Pubblichiamo un estratto della interessante tesi della nostra lettrice Francesca Bergadano, che ha come oggetto i rapporti tra Céline e il surrealismo. Per noi, Céline stesso non aveva una grande opinione del surrealismo, cfr. Rago:
Il surrealismo, considerato da Céline come un prolungamento del «naturalismo imbecille», è un'altra fonte di virtuosismi imbelli di una letteratura in rovina: «letteratura insomma più morta della morte stessa . . . » (B, 172).
Mentre
La scelta « positiva » cade su Barbusse, su Malraux dei Conquérants, su Marcel Aymé, su Dabit di Villa Oasis, su Simenon dei Pitard (« se ne dovrebbe parlare ogni giorno »), su Elie Faure (« benché mezzo ebreo e mezzo massone, mi appassiona fuorché quando parla d'amore »: da notare che Faure non era né ebreo né massone), su Paul Morand, su Mac Orlan (« aveva tutto previsto, tutto messo in musica trent'anni prima »).
E aggiungerei Rabelais. Detto questo, la tesi di Francesca dà comunque un gran numero di spunti interessanti, e vi auguro buona lettura.
Per un Céline surrealista
di Francesca Bergadano
Prima di passare ad
analizzare nello specifico i testi céliniani per dimostrarne l’ascendente
surrealista, è necessario sottolineare le sostanziali differenze che stanno
alla base delle due sperimentazioni letterarie. Michel Beaujour, nell’articolo La quête du délire[1]
dedicato all’autore del Voyage,
ravvisa in Céline e nel Surrealismo “un certain état de fureur, fureur contre
le monde donné” che si manifesta però in opere poetiche estremamente
differenti. Nel Surrealismo esiste una precisa “componente di negatività, di
insubordinazione e di rivolta[2]”
che si rinnova verso il positivo, tesa alla creazione di una cultura
alternativa. Céline sembra essersi fermato invece alla fase nichilista della
poetica surrealista, dove alla triste constatazione della ruine non segue alcuna substitution[3].
In questi termini l’autore del Voyage
appare più vicino alla tabula rasa[4]
attuata dei Dadaisti che non al processo di superamento della fase puramente
anarchica messo in atto dal Surrealismo. Céline denuncia e grida il proprio
sdegno ma non propone valori nuovi da sostituire a quelli vecchi e questo
perché la sua rivoluzione, basata prevalentemente sul linguaggio, non ha alla
base quella fiducia nell’uomo che spinge i surrealisti a voler cambiare il
mondo e la vita. Céline parte da un esasperato individualismo e, nel corso
degli anni, non si è mai stancato di ripetere e sottolineare la sua originalità
rispetto ad ogni altro autore[5]
e la sua autonomia nei confronti di qualsiasi referente letterario[6].
I surrealisti al contrario hanno rifondato una tradizione culturale alla quale
collegarsi[7],
portando alla luce autori importanti come Lautréamont, e hanno basato sulla
fiducia e la pratica di gruppo larga parte dell’esperienza intellettuale[8]
del movimento. Per questo motivo è importante contestualizzare la nascita e lo
sviluppo di due tendenze ben distinte: il Surrealismo è un movimento
d’avanguardia, volto allo sperimentalismo, che non poteva certo prescindere dal
raffronto diretto e dalla collaborazione reciproca tra i vari componenti del
gruppo, che uniscono nella stesura dei manifesti teorici le proprie diverse
esperienze culturali. Non si può pensare ad un’attività avanguardistica
svincolata da un’ideologia comune, anche se possiamo affermare che, per quanto
riguarda il Surrealismo, Breton ha giocato un ruolo predominante all’interno
del gruppo. Céline, quanto a lui, opera in un mondo culturale e storico
diverso, dove la sperimentazione è finita per lasciare spazio ad un ritorno
all’ordine che vede lo scrittore alle prese con gli avvenimenti storici della
propria epoca e con la ridefinizione del proprio ruolo all’interno della
società.
I risultati a cui
sono giunti, pur percorrendo strade diverse,
Céline e alcuni autori surrealisti sono però molto simili. Tutti sono
convinti che un profondo cambiamento culturale debba essere realizzato a
partire dal linguaggio, percepito da entrambe le parti come summa di una tradizione ormai superata e
ripetitiva. Per i surrealisti il problema della scrittura ha un’importanza
capitale all’interno del processo di elaborazione teorica. Il ricorso
all’automatismo psichico denota una forte rottura con i principali canoni della
comunicazione classica: non saltano soltanto le tradizionali regole di
scrittura ma la figura stessa dello scrittore viene ad eclissarsi dietro un
puro processo di trascrizione dell’inconscio[9].
