"BAGATELLE PER UN MASSACRO", MEGLIO SAPERE O NON SAPERE?
Il caso è noto. L’assessorato alla Cultura prima supporta la presentazione di un saggio che prende in esame perché “Bagatelle per un massacro”, il testo di Louis-Ferdinand Céline del 1937 che in Italia quasi nessuno ha letto-perché censurato causa i contenuti antisemiti, poi, sulle rimostranze della “base” dei social network (e prima o poi del rapporto tra la giunta e facebook bisognerà scrivere qualcosa, perché affidarsi alla pancia non è sempre buona cosa per un amministratore), nega la presenza dell’assessore Stefano Boeri e spiega che la Sormani ha un programma di eventi autonomo (e ci mancherebbe altro che il palinsesto lo decidesse Boeri).
Coda o covone di paglia che sia, vorremmo un po’ più di pragmatismo. Bastava dare una scorsa al nome dei relatori (Marco Vallora, Giancarlo Pontiggia, Gian Paolo Serino, oltre al filosofo Franco De Benedetti, autore per Medusa di “Céline e il caso delle Bagatelle”), per capire che non si trattava di un convegno di Casa Pound. Il patrocinio di Palazzo Marino può andare dunque solo a quegli eventi incentrati su testi edificanti? Eppure nelle cineteche comunali è circolato più volte “Moloch” di Sokurov, incentrato sulla vita di coppia di Hitler e Eva Braun, e Leni Riefenstahl è stata premiata qualche anno fa a Palazzo dei Giureconsulti, con un riconoscimento alla carriera. Non è la stessa cosa, direte voi. E certamente gli esempi scelti sono volutamente grezzi. Perché di un tabù, e nulla di più, si tratta. Così come siamo interessati a osservare dallo spioncino il mènage extraconiugale del “mostro” Hitler, o a visionare le fotografie apologetiche del regime nazista di una talentuosa artista di propaganda, non vedo perché non si possa discutere serenamente sui motivi per cui oggi esiste ancora un libro all’indice, sui cui tutti esprimono un giudizio fermo, senza che nessuno l’abbia letto. Il motivo sta nel fatto che l’antisemitismo che vi è espresso è strettamente contiguo dal punto di vista temporale all’Olocausto. Questa è l’unica ragione.
Gian Paolo Serino ha ricordato in questi giorni che l’antisemitismo era diffuso tanto nella società americana quanto in quella europea sin dagli inizi del “secolo breve”. Era, aggiungiamo noi, altrettanto radicato nella civiltà cattolica, e i retaggi di quel radicamento si riscontrano ancora nel linguaggio e nella considerazione verso gli ebrei che caratterizza le aree “bianche” del nostro Paese. Nel caso di Céline, l’antisemitismo attraversava anche i romanzi, ma nessuno si è curiosamente mai messo ad analizzare da questo punto di vista “Viaggio al termine della notte” o “Morte a credito”. Eppure i testi di fiction di altri autori francesi, a partire da quello che, a torto o a ragione, è considerato l’erede di Céline, ossia Michel Houellebecq, da sempre sono passati alla lente d’ingrandimento, per provare a capire se il punto di vista dei protagonisti è in tal senso quello dell’autore. Da questo di punto di vista il dibattitto è particolarmente vivace. Può essere considerato decisivo al fine del giudizio ultimo sul valore dei romanzi dell’autore di “Piattaforma”, o venire liquidato come una pruderie, ma certamente nessuno si è mai sognato di mettere all’indice lo scrittore di punta di Flammarion. Ricordo invece una circostanza curiosa. La prima volta che mi procurai “Morte a Credito”, nella prima edizione italiana, quella di Garzanti del 1964, con la traduzione di Giorgio Caproni, il testo era censurato. Nel senso che ogni tanto il lettore incontrava degli spazi bianchi. Spesso si trattava di una sola parola, più raramente di intere frasi o periodi. Quelle cancellazioni non erano in alcun modo legate a passaggi di contenuto antisemita, e facevano riferimento piuttosto a situazioni scabrose, o utilizzavano termini allora “proibiti”. Di fatto dovemmo aspettare il 1997 per leggere la traduzione di Caproni nella sua integrità, grazie ai tipi di Tea (in precedenza c’era stata un’edizione Mondadori, nel 1987). Ma il fatto è che Ferdinand Bardamu