mercoledì 21 aprile 2010

"Le onde" di Céline



Per gentile concessione dell'editore Via del vento e gentilezza della traduttrice Anna Rizzello che ci legge dalla Francia, pubblichiamo alcuni estratti del libro "Le onde", comprendente un breve racconto del giovane e "esordiente" Céline e due lettere. Grazie ancora!

LE ONDE

A bordo, 30 aprile 1917


I pochi passeggeri del Tarconia che erano riuniti quel giorno nel fumoir, formavano una piccola assemblea ben eterogenea, dove si mescolavano diverse razze e differenti confessioni.
Sprofondato nel divano più comodo, il Maggiore Tomkatrick aspirava la pipa e vuotava coscienziosamente un bicchiere dopo l’altro, soda alternata a brandy o whisky, in rispettabili proporzioni.
I tratti di quest’ufficiale scozzese erano impressi a una rigidezza serena che poteva passare indifferentemente per il segno di un contegno onesto e naturalmente maestoso o per l’espressione immobile della lussuria.
Si teneva stretto sul resto del divano un piccolo signore untuoso, governatore di una colonia portoghese, che sosteneva in quel momento un’accesa conversazione in un francese fantasioso col caldo accento che gli era caratteristico.
Il suo antagonista era uno Svizzero, un signor Brünner senza un’età apparente, placido e grasso come un pascolo bernese.
Il suo eloquio era penoso e d’una lentezza voluta, poiché diffidava dell’eccitamento volubile che faceva generalmente trasparire dalla sua pronuncia reminiscenze spiacevoli, come d’un fruscio tenace di paglia recisa.
Assicurava d’altra parte, che lo scopo del suo viaggio oltremare era la prova dell’interesse che portava agli Alleati, poiché si trattava per lui di occupare in un paese belligerante un impiego lasciato vacante dalla mobilitazione.
Puntellava quest’affermazione con svariati argomenti che riteneva altamente convincenti, quali i rischi da affrontare in un eventuale siluramento, e prima di tutto il suo nobile rifiuto dinanzi alle vantaggiose proposte di lavoro fattegli da una ditta di Pforzheim nei giorni precedenti la sua partenza.
È probabile, ribatté il Governatore Portoghese con voce tonante, che quel giorno il marco fosse crollato. Pronunciava la parola crollato da far venire le vertigini. Il signor Brünner, non credette opportuno dar prova di spirito, ma si lasciò sfuggire una frecciata
traditrice, sulle ragioni che a parer suo motivavano la discesa in campo dei Portoghesi, ragioni ch’egli non giudicava affatto completamente disinteressate.
Pretese di tirare conclusioni insidiose dal sequestro delle navi nemiche nei loro porti. Fu questa la scintilla che scatenò la legittima e rumorosa indignazione del Governatore che non esitò più ad accusare la Repubblica Elvetica della più bassa venalità, attribuendo il mantenimento della sua stretta neutralità alla mancanza di risorse che presentavano i porti svizzeri a questo riguardo.
Poco distante da quella disputa, a malapena poggiato sul bordo di una poltrona girevole, il signor Camuzet lottava contro il mal di mare.
Faceva mostra, per questo motivo, nei riguardi della conversazione generale, di una sdegnosa indifferenza. Il signor Camuzet, era stato, in altri tempi, neo accademico di una cattedra di Storia in una delle nostre facoltà, il suo insegnamento libero da ogni vincolo dogmatico, assumeva volentieri tendenze volterriane, che gli avevano procurato qualche lezione agitata.
