse ma lourde... Le vent s’engouffre... Ma mère radine exorbitée... Elle me sémonce... Que je me tiens mal comme toujours!... La Vitrouve se précipite!... Assaut des recommandations...je me révolte...Je les agonise...Mon beau navire est à la trâine. Ces femelles gâchent tout infini...il bourre en cap, c’est une honte!...Il incline sur bâbord quand même...Y a pas plus gracieux que lui sous voiles...Mon coeur le suit...Elles devraient courir, les garces, àpres les rats qui vont saloper la monuvre!... Jamais il ne pourra border tellement ses drisses sont souquées fort!...Il faudrait détendre...Prendre trois rouleaux avant la “Samaritaine”! Je hurle tout ça sur tous les toits..Et puis ma piaule va couler!...[15]”. 

Anche in questo passo affiorano immagini che costruiscono davanti agli occhi del lettore un mondo altro, fantastico. Come si può notare già da questi estratti, l’immaginazione céliniana è spesso legata all’immaginazione della morte e ai fantasmi che essa crea: la paura, “la grande présente de l’univers célinien[16]”, è motivo di delirio surreale che parte da un avvenimento concreto[17], sempre presente alla base del surrealismo céliniano, dato dal quale l’autore fa iniziare i suoi deliri emozionali.
La trasposizione fantastica della realtà appare come il risultato più evidente dell’influenza surrealista sull’opera céliniana, ma ci sono altri elementi di contatto che agiscono ad un livello più profondo. Ad esempio, nella creazione dei personaggi, Céline può essersi ispirato alle modalità tipiche  degli scrittori d’avanguardia (gesti eclatanti, eccentricità), e può aver fatto proprie le teorie psicanalitiche tanto care ai surrealisti. Il personaggio di Robinson nel Voyage, doppio del protagonista Bardamu[18], ritorna come un fantasma per tutta l’opera e rincorre Bardamu come un sogno:
“De le rencountrer à nouveau,  Robinson, ça m’avait donc donné un coup et comme une espèce de maladie qui me reprenait. Avec sa gueule toute barbouillé de peine, ça me faisait comme un sale rêve qu’il me ramenait et dont je n’arrivais pas à me délivrer depuis trop d’annés déjà[19]”.

Un sogno che scatena, appunto, il surreale. Bardamu incontra Robinson nei luoghi più impensabili dei suoi vagabondaggi: in guerra, nella foresta africana, nella banlieu parigina. In Mort à crédit i personaggi sono fortemente caratterizzati in senso “surrealista”: basti pensare a Courtial, il suicida, geniale inventore appassionato di ascensioni con il pallone aerostatico, e al prete Fleury, pazzo promotore di stramberie per recuperare tesori sommersi. A proposito di Courtial possiamo citare :
“ Lui, non plus, Courtial des Pereires, il arrêtait jamais de produire, d’imaginer, de concevoir, résoudre, prétendre...[20]”.

E ancora, a proposito delle sue invenzioni, non senza un sottinteso parodico alle formule surrealiste

“ Depuis le «fromage en poudre», l’«azur synthétique», la«valve à bascule», les « poumons d’azote», le «navire felxible», le «café-crème comprimé», jusqu’au «ressort kilométrique» pour remplacer les combustibles...[21]”.

Per il prete Fleury valga invece questa descrizione :
“ Je le regarde attentivement. Je l’avais jamais vu ce gonze-là...Certainement que c’était un nouveau. Comme ça, à première impression, il faisait assez raisonable...même circonspect, pourrait-on dire...[...] ...Tout à fait calme...bien élevé..Il trimblait un parapluie...malgré le franchement beau temps...Il va le déposer dans un coin...Il revient, il toussote...[...]...nous autres on avait l’habitude des véritables originaux...[...] Mais le voilà qui ouvre la bouche...et il commence à raconter...Alors je comprends d’un seul coup...Il avait bien autre chose en tête..Et ça le tracassait!...[...]...C’était à prendre ou à laisser!...Ou bien alors contre lui!...Il nous a bien prévenus tout de suite! Qu’on réfléchisse aux conséquences! Plus de “Pérpetuel”. Pas sérieux ça! Une calembredaine!...A aucun prix!...C’était autre chose, lui son dada!...On a fini par le savoir!..Comme ça d’échevaux en aiguille!...en dix mille circonlocutions...ce qui lui travaillait le siphon...C’était les Trésor sous-marins!...Une noble idée![22]...”.

L’influsso della psicanalisi in Céline non emerge solamente dalla presenza del doppio Robinson-Bardamu nel Voyage; più chiari riferimenti psicanalitici, infatti si rinvengono nelle pagine di Mort à crédit. In questo romanzo Céline mette in scena il complesso edipico, non senza prendere spunti dagli scritti surrealisti. La contrapposizione tra padre e figlio, nell’opera, assume proporzioni tragiche e allo stesso tempo grottesche:
 “Mon père en apprenant  ça, il a prévenu tout de suite Maman, que je l’étranglerais un jour, que c’était bien dans mes tendances. Il voyait tout ça.[23]

e ritorna più volte nel corso della narrazione

“De mon côté je préfère personne. Pour les gueulements et la connerie, je les trouve pareils...Elle cogne moins fort, mais plus souvent. Lequel ye j’aimerais mieux qu’on tue? Je crois que c’est encore mon papa[24]”.

