L'amico Maurizio ci ha inviato un pezzo scritto da Filippo La Porta su 'Left'.
Andrea
Va bene, è dura passare sopra al Cèline collaborazionista, antisemita, filotedesco, etc. della fine degli anni ’30. E infatti non lo farò. Il suo ruolo in quel periodo è stato aberrante e le sue responsabilità politiche risultano inoppugnabili (e anche se per un ebreo denunciato alle autorità - sembra per gelosia - poi ne ha salvati tre…). Però vale la pena rileggere criticamente i suoi libelli, ridimensionarne la parte dovuta a un obnubilamento paranoico, perché i suoi due primi romanzi, Viaggio al termine della notte e Morte a credito (tradotto magnificamente da Caproni) rappresentano dei vertici della narrativa novecentesca. Il primo, che entusiasmò Trotzskj, Aragon, Sartre e la De Beauvoir, etc., univa una prosa jazzistica, dissonante, colta e gergale, realistico-visionaria (la celebre petit musique) [in realtà caratteristiche dei romanzi successivi, Nota mia] alla scelta “populista” di stare dalla parte dei disgraziati, dei paria e dei senza potere. Probabilmente l’obnubilamento ideologico nasceva dalla sua visione pessimistica della natura umana: così lurida, vigliacca e indisciplinata da richiedere un ordine ferreo! In questi dialoghi con Robert Poulet (Il mio amico Céline, Elliot), con introduzione di Massimo Raffaelli, ritroviamo lo scrittore anarchico, indocile a qualsiasi appartenenza, "individualista feroce, con un fondo malcelato di tradizionalismo e il gusto della rivolta” Poulet, quasi alter ego (anche lui collaborazionista, processato e poi amnistiato) lo va a trovare nel 1956 a Meudon, periferia parigina, dove vive con la fedele Lucette, il vecchio pappagallo stordito e i molossi, stretto nei suoi golf malandati , “un’ombra cenciosa e vacillante”(Raffaelli), e dove cura gratis – lui senza soldi - [non esattamente "senza soldi", senza nulla togliere alla meritoria opera di medico dei poveri di Céline, Nota mia] i poveracci della banlieu. Céline dice tra l’altro: “Un uomo è lì davanti a te e soffre; e allora tu fai qualosa per non farlo soffrire più”: Poi ricorda il “delirio” dei pamphlet maledetti, spiega come l’equivoco sugli ebrei nasce dal fatto che allora nella sua testa erano bellicisti e lui odia la guerra (il che non lo assolve ma ci aiuta a capire). Parlando di letteratura osserva che certo la verità si dice “arrangiandola, barando, se capita”, però nei romanzi che legge “tirava un’aria falsa, nel tono del racconto e nel giro delle frasi”. Il suo pathos autodistruttivo per la verità me lo apparenta a un altro genio sregolato ed espressionista come Baudelaire. Il comunismo sovietico lo delude perché sostituiscono il padrone con il commissario del popolo, mentre lui è per l’uguaglianza assoluta, “l’avvocato come lo stagnino… e la signora moglie del ministro i piatti se li lava, e sua Eccellenza è lì che l’aiuta, grembiule e strofinaccio”. Insomma, niente in lui che possa essere davvero utilizzabile da una qualunque Casa Pound di oggi [quando si avrà di nuovo (negli anni '70 e 80' si poteva, anche da sinistra) il coraggio di scrivere su Céline e company senza pagare dazio sarà sempre troppo tardi, Nota mia]… Il ritratto che fa Poulet del volto di Céline scavato, “disfatto dalla sofferenza” è memorabile: “ l’occhio destro, spalancato, plebeo, duro, ha qualcosa di beffardo e canzonatorio, mentre nell’occhio sinistro, socchiuso, più nobile, “ vive il galantuomo stravolto dal dolore, colui che ha voluto dire al prossimo suo cose utili e urgenti”. Non si poteva enunciare meglio la schizofrenia umana e intellettuale di Céline, “”il bambino, lo scemo del villaggio, il mostro, il brontosauro fossile”
Filippo La Porta
Andrea