Su istigazione, è vero, di una stampa reazionaria, rumorosa, ma fortunatamente priva di ripercussioni quanto alla promozione che gli stava molto a cuore. Seppe persino conquistarsi una bella notorietà che somigliava contemporaneamente alla gloria e all’obbrobrio da quando in una serie di lezioni che avevano fatto scalpore presentò come frutto di ricerche personali, prove inaspettate sulle relazioni di natura particolare e ch’egli assicurava abituali tra Luigi [XI] e il suo consigliere Filippo di Commynes.
Si vantava persino d’aver fatto scaturire piccanti delucidazioni sulla fine del Re Santo ch’egli attribuiva agli ultimi attacchi di un male che non è punto in odore di santità.
Se queste astute penetrazioni gli avevano valso presso i guardiani delle buone cause una reputazione deplorevole, avevano però consolidato considerevolmente la sua posizione sulla piazza, e il Governatore lo annoverava a partire da allora fra i propagatori attivi e illuminati del pensiero liberale, gli entusiasti vedevano in lui un nuovo apostolo della fede repubblicana areligiosa consapevole.
Tra le cose fortemente impreviste, la dichiarazione di guerra aveva fatto fiorire nel signor Camuzet nobili tendenze patriottiche. Per qualche giorno, perse ogni controllo concreto sul proprio animo, che sentì violento, combattivo, animato da sentimenti irrefragabili che non s’era mai conosciuto, di una grandezza che non aveva mai supposto.
Decise, allora, di scendere in strada e dare libero sfogo in arringhe di rara elevatezza alla collera indignata che non riusciva più a dominare e la cui testimonianza pubblica non avrebbe certo mancato di comunicare alla folla, in un eccesso d’odio, la volontà definitiva di vincere l’aggressore.
Desiderando dar subito una forma attiva alle proprie risoluzioni, fu su una birreria tedesca che diresse i suoi fulmini.
Salito, in equilibrio instabile, su un tavolo da caffè, stimolò la riprovazione ancora esitante di una folla ostile ammassata davanti all’entrata. La sua eloquenza seppe imboccare la strada che conduce al cuore delle masse, poiché dopo qualche istante non v’era più nulla di integro in tutto il locale salvo una bottiglia di genziana disdegnata, che un cocchiere ruppe del resto di stizza contro il paravento metallico del vespasiano sul marciapiede di fronte.
Già assimilava la natura del proprio trionfo a quelli che Catone il Censore aveva dovuto conoscere, allorché un signore, sobriamente vestito, lo pregò d’accompagnarlo in Commissariato.
Gli furono poste lì, alcune domande indiscrete, ma la sua notorietà e relazioni comuni, erano garanzie dell’indulgenza del Commissario, che si contentò a esporgli con deferenza i seri inconvenienti che presentavano sempre nelle loro conseguenze ed effetti le manifestazioni intemperate del furore popolare, raggiungendo questo, disse, ciecamente talvolta, scopi molto diversi da quelli che si propone in origine di raggiungere.
La folla rumoreggiava dinanzi al Commissariato come prima aveva rumoreggiato dinanzi alla birreria, reclamando il suo oratore, sebbene voci discordanti proclamassero che fosse una spia.
Il Commissario rimise in libertà il signor Camuzet che sicuro ora della sua influenza sulle masse, ma stanco d’essere tribuno decise d’essere console, e fu da demagogo più moderato che passò di nuovo dal Commissariato alla strada, con le parole Vado a calmare il Popolo.
[…]