Il rapporto di Ferdinand con il padre si conclude con una rissa durante la quale il figlio, in preda al delirio, aggredisce violentemente il genitore[25] dando sfogo a tutto il suo odio represso.
In entrambi i romanzi gli scenari urbani descritti da Céline sono sicuramente influenzati dalla visione surrealista di Parigi. Michel Beaujour parla di Céline e Aragon come di “deux paysans de Paris, mais quelle distance les sépare! l’un tout charme, tout facilité, à qui tout réussit, venu des beaux quartiers [...] Du point de vue de Céline, les jeux surréalistes paraissent une facile mystification de fils à papa.”[26] In Mort à crédit Céline ci regala descrizioni della città riportabili a prospettive surrealiste:
“Par ma fenêtre on voit Paris...En bas ça s’étale...Et puis ça se mettre à grimper...vers nous...vers Montmartre...Un toit pousse un autre, c’est pointu,  ça blesse, ça saigne le long des lumières, des rues en bleu, en rouge, en jaune...Plus bas après, c’est la Seine, les brumes pâles, une remorque qui fait son chemin...dans un cri de fatigue...Encore plus loin c’est les collines...Les choses se rassemblent...La nuit va nous prendre.[...][27]”.

La stessa visione deformata della città compare all’arrivo di Ferdinand a Londra
“Il faisait déjà nuit, c’était pas très bien éclairé. C’était une station en hauteur, comme montée sur des échasses sur des pilotis...C’était étiré, tout enchevêtré, tout en bois, dans  la buée, dans les bariolages d’affiches...Ça résonnait des mille membrues dès qu’on marchait sur la plateforme...[...] La ville commençait là tout de suite. Elle dégringolait avec ses petites rues, d’un lumignon vers un autre...C’était poisseux, ça collait comme atmosphère, ça dansait autour des becs...c’était hagard comme sensation.De loin, de plus bas, il venait des bouffées de musique...le vent devait porter...des ritournelles...on aurait dit d’un manège cassé dans la nuit...[...] La foule était dense et marronet onduleuse avec une odeur de vase et de tabac et d’antracite, et puis aussi pain grillé [...] Le tramway, un genre de girafe obèse, il dépassait les bicoques, il laminait la couhe, il godallait dans les vitres [...][28]”.

Per capire le somiglianze tra le descrizioni céliniane e surrealiste è giusto riportare alcuni brani tratti da Le Paysan de Paris di Aragon, in questo caso il testo più adatto a tale tipo di paragone. Ecco come l’autore surrealista ci riporta l’immagine dei Passages de l’Opéra:
“Elle règne bizarrement dans ce sortes de galeries couvertes qui sont nombreuses à Paris aux alentours des grands boulevards et que l’on nomme d’une façon troublante des passages, comme si dans ces couloirs dérobés au jour, il n’était permis à personne de s’arrêter plus un istant. Leur glauque, en quelque manière abyssale, qui tient de la clarté soudaine sous une jupe qu’on relève d’une jambe qui se découvre [...] au cordeau le plan de Paris, va bientôt rendre impossible le maintiens de ces aquariums humains qui sont déjà morts à leur vie primitive[...][29]

 per poi continuare così:
“ J’oublias donc de dire que le Passage de l’Opéra est un grand cercueil de verre, et comme la même blancheur déifée depuis les temps qu’on l’adorait dans les suburbes romaines, préside toujours au double jeu de l’amour et de la mort [...] on voit dans les galeries à leurs changeantes leurs qui vont de la clarté du sépulcre à l’ombre de la volupté de delicieuses filles [...][30]”.

La visione céliniana del tramway come “un genre de girafe obèse” rievoca il passo di Aragon:
“En liberté dans le magasin, de grands fauves modernes guettaient la femelle d’homme en proie au petit fer: le séchoir mécanique avec son cou de serpent, le tube à rayons violets dont les yeux sont si doux, le fumigatuer à l’haleine d’été, tous les esclaves d’acier qui se révolteront un beau jour.[31]

Nel Voyage Parigi assume le strane fattezze di una grande torta
“Les gens riches à Paris demeurent ensemble, leurs quartiers, en bloc, forment une tranche de gâteau urbain dont la pointe vient toucher au Louvre, cependant que le rebord arrondi s’arrete aux arbres entre la Porte des Ternes. Voilà. C’est le bon morceau de la ville. Tout le reste n’est que peine et fumier[32]

e ancora
“ Une ville aux aguets, monstre à surprises, visqueux de bitume set de pluies.[33]

 Un esempio di chiara somiglianza con Breton lo troviamo in Nadja:
 “ Enfin voici que la tour du Manoir d’Ango saute, et que toute une neige de plumes, qui tombe de ses colombes, fond en touchant le sol de la grande cour naguère empierrée de debris de tuiles et maintenant couverte de vrai sang![34]”.

