L'opera di Céline in brevi schede bibliografiche, estratti, notizie e interviste.
venerdì 24 luglio 2009
William Seward Burroughs: dal Voyage al Pasto nudo
William Seward Burroughs: dal Voyage al Pasto nudo
di Andrea Lombardi
Recentemente è stata pubblicata un’edizione riveduta del capolavoro di Burroughs, l’ipnotico Pasto nudo, a cura di James Grauerholz e Barry Miles (W.S. Burroughs, Naked Lunch – The restored text, Grove Press, 2003). Oltre che per una appendice comprendente diversi brani non inseriti nel testo definitivo, questa edizione si segnala per numerosi interventi nel testo edito nel 1959 (Olympia) e poi ripreso nelle numerose altre edizioni e ristampe, volti a emendare errori tipografici e di stampa e – circostanza letterariamente più interessante – anche a inserire alcune ultime correzioni effettuate da Burroughs alle bozze di stampa nell’estate 1959, e non inserite nel testo definitivo dall’editore. I curatori, inoltre, segnalano di aver reintegrato nel testo l’uso dei puntini di sospensione “alla Céline”, che Burroughs apprese leggendo Viaggio al termine della notte e Morte a credito:
[…] We restored Burroughs’s use of the ellipsis, a form he borrowed from Louis-Ferdinand Céline’s Journey to the End of the Night and Death on the Installment Plan. These novels were translated into English by John Marks in 1934 and 1938, respectively, during Burroughs’s college years, and he is known to have read them. His typescripts employ a curious device of two periods – rather than one, for a full stop, or three, for an ellipsis – at the end of most sentences; we have treated these as standard ellipses.
Burroughs fa grande uso dello strumento dei puntini di sospensione nel Pasto nudo, sia per trasmettere efficacemente dalla carta l’enfasi e le pause nei dialoghi (o meglio monologhi) dei personaggi del libro, sia per rendere ancora più straniante l’ansia e la paranoia trapelante dalle sue immagini grottesche:
Tentative half impressions that dissolves in light… pockets of rotten ectoplasm swept out by an old junky coughing and spitting in the sick morning…
Old violet brown photos that curl and crack like mud in the sun: Panama City… Bill Gains putting down the paregoric con on a Chinese druggist.“I’ve got these racing dogs… pedigree greyhounds… All sick with the dysentery… tropical climate… the shits… you sabe shit? ... My Whippets Are Dying!” he screamed… His eyes lit up with blue fire… The flame went out… smell of burning metal… “Administer with an eye dropper… Wouldn’t you? … Menstral cramps… my wife… Kotex… Aged mother… Piles… raw… bleeding…” He nodded out against the counter… […]
giovedì 23 luglio 2009
Louis-Ferdinand Céline, I sotto uomini. Testi sociali
Il nostro lettore Antonio, che ringraziamo assieme a Marco Tarchi, ci ha segnalato una serie di recensioni di libri di Céline apparse su "Diorama letterario"; postiamo qui la prima:
da "Diorama letterario" n. 177, 2/1994.
da "Diorama letterario" n. 177, 2/1994.
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Louis-Ferdinand Céline, I sotto uomini. Testi sociali.
A cura di Giuseppe Lezzi, Shakespeare and Company, Roma 1993, pag. 155.
Céline, come è noto, fu anche medico. Fu il medico dei poveri di Meudon, nella cintura parigina, dove morì nel 1961 disgraziato e solo: i cani i gatti e Lucette, il cimitero vicino alla ferrovia, i parenti che tengono nascosta la notizia della morte. L’immaginetta così devotamente céliniana si può arricchire del sospetto che circolava tra i malati di Meudon, cirrosi e vene varicose, proletari alcolizzati e ignoranti, per quello strambo medico che non voleva farsi pagare, che si diceva avesse nascosto un tesoro in Danimarca. Eppure Céline si laureò, trentenne, in medicina con una tesi sulla vita e l’opera di Filippo Ignazio Semmelweis (tradotta in italiano da Adelphi nel 1975) che costituisce, nella sua produzione complessiva, un raro capolavoro. Si laureò con un omaggio all’ostetrico ungherese che scoprì, inascoltato, l’origine delle febbri puerperali derivate dal contatto delle mani impure di chi assisteva le partorienti dopo aver toccato cadaveri, e che morì pazzo di setticemia in seguito alla ferita a un dito. Morte, senza resurrezione, contagio e pazzia, ospedali e metropoli si ritroveranno poi nel repertorio dello scrittore maturo, sempre in primo piano: un’ossessione, uno stordimento. “La Medicina”, nota Guido Cernetti nella postfazione all’edizione adelphiana de Il dottor Semmelweis, “ha la sua perfetta doratura céliniana nell’assioma che apre Morte a credito: è merda. Il medico, un professionista sputtanato, un garagista, la vittima annoiata dalla connerie dei malati, che vogliono all’infinito essere toccati, ascoltati, misurati, radiografati, presi sul serio…” . Ma al Passage Choiseul, dove Céline ha trascorso la sua leggendaria infanzia tra merletti e polizze, la medicina incarna ancora la rispettabilità: “se si cerca un santo da venerare lo si elegge tra i medici”.