era un alter ego di Céline. Altra cosa, nella percezione del lettore, è evidentemente un pamphlet, in cui non c’è possibile equivoco in merito tra la posizione di chi parla e quella dell’autore. È dunque solo una questione di codice? Quel che si può dire in un romanzo (i passi antisemiti non sono mai stati “sbianchettati”) non ha diritto di cittadinanza in un saggio? Evidentemente sì, per quanto poco voltairiano ci possa sembrare. Il paradosso è che così continueremo a non sapere se “Bagatelle per un massacro” è una sorta di “Mein Kampf” o meno. In Italia esiste un’edizione di “Bagatelle” pubblicata da Guanda nel 1981, che venne ritirata dalle librerie tre mesi dopo la pubblicazione, a seguito delle rimostranze della vedova Céline. Non si trattò dunque di un vero e proprio episodio di censura, quanto piuttosto di tutela-attraverso strumenti indebiti-dello status raggiunto dallo stesso Céline con il corpus complessivo della sua opera. Era sufficiente il pamphlet per sporcarla? La risposta è legata a quella che personalmente considero un’evidenza: se non fosse avvenuto l’Olocausto, “Bagatelle per un massacro” sarebbe un vergognoso testo antisemita, trascurato dalla critica, pubblicato magari da qualche oscuro editore. Credo per esempio che in pochi sappiano che contiene la presentazione di tre balletti ideati per L’Expo del 1937, “La naissance d'une fée”, “Voyou Paul”, “Brave Virginie” e “Van Bagaden”. E che fu proprio il rifiuto di questi balletti scatena la furia razzista di Ferdinand, protagonista del libro. Perché, e questa immagino sia una sorpresa per molti, “Bagatelle” contiene anche molti elementi di finzione letteraria, al punto che potremmo persino pensare che gli alter ego di Céline siano due, lo stesso Ferdinand e il dottor Gutman, con cui il protagonista dialoga (ricordiamo che l’autore esercitava la professione di medico). Ci sono poi diversi passaggi in cui vengono criticati tutti i totalitarismi, e accenni a quelle stesse posizioni pacifiste espresse nel suo primo romanzo. Un pamphlet ha convenzioni diverse da un saggio, genere per cui Céline, anzitutto per organizzazione sintattica della sua prosa, sarebbe stato negato. La prosa di “Bagatelle” vede infatti ricorrere spesso le sperimentazioni/convenzioni del secondo Céline, a partire naturalmente dai tre puntini. Per chi volesse affrontarne la lettura, la traduzione di Giancarlo Pontiggia si trova in rete, in versione Pdf. Da notare che, al contrario di “Mein Kampf”, il successo di pubblico di “Bagatelle” fu enorme, e proseguì anche negli anni dell’occupazione. La critica di destra lo accolse però con qualche sospetto, legato al carattere d’invettiva e alla mancanza di una struttura argomentativa. A sinistra venne massacrato. Con l’eccezione eccellente di Andrè Gide, che si rifiutò di credere all’autenticità delle intenzioni di Céline, e definì il testo una finzione letteraria, assolvendo il dottor Destouches dal peggiore dei suoi crimini.
Non ero presente al dibattito in Sormani. Immagino che di questo e di molto altro abbiano discusso i relatori. Resto dell’idea che Boeri dovrebbe occuparsi di altro, che senza il patrocinio del Comune la discussione su di un testo all’indice resta comunque un evento culturalmente rilevante, e che né il timbro di Palazzo Marino né la presenza dell’assessore avrebbero aggiunto nulla. Qualche anno fa Vinicio Capossella dedicò un intero disco alla cosiddetta “Trilogia del Nord”, i romanzi in cui Céline ricostruisce le peripezie in Danimarca dopo la fuga dalla Francia in quanto collaborazionista. Quasi nessuno si accorse che l’album (s’intitolava “Canzoni a Manovella”) era direttamente ispirato ai climi di “Da un castello all’altro” e agli altri testi di finzione scritti a Meudon dopo il ritorno dalla Danimarca, nel Secondo Dopoguerra. Eppure la prima canzone si chiamava “Bardamù”, che è proprio il nome dell’alter ego di Céline nei suoi scritti di fiction. Vinicio ha più volte sostenuto che il Céline più interessante è quello degli ultimi romanzi, “che lascia le frasi a metà”.