L’humour noir, presente nel Surrealismo sin dagli esordi, celebrato poi nel 1940 dall’ Anthologie de l’humour noir di André Breton, appare in Céline come un tratto caratterizzante a partire già dal Voyage. Va puntualizzato, però, che l’humour céliniano si distingue subito in senso meno intellettuale rispetto a quello surrealista: la comicità del Voyage e di Mort à crédit rispecchia, infatti, l’influsso delle gag chapliniane e spesso si può parlare di un umorismo molto fisico, quasi caricaturale. Ecco alcuni esempi tratti dai due romanzi di Céline confrontati con certi proverbi reinventati surrealisticamente da Péret ed Éluard. Nel Voyage una dimostrazione di comicità più buffonesca che di un umorismo intellettuale ci viene fornita subito:
“«- Dis donc, Kersuzon, que je lui dis, c’est les Ardennes ici tu sais…Tu ne vois rien toi loin devant nous? Moi, je vois rien du tout… - C’est tout noir comme un cul», qu’il m’à répondu Kersuzon. Ça suffisait…[35]

per poi passare ad un episodio alquanto surreale: una famiglia ha subito un lutto grave ma vende comunque a Ferdinand una bottiglia di vino
“Une jeune fille, un châle, un tabler blanc, sortaient aussi de l’ombre à présent, jusq’au pas de la porte…« Qu’est-ce qu’ils vous on fait? que je lui ai demandé, les Allemands? – Ils ont brûlé une maison près de la mairie et puis ici ils ont tué mon petit frère avec un coup de lance dans le ventre»…[…] Sa mère elle pleurait fort, à côté, à genoux, le père aussi. Et puis ils se mirent à gémir encore tous ensemble. Mais j’avais bien soif. « Vous n’avez pas une bouteille de vin à me vendre? que je demandai. –Faut vous adresser à la mère…Elle sait peut-être s’il y en a encore…Les Allemands ont tout pris…Pourtant on leur en avait donné de nous-mêmes et beaucoup… -Ah oui, alors, qu’ils en ont bu! que remarqua la mère, qui s’était arrêtée de pleurer, du coup. Ils aiment ça… - Et plus de cent bouteilles, sûrement, ajouta le père, toujours à genoux lui… - Y en a plus une seule alors? insistai-je, ésperant encore, tellement j’avais grand-soif, et sortout de vin blanc, bien amer, celui qui réveille un peu. J’ veux bien payer… Y en a plus que du très bon. Y vaut cinq franc la bouteille…consentit alors la mère – C’est bien!» Et j’ai sorti mes cinq francs de ma poche, une grosse pièce. «Va en chercher une!» lui commanda-t-elle tout doucement à la sœur. J’étais servi, je n’avais plus qu’à m’en aller[36].”

 Alla fine del romanzo assistiamo all’immagine della vecchia Henrouille, mummia tra le mummie, guida turistica in un’anomala grotta sotterranea:
“Pendant la saison, les touristes n’en finissaient pas. Ils traînaient au caveau et la mère Henrouille parvenait à les faire rigoler. Le curé tiquait bien un peu sur ces plaisanteries, mais comme il touchait plus que se part, il ne pipait pas, et puis d’abord en fait de gaudriole, il n’y connaissait rien. Elle valait pourtant la peine d’être vue et entendue la mère Henrouille au milieu de ses cadavres. Elle vous les regardait en plein visage, elle qui n’avait pas peur de la mort et si ridée pourtant, si ratatinée déjà, elle-même, qu’ elle était comme une des leurs avec sa lanterne à venir bavarder en plein dans leur espèce de figure.[37]”.

Mort à crédit ci offre alcune tra le più divertenti e ciniche prove di umorista di Céline, nella descrizione di un ragazzo ritardato mentale che il protagonista incontra durante il suo soggiorno a Londra:
“Elle s’occupait à claque seconde de faire manger le petit Jonkind, un énfant spécial, un tardif. Après claque bouchée, ou presque, il fallait qu’elle intervienne, qu’elle l’aide, le bichonne, qu’elle essuye tout ce qu’il bavait. C’était du boulot. Ses parents, à lui, au crétin, ils restaient là-bas aux  Indes, ils venaient même pas le voir. C’était une grande sujétion, un petit forcené pareil, sortout au moment des repas, il avalait sur la table les petites cuillers, les ronds de serviettes, le poivre, les burettes et même les couteaux…C’était sa passion d’engoulir…Il arrivait avec sa bouche toute dilatée, toute distende, comme un vrai serpent, il aspirait les moindres objets, il les couvrait de bave entièrement, à même le lino. Il ronflait, il écumait en fonctionnant. Elle l’empêchait, à chaque fois, l’éloignait, Madame Merrywin, toujours bien gracieuse, inlassable. […] A part le truc d’engloutir, le môme n’était pas terribile. Il était même plutôt comode. Il était pas vilain non plus, seulement ses yeux qu’étaient fantasques. Il se cognati partout sans lunettes, il était ignoblement myope, il aurait renversé  les taupes, il lui fallait des verres épais, des vrai cabochons comme calibre…Ça lui exorbitait les châsses, plus large que le reste de la figure. Il s’effrayait pour des riens, Madame Merrywin le rassurait en deux mots, toujours les mêmes: «No trouble, Jonkind! No trouble!...». Il répétait ça aussi pendant des journées entières à propos de n’importe quoi, comme un perroquet. Après plusieurs mois de Chatham c’est tout ce que j’avais retenu…«No trouble!...[38]»”.