Céline sente nella propria carne l’orizzonte piccolo-borghese del riscatto sociale attraverso la professione (La Cittadella di Cronin), e ne prova orrore; d’altra parte sbeffeggia ferocemente il ceto dei camici bianchi, con il loro cinismo superficiale e da routine. La sua medicina è la stessa di Semmelweis: amore infinito per l’uomo; assolutamente. La medicina che ti fa vivere, anziché morire; che ti salva la ghirba, finché è possibile. Questo elevato concetto di bontà e l’umanitarsimo, che innervano l’opzione per questo tipo di medicina, saranno sempre presenti nella necessità artistica e nello stile di vita, a tutto tondo, di Céline. Il luogo comune può quindi essere perfettamente ribaltato: Céline non odia, ama.
Nel 1925 il dottor Louis-Ferdinand Destouches, funzionario medico della Società delle Nazioni, si reca negli Stati Uniti per un lungo viaggio di studio sulle realizzazioni della medicina del lavoro, osservate nella culla del massimo sviluppo capitalistico e industriale. Le relazioni di quell’esperienza, il testo di una conferenza ad essa connessa, alcune lettere e qualche articolo di giornale in materia sanitaria costituiscono i Testi sociali presentati da Giuseppe Lezzi al pubblico italiano col titolo, un po’ troppo calcato, I sotto uomini. I problemi affrontati sono quelli della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro; dell’occupazione, del salario e dell’organizzazione produttiva. Travalicano, con il loro grigiore, l’ispirazione letteraria del futuro scrittore ma ne documentano ulteriormente l’utopia umanitaria: anche un filisteo delle biografie, leggendoli a posteriori, potrebbe considerare inevitabilmente che Céline molli tutto per buttarsi come un forsennato nel Viaggio: “è andata così”.
Cominciamo dalla catena di montaggio e dalla visita alla fabbrica di automobili Ford di Detroit, che offre l’occasione per un’osservazione fondamentale: il lavoro è la migliore medicina per l’uomo malato della società industriale. Si tratta del lavoro standardizzato, quello “così semplificato, così specializzato che consiste in uno o due gesti ripetuti attorno a una macchina, un numero fisso di volte al giorno”. Si tratta del lavoro non professionale che Henry Ford (1863-1947), il pioniere della vettura privata di massa, era in gradi di dare “a tutti, o più esattamente a non importa chi”, pagando per giunta alti salari.
Il sistema Ford si basava sull’estrema razionalizzazione (taylorismo) e sulla lavorazione in serie, che avevano reso possibile una grandissima produzione con diminuzione dei costi e aumento delle paghe, senza con questo portare alla soppressione graduale della manodopera, “di cui un terzo, e in alcuni casi otto su dieci, sono buoni a nulla e possono essere sostituiti immediatamente da altre macchine, con un rendimento non uguale ma dal trenta al cinquanta per cento superiore”.