LETTERA A SIMONE SAINTU Compal, 31 luglio 1916

Mia cara Simone,
sono appena arrivato al campo-base, ma niente posta, pazienza, non posso credere che abbiate dimenticato il vostro amico – È quindi al servizio postale che ne attribuisco l’assenza –
Oggi sono due anni che ho lasciato Rambouillet per la grande avventura, e da allora abbiamo ucciso molto, e uccidiamo ancora, instancabilmente fastidiosamente, la guerra inizia a farmi l’effetto di una ignobile tragedia su cui il sipario si abbassa e si rialza senza tregua, davanti ad un pubblico stanco, ma troppo esausto per alzarsi e andare via –
Quasi tutti quelli con cui ero partito in guerra sono stati uccisi, i pochi che restano sono irrimediabilmente mutilati, alcuni infine come me, errano un po’ ovunque, alla ricerca di una pace e di un oblìo che non trovano più –
Questo sarà mia cara Simone il destino di molti altri e gli «erranti» che provocherà la guerra saranno numerosi –
I pregiudizi, che costituiscono lo sfondo abituale della struttura sociale, non sono sufficientemente solidi per sostenere coloro che hanno visto da vicino i visi afflitti, l’aspetto malandato, il cuore tremante davanti alla morte di tutti quegli uomini che godono nella vita organizzata di una «solida reputazione» d’una «posizione eccellente» e di tanti altri adagi che a loro sono serviti , per lunghi anni, a dirigere in modo dottorale le masse rispettosamente sottomesse dei nullatenènti –
Che triste spettacolo mia cara amica, quello che la maggior parte ha recitato dinanzi a colei che non perdona gli attori mediocri –
Quanti codardi ho anche visto, che giorni prima tenevano a bada popoli di subalterni,
così, anch’io, adesso sono insieme a molti altri pieno di un penoso scetticismo verso questo stuolo di pretenziosi imbecilli perlopiù, il cui solo talento risiedeva nel mantenere tra loro e gli osservatori una cortina opaca, o piuttosto di un colore a loro favorevole, attraverso cui il popolo corrugato contemplava il suo oppressore, si ribellava a volte – ma così facendo consacrava l’efficacia di quel miraggio ingannevole.
La morte che non può essere ingannata ha però dissolto quel fascino pernicioso – e gli uomini mi sono apparsi, tutti senza distinzione, terribilmente eguali per la maggior parte, potendo distinguersi dalla massa solo attraverso due cose e comunque di rado – i vizi o l’intelligenza –
Tengono alla vita, tutti, in egual misura, e non accettano di sacrificarla che per tre ragioni − il fuoco sacro. che somiglia molto ad una fobia qualsiasi; per mancanza d’immaginazione che confina con la miseria psichica, ed infine per un terzo ed ultimo motivo, un grande amor proprio –
Chiamate tutto ciò come volete − rigirate, cambiate le espressioni − cercate delle scorciatoie, non troverete altri moventi al sacrificio supremo, agghindatelo coi nomi più pomposi, annunciatelo in proposizioni infiammate, niente può impedirvelo –
Il gruppetto dei codardi appare infimo allora, e non aspetta altro che una spintarella per sistemarsi in una delle tre categorie in cui molti hanno il solo merito di esservi stati spinti –
Infine, una piccolissima minoranza di vigliacchi ai quali le tre qualità mancheranno, o ne possederanno solo una, ma in misura troppo elevata per essere annullata da un’altra, compensatrice.
Mi ci voleva questa grande prova per conoscere l’intimo dei miei simili, sui quali nutrivo forti dubbi –
[…]

A SIMONE SAINTU


25 ottobre 1916

Mia cara Simone,
In un articolo di Urban Gohier ho trovato una massima incisiva.

«La letteratura francese di domani dovrebbe essere schiettamente francese, vale a dire viva, sana, gaia, confortante −
Essa sarà invece più ebrea che mai, vale a dire morbosa, commerciale, istericamente patriottica per sfruttare la corrente moderna − E la falsità dell’ispirazione sarà tanto più rivoltante in quanto deformerà i sentimenti più delicati»

Un mio amico che ricopre una carica sociale assai importante mi ha scritto:

Vecchio mio, il comitato segreto si è riunito, ha discusso a lungo, rumorosamente, inutilmente − Si sono insultati, un mucchio di gente ha parlato di cose che non conosceva, dato che quando sanno qualcosa dichiarano di non volerne parlare,
La folla è rimasta dietro il muro, il muro dietro il quale succede tutto,
Non abbiamo sentito nulla − Nulla è trapelato I deputati da tempo avevano avuto cura di costruirne un secondo, un muro sordo, un muro di Cadaveri −