 Il piccolo Jonkind ritorna ancora più avanti:
“Il bavait beaucoup moins Jonkind en promenade qu’à la maison, seulement il raflait des objets, il fauchait les allumettes…Si on le lassait un peu seul, il foutait le feu aux rideaux…Pas par méchanceté du tout, il courait vite nous avertir…Il nous montrait comme c’était beau les petites flammes…[39]

 per poi comparire tra gli ultimi pensieri di Ferdinand prima di abbandonare il college inglese:

“ Le môme Jonkind, il me tirait par la manche. Il comprenait pas ce qui passait […] Je lui manquerais peut- être dans son monde, ce petit biscornu, tout avaleur, tout cinglé…Comment qu’il me voyait lui, au fond? Comme un bœuf? Comme une langouste?...Il s’était bien habitué à ce que je le promène, avec ses gros yeux de loto, son contentement perpétuel…Il avait une sorte de veine…Il était plutôt affectueux si on se gaffait de pas le contrarier…De me voir en train de réfléchir, ça lui plaisait qu’à demi…[40]”.

Riportiamo ora alcuni esempi di sottile humour utilizzato da Péret e da Éluard, tratti dai 152 proverbes mis au goût du jour[41]:
“Il faut rendre à la paille ce qui appartien à la poutre[42]”;
“Il faut battre sa mère pendant qu’elle est jeune[43]

e infine
“Fidèle comme un chat sans os[44]”:
come possiamo notare da questi passi, l’umorismo che ci fa sorridere è di matrice diversa da quella céliniana, si tratta infatti di una comicità basata sui giochi di parole e sul trasferimento di senso tra diverse sfere semantiche. Céline non è però del tutto scevro da finezze linguistiche basate su doppi sensi o jeux de mots. Nel Voyage, infatti, i nomi dei luoghi e dei personaggi vengono deformati in senso grottesco fino a divenire nomi parlanti. Così avviene ad esempio, per l’attributo dato a un militare a proposito di cui Céline gioca con l’inglese surgeon, “che significa medico militare, e con l’identico francese che ha valore di «rampollo, pollone» in senso botanico[45]”. Inoltre il villaggio che all’inizio del romanzo Bardamu chiama Noirceur sur la Lys, nome inesistente, creato sull’antitesi del nero che incombe su un giglio bianco, viene utilizzato per sottolineare il buio della guerra. Ancora, durante l’esperienza in Africa troviamo Bardamu lavoratore alle dipendenze della Société Pordurière nome che riprende la parola ordure, che significa spazzatura, e in questo caso il gioco di parole serve per mettere in evidenza la situazione coloniale in Africa.
All’amour fou bretoniano Céline contrappone spesso un amore postribolare, squallido, fatto di prostitute e donne occasionali, vere e proprie figure caricaturali. Non mancano però, sia all’interno del Voyage au bout de la nuit che in  Mort à crédit, personaggi femminili descritti con estrema dolcezza, paragonabili alle descrizioni bretoniane di donne. Nel Voyage la figura femminile più cara a Bardamu è Molly, la prostituta che sublima l’amore in in puro sentimento privo da ogni altro tipo di finalità:
 “À l’égard d’une des jeunes femmes de l’endroit, Molly, j’éprouvai bientôt un exceptionel sentiment de confiance, qui chez les êtres apeurés tien lieu d’amour. Il me souvient comme si s’était hier de ses gentillesses, de ses jambes longues et blondes et magnifiquement déliées et musclées, des jambes nobles. La véritable aristocratie humaine, on a beau dire, ce sont les jambes qui la confèrent, pas d’erreur[46]”.

Poi Bardamu ammette

“Elle me  conseillait ainsi bien gentiment, elle voulait que je soye heureux. Pour la première fois un être humain s’intèressait à moi, du dedans si j’ose le dire, à mon égoisme, se mettait à ma place à moi et pas seulement me jugeait de la sienne, comme tous les autres.[47].