Ma in mezzo tra i due capolavori universalmente riconosciuti come una vetta della narrativa del Novecento e i lavori più sperimentali, resta pur sempre l’autore di “Mea Culpa” e “Bagatelle per un massacro”, e la “Trilogia del Nord” narra le vicende dell’uomo Céline in quegli stessi anni in cui scriveva un testo esplicitamente collaborazionista come “La scuola dei cadaveri” (che in Italia è stato tradotto solo nel 1997 e pubblicato dall’oscuro Edizioni Soleil nella Collana del Nibbio Bianco-anche questo testo è reperibile in rete). Insomma, che piaccia o meno, Bardamù e Fernand sono la stessa persona, anche se la cosa nel dopoguerra infastidiva lo stesso Céline, che fu il primo a opporsi alla ripubblicazione di “Bagatelle”. La critica letteraria ha il dovere e il diritto di prenderne atto, a prescindere dall’ansia del “politicamente corretto” che pervade la giunta arancione.
Coda o covone di paglia che sia, vorremmo un po’ più di pragmatismo. Bastava dare una scorsa al nome dei relatori (Marco Vallora, Giancarlo Pontiggia, Gian Paolo Serino, oltre al filosofo Franco De Benedetti, autore per Medusa di “Céline e il caso delle Bagatelle”), per capire che non si trattava di un convegno di Casa Pound. Il patrocinio di Palazzo Marino può andare dunque solo a quegli eventi incentrati su testi edificanti? Eppure nelle cineteche comunali è circolato più volte “Moloch” di Sokurov, incentrato sulla vita di coppia di Hitler e Eva Braun, e Leni Riefenstahl è stata premiata qualche anno fa a Palazzo dei Giureconsulti, con un riconoscimento alla carriera. Non è la stessa cosa, direte voi. E certamente gli esempi scelti sono volutamente grezzi. Perché di un tabù, e nulla di più, si tratta. Così come siamo interessati a osservare dallo spioncino il mènage extraconiugale del “mostro” Hitler, o a visionare le fotografie apologetiche del regime nazista di una talentuosa artista di propaganda, non vedo perché non si possa discutere serenamente sui motivi per cui oggi esiste ancora un libro all’indice, sui cui tutti esprimono un giudizio fermo, senza che nessuno l’abbia letto. Il motivo sta nel fatto che l’antisemitismo che vi è espresso è strettamente contiguo dal punto di vista temporale all’Olocausto. Questa è l’unica ragione.
Gian Paolo Serino ha ricordato in questi giorni che l’antisemitismo era diffuso tanto nella società americana quanto in quella europea sin dagli inizi del “secolo breve”. Era, aggiungiamo noi, altrettanto radicato nella civiltà cattolica, e i retaggi di quel radicamento si riscontrano ancora nel linguaggio e nella considerazione verso gli ebrei che caratterizza le aree “bianche” del nostro Paese. Nel caso di Céline, l’antisemitismo attraversava anche i romanzi, ma nessuno si è curiosamente mai messo ad analizzare da questo punto di vista “Viaggio al termine della notte” o “Morte a credito”. Eppure i testi di fiction di altri autori francesi, a partire da quello che, a torto o a ragione, è considerato l’erede di Céline, ossia Michel Houellebecq, da sempre sono passati alla lente d’ingrandimento, per provare a capire se il punto di vista dei protagonisti è in tal senso quello dell’autore. Da questo di punto di vista il dibattitto è particolarmente vivace. Può essere considerato decisivo al fine del giudizio ultimo sul valore dei romanzi dell’autore di “Piattaforma”, o venire liquidato come una pruderie, ma certamente nessuno si è mai sognato di mettere all’indice lo scrittore di punta di Flammarion. Ricordo invece una circostanza curiosa. La prima volta che mi procurai “Morte a Credito”, nella prima edizione italiana, quella di Garzanti del 1964, con la traduzione di Giorgio Caproni, il testo era censurato. Nel senso che ogni tanto il lettore incontrava degli spazi bianchi. Spesso si trattava di una sola parola, più raramente di intere frasi o periodi. Quelle cancellazioni non erano in alcun modo legate a passaggi di contenuto antisemita, e facevano riferimento piuttosto a situazioni scabrose, o utilizzavano termini allora “proibiti”. Di fatto dovemmo aspettare il 1997 per leggere la traduzione di Caproni nella sua integrità, grazie ai tipi di Tea (in