Il sovvertimento stilistico céliniano, invece, pur partendo dagli stessi
presupposti di opposizione alla tradizione scrittoria, non sceglie la via
dell’automatismo ma piuttosto quella di una rivolta dall’interno effettuata
sulla forma romanzo proprio a partire dal romanzo stesso ed è per questo motivo
che possiamo parlare di Céline come di un “rivoluzionario classicista”. Céline
costruisce un nuovo tipo di opera narrativa che stravolge le usuali formule del
racconto senza porsi però completamente al di fuori delle regole imposte dal
genere scelto. Anche se spesso egli parla di delirio, conosciamo bene il
percorso che ha portato questo autore alla composizione dei suoi testi. Quattro
anni di lavoro per ogni romanzo e un’opera di enorme cesello per ogni singola
frase non possono di certo essere accomunate alla scrittura automatica, anche
se sicuramente rintracciamo nel Voyage au
bout de la nuit e in Mort à crédit
una componente di automatismo psichico controllato e rielaborato in un secondo
momento. Per Céline il linguaggio[10]
non coincide esattamente su un piano di elaborazione individuale come per il Surrealismo, ma è giocato su un
piano più strettamente letterario.
Per passare ora
all’analisi di brani estrapolati dai romanzi presi in esame, possiamo partire
da una frase di Gide pubblicata sulla Nouvelle
Revue Française nel 1938[11]
a proposito di Bagatelle pour un massacre:
“ [...] non è la realtà che Céline dipinge, ma l’allucinazione che la realtà
provoca, ed è proprio per questo che ci interessa.” Infatti esempi di
trasfigurazione e trasposizione allucinata del dato reale si trovano sparsi tra
i due romanzi, anche se all’interno del Voyage
lo stacco tra realtà e allucinazione è percepibile più chiaramente. Al
contrario in Mort à crédit sogno e
verità si susseguono in un unico flusso narrativo nel quale il lettore viene
trasportato e coinvolto. Portiamo a dimostrazione del nostro enunciato le
seguenti citazioni tratte rispettivamente dal Voyage e da Mort à crédit.
“Sur la petite place, dans le
café qui nous sembla, d’après les apparences, être le moins coûteux, nous
entrâmes[...]”.
A questo inizio narrativo segue poi uno
stacco dove l’autore inserisce il racconto allucinato di un’apparizione di
fantasmi:
“ Ils commençaient sur la Place
du Tertre, à côté, les morts. Nous étions bien placés pour les
repérer. Ils passaient júste au-dessus des Galeries Dufayel, à l’est par
conséquent. Mais tout de même il faut
savoir comment on les retrouve, c’est-à-dire du dedans et les yeux presque
fermés, parce que les grands buissons de lumière des publicités ça gêne
beaucoup, même à travers les nuages, pour apercevoir, les morts. Avec eux les
morts, j’ai compris tout de suite qu’ils avaient repris Bébert, on s’est même
fait un petit signe tous les deux Bébert et puis aussi, pas loin de lui, avec
la fille toute pâle, avortée enfin, celle de Rancy, bien vidée cette fois des
toutes ses tripes [...] enfin tous ces salauds- là, ils étaient devenus des
anges sans que je m’en soye aperçu! Il y en avait à présent des pleins nuages
d’anges et des extravagants et des convenables, partout. Au- dessus de la ville
en vadrouille! [...] Des casaques enfouis près du Moulin n’arrivaient pas à
s’extirper de leurs tombes. Ils faisaient des efforts que c’était effrayant,
mais ils avaient essayé bien des fois dejà...Ils retombaient toujours au fond
des tombes, ils étaient encore soûls depuis 1820.[..][12]”.
L’innesto della
sequenza surreale è qui messo in evidenza anche dall’ “usage du pronon on”[13]
e dal movimento di tempi verbali che si avvicinano all’imperfetto e al passato
remoto, in opposizione al presente e al passato utilizzati nel racconto, per
segnalare ancora più chiaramente l’inserimento di una digressione immaginaria.
In Mort à crédit il passaggio al
fantastico non è quasi avvertito dal lettore che di colpo si trova catapultato
in una realtà delirante. Ferdinand, il protagonista, sta accompagnando un’amica
a fare una passeggiata quando:
“Arrivée à l’Arc de Triomphe,
toute la foule s’est mise en manège. Toute la horde poursuivait
Mireille. Y avait déjà plein de morts partout. Les autres s’arrachaient les
organes. L’Anglaise coltinait son auto, au-dessus de sa tête, à bout de bras!