 La protagonista femminile di Mort à crédit è Nora, l’insegnante del college inglese con la quale Ferdinand ha un brevissimo e passionale rapporto poco prima del suicidio della donna: ancora una volta nell’universo céliniano l’amore è negato, provato solo una volta e poi fuggito. Ecco come Nora ci appare,  vista dagli occhi di Ferdinand:
“Ses mains, c’étaient des merveilles, effilées, roses, claires, tendres, la même douceur que le visage, c’était une petite féerie rien que de les regarder. Ce qui me taquinait davantage, ce qui me possédait jusqu’au trognon c’était son espèce de charme qui naissait là sur son visage au moment où elle causait…son nez vibrait un petit peu, le bord des joues, les lèvres qui courbent…J’en étais vraiment damné…Y avait là un vrai sortilège…Ça m’intimidait…J’en voyais trente-six chandelles, je pouvais plus bouger…C’était des ondes, des magies, au moindre sourire…J’osais plus regarder à force. Je fixais tout le temps mon assiette. Ses cheveux aussi, dès qu’elle passait devant la cheminée, devenaient tout lumière et jeux…![48]”.

 Per poter cogliere il sottile riferimento a Breton dobbiamo riportare passi di una poesia dell’autore surrealista tratti da L’union libre del 1931
 “ Ma femme à la chevelure de feu de bois
    Aux pensées d’éclairs de chaleur
    A la taille de sablier […]
    Ma femme aux poignets d’allumettes
    Ma femme aux doigts de hasard et d’as de cœur […]
    Ma femme aux mollets de moelle de sureau
    Ma femme aux pieds d’initiales
    Aux pieds de trousseaux de clé aux pieds de calfats qui 
    boivent[…]
    Ma femme au dos d’oiseau qui fuit vertical
    Au dos de vif- argent
    Au dos de lumière[49]”.

 Certamente l’autore del Voyage non crea un susseguirsi di accostamenti surreali di immagini a partire dalla visione della donna, ma in entrambe le descrizioni di personaggi femminili possiamo notare la stessa poeticità e sensibilità emotiva.
Per concludere la nostra analisi riportiamo due testi che non rientrano nei romanzi da noi presi in esame. Si tratta di À l’agitè du bocal del 1948, pamphlet di Céline contro Jean-Paul Sartre, e di Un cadavre[50], insieme di testi[51] pubblicati dai surrealisti per celebrare la morte di Anatole France. Il confronto ci servirà per approfondire un ulteriore punto di contatto tra Céline ed i surrealisti: la veemenza verbale. Ecco come Céline si scaglia contro Sartre, colpevole di accusare il padre di Bardamu di aver preso denaro dai nazisti nel Portrait d’un antisémite[52] asserendo “Si Céline a pu soutenir les thèses socialistes des Nazis, c’est qu’il était payé”. Céline, raggiunto dalla notizia in Danimarca, risponde qualche anno più tardi, nel 1948[53], con questo violento pamphlet:
“ Je ne lis pas grand-chose, je n’ai pas le temps. Trop d’années perdues déjà en tant de bêtises et de prison! Mais on me presse, adjure, tarabuste. Il faut que je lise absolutement, paraît-il, une sorte d’article, le Portrait d’un Antisémite, par Jean-Baptiste Sartre. Je parcours ce long devoir, jette un œil, ce n’est ni bon ni mauvais, ce n’est rien du tout, pastiche...une façon de  «Lamanièredeux»...Ce petit  J.B.S. a lu L’Etourdi, l’Amateur de Tulipes, etc. Il s’y est pris, évidemment, il n’en sort plus...Toujours au lycée ce J.B.S.! Toujours aux pastiches, aux « Lamanièredeux»...la manière de Céline aussi...et puis de bien d’autres...«Putains», etc...«Têtes de rechange»...Rien de grave,bien sûr [...] «Si Céline a pu soutenir les théses socialistes des Nazis, c’est qu’il était payé». Textuel. Holà! Voici donc ce qu’écrivait ce petit bousier pendant que j’étais en prison en plein péril qu’on me pende. Satanée petite saloperie gavée de merde, tu me sors de l’entre-fesse pour me salir au dehors! Anus Caïn pfoui. Que cherches-tu? Qu’on m’assasine! C’est l’evidence! Ici! Que je t’écrabouille! Oui!... Je le vois en photo, ces gros yeux...ce crochet...cette ventouse baveuse...c’est un cestode! Que n’inventerait-il, le monstre, pour qu’on m’assasine! A peine sorti de mon cacao, le voici qui me dénonce! Le plus fort est que page 451 il a le fiel de nous prévenir: « Un homme qui trouve naturel de dénoncer des hommes ne peut avoir notre conception de l’honneur, même ceux dont il se fait le bienfaiteur, il ne les voit pas avec nos yeux, sa generosité, sa douceur, ne sont pas semblables à notre douceur, à notre generosité, on ne peut pas localiser la passion.» Dans mon cul où il se trouve, on ne peut pas demander à J.B.S. a semble-t-il cependant prévu le cas de la solitude et de l’obscurité dans mon anus...[...] Tâtez-vous! Réfléchissez que l’horreur n’est rien sans le Songe et sans la Musique...Je vous vois bien ténia, certes, mais pas cobra, pas cobra du tout...nul à la flûte...[54]”.