precedenza c’era stata un’edizione Mondadori, nel 1987). Ma il fatto è che Ferdinand Bardamu era un alter ego di Céline. Altra cosa, nella percezione del lettore, è evidentemente un pamphlet, in cui non c’è possibile equivoco in merito tra la posizione di chi parla e quella dell’autore. È dunque solo una questione di codice? Quel che si può dire in un romanzo (i passi antisemiti non sono mai stati “sbianchettati”) non ha diritto di cittadinanza in un saggio? Evidentemente sì, per quanto poco voltairiano ci possa sembrare. Il paradosso è che così continueremo a non sapere se “Bagatelle per un massacro” è una sorta di “Mein Kampf” o meno. In Italia esiste un’edizione di “Bagatelle” pubblicata da Guanda nel 1981, che venne ritirata dalle librerie tre mesi dopo la pubblicazione, a seguito delle rimostranze della vedova Céline. Non si trattò dunque di un vero e proprio episodio di censura, quanto piuttosto di tutela-attraverso strumenti indebiti-dello status raggiunto dallo stesso Céline con il corpus complessivo della sua opera. Era sufficiente il pamphlet per sporcarla? La risposta è legata a quella che personalmente considero un’evidenza: se non fosse avvenuto l’Olocausto, “Bagatelle per un massacro” sarebbe un vergognoso testo antisemita, trascurato dalla critica, pubblicato magari da qualche oscuro editore. Credo per esempio che in pochi sappiano che contiene la presentazione di tre balletti ideati per L’Expo del 1937, “La naissance d'une fée”, “Voyou Paul”, “Brave Virginie” e “Van Bagaden”. E che fu proprio il rifiuto di questi balletti scatena la furia razzista di Ferdinand, protagonista del libro. Perché, e questa immagino sia una sorpresa per molti, “Bagatelle” contiene anche molti elementi di finzione letteraria, al punto che potremmo persino pensare che gli alter ego di Céline siano due, lo stesso Ferdinand e il dottor Gutman, con cui il protagonista dialoga (ricordiamo che l’autore esercitava la professione di medico). Ci sono poi diversi passaggi in cui vengono criticati tutti i totalitarismi, e accenni a quelle stesse posizioni pacifiste espresse nel suo primo romanzo. Un pamphlet ha convenzioni diverse da un saggio, genere per cui Céline, anzitutto per organizzazione sintattica della sua prosa, sarebbe stato negato. La prosa di “Bagatelle” vede infatti ricorrere spesso le sperimentazioni/convenzioni del secondo Céline, a partire naturalmente dai tre puntini. Per chi volesse affrontarne la lettura, la traduzione di Giancarlo Pontiggia si trova in rete, in versione Pdf. Da notare che, al contrario di “Mein Kampf”, il successo di pubblico di “Bagatelle” fu enorme, e proseguì anche negli anni dell’occupazione. La critica di destra lo accolse però con qualche sospetto, legato al carattere d’invettiva e alla mancanza di una struttura argomentativa. A sinistra venne massacrato. Con l’eccezione eccellente di Andrè Gide, che si rifiutò di credere all’autenticità delle intenzioni di Céline, e definì il testo una finzione letteraria, assolvendo il dottor Destouches dal peggiore dei suoi crimini.
Non ero presente al dibattito in Sormani. Immagino che di questo e di molto altro abbiano discusso i relatori. Resto dell’idea che Boeri dovrebbe occuparsi di altro, che senza il patrocinio del Comune la discussione su di un testo all’indice resta comunque un evento culturalmente rilevante, e che né il timbro di Palazzo Marino né la presenza dell’assessore avrebbero aggiunto nulla. Qualche anno fa Vinicio Capossella dedicò un intero disco alla cosiddetta “Trilogia del Nord”, i romanzi in cui Céline ricostruisce le peripezie in Danimarca dopo la fuga dalla Francia in quanto collaborazionista. Quasi nessuno si accorse che l’album (s’intitolava “Canzoni a Manovella”) era direttamente ispirato ai climi di “Da un castello all’altro” e agli altri testi di finzione scritti a Meudon dopo il ritorno dalla Danimarca, nel Secondo Dopoguerra. Eppure la prima canzone si chiamava “Bardamù”, che è proprio il nome dell’alter ego di Céline nei suoi scritti di fiction. Vinicio ha più volte sostenuto che il Céline più interessante è quello degli ultimi romanzi, “che lascia le frasi a metà”.