Possono essere sostituiti ma non lo sono. Di fronte a questa decisione antieconomica Céline rimane incantato, alla faccia della legge tendenziale di caduta del saggio di profitto. Effettivamente il circolo virtuoso fordiano alti salari-produzione di massa-consumi di massa si dovrebbe spezzare nel punto della razionalizzazione produttiva, che implica nell’immediato una riduzione della forza-lavoro per unità di prodotto e quindi disoccupazione, con conseguente flessione dei consumi sostenuti dai redditi di lavoro – ma tant’è. Nessuno se ne va dalla Ford, nessuno si assenta per malattia: il mantenimento dei livelli occupazionali, gli alti salari, l’inutilità di costosi tirocinii formativi si rifondono nel bozzetto céliniano dell’operaio che, pur non essendo in grado “di fornire che due piccole ore di lavoro al giorno, viene comunque in fabbrica e poi, quando è stanco, si siede o si stende in un cantuccio”. D’altra parte ci si muove “dalla mattina alla sera attorno a macchine rapide, martellanti, taglienti… in mezzo alla più grande monotonia industriale conosciuta. Monotonia rumorosa d’altronde, monotonia sovraeccitante, lo strepito è infernale in quasi tutti i reparti, non si può comunicare che all’orecchio e gridando con tutte le proprie forze”. Eppure gli operai non abbandonano il lavoro, in qualsiasi condizione di salute si trovino. Sembra quasi che ricambino l’immensa indifferenza professionale che li contraddistingue con la stessa moneta: “quello che fanno, quello che pensano, quello che succede alle persone che scortano questo macchinario a grande rendimento, non influenza molto la produzione”. […]
Francesco Bergomi
Louis-Ferdinand Céline, I sotto uomini. Testi sociali.
A cura di Giuseppe Lezzi, Shakespeare and Company, Roma 1993, pag. 155.
Céline, come è noto, fu anche medico. Fu il medico dei poveri di Meudon, nella cintura parigina, dove morì nel 1961 disgraziato e solo: i cani i gatti e Lucette, il cimitero vicino alla ferrovia, i parenti che tengono nascosta la notizia della morte. L’immaginetta così devotamente céliniana si può arricchire del sospetto che circolava tra i malati di Meudon, cirrosi e vene varicose, proletari alcolizzati e ignoranti, per quello strambo medico che non voleva farsi pagare, che si diceva avesse nascosto un tesoro in Danimarca. Eppure Céline si laureò, trentenne, in medicina con una tesi sulla vita e l’opera di Filippo Ignazio Semmelweis (tradotta in italiano da Adelphi nel 1975) che costituisce, nella sua produzione complessiva, un raro capolavoro. Si laureò con un omaggio all’ostetrico ungherese che scoprì, inascoltato, l’origine delle febbri puerperali derivate dal contatto delle mani impure di chi assisteva le partorienti dopo aver toccato cadaveri, e che morì pazzo di setticemia in seguito alla ferita a un dito. Morte, senza resurrezione, contagio e pazzia, ospedali e metropoli si ritroveranno poi nel repertorio dello scrittore maturo, sempre in primo piano: un’ossessione, uno stordimento. “La Medicina”, nota Guido Cernetti nella postfazione all’edizione adelphiana de Il dottor Semmelweis, “ha la sua perfetta doratura céliniana nell’assioma che apre Morte a credito: è merda. Il medico, un professionista sputtanato, un garagista, la vittima annoiata dalla connerie dei malati, che vogliono all’infinito essere toccati, ascoltati, misurati, radiografati, presi sul serio…” . Ma al Passage Choiseul, dove Céline ha trascorso la sua leggendaria infanzia tra merletti e polizze, la medicina incarna ancora la rispettabilità: “se si cerca un santo da venerare lo si elegge tra i medici”.
Céline sente nella propria carne l’orizzonte piccolo-borghese del riscatto sociale attraverso la professione (La Cittadella di Cronin), e ne prova orrore; d’altra parte sbeffeggia ferocemente il ceto dei camici bianchi, con il loro cinismo superficiale e da routine. La sua medicina è la stessa di Semmelweis: amore infinito per l’uomo; assolutamente. La medicina che ti fa vivere, anziché morire; che ti salva la ghirba, finché è possibile. Questo elevato concetto di bontà e l’umanitarsimo, che innervano l’opzione per questo tipo di medicina, saranno sempre presenti nella necessità artistica e nello stile di vita, a tutto tondo, di Céline. Il luogo comune può quindi essere perfettamente ribaltato: Céline non odia, ama.
Nel 1925 il dottor Louis-Ferdinand Destouches, funzionario medico della Società delle Nazioni, si reca negli Stati Uniti per un lungo viaggio di studio sulle realizzazioni della medicina del lavoro, osservate nella culla del massimo sviluppo capitalistico e industriale. Le relazioni di quell’esperienza, il testo di una conferenza ad essa connessa, alcune lettere e qualche articolo di giornale in materia sanitaria costituiscono i Testi sociali presentati da Giuseppe Lezzi al pubblico italiano col titolo, un po’ troppo calcato, I sotto uomini. I problemi affrontati sono quelli della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro; dell’occupazione, del salario e dell’organizzazione produttiva. Travalicano, con il loro grigiore, l’ispirazione letteraria del futuro scrittore ma ne documentano ulteriormente l’utopia umanitaria: anche un filisteo delle biografie, leggendoli a posteriori, potrebbe considerare inevitabilmente che Céline molli tutto per buttarsi come un forsennato nel Viaggio: “è andata così”.