 Riportiamo ora passi di Un Cadavre tratti da Refus d’inhumer di Breton e  Avez-vous déjà giflé un mort? di Aragon. Breton proclama:
“ Si, de son vivant, il était déjà trop tard pour parler d’Anatole France, bornons-nous à jeter un regard de reconaissance sur le journal qui l’emporte, le méchant quotidien qui l’avait amené. Loti, Barres, France, marquons tout de même d’un beau signe blanc l’année qui coucha ces trois sinistres bonshommes: l’idiot, le traîte et le policier. Ayons, je ne m’y oppose pas, pour le troisième, un mot de mépris particulier. Avec France, c’est un peu de la servilité humaine qui s’en va. [...] Pour y enfermer son cadavre, qu’on vide si l’on veut une boîte des quais de ces vieux livres « qu’il aimait tant» et qu’on jette le tout à la Seine. Il ne faut plus que mort cet homme fasse de la poussière.[55]

e Aragon dichiara

“ La colère me prend si, par quelque lassitude machinale, je consulte parfois les journaux des hommes. C’est qu’en eux se manifeste un peu de cette pensée commune, autor de laquelle, vaille que vaille, un beau jour ils tombent d’accord. Leur existence est fondée sur una croyance en cet accord, c’est là tout ce qu’ils exaltent, et il faut pour qu’un homme recueille les suffrages des derniers des hommes, qu’il soit une figure évidente, une matérialisation de cette croyance. [...] Cela devrait suffire à dépreindre celui qui vient de disparaître, car l’on n’imagine pas Baudelaire, par exemple, ou tout autre qui se soit tenu à cet extrême de l’esprit qui seul défie la mort, Baudelaire célébré par la presse et ses contemporains comme un vulgaire Anatole France.[...] Je tiens tout admirateur d’Anatole France pour un être dégradé. Il me plait que la littérature que saluent à la fois aujourd’hui le tapir Maurras et le Moscou la gâteuse, et par une incroyable duperie Paul Painlevé lui-même, ait écrit pour battre monnaie d’un instinct tout abject, la plus déshonorante des préfaces à un conte De Sade, lequel a passé sa vie en prison pour recevoir à la fin le coup de pied de cet âne officiel. [...] Autour de moi, se fait le remunement et misérable, le train de l’universe où toute grandeur est devenue l’object de la dérision. L’haleine de mon interlocuteur est empoisonnée par l’ignorance. En France, à ce qu’on dit, tout finit en chansons. Que donc celui qui vient de crever au cœur de la béatitude générale, s’en aille à son tour en fumée! Il reste peu de choses d’un homme: il est encore révoltant d’imaginer de celui-ci, que de toutes façons il a été. Certains jours j’ai rêvé d’une gomme à effacer l’immondice humaine[56].”

 La violenza verbale che scaturisce dall’insieme di questi testi sembra in effetti avere la stessa origine. Céline, scrivendo il suo personale attacco a Sartre ha sicuramente tenuto conto della tradizione polemista dei surrealisti[57] ma nello stesso tempo  ha caraterizzato il testo in senso fortemente fisico e fisiologico, portando la polemica su un piano più strettamente deformante che non letterario.
Possiamo concludere la nostra analisi confermando quindi su un piano non solo teorico bensì testuale, che i romanzi céliniani hanno subito l’influenza surealista, influenza che Céline, da grande genio letterario e innovatore, ha saputo rielaborare in chiave personale, conferendo ad essa una nuova dimensione all’interno del proprio testo. Il surrealismo di Céline non si ferma solo ad un livello puramente stilistico e descrittivo, ma riesce a penetrare nelle scelte che stanno alla base di una circoscritta struttura testuale, determinandone alcuni esiti importanti.
Per concludere possiamo citare la frase di intestazione al Voyage nella quale ritroviamo in sintesi tutto il senso della nostra ricerca:
“ Voyager, c’est bien utile, ça fait travailler l’imagination. Tout le reste n’est que déceptions et fatigues. Notre voyage nous est entièrement imaginaire. Voilà sa force[58].”






