Nel 1955 un insoddisfatto e borbottante Louis-Ferdinand Céline, dopo il deludente risultato del suo “Normance” arriva all’unica considerazione possibile. Il fiasco del suo ritorno sulle scene letterarie non è dovuto alla fama nefasta che si è fatto dopo il collaborazionismo, né alla cupola ideologica prevenuta contro l’opera di questo domenicano nichilista. È colpa del suo editore pavido e avaro, che incapace di difenderlo lo ha buttato nella fossa leonina dell’oblio e dell’odio della critica. Ma Gaston Gallimard non solo non lo aveva difeso contro i suoi avversari, ma mentre, autori “da compitino” come Mauriac e Gide hanno fiorfiore di testi critici, di monografie e studi fatti da pedanti e lacchè, con i loro Goncourt sul comodino, lui un genio in un mondo dove sono immortali anche i venditori di aspirine, langue indifeso e incompreso. Alla luce di queste considerazioni più o meno deliranti, Céline decide di scrivere i “Colloqui con il professor Y” (QUODLIBET). I colloqui si presentano come una bizzarra e tragicomica intervista autogestita in cui l’autore del Voyage viene intervistato dal sedicente colonnello professor Y. Un fantozziano mestierante delle lettere che si è avvicinato all’artigiano delle parole solo per compiacere l’editore Gallimard per poi proporgli un suo romanzetto. Un personaggio inventato da Céline, che riassume tutti i limiti del mondo editoriale. Pavido, scontato, banale, ombra di personaggi vacui come Bourget e Gide, col suo stile impersonale e insignificante è il ritratto di una letteratura sterile e incapace. Una letteratura di compitini, di filosofie, di buone idee, di buoni pensieri. Un personaggio che non regge il confronto con il rivoltoso Dottor Destouches, che prende subito le redini dell’intervista, schernendo ed umiliando il professore(finzione letteraria dell’autore stesso), utilizzandolo come una grande occasione per autorecensirsi. Per spiegarsi per mostrare i sintomi delle sue rivoluzioni letterarie, per far capire ai posteri e ai contemporanei le ragioni del suo stile, delle sue rivolte. Attraverso dialoghi tragicomici, ma serissimi, lundiniani nei suoi grotteschi silenzi, scontrandosi contro il cinema, la letteratura impegnata, i premi, l’editoria. Mostrandosi come uno dei più grandi innovatori stilistici del novecento, grazie all’argot e ai suoi famigerati tre puntini. Céline innanzitutto si presenta come un modesto inventore di due rivoluzioni letterarie epocali. Rivoluzioni che in modi diversi vogliono restituire la naturalezza della parola, che da Stendhal in poi era rimasta orfana, e l’emozione della lingua scritta. Restituendo alla parola una emozione che sta nella voce, nel suono, nel senso della frase, l’emozione del linguaggio parlante nello scritto. Una petite musique che si esprime attraverso l’uso dell’argot, il gergo parigino dei bassi fondi, degradato e iperattivo, espressionista e macabro, e attraverso la seconda rivoluzione dei tre puntini. In cui la punteggiatura e la frase vengono saccheggiati e divorati da essi, i quali rappresentano i binari emotivi su cui viene condotta l’anima (o le viscere) del lettore. Uno stile che nasce nel metrò, nella vivacità anarchica e folle, degradata e volgare della parola viva, l’unica concreta, vera, emozionante. Tramite uno stile che dopo la nascita del cinema, e la degradazione della letteratura in sceneggiatura o peggio giornalismo, crea la sfida contro di essa. Con i suoi tre puntini Céline crea uno stile che sta al cinema come l’impressionismo sta alla fotografia. Di fronte ad una tecnica che rende obsoleta l’arte, lo stile di Céline si prende la sua rivincita contro il cinema facendo parlare una lingua così vivida e concreta, crudele e tattile che nessuna immagine e piano sequenza possono ostacolare. Captando le onde emotive che né i maggiori registi né lo stream of consciousness possono raggiungere. Prendendosi una rivincita contro l’arte contemporanea, la cupola impegnata, il cinema hollywoodiano. Mostrando tutti i rumori che si nascondono nell'uomo, tutte le viscere e gli umori di questo cadavere in animazione sospesa. Facendo suonare quella piccola musica che dal ponte di Londra a Rigodon, iniziata con il Voyage e i pamphlet non solo non ha smesso di ammaliare il lettore, ma non lo ha ancora liberato dal suo sortilegio di parole vive che Un’eternità di silenzio non basterà a consolarli!..
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