Hurray! Hurray! Elle en culbute l’autobus. Le trafic est intercepté par trois
rangs de mobiles au port d’armes. Les honneurs c’est alors pour nous. La robe à
Mireille s’envole. la vielle Anglaise bondit sur la môme, lui croche dans les
seins, ça gicle, ça fuse, tout est rouge. On s’écroule, on grouille tous
ensemble, on s’étrangle. C’est une grande furie. La flamme sous l’Arc monte,
monte encore, se coupe, traverse les étoiles, s’eparpille au ciel...Ça sent
partout le jambon fumé...Voici Mireille à l’oreille qui vient me parler enfin.
«Ferdinand, mon chéri, je t’aime!...C’est entendu, t’es plein d’idées!» C’est
une pluie de flammes qui retombe sur nous, on en prend des gros bout
chacun...On se les enfonce dans la braguette grésillantes, tourbillonnantes.
Les dames s’en mettent un bouquet de feu...On s’est endormi les uns dans les
autres. 25 000 agents ont déblayé la Concorde. On y tenait plus uns dans les
autres. C’était trop
brûlant. Ça fumait. C’était l’enfer.[14]”
In questi due brani
sono rintracciabili echi surrealisti in evocazioni come quella di “nuages
pleins d’anges et des extravagants et des convenables”, o di una “flamme, flamme sous l’Arc monte, monte
encore, se coupe, traverse les étoiles, s’eparpille au ciel...Ça sent partout
le jambon fumé...”. Mentre nel passo successivo di Mort à crédit vediamo trasformarsi sotto i nostri occhi la stanza
da letto di Ferdinand in una nave:
“Moi alors j’avais si chaud que
je me suis traîné à la fenêtre. Par le travers de l’Étoile mon beau navire il
taille dans l’ombre... chargé de toile jusqu’au trémat... Il pique droit sur
l’Hôtel-Dieu... La ville entière tient sur le Pont, tranquille...
Tous les morts je les reconnais... Je sais même celui qui tient la barre... Le pilote je le
tutoye... Il a compris le professeur... il joue en bas l’air
qu’il nous faut... «Black Joe»... Pour les croisières... Pour bien prendre le Temps... le Vent...
les menteries... Si j’ouvre la fenêtre, il fera froid d’un coup... le
bandagiste, dans sa boutique... Je veux qu’il voyage... Il ne sort jamais...
Mon navire souffre et il malmène au-dessus du Parc Monceau... Il est plus lent
que l’autre nuit... Il va buter dans les Statues...Voici deux fantômes qui
descendent à la Comédie-Française... Trois vagues énormes
emportent les arcades Rivoli. La sirène hurle dans mes carreaux... Je pousse ma lourde... Le vent
s’engouffre... Ma mère radine exorbitée... Elle me
sémonce... Que je me tiens mal comme toujours!... La Vitrouve se précipite!...
Assaut des recommandations...je me révolte...Je les agonise...Mon beau navire
est à la trâine. Ces
femelles gâchent tout infini...il bourre en cap, c’est une honte!...Il incline
sur bâbord quand même...Y a pas plus gracieux que lui sous voiles...Mon coeur
le suit...Elles devraient courir, les garces, àpres les rats qui vont saloper
la monuvre!... Jamais il ne pourra border tellement ses
drisses sont souquées fort!...Il faudrait détendre...Prendre trois rouleaux
avant la “Samaritaine”! Je hurle tout ça sur tous les toits..Et puis ma piaule
va couler!...[15]”.
Anche in questo passo
affiorano immagini che costruiscono davanti agli occhi del lettore un mondo
altro, fantastico. Come si può notare già da questi estratti, l’immaginazione
céliniana è spesso legata all’immaginazione della morte e ai fantasmi che essa
crea: la paura, “la grande présente de l’univers célinien[16]”,
è motivo di delirio surreale che parte da un avvenimento concreto[17],
sempre presente alla base del surrealismo céliniano, dato dal quale l’autore fa
iniziare i suoi deliri emozionali.
La trasposizione
fantastica della realtà appare come il risultato più evidente dell’influenza
surrealista sull’opera céliniana, ma ci sono altri elementi di contatto che
agiscono ad un livello più profondo. Ad esempio, nella creazione dei
personaggi, Céline può essersi ispirato alle modalità tipiche degli scrittori d’avanguardia (gesti
eclatanti, eccentricità), e può aver fatto proprie le teorie psicanalitiche
tanto care ai surrealisti. Il personaggio di Robinson nel Voyage, doppio del protagonista Bardamu[18],
ritorna come un fantasma per tutta l’opera e rincorre Bardamu come un sogno:
“De le rencountrer à
nouveau, Robinson, ça m’avait donc
donné un coup et comme une espèce de maladie qui me reprenait. Avec sa gueule
toute barbouillé de peine, ça me faisait comme un sale rêve qu’il me ramenait
et dont je n’arrivais pas à me délivrer depuis trop d’annés déjà[19]”.