[1] M. Beaujour, La quête du délire, Cahiers de L’Herne, édition en un volume, 1972, p. 286.
[2] G. Violato, Bulzoni Editore, 1982, p. 23.
[3] Per questo motivo, Michel Beaujour nell’articolo La quête du délire parla di Céline come “ le revers et la parodie amère” del Surrealismo. (in: M. Beaujour, op. cit., p.22.)
[4] Tabula rasa che Céline allarga anche al futuro letterario,un futuro che lo vedrà come l’ultimo scrittore degno di tale nome: “Je veux les rendre tous illisibles”. (in: J. D. Dauphin- H. Godard (a cura di), Cahiers Céline 2, Céline et l’actualité litteraire, 1957-1961, Gallimard, 1976, p.167). Se per questo aspetto di rottura con il passato possiamo pensare ad un Céline più dadaista siamo sicuri del fatto che l’autore del Voyage non avrà condiviso con Tzara l’idea di una poesia lasciata in mano al caso.
[5] Più di una volta Céline ha ripetuto di non voler essere né il capo né il gregario di nessuno.
[6] Il pensiero di Céline a riguardo degli scrittori a lui contemporanei ci giunge dalle pagine di Guignol’s Band I: “Né morts [...] tout lourds à l’encre...morts phrasibules mort rhétoreux.” ( L. F. Céline, Guignol’s Band I, Paris, Gallimard, 1951, p.147.)
[7] I Surrealisti hanno redatto una lista nella quale figurano autori da leggere e autori da scartare. Tra gli esclusi illustri troviamo Verlaine e Schopenauer,  tra i salvati figurano su tutti Vaché e Lautréamont.
[8] É inutile sottolineare come da due visioni così differenti, l’individualismo e la pratica di gruppo, siano scaturite due ideologie politiche agli antipodi. I Surrealisti si sono avvicinati, anche se in tempi e con problematiche diverse, al PCF e Céline, come è ben noto, si è accostato, seppur in un modo che trascende una rigida ideologia, a posizioni di destra. 
[9] Spesso però l’automatismo viene “adulterato, ritoccato per esigenze di espressività o poeticità dell’autore” (G: Violato, Scritture Surrealiste, cit., p. 26.)
[10] Per il lavoro effettuato sul linguaggio Céline può essere avvicinato ad Éluard, il surrealista che si è dedicato maggiormente alla destrutturazione del linguaggio partendo dai 152 proverbes mis au goût du jour scritti con Péret nel 1925 fino ad arrivare a L’Immaculée Conception pensata e realizzata insieme a Breton nel 1930.
[11] Ci è stato possibile reperire questa frase sono in italiano in: R. Della Torre, Invito alla lettura di Louis-Ferdinand Céline, Mursia, 1979, p. 97.
[12] L. F. Céline, Romans I, cit., pp. 366-367.
[13] A. Derval, Le fantastique célinien, L’Année Céline, 1990.
[14] L. F. Céline,op. cit, p.38.
[15] L.F. Céline, op. cit, p. 46.
[16] G. Schilling, Images et imagination de la mort dans le “Voyage au bout de la nuit”, «L’Information Littéraire»,1971, p. 67.
[17] Per questo modo di intendere il Surrealismo come trasfigurazione di un dato reale Céline può essere avvicinato alla concezione di “surreale” che aveva Apollinaire piuttosto che a quella di Breton.
[18] “Nel 1932 era uscito il lavoro di Otto Rank sul doppio, che calza perfettamente con i rapporti tra Bardamu e Robinson” (E. Ferrero, postfazione a Viaggio al termine della notte, Tea, 2002, p. 561).
[19] L. F. Céline, op. cit, p. 270.
[20] Ibid, p. 346.
[21] L. F. Céline, op. cit, p. 347.
[22] Ibid., pp. 450-451.
[23] Ibid, p. 52.
[24] Ibid, p. 68.
[25] La tematica del complesso edipico ritorna anche in una lettera scritta da Céline ai tempi della stesura di Mort à crédit alla segretaria Marie Canavaggia: “Lo sa che ho ucciso mio padre?”.
[26] M. Beaujour, La quête du délire, Cahiers de L’Herne, édition en un volume, 1972, p. 287.
[27] Ibid, p. 42.
[28] Ibid, pp. 213-214.
[29] L. Aragon, Le Paysan de Paris, Gallimard, 1926, p. 19.
[30] L. Aragon, op. cit, p. 43.
[31] Ibid, p. 51.
[32] L.F. Céline, op. cit, p. 75.
[33] Ibid, p.220.
[34] A.Breton, Nadja, Gallimard, 1964 (Ière éd.1928), p. 68.
[35] Ibid, p. 28.
[36] Ibid, p. 38.
[37] Ibid, p. 393.
[38] Ibid, pp. 231-232.
[39] Ibid, p .253.
[40] Ibid, p. 274.
[41] P. Éluard- B. Péret, 152 proverbes mis au goût du jour, Stampa Alternativa, 1994.
[42] P. Éluard- B. Péret, op. cit, p. 10.
[43] Ibid, p. 15.
[44] Ibid, p. 21.
[45] Dalla postfazione di E. Ferrero a Voyage au bout de la nuit, Tea, 2002, p.506.
[46] L. F. Céline ,op. cit, p. 229.
[47] Ibid, p. 230.
[48] Ibid, pp. 234 -235.
[49] A. Breton, Poèmes, Gallimard, 1966 (Ière éd. 1948), pp. 39-40.
[50] L’insieme di questi testi è stato publicato nel 1924.
[51] Ovviamente i testi da noi analizzati sono quelli che portano la firma di Breton e Aragon.
[52] In: Les Temps Modernes dicembre 1945, testo ripreso più tardi in volume presso Gallimard con il titolo di Réflexions sur la Question juive.
[53] Albert Paraz aveva riprodotto questo testo alla fine del suo testo Le Gala des vaches.
[54] L. F. Céline, A l’agité du bocal, in AAVV, Cahiers de L’Herne (1963-1965) ,édition en un volume, 1972, pp. 36-37.