Ma in mezzo tra i due capolavori universalmente riconosciuti come una vetta della narrativa del Novecento e i lavori più sperimentali, resta pur sempre l’autore di “Mea Culpa” e “Bagatelle per un massacro”, e la “Trilogia del Nord” narra le vicende dell’uomo Céline in quegli stessi anni in cui scriveva un testo esplicitamente collaborazionista come “La scuola dei cadaveri” (che in Italia è stato tradotto solo nel 1997 e pubblicato dall’oscuro Edizioni Soleil nella Collana del Nibbio Bianco-anche questo testo è reperibile in rete). Insomma, che piaccia o meno, Bardamù e Fernand sono la stessa persona, anche se la cosa nel dopoguerra infastidiva lo stesso Céline, che fu il primo a opporsi alla ripubblicazione di “Bagatelle”. La critica letteraria ha il dovere e il diritto di prenderne atto, a prescindere dall’ansia del “politicamente corretto” che pervade la giunta arancione.
di Andrea Dusio da http://www.milanocultura.com/public/letteratura/saggistica/992-bagatelle-per-un-massacro-meglio-sapere-o-non-sapere.asp
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I miei complimenti a Serino per aver organizzato la presentazione e per la sua simpatia, e a De Benedetti, Pontiggia (che ringrazio per la dedica apposta sul mio Bagatelle Guanda) e Vallora per la competenza dei loro interessanti interventi.
Andrea Lombardi
6 commenti:
http://vho.org/aaargh/fran/livres9/Pontiggia.pdf
Eccovelo qua.
Per i veri più veri fra noi.
Lasciate perdere i Sozial Tuttovabenevich, e se leggete 'AURORA' richiudete tutto.
Anche se i ragazzi di AAARGH potevano evitare l'affondo :
"È possibile per una carogna vedova di proibire un libro che vogliamo leggere ? Sicuramento no."
Si porti rispetto a madame Almanzor.
P.S.
Due copie Corbaccio 38 di Bagatelle sono uno schiaffo verso noi povera gens, Andrea! ahah ;)
Non c'è verso...tutti meno Céline..!
C'è da aspettarsi che prima o poi a qualche boeri verrà in mente di ripulire tutte le biblioteche e affini di Bagatelles....
Velo pietoso sulla querelle milanese...
personalmente sono contrario ad ogni forma di censura. perciò ritengo sbagliata la decisione dell'assessore milanese.
detto questo alcune telegrafiche precisazioni sul pezzo apparso su milanocultura.com a firma di andrea dusio.
1) i pamphlet di céline non sono censurati da chicchessia. ma fu lo stesso céline a vietarne la pubblicazione all'indomani della seconda guerra mondiale. divieto mantenuto ancora oggi dalla terza moglie dello scrittore, lucette almanzor. in altre parole, nessuno ha messo all'indice bagatelle e gli altri pamphlet se non céline medesimo.
2) viaggio al termine della notte e morte a credito, i due più importanti lavori letterari di céline, non contengono che rarissime (due o tre) e sfuggenti affermazioni antisemite e anticomuniste (preciso l'anticomunismo perché per céline ebrei e comunisti sono la stessa cosa). il razzismo di céline esplode con i tre pamphlet pubblicati fra il 1937 e il 1941: bagatelle, la scuola dei cadaveri, i bei drappi.
3) le censure di morte a credito (i celebri spazi bianchi) furono imposte dall'editore di céline, robert denoel (di estrema destra) perché eccedevano in dettagli di tipo sessuale. dunque nulla a che fare con la politica e il razzismo ma con la morale dell'epoca.
4) il successo di bagatelle fu notevole. ma assai meno quello degli altri due pamphlet: la scuola dei cadaveri fu un fiasco e i bei drappi ebbe una tiepida accoglienza e fu persino proibito nella repubblica di vichy. insomma la francia era molto meno razzista di quel che céline si aspettava.
5) con la pubblicazione di bagatelle e gli altri libelli céline tentò di diventare l'ideologo dell'estrema destra francese ed europea. fallì miseramente e litigò con tutta la destra ultra-reazionaria della sua epoca. anche da qui la sua crisi psicologica ed esistenziale. insomma céline non aveva il bernoccolo della politica. sotto il profilo politico i pamphlet sono ingenui e pressappochisti. e tuttavia proprio perché non sono altro che becero senso comune sono sociologicamente importanti. inoltre contengono numerosi passaggi letterari che aiutano a comprendere il céline poeta.