Un sogno che scatena,
appunto, il surreale. Bardamu incontra Robinson nei luoghi più impensabili dei
suoi vagabondaggi: in guerra, nella foresta africana, nella banlieu parigina.
In Mort à crédit i personaggi sono
fortemente caratterizzati in senso “surrealista”: basti pensare a Courtial, il
suicida, geniale inventore appassionato di ascensioni con il pallone
aerostatico, e al prete Fleury, pazzo promotore di stramberie per recuperare
tesori sommersi. A proposito di Courtial possiamo citare :
“ Lui, non plus, Courtial des
Pereires, il arrêtait jamais de produire, d’imaginer, de concevoir, résoudre,
prétendre...[20]”.
E ancora, a proposito
delle sue invenzioni, non senza un sottinteso parodico alle formule surrealiste
“ Depuis le «fromage en poudre»,
l’«azur synthétique», la«valve à bascule», les « poumons d’azote», le «navire
felxible», le «café-crème comprimé», jusqu’au «ressort kilométrique» pour
remplacer les combustibles...[21]”.
Per il prete Fleury
valga invece questa descrizione :
“ Je le regarde attentivement. Je
l’avais jamais vu ce gonze-là...Certainement que c’était un nouveau. Comme ça,
à première impression, il faisait assez raisonable...même circonspect,
pourrait-on dire...[...] ...Tout à fait calme...bien élevé..Il trimblait un
parapluie...malgré le franchement beau temps...Il va le déposer dans un
coin...Il revient, il toussote...[...]...nous autres on avait l’habitude des
véritables originaux...[...] Mais le voilà qui ouvre la bouche...et il commence
à raconter...Alors je comprends d’un seul coup...Il avait bien autre chose en
tête..Et ça le tracassait!...[...]...C’était à prendre ou à laisser!...Ou bien
alors contre lui!...Il nous a bien prévenus tout de suite! Qu’on réfléchisse
aux conséquences! Plus de “Pérpetuel”. Pas sérieux ça! Une calembredaine!...A
aucun prix!...C’était autre chose, lui son dada!...On a fini par le
savoir!..Comme ça d’échevaux en aiguille!...en dix mille circonlocutions...ce
qui lui travaillait le siphon...C’était les Trésor sous-marins!...Une noble
idée![22]...”.
L’influsso della
psicanalisi in Céline non emerge solamente dalla presenza del doppio
Robinson-Bardamu nel Voyage; più
chiari riferimenti psicanalitici, infatti si rinvengono nelle pagine di Mort à crédit. In questo romanzo Céline
mette in scena il complesso edipico, non senza prendere spunti dagli scritti
surrealisti. La contrapposizione tra padre e figlio, nell’opera, assume
proporzioni tragiche e allo stesso tempo grottesche:
“Mon père en apprenant ça,
il a prévenu tout de suite Maman, que je l’étranglerais un jour, que c’était
bien dans mes tendances. Il voyait tout ça.[23]”
e ritorna più volte nel corso
della narrazione
“De
mon côté je préfère personne. Pour les gueulements et la connerie, je les
trouve pareils...Elle cogne moins fort, mais plus souvent. Lequel ye j’aimerais
mieux qu’on tue? Je crois que c’est encore mon papa[24]”.
Il rapporto di
Ferdinand con il padre si conclude con una rissa durante la quale il figlio, in
preda al delirio, aggredisce violentemente il genitore[25]
dando sfogo a tutto il suo odio represso.
In entrambi i romanzi
gli scenari urbani descritti da Céline sono sicuramente influenzati dalla
visione surrealista di Parigi. Michel Beaujour parla di Céline e Aragon come di
“deux paysans de Paris, mais quelle distance les sépare! l’un tout charme, tout
facilité, à qui tout réussit, venu des beaux quartiers [...] Du
point de vue de Céline, les jeux surréalistes paraissent une facile
mystification de fils à papa.”[26]
In Mort à crédit Céline ci regala
descrizioni della città riportabili a prospettive surrealiste:
“Par
ma fenêtre on voit Paris...En bas ça s’étale...Et puis ça se mettre à
grimper...vers nous...vers Montmartre...Un toit pousse un autre, c’est
pointu, ça blesse, ça saigne le long
des lumières, des rues en bleu, en rouge, en jaune...Plus bas après, c’est la
Seine, les brumes pâles, une remorque qui fait son chemin...dans un cri de
fatigue...Encore plus loin c’est les collines...Les choses se rassemblent...La
nuit va nous prendre.[...][27]”.