[55] In: M. Nadeau, Histoire du Surréalisme, Éditions du Seuil, 1964, pp. 198-199.
[56] In: M. Nadeau, op. cit., pp. 199-200.
[57] A proposito di questo tratto tipico dl Surrealismo possiamo ricordare le famose lettere di Artaud indirizzate ai “prepotenti” cariche di polemiche e veemenza.
[58] L. F. Céline, op cit, p. 5.


martedì 9 aprile 2013

"La prima vita di Céline" e "Céline ci scrive", di Andrea Lombardi recensiti su "Fogli di via", Fondazione De Ferrari

http://www.deferrari.it/



Andrea Lombardi 
LA PRIMA VOLTA DI CÉLINE. Il corazziere a cavallo Louis Destouches nella prima guerra mondiale. Italia Storica 2012 | Louis Ferdinand Céline: CÉLINE CI SCRIVE. Le lettere di LFC alla stampa collaborazionista francese. Settimo Sigillo, 2011

Il 28 settembre del 1912, Louis Destouches si arruolava nel 12° Régiment Cuirassier, un corpo di cavalleria che risaliva nientemeno ai tempi del Re Sole. Dopo un anno è promosso Brigadiere, Nel 1914 il reggimento è mobilitato.
Facile immaginare quale idea ingenua della guerra potesse avere un giovane nutrito dai libri d'avventura nel clima patriottardo e revanscista d'allora. Figuriamoci delle cariche di cavalleria. Ma sulla Marna e nelle
Fiandre il trasporto romantico fa presto ad affievolirsi: "è il cavallo che carica. Provate a fermarlo imbizzarrito trascinato dagli altri!", dirà in seguito. Nel 1914 viene ferito e dichiarato inabile al servizio. Il 2 settembre
è riformato. Avrà le sue onorificenze. In un ricercato libriccino (veramente minuscolo ma col dorso piatto e una non grossolana iconografia) Andrea Lombardi ricostruisce l'esperienza militare del giovane Maresciallo d'alloggio dei Corazzieri, in seguito conosciuto come Céline, che nell'arruffato rifugio degli ultimi anni, a Meudon, mostrerà ancora con orgoglio ai visitatori la tavola a colori che "L'Illustré National" aveva dedicato nel dicembre del 1914 al fatto d'arme che l'aveva visto protagonista.

Prima ancora di questo libretto (non è sprecato definirlo "aureo", come è consueto leggere nelle recensioni) al suo autore si deve la cura di un volume che copre un aspetto tutt'altro che trascurabile (ma trascurato, basti pensare che nemmeno in Francia i suoi contenuti godono di un'autonoma collocazione) dell'attività letteraria - la sola esplicita a quel tempo - di Céline: le lettere spedite alla stampa negli anni dell'occupazione tedesca in Francia. Ragguardevole il volume non lo è soltanto per la parte testuale originale, la cui importanza va da sé, ma per gli apparati che esibisce in termini di note, articoli di appendice, prolegomeni (la prefazione di Stenio Solinas è a tutti gli effetti una monografia) e anche in questo caso per un non banale e cospicuo impianto iconografico che, insieme alle numerose foto raccolte in un faldone conclusivo, punteggia il testo con le riproduzioni delle pagine di rivista in cui apparvero le lettere qui radunate. Fra gli articoli in appendice ce n'è uno del letterato e romanziere Karl Epting (1905-1979). Epting fu, negli anni dell'occupazione, il direttore dell'Istituto tedesco nella capitale francese e curò la libreria Rive Gauche, che distribuiva in Francia le publicazioni tedesche. Quando non appariva squilibrato, ai nazisti Céline appariva sfuggente. Epting fu uno dei suoi pochi autentici estimatori e l'unico profondo conoscitore della sua opera. "Céline non ci amava", asserisce, "ha sperato per un breve momento che le forze irrazionali della rivoluzione nazionale e socialista potessero fertilizzare il suolo anche dei paesi dell'ovest... ma a questo riguardo si è ricreduto molto rapidamente."
Negli anni Trenta, prima delle Bagatelles, Céline era vigorosamente sostenuto dai pacifisti e dai radicali di ogni scuola. Paul Nizan li mise in guardia: "questa rivolta pura può portarlo non importa dove: fra noi, contro
di noi o da nessuna parte". Nella prima delle lettere pubblicate in questo volume - spedita a "La Vie Nationale" nell'agosto del '40 - Céline, a modo suo, sembra quasi rispondergli: "I Blumisti di ieri sono gli 
Hitleriani di oggi, e se cambierà il vento, i comunisti di domani." Dal che si capisce, per poco che sia, come queste lettere non siano un semplice dettaglio biografico ma il prezioso tassello di un procedimento stilistico.

CHARLES DE JACQUES