6) detto tutto questo céline non è che un conservatore di stampo ottocentesco e tale resterà fino alla fine della sua vita. ciò non toglie che le sue critiche alla modernità non facciano riflettere ancora oggi. personalmente gli ho dedicato un libro anche se politicamente non la penso affatto come lui.
patrizio paolinelli
Ciao Patrizio,
sui punti 1-3 d'accordo, invece:
4 - "il successo di bagatelle fu notevole. ma assai meno quello degli altri due pamphlet: la scuola dei cadaveri fu un fiasco e i bei drappi ebbe una tiepida accoglienza e fu persino proibito nella repubblica di vichy. insomma la francia era molto meno razzista di quel che céline si aspettava. "
La Francia, in realtà, era MOLTO PIU' razzista di quel che Céline si aspettava: da Gobineau all'Affaire Dreyfus, alle miriadi di partiti fascisti o reazionari, alle decine di migliaia di volontari nelle formazioni militari della LVF e della Milizia e molte altre unità paramilitari, all'antisemitismo di tanta parte degli stessi partiti di centro, cattolici e non, o di sinistra francesi, alle decine di periodici Collabo, alcuni con decine di migliaia di copie di tiratura (anche 100.000-200.000, come Je suis partout e La Gerbe); se i pamphlet di Céline non ebbero un enorme successo di vendite fu a causa del loro stile rivoluzionario, primo passo vero la petite musique della Trilogia, etc, non dei loro contenuti: altri libri più lineari come scrittura, dal vero best seller Collabo, Les Decombres di Rebatet, a Cousteau, etc ebbero maggiore successo con temi simili.
5 "con la pubblicazione di bagatelle e gli altri libelli céline tentò di diventare l'ideologo dell'estrema destra francese ed europea. fallì miseramente e litigò con tutta la destra ultra-reazionaria della sua epoca. anche da qui la sua crisi psicologica ed esistenziale."
Comprendo il punto di vista che ti fa scrivere questo, vista la lettura psicoanalitica che hai dato alla vita di Céline; devo però dirti che secondo me questa tua intuizione, pur interessante, non è corroborata da alcun nesso storico-biografico; la crisi psico-esistenziale, sempre volendoci basare sui fatti e non sulle pur interessanti intuizioni personali, Céline la ha non per i "litigi con la destra" o con le sue presunte velleità di idelologo, ma semmai dalla prima guerra mondiale (incoraggio tutti coloro che si avvicinano alla biografia di LFC a immaginare SEMPRE, e a tenere nella mente quale esperienza può essere stata per milioni di uomini la GUERRA; la guerra di trincea, l'essere per mesi nel fango, con parapetti fatti di cadaveri decomposti; dormendo poche ore per notte; i gas, la terra assordantemente rivoltata notte e giorno dagli obici: la morte dei propri amici sventrati, mutilati, il marciare per ore tra uomini e bestie in decomposizione, di notte, gli stivali nei visceri: il basso tuono continuo della terra che vibra in ricoveri marci di sudore e di urina; per mesi e per anni) e dall'esperienza della miseria umana nelle colonie e nelle banlieue.
Morto Cèline,non vedo perché la vedova insista....e però Guanda 1981?
Posso capire,Céline vivant,perchè abbia preferito a quel tempo vietare la pubblicazione,ma oggi sarebbe ora di smettere con queste fesserie...
Mi dispiace,ma così la penso...quale ssrebbe infine la ragione?
Per il punto 4 concordo con Andrea,e in tale contesto vanno situati i pamphlets,di successo o meno.
Non credo inoltre che Cèline volesse diventare ideologo di chicchessia
salve a tutti!
oggi, nemmeno a farlo apposta, ho finito di leggere un libro di Moreno Marchi, Con il sangue e con l'inchiostro, che parla appunto di scrittori collaborazionisti nella Francia occupata; praticamente dice le stesse cose del punto 4 di Andrea, il clima della Francia di allora era proprio quello, antisemitismo razzismo e periodici schierati alla grande...
Céline, fra tutti, era sicuramente uno dei più "teneri" e meno impegnati; per come l'ho sempre letto io, lui che si "rammarica" di non essere un punto di riferimento per l'estrema destra non è plausibile, proprio lui poi che non voleva mai essere assoggettato a niente e nessuno! mah! la vedo proprio difficile...
e certo che magari avrà anche litigato con alcuni esponenti di destra, ma lui litigava "a prescindere", no? insomma il suo carattere lo abbiamo ben presente in certe circostanze, soprattutto...
ciao
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