Siamo felici di postare questo estratto della tesi di laurea di Giulia Grementieri, intitolata "Scrittura e oralità nell'opera di L.-F- Céline" e la ringraziamo per le belle parole sul nostro blog riportate nel secondo paragrafo postato.
2.2
Tecnica e stile di Céline
Personalità eccentrica e
fortemente contraddittoria Louis-Ferdinand Céline, come abbiamo visto non nasce
con l’intenzione di fare lo scrittore: infatti non ha radici dalla letteratura
ma ha una formazione in ambito medico. Céline è stato il primo scrittore nel
Novecento a introdurre nella lingua scritta il sentimento, l’emozione della
lingua parlata e l’autenticità. Lo stile letterario di Louis-Ferdinand Céline è
spesso definito, e a lui va il merito, per aver rappresentato una «rivoluzione
letteraria»[1].
Egli ha inventato un modo
nuovo di scrivere, un linguaggio riconoscibile e ha spaziato in ogni campo,
dalla letteratura alla musica.
Louis-Ferdinand Céline
appartiene a una serie letteraria che comincia con scrittori come Ernest
Hemingway, con un abbandono totale del racconto psicologico, e si avvicina a
letterati come James Joyce e Samuel Beckett. Spesso, però, il nome di Céline è
accostato ad un altro grandissimo scrittore come Marcel Proust. Proust e Céline,
entrambi bretoni, sono stati, riconosciuti, infatti, come i più grandi
romanzieri francesi del Novecento attraverso l’originalità della loro
scrittura, per il loro stile inconfondibile.
Come fa notare Vitoux, i
loro romanzi sono molto dissimili e i due autori si presentano distanti «à des
années-lumière l’un de l’autre»[2] .
Come nota Jean
Bloch-Michel: «les lecteurs de Céline ne sont pas ceux que cette œuvre touche
parce qu’il s’y trouvent à leur aise, dans un language qui est leur», ma
«plutôt ceux qui sont sensibiles à des qualités esthétiques extrêmement
raffinées qu’ils découvrent dans cette œuvre»: insomma, essi «apparteinnent à
la même famille que les lecteurs de Proust ou de Dostoïevsky: ce sont
simplement des gens qui aiment la littérature, non des gens à qui Céline a
ouvert l’accès a la littérature»[3].
Dal punto di vista
stilistico Céline ha compiuto l’impossibile miracolo di introdurre il “parlato”
nella scrittura e ha creato una forma letteraria e una rivoluzione stilistica
senza precedenti che verrà omaggiata e riprodotta da molti scrittori successivi come Charles
Bukowski ed Henry Miller. Bukowski in confronto a Céline risulta meno
graffiante e più di facile lettura, la sintassi
è meno strutturata e decisamente vicina alla “cattiva scrittura” di cui
Céline faceva uso e di cui lo scrittore americano era grande estimatore
infatti, nei suoi libri cita lo scrittore francese più volte, a partire da Shakespeare non l’ha mai fatto, fino al
suo ultimo romanzo Pulp. Una storia del
XX secolo, verso il quale si dichiara debitore[4].
Ha dichiarato Céline
stesso:
[...] La cosa che mi
interessa più di tutto è scrivere, dire tutto quello che ho da dire, con
passione; non potrei fare altrimenti. Ci ho messo gli anni a mettere giù
Viaggio al termine della notte. Ma ce ne vorranno forse cinque di anni per
scrivere il libro che ho cominciato. Voglio che sia come una cattedrale gotica.
Ci saranno buoni e cattivi, assassini, massoni, come viene in principio, finché
tutto prenderà ordine, se ne avrò la forza, come in una cattedrale. [...] Il
mio stile? Se lo abbasso al livello famigliare e volgare, è perché è così che
lo voglio[5].
Gli idiomi creati da
Céline non esistono, un aspetto importante dello stile celiniano è dato
dall’importanza dei neologismi, parole che l’autore inventa.
Nel tono, nel linguaggio,
nei luoghi descritti e nelle atmosfere sociali si comprende lo squallore
dell’esistenza umana, del suo degrado. La narrazione si fa grido e ritmo,
sostenuto da un linguaggio fatto di un argot
popolare. I personaggi vivono in un’immobilità stagnante, fatale, ineluttabile,
per cui tutto procede senza che si possa intervenire. Il suo stile è
anticonformista, si basa sul linguaggio parlato, e conferisce autenticità alle
emozioni descritte[6].