Cominciamo dalla catena di montaggio e dalla visita alla fabbrica di automobili Ford di Detroit, che offre l’occasione per un’osservazione fondamentale: il lavoro è la migliore medicina per l’uomo malato della società industriale. Si tratta del lavoro standardizzato, quello “così semplificato, così specializzato che consiste in uno o due gesti ripetuti attorno a una macchina, un numero fisso di volte al giorno”. Si tratta del lavoro non professionale che Henry Ford (1863-1947), il pioniere della vettura privata di massa, era in gradi di dare “a tutti, o più esattamente a non importa chi”, pagando per giunta alti salari.
Il sistema Ford si basava sull’estrema razionalizzazione (taylorismo) e sulla lavorazione in serie, che avevano reso possibile una grandissima produzione con diminuzione dei costi e aumento delle paghe, senza con questo portare alla soppressione graduale della manodopera, “di cui un terzo, e in alcuni casi otto su dieci, sono buoni a nulla e possono essere sostituiti immediatamente da altre macchine, con un rendimento non uguale ma dal trenta al cinquanta per cento superiore”.
Possono essere sostituiti ma non lo sono. Di fronte a questa decisione antieconomica Céline rimane incantato, alla faccia della legge tendenziale di caduta del saggio di profitto. Effettivamente il circolo virtuoso fordiano alti salari-produzione di massa-consumi di massa si dovrebbe spezzare nel punto della razionalizzazione produttiva, che implica nell’immediato una riduzione della forza-lavoro per unità di prodotto e quindi disoccupazione, con conseguente flessione dei consumi sostenuti dai redditi di lavoro – ma tant’è. Nessuno se ne va dalla Ford, nessuno si assenta per malattia: il mantenimento dei livelli occupazionali, gli alti salari, l’inutilità di costosi tirocinii formativi si rifondono nel bozzetto céliniano dell’operaio che, pur non essendo in grado “di fornire che due piccole ore di lavoro al giorno, viene comunque in fabbrica e poi, quando è stanco, si siede o si stende in un cantuccio”. D’altra parte ci si muove “dalla mattina alla sera attorno a macchine rapide, martellanti, taglienti… in mezzo alla più grande monotonia industriale conosciuta. Monotonia rumorosa d’altronde, monotonia sovraeccitante, lo strepito è infernale in quasi tutti i reparti, non si può comunicare che all’orecchio e gridando con tutte le proprie forze”. Eppure gli operai non abbandonano il lavoro, in qualsiasi condizione di salute si trovino. Sembra quasi che ricambino l’immensa indifferenza professionale che li contraddistingue con la stessa moneta: “quello che fanno, quello che pensano, quello che succede alle persone che scortano questo macchinario a grande rendimento, non influenza molto la produzione”. […]
Francesco Bergomi
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Sull'America e gli americani, sul fordismo e capitalismo, cogliamo l'occasione per segnalare La mia scoperta dell'America, di Vladimir Majakovskij.
martedì 21 luglio 2009
Di nuovo su Qlibri e 20.000 visite superate!
Ringraziamo la redazione del portale Qlibri per averci nuovamente segnalato nella loro Homepage...
Qlibri consiglia
Questa settimana QLibri ti consiglia di visitare il blog italiano dedicato a Louis Ferdinand Céline. Il sito, aggiornato con frequenza, risulta imperdibile per chi ama il grande autore francese.
... e Gilberto e io ringraziamo particolarmente tutti i nostri amici e lettori céliniani che ci hanno portato ad oltre 20.000 visite!
Vi incoraggiamo a contattarci per darci suggerimenti, siamo qui per voi!
Le sette vite di Louis-Ferdinand Céline - Le Magazine des Livres
LE SETTE VITE DI LOUIS-FERDINAND CÉLINE
di Gilberto Tura
Il mensile letterario francese "Le Magazine des Livres" dedica, nel numero estivo di luglio-agosto, la copertina e due articoli a Louis-Ferdinand Céline.