La stessa visione
deformata della città compare all’arrivo di Ferdinand a Londra
“Il faisait déjà nuit, c’était
pas très bien éclairé. C’était une station en hauteur, comme montée sur des
échasses sur des pilotis...C’était étiré, tout enchevêtré, tout en bois,
dans la buée, dans les bariolages d’affiches...Ça
résonnait des mille membrues dès qu’on marchait sur la plateforme...[...] La
ville commençait là tout de suite. Elle dégringolait avec ses petites rues,
d’un lumignon vers un autre...C’était poisseux, ça collait comme atmosphère, ça
dansait autour des becs...c’était hagard comme sensation.De loin, de plus bas,
il venait des bouffées de musique...le vent devait porter...des
ritournelles...on aurait dit d’un manège cassé dans la nuit...[...] La
foule était dense et marronet onduleuse avec une odeur de vase et de tabac et
d’antracite, et puis aussi pain grillé [...] Le tramway, un genre de girafe obèse, il dépassait
les bicoques, il laminait la couhe, il godallait dans les vitres [...][28]”.
Per capire le
somiglianze tra le descrizioni céliniane e surrealiste è giusto riportare
alcuni brani tratti da Le Paysan de Paris
di Aragon, in questo caso il testo più adatto a tale tipo di paragone. Ecco
come l’autore surrealista ci riporta l’immagine dei Passages de l’Opéra:
“Elle règne bizarrement dans ce
sortes de galeries couvertes qui sont nombreuses à Paris aux alentours des
grands boulevards et que l’on nomme d’une façon troublante des passages, comme si dans ces couloirs dérobés au jour, il
n’était permis à personne de s’arrêter plus un istant. Leur glauque, en quelque
manière abyssale, qui tient de la clarté soudaine sous une jupe qu’on relève
d’une jambe qui se découvre [...] au cordeau le plan de Paris, va bientôt
rendre impossible le maintiens de ces aquariums humains qui sont déjà morts à
leur vie primitive[...][29]”
per poi continuare così:
“ J’oublias donc de dire que le
Passage de l’Opéra est un grand cercueil de verre, et comme la même blancheur
déifée depuis les temps qu’on l’adorait dans les suburbes romaines, préside
toujours au double jeu de l’amour et de la mort [...] on voit dans les galeries
à leurs changeantes leurs qui vont de la clarté du sépulcre à l’ombre de la
volupté de delicieuses filles [...][30]”.
La visione céliniana
del tramway come “un genre de girafe obèse” rievoca il passo di Aragon:
“En liberté dans le magasin, de
grands fauves modernes guettaient la femelle d’homme en proie au petit fer: le
séchoir mécanique avec son cou de serpent, le tube à rayons violets dont les
yeux sont si doux, le fumigatuer à l’haleine d’été, tous les esclaves d’acier
qui se révolteront un beau jour.[31]”
Nel Voyage Parigi assume le strane fattezze
di una grande torta
“Les gens riches à Paris
demeurent ensemble, leurs quartiers, en bloc, forment une tranche de gâteau
urbain dont la pointe vient toucher au Louvre, cependant que le rebord arrondi
s’arrete aux arbres entre la Porte des Ternes. Voilà. C’est le bon morceau de
la ville. Tout le reste n’est que peine et fumier[32]”
e ancora
“ Une ville aux aguets, monstre à
surprises, visqueux de bitume set de pluies.[33]”
Un esempio di chiara somiglianza con Breton
lo troviamo in Nadja:
“ Enfin
voici que la tour du Manoir d’Ango saute, et que toute une neige de plumes, qui
tombe de ses colombes, fond en touchant le sol de la grande cour naguère
empierrée de debris de tuiles et maintenant couverte de vrai sang![34]”.
L’humour noir, presente nel Surrealismo
sin dagli esordi, celebrato poi nel 1940 dall’ Anthologie de l’humour noir di André Breton, appare in Céline come
un tratto caratterizzante a partire già dal Voyage.
Va puntualizzato, però, che l’humour céliniano
si distingue subito in senso meno intellettuale rispetto a quello surrealista:
la comicità del Voyage e di Mort à crédit rispecchia, infatti,
l’influsso delle gag chapliniane e spesso si può parlare di un umorismo molto
fisico, quasi caricaturale. Ecco alcuni esempi tratti dai due romanzi di Céline
confrontati con certi proverbi reinventati surrealisticamente da Péret ed
Éluard. Nel Voyage una dimostrazione
di comicità più buffonesca che di un umorismo intellettuale ci viene fornita
subito:
“«- Dis donc, Kersuzon, que je
lui dis, c’est les Ardennes ici tu sais…Tu ne vois rien toi loin devant nous?