Non crediate affatto, mia cara Simone, che io condivida in pieno il parere del mio macabro amico Al contrario, trovo che incorre nello stesso errore degli altri −
Applicare agli attori della guerra, seguendo le proprie convinzioni in fatto di aggettivi peggiorativi o elogiativi, far professione di bellicismo o pacifismo, vuol dire sempre dibattersi nell’errore.
Esso è comune, ha inizio nel momento stesso in cui applichiamo i nostri punti di vista ad un fatto derivante da un’evoluzione in cui l’avviamento, l’andamento e le circostanze che hanno potuto modificarne, alterarne, rallentarne o accelerarne il fiorire − sono anteriori alla nostra personale evoluzione − Pronunciarsi su un intero fenomeno, quando non ne conosciamo le fasi che per sentito dire, è un errore grossolano Ma giudicare un intero fenomeno solo prendendone in considerazione l’esito, di cui noi siamo parte ricevente ed interessata, diventa un anacronismo −
I cataclismi come la guerra, sono totalmente indipendenti dalla nostra libertà − Le civiltà che la sorte o l’evoluzione stessa di quest’evoluzione renderà nemiche, sono ripiegate su se stesse, nell’ingannevole illusione d’essere le direttrici della guerra −
Da qui, quei formidabili errori Non vedo forse sulla stampa francese la parola Civiltà con la C. maiuscola in opposizione alla K. di Kultur ? Perché incappare esattamente nello stesso difetto dei tedeschi, e voler imporre loro una forma d’organizzazione sociale che noi consideriamo perfetta ma che loro possono trovare difettosa come noi troviamo la Kultur ridicola ed odiosa?
Abbiamo la pretesa d’essere gli apostoli dell’individualismo liberato − e i campioni della Libertà −
Ma chi ci dice che i Tedeschi non vedano il prototipo della libertà in un’organizzazione militare che protegga e garantisca dall’esterno le individualità tedesche − ?
Con quale argomentazione irrefutabile ci avete messo al riparo dall’errore ed assicurato l’esclusiva della verità − ?
Quando Musset scrive − «Tutti i popoli si levano nel nome della Libertà − Avrebbe dovuto scrivere della «loro» libertà e qui sta il punto − Almeno credo −
Resto pienamente del parere che scagliare l’anatema su un fenomeno qualsiasi la cui intera evoluzione supera in durata la nostra propria durata, è ragionare alla leggera e verosimilmente a torto −
E persino su un fatto contemporaneo la nostra imparzialità riposa su basi molto esili e il nostro giudizio dev’essere comprovato da mille fatti certi che spesso ci fanno difetto −
Come potremmo giudicare con qualche garanzia di giustizia un assemblaggio d’evoluzione che generazioni diverse e spesso nemiche hanno trasformato e le cui sole opinioni quasi sempre contraddittorie devono sostenere il nostro giudizio e la nostra critica […]

4 commenti:

lazard ha detto...

mi verrebbe da dire, quasi sorridendo, "tana per Céline!", ma poi pensandoci meglio da questo stralcio di racconto e da queste lettere, ma dal racconto soprattutto, esce fuori un virgulto della francia del tempo, combattente nella prima guerra, un osservatore acuto e sprezzante in erba.
solo che non sembra proprio l'ometto che Céline ha sempre cercato di farci credere nelle interviste o nei libri. ha ragione da vendere solinas quando dice che Ferdinand a New York come a Ginevra sapeva dove a andare, dove sbattere il naso e non aveva certo timore di parlare ad una nobildonna, o stare al fianco di Mussolini, durante un viaggio per le SDN.
non è il piccolo ferdinand di quella macchina fantasmagorica di Morte a credito, che è costretto a sudarsi l'esame finale per la licenza alle scuole comunali e ottenerla grazie alla benevolenza di qualche professore bendisposto e sonnecchiante.
non è nemmeno quel fanciullo completamente plebeo, volgare, periferico che non sa cosa sia la filosofia classica o la letteratura latina.
la grande opera di mistificazione di céline su e per sé stesso viene qui alla luce con una immediatezza lampante, e se da un lato mi fa sorridere, dall'altro faccio ancora di più tanto di cappello a questo genio assoluto che è riuscito nella strenuante operazione di recuperare la sua voce primigenia originaria a dispetto di una buonissima cultura. Céline è nato in mezzo alle urla e agli schiamazzi del Passage, dell'argot, ma è indubitabile che oltre ad essere passato per le forche caudine della vita, aveva anche saputo costruirsi una solida cultura, raffinata ed elegante. è riuscito però a ritrovare la vena giusta da cui prelevare il buon sangue necessario e mostrarlo. era di quel sangue che si aveva e si ha tuttora bisogno.
non possiamo che ringraziare e inchinarci davanti al grande incantatore Céline

si ha detto...
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guignol ha detto...

io veramente penso solo a me e ne ho comprato uno, il 1080...

si ha detto...
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