Il primo articolo è firmato da quel David Alliot che negli ultimi anni ha arricchito la bibliografia céliniana con la pubblicazione di numerosi volumi (nei quali vengono resi noti documenti finora inediti), tra cui meritano una citazione "Céline a Meudon", "Céline au Danemark" e "L'affaire Louis-Ferdinand Céline - Les archives de l'ambassade de France à Copenhague 1945 - 1951". L'articolo s'intitola "Le sette vite di Louis-Ferdinand Céline", perchè, spiega Alliot, sono sette le vite che Céline ha dovuto vivere per completare il suo lungo viaggio al termine della notte. Nel prologo al lungo articolo che ricostruisce, appunto, in sette capitoli la biografia del medico-scrittore, Alliot afferma che mentre l'opera di Céline è relativamente conosciuta dalla maggioranza dei lettori, non altrettanto lo è la vita, tanto da venire superficialmente liquidato ed etichettato con epiteti prefabbricati, spesso privi di alcun fondamento o comunque lontani dal delinearne i tratti più autentici della complessa personalità. Inoltre ricorda come nell'ultima decade Céline sia diventato lo scrittore francese più letto e più studiato nelle università; non passa mese senza che un libro su Céline approdi sugli scaffali delle librerie francesi.
Il secondo articolo è un'intervista al célinista Philippe Sollers, il quale nota come la conoscenza dell'opera céliniana si fermi quasi sempre al periodo d'anteguerra, tanto che capolavori assoluti come Féerie pour une autre fois, D'une château l'autre, Nord e Rigodon siano ingiustamente misconosciuti e quasi dimenticati. L'articolo s'intitola "Rileggere Céline" e tra una domanda sull'antisemitismo, sulla nuova edizione delle lettere ad Albert Paraz nella collana Les Cahiers de la NRF, se Cèline sia da considerare uno scrittore visionario, all'ultima domanda se Céline debba essere, appunto, riletto in una nuova prospettiva, Sollers conclude che "É dunque giunto il momento di rileggere Céline da cima a fondo". Non possiamo che concordare.
domenica 19 luglio 2009
Il rompicapo di Saul Bellow
IL ROMPICAPO DI SAUL BELLOW
di Gilberto Tura
É da poco uscito, edito da Il Saggiatore, il libro-intervista dal titolo "SAUL BELLOW: «PRIMA DI ANDARSENE»" che lo scrittore romeno Norman Manea, esiliato negli Stati Uniti nel 1986, ricavò da due conversazioni avute con lo scrittore statunitense (premio Nobel 1976) Saul Bellow nel dicembre del 1999. Tra le tante domande rivolte a Bellow che riguardano la sua biografia, i suoi romanzi, la letteratura e i grandi scrittori non poteva mancarne una su Céline.
NM Una volta hai detto che nel primo periodo, a Parigi, dopo la guerra, parlavi di Céline e di Sartre allo stesso modo - che leggendoli sentivi il bisogno di uccidere. Uccidere, uccidere, uccidere. Tutti e due. Secondo te sono paragonabili?
SB Be', Céline è un rompicapo incredibile, lo sai anche tu, per tutti i romanzieri. É uno scrittore magnifico, ma da un punto di vista umano è insopportabile. Tu dici che questo è nichilismo. Si, ma non solo. Non è solo nichilismo. Per Céline, prendere sugli ebrei la posizione che ha assunto lui durante l'Olocausto e dopo... scherzava. Era un assurdo. Non può averlo pensato sul serio, perchè allora dove avrebbe trovato la raffinatezza di spirito con cui scriveva quei romanzi straordinari? É stato un rompicapo sgradevole per tutti noi e non ho mai capito perchè così tanti ebrei in buona fede si siano uniti alle schiere dei suoi sostenitori. Io andavo ogni volta su tutte le furie - «Ma no, no, no, è stato un grande artista e quindi gli va perdonato tutto...». Be', ho sentito usare questa scusa nel caso di Wagner finchè non mi è uscita dalle orecchie, e non ero disposto a sentirla più. Nei confronti di Sartre, naturalmente, provavo un'esasperazione di tipo diverso.
