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venerdì 5 febbraio 2010

Malaparte e Céline


Da Il Giornale di oggi:

E così Malaparte è tornato. Anche se forse non se ne era mai andato del tutto... Parecchie novità usciranno dalla catalogazione in corso dell’archivio contenente carte, lettere, libri e manoscritti appartenuti a Malaparte e acquistati nel marzo scorso dalla Biblioteca di via Senato di Milano, presieduta dal senatore Marcello Dell’Utri. Fra le piccole e grandi scoperte che spuntano dalla sua sterminata corrispondenza, anche una commovente lettera nella quale Louis-Ferdinand Céline, reduce dal processo per collaborazionismo e in gravi difficoltà economiche, ringrazia Malaparte per avergli devoluto il danaro di un premio letterario.

Grazie ad Alberto Lombardo per la segnalazione!
Approposito di Céline e Malaparte, cfr. questo studio...

giovedì 7 gennaio 2010

Viaggio nella biografia di un genio fulminato, di Stenio Solinas



Ciao a tutti e Buon anno! Grazie alla segnalazione di Alberto Lombardo...

«Proust è un bavoso» Viaggio nella biografia di un genio fulminato
di Stenio Solinas


«Gli editori sono tutti carogne». «Non aggiungete una sillaba al testo senza preavvisarmi! Fottereste il ritmo come niente - solo io posso ritrovarlo là dov’è. Ho l’aria bavosa, ma so a meraviglia ciò che voglio. Non una sillaba. Fate anche attenzione alla copertina. Niente music Hallismo. Niente sentimentalismo tipografico. Del classico». «I critici dicono sempre fesserie. Giornalisti innanzitutto, lavorano di chiacchiere, piccoli ricatti... Ci vorrebbe qualcuno che si decidesse a coprirmi di sputi!... La gente è sadica, vigliacca, invidiosa, distruttrice. Ha bisogno di sentire il saccheggio, lo spappolamento, altrimenti non ci sta...». «Bisogna vedere gli uomini come cani. Ciò che fanno, abbaiano, ringhiano, spiritualmente non significa niente, meno che zero... Purtroppo ci toccano le conseguenze materiali, ma moralmente... Cani, nient’altro che cani. Tutto è permesso, insomma, per evitare i loro morsi e ingannarli e aizzarli in modo che si sbranino fra loro. Meglio dimenticare tutto, mascherare in musica l’orrore del vivere».
Ma sì, è Céline che batte alla porta, strepita, irride, minaccia e s’incazza... Ben tornato Ferdinand sull’onda delle oltre 2mila pagine del volume che raccoglie una antologia monstre (più di 1500 lettere) della sua corrispondenza, dalla giovinezza alla morte (Lettres, Gallimard, collezione Bibliothèque de la Pléiade, pagg. 2080, euro 66,5; a cura di Henri Godard e Jean-Paul Louis). Per la prima volta, insieme con molti inediti, l’epistolario celiniano fino a oggi sparso e spesso disperso in innumerevoli rivi editoriali (le lettere dall’Africa, le lettere alle amiche, quelle agli editori e agli avvocati, le lettere dall’esilio) viene selezionato e cronologicamente ordinato. Il risultato è imponente.
Il carteggio è una miniera di informazioni sul Céline scrittore, sui suoi procedimenti, sulle sue idiosincrasie, ma ne scandaglia anche il privato: la passione per la bellezza («Sono pagano per la mia assoluta adorazione della bellezza fisica, della salute. Odio la malattia, la penitenza, il morboso(...) Perciò ho amato tanto l’America. La felinità delle sue donne!(...). Tranquillo stallone, guardone, palparle è un incanto senza pari, mi inebria, mi ispira - Darei tutto Baudelaire per una nuotatrice olimpionica»); il rifiuto della vita reale, obiettiva, il peso degli anni e dei guasti fisici.
Dietro il cliché del «medico dei poveri» la corrispondenza fa rigalleggiare il bell’uomo alto più di un metro e ottanta, che indossa abiti di buon taglio e stoffa inglese, biondo e con gli occhi azzurri, che conosce il mondo e il bel mondo, uno che a Ginevra come a Vienna, a New York come a Londra, sa dove andare, come muoversi, cosa vedere, a proprio agio con pianiste come Lucienne Delforge, con scultrici come Louise Nevelson, con figlie della buona borghesia di provincia come Edith Follet, la sua prima moglie. Vive in un appartamento moderno, con qualche souvenir coloniale, in rue Lepic: è cortese, ma riservato.