Va bene, è dura passare sopra al Cèline collaborazionista, antisemita, filotedesco, etc. della fine degli anni ’30. E infatti non lo farò. Il suo ruolo in quel periodo è stato aberrante e le sue responsabilità politiche risultano inoppugnabili (e anche se per un ebreo denunciato alle autorità - sembra per gelosia - poi ne ha salvati tre…). Però vale la pena rileggere criticamente i suoi libelli, ridimensionarne la parte dovuta a un obnubilamento paranoico, perché i suoi due primi romanzi, Viaggio al termine della notte e Morte a credito (tradotto magnificamente da Caproni) rappresentano dei vertici della narrativa novecentesca. Il primo, che entusiasmò Trotzskj, Aragon, Sartre e la De Beauvoir, etc., univa una prosa jazzistica, dissonante, colta e gergale, realistico-visionaria (la celebre petit musique) [in realtà caratteristiche dei romanzi successivi, Nota mia] alla scelta “populista” di stare dalla parte dei disgraziati, dei paria e dei senza potere. Probabilmente l’obnubilamento ideologico nasceva dalla sua visione pessimistica della natura umana: così lurida, vigliacca e indisciplinata da richiedere un ordine ferreo! In questi dialoghi con Robert Poulet (Il mio amico Céline, Elliot), con introduzione di Massimo Raffaelli, ritroviamo lo scrittore anarchico, indocile a qualsiasi appartenenza, "individualista feroce, con un fondo malcelato di tradizionalismo e il gusto della rivolta” Poulet, quasi alter ego (anche lui collaborazionista, processato e poi amnistiato) lo va a trovare nel 1956 a Meudon, periferia parigina, dove vive con la fedele Lucette, il vecchio pappagallo stordito e i molossi, stretto nei suoi golf malandati , “un’ombra cenciosa e vacillante”(Raffaelli), e dove cura gratis – lui senza soldi - [non esattamente "senza soldi", senza nulla togliere alla meritoria opera di medico dei poveri di Céline, Nota mia] i poveracci della banlieu. Céline dice tra l’altro: “Un uomo è lì davanti a te e soffre; e allora tu fai qualosa per non farlo soffrire più”: Poi ricorda il “delirio” dei pamphlet maledetti, spiega come l’equivoco sugli ebrei nasce dal fatto che allora nella sua testa erano bellicisti e lui odia la guerra (il che non lo assolve ma ci aiuta a capire). Parlando di letteratura osserva che certo la verità si dice “arrangiandola, barando, se capita”, però nei romanzi che legge “tirava un’aria falsa, nel tono del racconto e nel giro delle frasi”. Il suo pathos autodistruttivo per la verità me lo apparenta a un altro genio sregolato ed espressionista come Baudelaire. Il comunismo sovietico lo delude perché sostituiscono il padrone con il commissario del popolo, mentre lui è per l’uguaglianza assoluta, “l’avvocato come lo stagnino… e la signora moglie del ministro i piatti se li lava, e sua Eccellenza è lì che l’aiuta, grembiule e strofinaccio”. Insomma, niente in lui che possa essere davvero utilizzabile da una qualunque Casa Pound di oggi [quando si avrà di nuovo (negli anni '70 e 80' si poteva, anche da sinistra) il coraggio di scrivere su Céline e company senza pagare dazio sarà sempre troppo tardi, Nota mia]… Il ritratto che fa Poulet del volto di Céline scavato, “disfatto dalla sofferenza” è memorabile: “ l’occhio destro, spalancato, plebeo, duro, ha qualcosa di beffardo e canzonatorio, mentre nell’occhio sinistro, socchiuso, più nobile, “ vive il galantuomo stravolto dal dolore, colui che ha voluto dire al prossimo suo cose utili e urgenti”. Non si poteva enunciare meglio la schizofrenia umana e intellettuale di Céline, “”il bambino, lo scemo del villaggio, il mostro, il brontosauro fossile”
Filippo La Porta
14 commenti:
Céline non può essere utilizzato per scopi extraletterari,tantomeno politici, da nessuno,come tentano di fare molte Case di opposti indirizzi....nemmeno,sotto sotto,abilmente da La Porta..
Meglio dire che a differenza di tante anime candide,forse Ferdinand non amava l'umanità in generale,ma certamente la parte più misera in carne ed ossa che gli capitava davanti.
Caro Johnny,
100% d'accordo.
'notte,
Andrea
E vabbè
cari tutti, non ci sono proprietà identitarie di critica.
Ne possono parlare tutti, altrimenti è uno snobismo.