Moi, je vois rien du tout… - C’est tout noir comme un cul», qu’il m’à répondu
Kersuzon. Ça suffisait…[35]”
per poi passare ad un
episodio alquanto surreale: una famiglia ha subito un lutto grave ma vende
comunque a Ferdinand una bottiglia di vino
“Une jeune fille, un châle, un
tabler blanc, sortaient aussi de l’ombre à présent, jusq’au pas de la porte…«
Qu’est-ce qu’ils vous on fait? que je lui ai demandé, les Allemands? – Ils ont
brûlé une maison près de la mairie et puis ici ils ont tué mon petit frère avec
un coup de lance dans le ventre»…[…] Sa mère elle pleurait fort, à côté, à
genoux, le père aussi. Et puis ils se mirent à gémir encore tous ensemble. Mais
j’avais bien soif. « Vous n’avez pas une bouteille de vin à me vendre? que je
demandai. –Faut vous adresser à la mère…Elle sait peut-être s’il y en a
encore…Les Allemands ont tout pris…Pourtant on leur en avait donné de
nous-mêmes et beaucoup… -Ah oui, alors, qu’ils en ont bu! que remarqua la mère,
qui s’était arrêtée de pleurer, du coup. Ils aiment ça… - Et plus de cent
bouteilles, sûrement, ajouta le père, toujours à genoux lui… - Y en a plus une
seule alors? insistai-je, ésperant encore, tellement j’avais grand-soif, et
sortout de vin blanc, bien amer, celui qui réveille un peu. J’ veux bien payer…
Y en a plus que du très bon. Y vaut cinq franc la bouteille…consentit alors la
mère – C’est bien!» Et j’ai sorti mes cinq francs de ma poche, une grosse
pièce. «Va en chercher une!» lui commanda-t-elle tout doucement à la sœur.
J’étais servi, je n’avais plus qu’à m’en aller[36].”
Alla fine del romanzo assistiamo all’immagine
della vecchia Henrouille, mummia tra le mummie, guida turistica in un’anomala
grotta sotterranea:
“Pendant la saison, les touristes
n’en finissaient pas. Ils traînaient au caveau et la mère Henrouille parvenait
à les faire rigoler. Le curé tiquait bien un peu sur ces plaisanteries, mais
comme il touchait plus que se part, il ne pipait pas, et puis d’abord en fait
de gaudriole, il n’y connaissait rien. Elle valait pourtant la peine d’être vue
et entendue la mère Henrouille au milieu de ses cadavres. Elle vous les
regardait en plein visage, elle qui n’avait pas peur de la mort et si ridée
pourtant, si ratatinée déjà, elle-même, qu’ elle était comme une des leurs avec
sa lanterne à venir bavarder en plein dans leur espèce de figure.[37]”.
Mort à crédit ci offre alcune tra le più divertenti e ciniche prove di
umorista di Céline, nella descrizione di un ragazzo ritardato mentale che il
protagonista incontra durante il suo soggiorno a Londra:
“Elle s’occupait à claque seconde
de faire manger le petit Jonkind, un énfant spécial, un tardif. Après claque
bouchée, ou presque, il fallait qu’elle intervienne, qu’elle l’aide, le
bichonne, qu’elle essuye tout ce qu’il bavait. C’était du boulot. Ses parents,
à lui, au crétin, ils restaient là-bas aux
Indes, ils venaient même pas le voir. C’était une grande sujétion, un
petit forcené pareil, sortout au moment des repas, il avalait sur la table les
petites cuillers, les ronds de serviettes, le poivre, les burettes et même les
couteaux…C’était sa passion d’engoulir…Il arrivait avec sa bouche toute
dilatée, toute distende, comme un vrai serpent, il aspirait les moindres
objets, il les couvrait de bave entièrement, à même le lino. Il ronflait, il
écumait en fonctionnant. Elle l’empêchait, à chaque fois, l’éloignait, Madame
Merrywin, toujours bien gracieuse, inlassable. […] A part le truc d’engloutir,
le môme n’était pas terribile. Il était même plutôt comode. Il était pas vilain
non plus, seulement ses yeux qu’étaient fantasques. Il se cognati partout sans
lunettes, il était ignoblement myope, il aurait renversé les taupes, il lui fallait des verres épais,
des vrai cabochons comme calibre…Ça lui exorbitait les châsses, plus large que
le reste de la figure. Il s’effrayait pour des riens, Madame Merrywin le
rassurait en deux mots, toujours les mêmes: «No trouble, Jonkind! No
trouble!...». Il répétait ça aussi pendant des journées entières à propos de
n’importe quoi, comme un perroquet. Après plusieurs mois de Chatham c’est tout
ce que j’avais retenu…«No trouble!...[38]»”.