Ciò che nelle lettere d’anteguerra è accennato, sparso e variegato, in quelle post-belliche tende a raccogliersi su un triplice binario. Sul primo corre il métro emotif, il treno dello stile. «Tutto il mio lavoro è consistito nel cercare di rendere la prosa francese più sensibile e tesa, precisa, sferzante e cattiva iniettandole un linguaggio parlato, il suo ritmo, il suo tipo di poesia e di tenerezza malgrado tutto, di resa emotiva». «Io seguo con le parole l’emozione, non le lascio il tempo di rivestirsi in frase... l’afferro nuda e cruda, o meglio, nella sua poeticità. Perché il fondo dell’uomo malgrado tutto è poesia - il ragionamento si apprende, così come si impara a parlare - il bebè canta - il cavallo galoppa - il trotto è di scuola». «Non creo nulla, in verità - è come se ripulissi (...) una statua seppellita nell’argilla Esiste già tutto (...) Occorre soltanto spazzare (...) portare alla luce del giorno - AVERE LA FORZA - è una questione di forza - forzare il sogno nella realtà - una questione di pulizia (...) È un lavoro da operaio - operaio nelle onde».
Sul secondo corre il vagone della negazione e/o riduzione di ciò di cui è incolpato, della «congiura» ai suoi danni. «Sono un patriota sfrenato in un Paese di degenerati, lacchè e bastardi. Si tratta di ben altra cosa che tradimento, è precisamente il contrario. Sono gli altri, tutti gli altri che galoppano urlando dietro la bandiera, gareggiando per farsi inculare dal migliore offerente». «Ci si accanisce a volermi considerare un massacratore di ebrei. Io sono un preservatore accanito di francesi e di ariani - e contemporaneamente, del resto, di ebrei! Non ho voluto Auschwitz, Buchenwald. Cazzo! Basta! (...) Ho peccato credendo al pacifismo degli hitleriani, ma lì finisce il mio crimine». «La Germania mi fa naturalmente orrore. La trovo provinciale, pesante, grossolana (...) Per me è quella del ’14, la gare de l’Est, la linea dei Vosgi, la morte, la salsiccia, l’elmetto a punta».
Sul terzo, infine, fila il direttissimo delle recriminazioni, delle ingiurie, degli editori traditori, dei soldi che non arrivano, della pubblicità che manca, del boicottaggio. Sotto un torrente di minacce e prese per il culo, gli interlocutori passano la mano. Jean Paulhan, il «cervello» della casa editrice Gallimard lascia nel 1955, stanco e disgustato. «Di che si lagna quel vecchio bavoso - sarà il commento - Trova che la sposa è troppo bella, ha troppo temperamento?».
E l’antisemitismo? Céline lo trasforma in pacifismo, lo scolora, più che negarlo lo orienta in maniera diversa, fino a trasformare sé stesso nell’unico vero ebreo errante: esiliato, offeso, perseguitato... Ma dietro al razzismo c’è anche una questione di stile, come una lettera del 1943, che ha per tema Proust, mette bene in evidenza. «Lo stile di Proust? È semplicissimo. Talmudico. Il Talmud è imbastito come i suoi romanzi, tortuoso, ad arabeschi, mosaico disordinato. Il genere senza capo né coda. Per quale verso prenderlo? Ma al fondo infinitamente tendenzioso, appassionatamente, ostinatamente. Un lavoro da bruco. Passa, viene, torna, riparte, non dimentica nulla, in apparenza incoerente, per noi che non siamo ebrei, ma riconoscibile per gli iniziati. Il bruco si lascia dietro, come Proust, una specie di tulle, di vernice, che prende, soffoca riduce e sbava tutto ciò che tocca - rosa o merda. Poesia proustiana. Quanto alla base dell’opera: conforme allo stile, alle origini, al semitismo: individuazione delle élites imputridite, nobiliari, mondane, invertiti etc. in vista del loro massacro. Epurazioni. Il bruco vi passa sopra, sbava, le fa lucenti. I carri armati e le mitragliatrici fanno il resto. Proust ha assolto il suo compito». Conclusione: nel 1943 l’autore della Recherche avrebbe applaudito la sconfitta tedesca a Stalingrado...
Scrittore antimaterialista, Céline cercò di combattere il materialismo usando uno strumento, la razza, altrettanto materiale e, come tale, incapace di cogliere differenze di valori e di sensibilità. L’ideale ariano si trasformerà in beffa allorché, dopo essere stato imprigionato in Danimarca, si troverà a scrivere: «Merda agli ariani. Durante i 17 mesi di cella non un solo fottuto dei 500 milioni di ariani d’Europa ha emesso un gridolino in mia difesa. Tutti i miei guardiani erano ariani». Quando si predica la purezza c’è sempre qualcuno che si crede più puro di te. Un genio fulminato.