martedì 14 luglio 2009
Louis-Ferdinand Céline, Elio Germano e Teho Teardo a Torino
Torino Spiritualità si terrà dal 23 al 27 settembre 2009 e avrà come tema il Dis-inganno. Tra gli ospiti Vittorino Andreoli, Ermanno Bencivenga, Enzo Bianchi, Pier Cesare Bori, Monika Bulaj, Virginio Colmegna, Giampiero Comolli, Duccio Demetrio, Iona Heath, Carla Gianotti, George Lakoff, Luciano Mazzocchi, Vittorio Messori, Salvatore Natoli, Michelangelo Pistoletto, Elena Pulcini, Giuseppe Ruggieri, Marco Vannini, Gianni Vattimo, Lech Walesa. "Viaggio al termine della notte" sarà un reading dedicato a Louis-Ferdinand Céline letto da Elio Germano con musiche originali di Teho Teardo, compositore di musiche da film; si annuncia una "combinazione di archi, chitarra ed elettronica, in una fusione di sonorità cameristiche orientate a un futuro tecnologico".
domenica 12 luglio 2009
James Agee e Céline
Negli anni della grande depressione due uomini si aggirano speduti nelle campagne dell'America povera, quella dei White trash: James Agee, giornalista e romanziere, e Walker Evans, fotografo. L'inquietudine di Agee e l'occhio meccanico di Evans daranno vita al libro Sia lode ora a uomini di fama, una delle testimonianze più sofferte e autentiche sugli anni '30 del 900 in America.
Nel capitolo Persone e Luoghi, Agee indica, tra gli altri:
William Blake
Louis-Ferdinand Céline
Gesù Cristo
come "agitatori non pagati".
Un fitting tribute al grande francese, omaggio profetico e in antitesi al meschino "perchè pagato" di Sartre.
Foto di Walker Evans, da Let us now praise famous men.
giovedì 9 luglio 2009
domenica 5 luglio 2009
Quel rissoso, irascibile, carissimo Louis-Ferdinand Céline: Saverio Paleni e Bagatelle per un massacro
Bagatelle per un massacro è, come sappiamo, uno dei testi più controversi di Céline; non mancando mai di suscitare polemiche e reazioni. Il "navigatore di lungo corso" Saverio ci ha inviato una interessante riflessione su Bagatelle, che pubblichiamo con piacere:
Quel rissoso, irascibile, carissimo Louis-Ferdinand Céline
di Saverio Paleni
Personalmente penso che “Bagatelle…” contenga il meglio e il peggio di Céline, essendo questo rappresentato dal rabbioso antisemitismo… Diciamo la verità: la predica antisemita è per la più parte noiosa e prevedibile, lo stile di Céline è latitante, tocca invece sorbirci un pistolotto involontariamente comico, quasi si stesse leggendo un qualsiasi numero della “Torre di Guardia”, lasciato nelle nostre mani da un prolisso e indisponente Testimone di Geova… L’acerrimo spleen céliniano, in grado di desertificare ogni rigogliosa landa nel raggio di dieci chilometri… di essiccare all’istante ogni ingenuo, tenero virgulto di speranza… di annichilire ogni eventuale, residua rosea, ottimistica visione del futuro…
l’invenzione continua… l’imprevedibilità di ogni nuova riga… in breve: la corsa in ottovolante emozionale è in pausa, l’Acre Stil Novo sonnecchia…
La terribile, furibonda, intollerante, intollerabile sferza céliniana si abbatte sugli Ebrei, in modi del tutto simili a quelli che un idiota come Julius Streicher utilizzava su “Der Stürmer”… questo, secondo me, rappresenta la zoppìa del Colosso, il tallone d’Achille che espone il Nostro agli attacchi di un Sartre qualsiasi, felice, quasi incredulo di potersi sbarazzare di un concorrente imbattibile…
Bisogna peraltro notare che l’antisemitismo è uno di tanti temi trattati in “Bagatelle…”, è perciò solo una frazione di queste e una frazione minima della totalità dell’opera di Céline; si tratta di un incidente di percorso, un’ossessione durata qualche anno che gli ha portato rovina, persecuzione, quasi-morte.