Io l'apprezzo
Maurizio
Oddio, snob a noi, che si è andati per mare... sbronzati nei peggio bar di Barcellona e Marsiglia... percorso il Gran Socco e Avenue Bourghiba! Offesa capitale! Da lavare col sangue! L'immonda iattura!
:-)
A parte gli scherzi:
E vabbè.
Caro Maurizio, proprio perchè non ci sono proprietà identitarie di critica,
ne possiamo parlare tutti (della critica), altrimenti è uno snobismo.
Io non l'apprezzo.
Infinitamente superiore quella grande critica di sinistra dal dopoguerra agli anni '90, anche marxista ortodossa, che condannava ma conosceva.
Che non avrebbe mai scritto come fa La Porta che il Viaggio è contraddistinto da una "prosa jazzistica, dissonante", tipica invece dei romanzi successivi (rivoluzione stilistica che cova proprio nei pamphlet, come hanno notato alcuni dei critici più acuti: ecco uno dei motivi della loro importanza, per esempio). Che non riportava luoghi comuni come il "Céline povero" a Meudon.
E poi, a Terzo Millennio inoltrato, sentire la necessità (ancora!) della excusatio (il riferimento patetico "contra" Casa Pound) a mò di bandierina agli amici "scrivo dello scrittore X, ma non sono mica fassssista" è veramente tristissimo.
Andrea mi ha affondato.
Perchè più conscitore di me di LFC.
Nonchè di chi ne ha fatto critica.
Lo so che lo scritto di La Porta è diverso da quello che, in parte lo ammetto, ignoro.
Ma quel che volgio dire è: uscire dal garage, è sempre un azione che merita incoraggiamento.
Questo blog è colto, e questo lo segna e lo rende 'unico'.
E' letto da chi la materia l'ha già attraversata. E che , naturalmente, avviene in tutti i campi, è consapevole del proprio sapere.
Quello che cerco di fare, in questo tristissimo mondo di neo intellettuali radical chic che stano occupando le cattedre per dici 'cosa fare', è parlare della lezione di LFC.
Diamo per persa una certa parte della sx fighetta, oggi antiberlusconiana dell'ultima ora.
Ma per molti, molti lettori e spiriti liberi, Celinè è ancora da scoprire.
Il suo messaggio sulle angosce dell'uomo contemporaneo può avere effetti detonanti. Gli stessi che ebbe in me.
E allora, per come posso, ci provo.
Vivo in un mondo dove non si può ancora citare LFC.
Dopo l'uscita del mio libro, nel quale lo cito abbastanza tanto, mi sono venute critiche dotte tipo 'ma tu non citerai mica quello'.
In certe zone culturali siamo all'inizio.
Per questo ho apprezzato lo scritto di La Porta, che parla ad un pubblico diverso dal vostro, con maniera apprezzabile.
P.S.La Porta ha scritto un libro 'Maestri irregolari' che è una cosa belal, anzi di più. Da leggere, rileggere e legere ancora.
Io ho parlato ad una platea che leggeva i testi di Weltroni.
E' ho detto ' ho un libro da consigliarvi..edito da Corbaccio'
Stupidità? Forse.
Ma credo valga la pena.
Maurizio
La Porta
"Pasolini non «serve» a niente. Con la sua opera non si costruisce alcunché: né una linea politica né una teoria letteraria né una morale per il nuovo millennio"
Un critico letterario che esordisce in questo modo,dove uno scrittore deve "servire" necessariamente ad altro che non sia la sua opera,é meglio che recensisca Pulsatilla e lasci stare LFC.
Poteva starsene tranquillamente in garage.
A parte la castroneria jazzistica del Viaggio,il fatto é che LFC é una spina in gola a certa gente che non riesce a rimuoverla e che continua a cantare la stessa canzoncina stonata da anni.
Purtroppo,nonostante tanti tentativi,Cèline non é OMOLOGABILE a certi desiderata.
Maurizio,certo che parlare di Céline a chi legge Veltroni dev'essere una bella impresa!