Il piccolo Jonkind ritorna ancora più avanti:
“Il bavait beaucoup moins Jonkind
en promenade qu’à la maison, seulement il raflait des objets, il fauchait les
allumettes…Si on le lassait un peu seul, il foutait le feu aux rideaux…Pas par
méchanceté du tout, il courait vite nous avertir…Il nous montrait comme c’était
beau les petites flammes…[39]”
per poi comparire tra gli ultimi pensieri di
Ferdinand prima di abbandonare il college inglese:
“ Le môme Jonkind, il me tirait
par la manche. Il comprenait pas ce qui passait […] Je lui manquerais peut-
être dans son monde, ce petit biscornu, tout avaleur, tout cinglé…Comment qu’il
me voyait lui, au fond? Comme un bœuf? Comme une langouste?...Il s’était bien
habitué à ce que je le promène, avec ses gros yeux de loto, son contentement
perpétuel…Il avait une sorte de veine…Il était plutôt affectueux si on se
gaffait de pas le contrarier…De me voir en train de réfléchir, ça lui plaisait
qu’à demi…[40]”.
Riportiamo ora alcuni
esempi di sottile humour utilizzato
da Péret e da Éluard, tratti dai 152
proverbes mis au goût du jour[41]:
“Il faut rendre à la paille ce
qui appartien à la poutre[42]”;
“Il faut battre sa mère pendant
qu’elle est jeune[43]”
e infine
“Fidèle comme un chat
sans os[44]”:
come possiamo notare
da questi passi, l’umorismo che ci fa sorridere è di matrice diversa da quella
céliniana, si tratta infatti di una comicità basata sui giochi di parole e sul
trasferimento di senso tra diverse sfere semantiche. Céline non è però del
tutto scevro da finezze linguistiche basate su doppi sensi o jeux de mots. Nel Voyage, infatti, i nomi dei luoghi e dei personaggi vengono
deformati in senso grottesco fino a divenire nomi parlanti. Così avviene ad
esempio, per l’attributo dato a un militare a proposito di cui Céline gioca con
l’inglese surgeon, “che significa
medico militare, e con l’identico francese che ha valore di «rampollo, pollone»
in senso botanico[45]”.
Inoltre il villaggio che all’inizio del romanzo Bardamu chiama Noirceur sur la Lys, nome inesistente,
creato sull’antitesi del nero che incombe su un giglio bianco, viene utilizzato
per sottolineare il buio della guerra. Ancora, durante l’esperienza in Africa
troviamo Bardamu lavoratore alle dipendenze della Société Pordurière nome che riprende la parola ordure, che significa spazzatura, e in questo caso il gioco di
parole serve per mettere in evidenza la situazione coloniale in Africa.
All’amour fou bretoniano Céline contrappone
spesso un amore postribolare, squallido, fatto di prostitute e donne
occasionali, vere e proprie figure caricaturali. Non mancano però, sia
all’interno del Voyage au bout de la nuit
che in Mort à crédit, personaggi femminili descritti con estrema dolcezza,
paragonabili alle descrizioni bretoniane di donne. Nel Voyage la figura femminile più cara a Bardamu è Molly, la
prostituta che sublima l’amore in in puro sentimento privo da ogni altro tipo
di finalità:
“À l’égard d’une des jeunes femmes de l’endroit, Molly, j’éprouvai
bientôt un exceptionel sentiment de confiance, qui chez les êtres apeurés tien
lieu d’amour. Il me souvient comme si s’était hier de ses gentillesses, de ses jambes
longues et blondes et magnifiquement déliées et musclées, des jambes nobles. La
véritable aristocratie humaine, on a beau dire, ce sont les jambes qui la
confèrent, pas d’erreur[46]”.
Poi Bardamu ammette
“Elle me conseillait ainsi bien gentiment, elle
voulait que je soye heureux. Pour la première fois un être humain s’intèressait
à moi, du dedans si j’ose le dire, à mon égoisme, se mettait à ma place à moi
et pas seulement me jugeait de la sienne, comme tous les autres.[47]”.