In un infernale contrappasso dantesco, all’indomani dello sbarco in Normandia, al Nostro tocca provare, a sua volta, la non simpatica sensazione di esser diventato un untermensch in casa propria, tocca a lui, adesso, fungere da capro espiatorio… quando i massacratori di Pellerossa giudicheranno in modo sommario i massacratori di Ebrei… Brasillach, catturato con l’inganno, verrà fucilato, Drieu La Rochelle corona il sogno di una vita intera suicidandosi; più modestamente il Nostro muove verso la Germania, con adeguato seguito di una unterfrau e di un unterkatze… In seguito la feroce detenzione in Danimarca gli farà provare un trattamento non molto diverso da quello di un deportato ebreo in un lager…
Ma la gran parte di “Bagatelle…” è straordinaria nel portare a compimento il sincopato céliniano. Il ritmo incalzante dell’emozione originaria, senza mediazioni, viene portato sulla pagina, il coinvolgimento è totale, la nuda realtà è resa nitidamente, senza additivi, edulcoranti, eufemismi… lo stesso Céline non ha nessuna difficoltà a degradare sé stesso e la figura, l’importanza, l’ascendente dello Scrittore, raffigurandosi senza remore come uno
sfigato qualsiasi, a volte come un vero stronzo… Céline non impartisce nessuna lezione… non offre facili vie d’uscita dall’orrido impasse del mondo moderno… non consola, non lenisce il sostanziale fallimento, l’insufficienza della condizione umana sul pianeta terrestre… non offre un ideale per vivere… non crede, per conoscenza diretta e per averli a lungo frequentati, all’imminente riscatto degli umiliati, degli oppressi e degli sfruttati… Eppure con l’esempio delle sofferenze patite… con l’attaccamento profondo, animalesco alla vita… con la volontà di scrivere sempre e comunque… la sovrumana determinazione a non lasciar ridurre al silenzio la sua voce… con l’opporre all’aguzzino le sue risorse di base e cioè la tempra d’acciaio del corazziere Destouches, eroe decorato della Prima Guerra Mondiale e l’impressionante macchina d’acciaio che gira di continuo nel suo cervello e che sforna idee, parole e frasi a getto continuo… con tutto questo Céline diventa paradossalmente un punto di riferimento positivo e una rocciosa fonte di ispirazione per il lettore accorto… che può apprezzare la vita così com’è, qui ed ora, provando comunque a fare meglio che può, riconoscendo il significato invisibile che si condensa nella somma di tante piccole azioni quotidiane, ben fatte, ma che sembrano inutili, prive di significato in sé, nel loro succedersi… “Bagatelle…” rappresenta un banco di prova per l’ardito lettore, che deve (dovrebbe) andare oltre i fuochi d’artificio degli aspetti porno, gore e osceni, oltre il turpiloquio, l’insulto, la volgarità per interrogarsi su tolleranza, moralismo, educazione, ipocrisia, buonismo, politicamente corretto, razzismo, antisemitismo; affrontare onestamente, analizzare, provare a capire l’aggressione céliniana, può portare ad una più profonda conoscenza di sé, in pratica a fare un passo avanti nel trovare sé stessi, unico sensato obiettivo che Céline indicava come raggiungibile “tra la morte e l’esistenza”… In pratica i potenziali benefici superano di gran lunga quelli ottenibili da un ciclo di psicoanalisi della durata di cinque anni…
Io trovo eccezionali i tre balletti, che non vanno secondo me snobbati come divertissement poco importanti: Céline abbandona la narrazione in prima persona, si astrae dalle cure della vita di tutti i giorni, dall’urticante complicazione del mondo reale, dal tormentante fastidio estetico del mondo esterno, e descrive in modo più rilassato e affettuoso tre frammenti del mondo che sta nella sua testa: un mondo semplificato e migliore, il mondo in cui gli sarebbe stato più lieve vivere. Non si tratta comunque di stupido idillio: la vecchia Karalik, il Fulmicoach, Van Bagaden sono messi lì a ricordarci che anche in questi luoghi, sullo sfondo, si agitano i demoni céliniani, ma non sono preponderanti, non così opprimenti: piccoli disturbi, malumori che svaniscono con un’alzata di spalle…