Auguri.
uffa! sempre la solita solfa...
questo libro di Poulet è in italiano, mi pare di capire.
saluti
so di andare off-topic, ma in tema di uscite vorrei segnalare questa - sarà vero? - prossima riedizione:
http://www.fnac.it/Pantomima-per-un-altra-volta-CELINE/a605459
http://www.provedi.it/Louis-Ferdinand-Celine/Pantomima-per-unaltra-volta/Einaudi/9788806197551.aspx
http://www.libreriauniversitaria.it/pantomima-altra-volta-celine-louis/libro/9788806197551
l'avevo segnalata via mail ma non so se il mio messaggio sia mai arrivato. pantomima tradotto da guglielmi non l'ho mai trovato né letto. mi stupiscono le sole 207 pagine a confronto con, mi pare, le più numerose dell'edizione francese (delucidazioni gradite se qualcuno ce l'ha nella versione supercoralli).
Tobia
Il punto è che Céline scrisse "Féerie pour une autre fois" nel 1952 e "Féerie pour une autre fois,II. Normance" nel 1954, entrambi pubblicati da Gallimard. La prima edizione italiana, tradotta con il titolo "Pantomina per un'altra volta" venne pubblicata da Einaudi nel 1987 ed è composta di 192 pagine (escluse la postfazione di Guglielmi e la cronologia della vita e delle opere di Céline.
Il secondo volume pubblicato sempre da Einaudi nel 1988 semplicemente con il titolo "Normance" è composto di 269pagine.
Pertanto sono indotto a pensare che il tuo stupore derivi dal fatto di aver visto una edizione francese di circa 500 o più pagine nella quale sono riuniti insieme le due parti del dittico.
Saluti.
Gilberto
lo stupore derivava dal fatto che ho visto (in belgio) due corposi volumi distinti, un feerie pour une autre fois di circa 500 pagine accanto ad un normance di circa 300, perciò il conto non mi tornava - ma ho il sospetto che normance fosse una traduzione inglese. inoltre la frase
"L'ensemble des versions successives de Féerie pour une autre fois sont rassemblées dans l'édition de la " Bibliothèque de la Pléiade " : 1ère esquisse de Féerie, versions A, B (publiée partiellement sous le titre Maudits soupirs pour une autre fois) et B'." (trovata su http://louisferdinandceline.free.fr/romans/feerie/feerie.htm)
mi aveva al tempo confuso le idee e portato a pensare che il volume più corposo fosse la raccolta delle differenti versioni di feerie (I).
ad ogni modo grazie per le preziose delucidazioni sulle versioni italiane; speriamo vivamente che einaudi ripubblichi anche normance.
Tobia
ieri sono stata in libreria a comprare il libro di Poulet e mi hanno confermato l'uscita per settembre di Pantomima nell'ed. tascabili, cosa che avevo letto qualche mese fa in internet.
se penso al tempo che ho impiegato per trovarlo e alla paziente ricerca...però preferisco avere l'edizione dell'87, così come Normance dell'88, altro libro superostico da reperire.
certo che farlo uscire nei tascabili dopo tanti anni come un libretto qualunque, mah! sarà perchè sono talmente di parte che, non dico farei un battage pubblicitario, ma insomma...
saluti
ho appena finito di leggere questo libro e penso che la critica di La Porta non sia all'altezza, Raffaeli invece mi piace sempre...
Poulet è riuscito a fare un ottimo "lavoro" con questa specie d'intervista, e d'altronde quando Louis parla, dice sempre qualche cosa che val la pena di ascoltare e questo scritto secondo me merita.
LFC, un uomo libero prigioniero della sua libertà...
finirò anch'io con la frase con cui termina Poulet:" Caro Céline!!"
Buongiorno
mi associo a Johnny Doe e ai suoi commenti sempre pertinenti e ponderati. Celine non è omologabile, non fosse solo per il semplice fatto di rimestare nel torbido per scelta o per vocazione, di toccare cioè il fondo "per condurre un esperienza di vita diretta" con il pretesto poi di canzonarla, in bilico tra tragedia e sarcasmo.......gli intellettuali letterati di un tempo, quelli di oggi e di domani, non erano, non sono e non saranno cosi, in quanto incravattati dalla loro stessa cultura, romanzano, inventano....Celine è il reale, unico, perchè approcciandolo prima è imposto di adeguarsi, poi di impararare a leggerlo ed infine di comprendere.......se, nel suo caso è difficile parlare di una linea letteraria vera e propria, non si può dire altrettanto della passione umana forte e viva che anima il suo percorso esistenziale la cui trasposizione nei suoi libri accalora ed è confortante e ristoratice. Se non il più grande, di certo tra i più grandi!
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