Lo stile di Céline, scrive
Lanuzza, si compone di una dialettica che erompe nella sua scrittura, si
riversa in un vero e proprio caos: fluido, magmatico e fluttuante. Uno scorrere
che nell’argot tipico-delirante dello
scrittore trova il suo miglior linguaggio espressivo-comunicativo. Una
scrittura e uno stile letteralmente sovversivo e innovativo. Dal taglio
originale, come se fosse un inarrestabile Joyciano flusso di coscienza, che
scompiglia la scrittura simbolica nell’ordine del discorso. Anche la sintassi
viene messa a soqquadro:
Tre puntini di sospensione
e punto esclamativo. Frasi con intonazioni sospensive […] e frasi con
intonazioni esclamative: un po’ in tutte le narrazioni […] Céline, manieristico
imitatore di sé stesso, le adopera per dare alla frase un ritmo sincopato,
attuare una scansione musicale delle proposizioni e inventarsi una logica
enunciativa ellittica e senza subordinate. […] Stile esclamativo”! di Céline:
d’un autore che non interroga ma dà risposte. Sempre perentorie[7].
Un argot come gesto e grido che insiste sul significato risonante,
prosegue Lanuzza:
una specie di instancabile
passo semantico, di orgiastico spasimo metrico ritmante l’insofferenza e, ancor
più, l’esacrazione […] Scrittura non sequenziale, quella di Céline: leggibile
per impressioni ed emozioni liberamente collegate. […] In sovrappiù […] c’è
l’aggiunta del tema dell’odio: odio per la lingua del potere, odio di chi
scrive in nome della volontà di potenza della parola contro la storia della
società[8].
Alberto Albasino, che
incontrò, a Meudon, Céline descrisse la sua esperienza e tratteggiò Céline come
un medico dedito ai suoi pazienti e uno scrittore scrupolosissimo, sempre alla
ricerca del modo di rendere l’emozione nello scritto, tanto da etichettare lo
scrittore con l’ appellativo di “stilista”. Lui in un intervista usa a dare
questa spiegazione: «Perché io sono uno stilista, solo questo. [...] Mi importa
soltanto lo stile [...]. Ma a me interessa solo il punto di vista emotivo: solo
questo appare nel libro»[9].
Nel suo saggio Poétique de Céline Henri Godard sottolinea
che, nonostante la plurivocità dell’autore, la sua voce rimane «unica» e
rappresenta la forza dell’opera:
Essa [la voce] si è
imposta di primo acchito, poi riaffermata di libro in libro: è essa che
ritroviamo, identica a se stessa, interamente presente e impossibile da
confondere, in qualunque pagina dei suoi romanzi. La plurivocità che essa
coltiva non è che uno dei suoi caratteri, i suoi accenti sono dipendenti da
essa. Al di là dei suoi effetti, per quanto ricchi e sottili siano, c’è una
maniera, diversa da tutte le altre e consustanziale all’opera, di scrivere il
francese, ed è prima di tutto a questa maniera che diamo il nome di Céline[10].
Secondo Alexander Styhre
l’uso sperimentale dei puntini di sospensione come dispositivo letterario nella
scrittura di Céline porta alla pura innovazione, sorprendentemente poco curata
dalla letteratura, e alla capacità d’innovare allo stesso modo con i segni grafici del trattino o la virgola[11].
L’eccellenza del
linguaggio celiniano, inarrivabile per qualsiasi altro scrittore e,
contrariamente a quanto immaginabile frutto di un pazientissimo, ed
accuratissimo lavoro, di come una data frase può essere scritta per suscitare
la giusta emozione, come per le pagine dei manoscritti di uno dei libri, da
molti considerati come minori, della Trilogia
del Nord, Céline, scriveva decine e decine di migliaia di pagine. Come
afferma Badellino nella terza parte del suo scritto:
La cosa che più mi
colpisce, aprendo un libro di Céline […] è certamente il linguaggio. Un brano
tipo di Céline è pieno zeppo di “allucinazioni, deliri, controsensi”, il tutto
imbastito nel suo linguaggio funambolesco che ha tanto del soliloquio del
demente. […] Ogni pagina, lontana dall’essere scritta di getto come sembra, è
frutto di molteplici riscritture e di un pazientissimo lavoro di lima[12].
E spiega: «Céline, con la
sua “Petit Musique”, come egli stesso ebbe a chiamarla, creò uno stile che
raggiunge il nucleo incandescente dell’emozione originaria»[13].