La brutale onestà, al limite dell’autolesionismo, è uno dei motivi della grandezza del Colosso: ha scritto l’inscrivibile, detto l’indicibile, ampliato di cinque volte la gamma espressiva della lingua scritta, includendo tutte le cose che normalmente si tacciono o si ignorano: il momento della bestemmia, dell’incazzatura feroce, dell’invettiva-con-schiumaalla-bocca, capita a tutti, si tratta solo di essere abbastanza adulti da ammetterlo… Eppure nella pagina scritta si tende a evirare, sterilizzare, neutralizzare tutto per giungere a un risultato come “l’indomani erano entrambi invitati al ricevimento della duchessa”…
Céline dà fuori di matto, cerca di scuotere l’inerzia, prova a introdurre qualche elemento di verità nella rivoltante melassa che costituisce il 98% della lingua scritta, assumendo così la preziosa e ormai scomparsa funzione di giullare di corte… egli è l’unico che può dire la verità al Re, gli ricorda che l’uomo di potere è tale perché assomma in sé le frazioni di potere che i suoi sottoposti rinunciano ad esercitare… Per questo privilegio il giullare vive ai margini dalla società, verrà sepolto in terreno sconsacrato, al di fuori della cinta muraria…
Nella foto riprodotta nella quarta di copertina del “Viaggio al temine della notte” Céline appare alla fine del viaggio, una figura ancora potente, stoica… duramente colpito dalla vita ma presente e lucido, non ancora sconfitto… in una posa che sembra ideata per un monumento che non verrà mai eretto… sembra un veggente che indica sicuro il corso futuro delle cose del mondo, per lui chiare, evidenti… una preziosa risorsa per gli uomini, se solo qualcuno volesse ascoltarlo…
Céline è un moderno Ulisse, ha viaggiato in tutto il mondo… ha conosciuto tutti, visto tutto, ascoltato tutto, annusato tutto, provato tutto… per concludere che nulla in fondo importa, per inchiodarsi con la sua piccola cerchia ai margini di Parigi, ai margini della Letteratura, ai margini dell’esistenza…
Da:
“È cominciata così. Io, avevo mai detto niente. Niente.”
A:
“Reims… Èpernay… di quelle profondità spumose che più niente esiste…”
Da un “niente” iniziale ad un “niente” terminale ha realizzato la sua Terrena Commedia, un’opera monumentale di fatto ma non pomposa né solenne né alla moda, che lo colloca nella classe di un Alighieri o di uno Shakespeare…
“Bastano in fondo queste tre parole che si ripetono: il tempo passa… bastano per tutto… Nulla sfugge al tempo… solo piccoli echi… sempre più sordi… sempre più rari… Che importanza hanno?…
(…)
E poi ecco…
Piano piano, diventeranno tutti fantasmi… e tutti… e tutti… e Yubelblat e Borokrom… e la Nonna… e Natalia, proprio come Elisabetta… l’altra Imperatrice…
(…)
come le mie scarpe al Mont-Boron… Tutto diventerà fantasma… huhu!… huhuhu!… Li si vedrà sulle lande… E sarà meglio per loro… Saranno più felici, molto più felici, nel vento… nelle pieghe dell’ombra… vhuhuhu… vhuhuhu… ballando in tondo… Non voglio più andare in nessun posto… Le navi sono piene di fantasmi… verso l’Irlanda… o verso la Russia… Diffido dei fantasmi… Sono dappertutto… Non voglio più viaggiare… è troppo pericoloso… Voglio restare qui per vedere… vedere tutto… Voglio diventare fantasma qui, nel mio bu-co… nella mia tana… A tutti loro farò… Uh! bu!… Uh!… bu!… Creperanno di paura… Mi hanno rotto abbastanza quand’ero vivo… Sarà il mio turno…”
Alla fine, quello che rimane… il potere delle parole, probabilmente insuperate… Dopo settantadue anni… emozione, meraviglia, commozione… lustre, nuove, fresche di giornata…
Louis-Ferdinand Céline, beato-dannato, AltoParlante, Macchina Per Scrivere, non è esistito invano…
giovedì 2 luglio 2009
Ferruccio Nobile e Céline (C'est Line)
L'artista Ferruccio Nobile, che ringraziamo tantissimo, ha disegnato "in esclusiva" per il nostro Blog questo splendido Louis-Ferdinand Céline!
Ferruccio Nobile, nato a Ragusa nel 1967 ha studiato Costume e scenografia all'Istituto Europeo di design diplomandosi nel 1990 con il massimo dei voti. Ha studiato pittura con il Maestro Pasquale Verrusio e ha lavorato come costumista per Opere liriche e Balletti in Svizzera e Germania al Grand Théatre de Genève, Theater Basel, Stadttheater Remscheid e altri. Ha lavorato con registi come Rui Horta, Christophe Feutrier, Andre' De La Roche, e altri. Nel 1997, dopo un viaggio in Nuova Zelanda, comincia a dipingere sui corpi elaborando i temi della cultura Maori utilizzando colori e tecniche miste e a fotografarli in studio.
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