mercoledì 28 ottobre 2009

Criminale o umanista? La Francia litiga su Céline



Céline e l’antisemitismo: il classico terreno minato, in cui ciclicamente qualcuno si avventura suscitando reazioni decise. Il saggista ed editore francese Karl Orend (dirige Alyscamps Press), in un articolo pubblicato quest’estate sul Times Literary Supplement, si è lanciato in una appassionata difesa di Céline, estesa fino alla rivalutazione dei suoi pamphlet antisemiti. Ora, dopo una lettera critica pubblicata dal giornale inglese, arrivano le prime repliche. Il sito letterario dell’edizione internet del settimanale francese Le Nouvel Observateur anticipa un articolo del magazine mensile Books, in uscita domani, che fa a brandelli Orend.
A parere di quest’ultimo, Bagattelle per un massacro (1937), La scuola dei cadaveri (1938) e i Bei drappi (1941) furono scritti «in forma di avvertimento, di appello ad evitare nuovi massacri». Orend, come si suol dire, contestualizza le posizioni dell’autore di Viaggio al termine della notte: la paranoia per un possibile «complotto ebraico» volto a sprofondare l’Europa in una nuova guerra, in fondo, era condivisa da «milioni di persone»; e la società francese era intrisa di antisemitismo. Inoltre, secondo Orend, ci sarebbe da considerare lo stile di Céline: violento, sarcastico e allucinato. Un carattere così accentuato nelle opere «politiche» da farle risultare «un esercizio». La tesi non è nuova. È infatti famoso il giudizio di André Gide su Bagattelle per un massacro, affidato a un articolo della «Nouvelle Revue Française»: «è un gioco letterario». Orend prosegue: la fuga di Céline attraverso la Germania e la Danimarca, nel 1945, in seguito alle accuse di collaborazionismo con i nazisti occupanti la Francia, fu causata dal «linciaggio mediatico» dello scrittore; «linciaggio mediatico» alla base dell’assassinio del suo editore, Robert Denoël, nel dicembre dello stesso anno. Quindi Orend invita a considerare «il lato umano di Céline» troppo a lungo «ignorato». Lo scrittore, «umanista incompreso», «si occupava dei poveri e dei malati e si consacrava a coloro che erano stati leali con lui. La musica e la danza erano le sue passioni». Infine, dopo aver ricordato che sua madre era un’ebrea polacca, Orend conclude: «La ragione per la quale Céline è inviso è semplice. Egli ci ricorda le menzogne che le persone hanno scritto per dissimulare la loro vergogna per aver lasciato correre l’Olocausto, in particolare l’onta dei francesi, colpevoli di collusione». In altre parole: Céline fu il capro espiatorio ideale per una società arrendevole e incapace di ammettere la propria compromissione col nazismo. È più o meno quanto sostenuto da Céline stesso, ad esempio nella violentissima invettiva contro Sartre, il quale lo aveva accusato di essere stato al soldo dei tedeschi. Céline, in A l’agité du bocal (edizione italiana: Tartre, L’obliquo, 2005) risponderà rinfacciando al filosofo di aver accettato di mettere in scena le sue opere teatrali per gli ufficiali della Wehrmacht, e di aver sempre preso posizioni ambigue.
Olivier Postel-Vinay, su Books, rimprovera a Orend di non essersi accontentato di tessere le lodi dello scrittore, ma di averlo voluto riabilitare «dal punto di vista morale». Operazione spericolata, anche perché non tiene conto di una discreta mole di materiale, in particolare Postel-Vinay cita gli articoli pubblicati da Céline sui giornali ai tempi dell’occupazione nazista. (A cui si possono aggiungere documenti emersi dalle ricerche d’archivio, di cui dà parziale conto la biografia di Céline scritta da Philippe Alméras, edita in Italia da Corbaccio). Ci sono attacchi personali (il poeta ebreo Robert Desnos, poi morto in campo di concentramento), inviti ad assumere una linea dura nelle questioni razziali, e l’auspicio di una divisione fra la Francia del Nord, pura, e quella del Sud, meticcia.

Antisemita, anticomunista, antiborghese, antiliberale, antidemocratico: ovvio che Céline divida. Fu un grandissimo scrittore. Per questo, a qualcuno pare intollerabile che le sue idee politiche fossero indifendibili: ed ecco gli Orend impegnati a «riabilitarlo» e a farne quasi un santino. Per lo stesso motivo, a qualcuno pare intollerabile ammettere la grandezza dell’opera. Lo scrittore si può separare dall’uomo? Forse no. Però è sbagliato giudicare il valore di uno scrittore da quello dell’uomo, anche perché bisognerebbe forse strappare troppe pagine dalle antologie.


di Alessandro Gnocchi, da Il Giornale di oggi.


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Non posso che sottoscrivere la conclusione dell'autore dell'articolo: sarebbe assurdo, per esempio, una damnatio memoriae dell'opera (tutta o in parte) e della figura di tutti gli intellettuali che, rimanendo agli anni di Céline, per i più svariati motivi, tesserono le lodi dell'URSS degli anni '30, dei Gulag e delle purghe, per poi ricredersi (e non tutti): Wells, Shaw, Rolland, Brecht, Malraux... chiedere lo stesso per il medico di Meudon non ci pare troppo.


Andrea Lombardi