La sua lingua affronta
diversi periodi raggiunge l’apice sperimentalista negli anni ’50 con Guignol’s band (1944) e La Trilogia del Nord dove la scrittura si
presenta in maniera stranissima: piena di puntini di sospensione e piena di
punti esclamativi come a replicare le pause e l’incisività nel discorso parlato.
Il parlato si presenta molto esasperato, la lingua appare disarticolata, i
personaggi balbettano e bofonchiano. Riguardo al primo, a parere di Celati le
pagine di questo libro sarebbero:
pura musica di parole, che
a me sembrano il più audace tentativo mai fatto per narrare uno stile musicale:
per sfuggire quel genere di divagazione sospesa e senza oggetto che solo la
musica può compiere[14].
In un intervento del 1980,
dopo aver manifestato la propria attrazione per le parole celiniane così
asfissianti e distruttive ma vibranti di un ritmo senza pari, Celati parla di
scrittura jazzisticamente orientata che faccia finta con «le frasi a
braccio-di-morto-che-cade»[15],
poiché «scrivere jazz si potrebbe a svelti passaggi, piccoli silenzi, e
variazioni d’improvviso che portan via»[16],
Gianni Celati invita a leggere a voce alta
Guignol’s Band; che egli stava allora traducendo per Einaudi,
interpretandone l’anima musicale e focalizzando: «I toni bassi. E i piccoli
silenzi, le riprese, le note stridule, le scale con variazioni al momento
giusto. La voce-strumento e la penna-sax»[17].
Convinto che l’emozione possa essere catturata solo attraverso il linguaggio
parlato, Céline impegna la propria scrittura in questo trasferimento dal
parlato allo scritto assumendo la qualità logica e grammaticale del discorso
alle urgenze dell’enunciazione. Il parlato si propone proprio come il parlato
reale che trasmette emozioni, la lingua
è come destrutturata e dà l’impressione che lo scrittore voglia procedere
solamente per suoni come a richiamare un recupero del primordiale che rompa con
il formale. Secondo Julia Kristeva in Guignol’s
Band sarebbe proprio la scrittura céliniana a produrre la strategia
musicale – che utilizza prevalentemente i processi della segmentazione e
dell’ellissi sintattica: «Céline musicista si rivela uno specialista della
lingua parlata, un grammatico che concilia mirabilmente la melodia e la logica»[18].
Céline rifiuta in realtà
di dare un centro a ogni unità del racconto. Introduce differenti novità
lessicali, come vocaboli che non hanno equivalente in italiano e nelle altre
lingue, un ritmo originale. Céline, come nella sua personalità, è uno scrittore
contradditorio; il suo stile mescola il linguaggio orale al linguaggio scritto
ed è facilmente identificabile e riconoscibile. La sua scrittura è chiaramente
dominata dalla violenza, le frasi sono brevi spesso esclamative. La ripetizione
di uno stesso gesto o di una stessa parola genera una particolare ritmicità. Il
suo linguaggio si compone di neologismi, onomatopee e di vocaboli che imitano i
suoni della quotidianità. Céline ha uno stile particolare nei suoi romanzi,
tale ritmo distintivo domanda al suo autore un riguardo del tutto particolare.
2.3
Le comunità céliniane
In Italia c’è sempre stato
un occhio di riguardo verso Louis-Ferdinand Céline, in particolare nell’ultimo
periodo, e anche in occasione del cinquantesimo anniversario della morte
avvenuta nel 1961. Nei decenni successivi alla sua morte e con la rivisitazione
storica e la rivalutazione commerciale sono aumentati i lettori di questo
grande scrittore.
Alcuni di questi, tra i
più “fedeli” hanno contribuito alla diffusione biografica e letteraria di
Céline, tantissimi gli ammiratori e le comunità che si sono create negli anni
nelle quali è vivo non solo il ricordo letterario dell’opera, ma anche il
dibattito e il confronto tra i suoi “seguaci”. Una di queste grandi comunità è
per esempio quella creata da Andrea Lombardi e Gilberto Tura, uno dei primi
blog italiani animato da post e notizie, testimonianze, interviste ed estratti,
anche rari, della vita e dell’opera dello scrittore[19].
Particolarmente visitato è anche lo spazio, all’interno del blog, dedicato alle
iniziative presenti e future quali conferenze, convegni, recensioni dove il
tema centrale è sempre il percorso letterario di Céline. Attualmente in Italia
sono stimati in circa migliaia lettori dell’opera céliniana, e questo fenomeno
risulta ancor più presente, diffuso e amplificato in Francia dove tra i
principali siti dedicati allo scrittore segnalo i più noti: LE PETIT CÉLINIEN sito di attualità
celiniana[20], Société d’études céliniennes[21],
l’ottimo L’ombre de Louis-Ferdinand
Céline, “Réflexions, commentaires et
critiques sur l’écriture, la vie et
l’esprit de Céline” di Pierre Lalanne[22], Céline en phrases, sito diretto da
Michel Molus[23], e la bibliografia degli
scritti dello scrittore di Jean-Pierre Dauphin e Pascal Fouché[24].
