"La condizione umana secondo Céline", la recensione di Emanuele Ricucci del saggio NAUSEA DI CÉLINE di Jean-Pierre Richard, traduzione di Daniele Gorret e a cura di Andrea Lombardi per Passaggio al Bosco Edizioni su LIBERO, in edicola, del 10/12/2019.
LEGGI L'ARTICOLO >> "Lo sfracello di questo tempo comincia dagli uomini. Un Céline schifato. Al termine della notte, dove tutto si disfa e l’unica redenzione è ritrovarsi cadavere libero degli odori della morte, o nel pieno della Grande Guerra, mentre, in un campo, i macellai fanno a pezzi le bestie per la truppa. Il vomito e il profumo della fine, della putrefazione che tutto si mangia, come inconfutabile verità, come a ricordarci che nelle cose prossime a cadere sembra esserci più verità, perché esauste e manifeste. E finalmente liberatorie di ogni peso. Non c'è disprezzo più umano e sincero di quello di Destouches. Una ripugnanza densa, che si fa chirurgica, tra le pagine della Nausea di Céline (Passaggio al bosco, pp.68, euro 8). Un viaggio nella meccanica della fine, complice forse la sua esperienza di medico, negli odori, nella visione della morte del corpo che libera l’anima. Lavoro di mani esperte. Di quelle di Jean-Pierre Richard, critico letterario, docente universitario, autore di questa meditazione critica e brutalmente poetica, di Andrea Lombardi, tra i massimi studiosi italiani di Céline, che sullo stesso ha firmato molti lavori, da ricordare Louis-Ferdinand Céline. Un profeta dell’Apocalisse. Scritti, interviste, lettere e testimonianze, e del lavoro del poeta e traduttore Daniele Gorret, che ne ha curato la traduzione. Un lavoro inedito, come racconta Lombardi – «questo saggio era in appendice all'edizione Guanda del pamphlet La bella rogna di Céline, del 1982, subito ritirato dal mercato» -, dal titolo eccelso, come voluto da Richard, controcanto all’uomo redento dal peccato, che ha in vita possibilità di salvarsi, che evoca il sapore, e il suo esatto contrario, di un’Estasi di San Francesco, di Tiziano. Qui è Nausea di Céline. Nausea della guerra vissuta, del lungo viaggio per arrivare a concepire come finisce la notte degli uomini, dove e di cosa profuma mentre marcisce. Non c’è l’atto dell’estasi o dell’allungamento degli uomini alla loro salvezza, ma l’esatto contrario: vi è la nausea, la decomposizione dei corpi e delle anime, la caduta del confine - come luogo in cui «l’Io giunto sul bordo della grande fusione esistenziale, si ferma un breve istante per considerare ed assaporare la sua catastrofe», scrive Richard -, la corrosione, a convocarli nell’inferno di vermi. Pagine che escono dalla carta e invitano a toccare, annusare. «In fondo, l'uomo è soltanto putrefazione in sospeso», scrive, il dottor Destouches: un morto a credito. È uno sbracato (categoria céliniana per Richard), uno stronzo evanescente, immeritevole di salvezza, per la propria vanità e insieme per la propria pochezza, preso solo dall’istinto di conservazione, che dello sfacelo fa la sua estasi, «l’immagine fisiologica più nauseante in cui l’intero universo è trascinato», l’atto finale, epifania di verità, però, unico e ultimo momento di aggancio dell’eternità; il colpo di fucile all’alba del fronte dopo la notte, quello della fine, dirà Céline. Forse l’unica vera perversa salvezza. Lo sbracato evocato da tanta Francia letteraria che legge la storia nella notte della fine, come per Raspail, Houellebecq, Harouel, Carrère, che prolifera infetto nella decomposizione umana nella “religione dell’umanità” (Harouel) dell’Uomo-Dio che cerca redenzione solo da se stesso, abbandonato il Divino, incapace di coltivarsi, di prolungare la Bellezza del mondo, se non nel godere eroticamente delle proprie soddisfazioni materiali. Pupazzi avvicinati e compromessi. Nausea. L’uomo céliniano, scrive Destouches, «flaccido e spaccone, fifone e teatrale», che vuole portarci a fondo con sé, rinforza Richard. Quanto è vicino il termine della notte, in questo nostro presente misero. Uomini integri, sovrani di se stessi, contro uomini replicanti, sterilizzati. Céline non è una dimostrazione di stile da mandare a memoria. Ma uno schiaffo in faccia sul presente"
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