È interessante analizzare
come l’influenza letteraria di Céline si sia consolidata dopo la sua morte.
Anche la critica si è esposta sempre di più con giudizi positivi riuscendo a
ridurre al minimo l’influenza negativa avuta dal pensiero politico dello
scrittore e difficilmente accettato soprattutto nel periodo post-bellico. Non
solo la letteratura ma anche il ruolo della censura è stato completamente
rimesso in discussione, scardinato dal coraggio e dalla violenza lirica del
fluire delle pagine celiniane così come Céline pochi altri hanno avuto questo
ruolo di frantumazione con un certo tipo di critica moralistica: tra questi si
può certamente ricordare Henry Miller. Tra gli aspetti meno noti, ci sono poi
alcune curiosità di comunità esterne a quelle letterarie che traggono tuttavia
ispirazione dal pensiero dello scrittore: tra questi l’infinita comunità degli
animalisti di tutto il mondo che riconoscono a Céline di essere stato un
precursore nella lotta alla difesa dei diritti agli animali, la presenza di
questi ultimi non solo è riscontrabile nelle pagine dei suoi scritti ma una
costante della sua vita. In particolare il gatto, animale che Céline adorava e
con il quale aveva un rapporto quasi spirituale, è facile quindi trovare il
volto emaciato di Louis-Ferdinand accanto a uno slogan per i diritti degli
animali.
[1]
Jean–Yves Guérin et Agnès Spiquel, Les
révolutions littéraires aux XIX et XX siècles, Presses Universitaires de
Valenciennes 2006, p. 187.
[2]
Frédéric Vitoux, Céline, Belfond,
Paris 1978, p. 21.
[3]
Jean Bloch-Michel, Le Présent de
l’indicatif, Gallimard, Paris
1963, p. 119.
[4]
Charles Bukowski, Pulp. Una
storia del XX secolo,
Feltrinelli, Milano 2013.
[5] AA.VV., Giancarlo Pontiggia (a cura
di), Céline e l’attualità letteraria,
SE, Milano 2001, p. 24.
[6]
Renee Winegrarten, Céline: the problem,
American Scholar, Vol. 65, Issue 2, Spring 95, p. 286.
[7]
Stefano Lanuzza, Maledetto Céline. Un
manuale del caos, Stampa Alternativa, Roma 2010, p. 200.
[8] Ivi, p. 192.
[9] Alberto Arbasino, Parigi o cara, Adelphi, Milano 1995, p.
42.
[10]
Henri Godard, Poétique de Céline,
Gallimard, Paris 1985, pp. 181-182.
[11]
Alexander Styhre, Céline and the Aesthetics
of Hyperbole: Style, Points, Parataxis and Other Literaty Devices, “Ephemera”,
vol. 11, issue 3, 2011, p. 263.
[12] Paolo Badellino, La follia controversa di Louis-Ferdinand Céline, in «Rivista
sperimentale di Freniatria», vol. 108, 1984, p. 28.
[13] Ivi, p. 29.
[14] Gianni Celati, Céline, jazz a credito, in «Effe», 2, primavera 1996.
[15] Gianni Celati, Scrivere Jazz si Potrebbe, e Charlie Parker Sarebbe Contento, in «Musica
80», 2 marzo 1980, p. 24.
[16]
Ibidem.
[17]
Ibidem.
[18]
Julia Kristeva, Power of Horror: An Essay
on Abjection, Columbia Univerisity Press , New York
1982 (trad. it., Poteri dell’orrore:
saggio sull’abnegazione, Spirali, Milano 1981).
[19]
http://www.lf-celine.blogspot.it/
[20]
http://www.lepetitcelinien.com
[21]
http://www.celine-etudes.org
[22]
http://celinelfombre.blogspot.com
[23]
http://www.celineenphrases.fr
[24]
http://www.biblioceline.com
1 commento:
Complimenti alla dott.ssa Grementieri. Mi piacerebbe leggere la sua tesi. Bello comunque scoprire un'altra erudita appassionata del nostro. E meritato l'omaggio a questo splendido blog.
Vincenzo
Posta un commento