La protagonista femminile di Mort à crédit è Nora, l’insegnante del
college inglese con la quale Ferdinand ha un brevissimo e passionale rapporto
poco prima del suicidio della donna: ancora una volta nell’universo céliniano
l’amore è negato, provato solo una volta e poi fuggito. Ecco come Nora ci
appare, vista dagli occhi di Ferdinand:
“Ses mains, c’étaient des
merveilles, effilées, roses, claires, tendres, la même douceur que le visage,
c’était une petite féerie rien que de les regarder. Ce qui me taquinait
davantage, ce qui me possédait jusqu’au trognon c’était son espèce de charme
qui naissait là sur son visage au moment où elle causait…son nez vibrait un
petit peu, le bord des joues, les lèvres qui courbent…J’en étais vraiment
damné…Y avait là un vrai sortilège…Ça m’intimidait…J’en voyais trente-six
chandelles, je pouvais plus bouger…C’était des ondes, des magies, au moindre
sourire…J’osais plus regarder à force. Je fixais tout le temps mon assiette.
Ses cheveux aussi, dès qu’elle passait devant la cheminée, devenaient tout lumière
et jeux…![48]”.
Per poter cogliere il sottile riferimento a
Breton dobbiamo riportare passi di una poesia dell’autore surrealista tratti da L’union libre del 1931
“ Ma femme à la chevelure de feu de bois
Aux pensées d’éclairs de chaleur
A la taille de sablier […]
Ma femme aux poignets d’allumettes
Ma femme aux doigts de hasard et d’as de cœur […]
Ma femme aux mollets de moelle de sureau
Ma femme aux pieds d’initiales
Aux pieds de trousseaux de clé aux pieds de calfats qui
boivent[…]
Ma femme au dos d’oiseau qui fuit vertical
Au dos de vif- argent
Au dos de lumière[49]”.
Certamente l’autore del Voyage non crea un susseguirsi di accostamenti surreali di immagini
a partire dalla visione della donna, ma in entrambe le descrizioni di
personaggi femminili possiamo notare la stessa poeticità e sensibilità emotiva.
Per concludere la
nostra analisi riportiamo due testi che non rientrano nei romanzi da noi presi
in esame. Si tratta di À l’agitè du bocal
del 1948, pamphlet di Céline contro Jean-Paul Sartre, e di Un cadavre[50],
insieme di testi[51] pubblicati
dai surrealisti per celebrare la morte di Anatole France. Il confronto ci
servirà per approfondire un ulteriore punto di contatto tra Céline ed i
surrealisti: la veemenza verbale. Ecco come Céline si scaglia contro Sartre,
colpevole di accusare il padre di Bardamu di aver preso denaro dai nazisti nel Portrait d’un antisémite[52]
asserendo “Si Céline a pu soutenir les thèses socialistes des Nazis, c’est
qu’il était payé”. Céline, raggiunto dalla notizia in Danimarca, risponde
qualche anno più tardi, nel 1948[53],
con questo violento pamphlet:
“ Je ne lis pas grand-chose, je
n’ai pas le temps. Trop d’années perdues déjà en tant de bêtises et de prison!
Mais on me presse, adjure, tarabuste. Il faut que je lise absolutement,
paraît-il, une sorte d’article, le Portrait
d’un Antisémite, par Jean-Baptiste Sartre. Je parcours ce long devoir,
jette un œil, ce n’est ni bon ni mauvais, ce n’est rien du tout, pastiche...une
façon de «Lamanièredeux»...Ce
petit J.B.S. a lu L’Etourdi, l’Amateur
de Tulipes, etc. Il s’y est pris, évidemment, il n’en sort plus...Toujours au
lycée ce J.B.S.! Toujours aux pastiches, aux « Lamanièredeux»...la manière de
Céline aussi...et puis de bien d’autres...«Putains», etc...«Têtes de
rechange»...Rien de grave,bien sûr [...] «Si Céline a pu soutenir les théses
socialistes des Nazis, c’est qu’il était payé». Textuel. Holà! Voici donc ce
qu’écrivait ce petit bousier pendant que j’étais en prison en plein péril qu’on
me pende. Satanée petite saloperie gavée de merde, tu me sors de l’entre-fesse
pour me salir au dehors! Anus Caïn pfoui. Que cherches-tu? Qu’on m’assasine!
C’est l’evidence! Ici! Que je t’écrabouille! Oui!... Je le vois en photo, ces
gros yeux...ce crochet...cette ventouse baveuse...c’est un cestode! Que
n’inventerait-il, le monstre, pour qu’on m’assasine! A peine sorti de mon
cacao, le voici qui me dénonce! Le plus fort est que page 451 il a le fiel de
nous prévenir: « Un homme qui trouve naturel de dénoncer des hommes ne peut
avoir notre conception de l’honneur, même ceux dont il se fait le bienfaiteur,
il ne les voit pas avec nos yeux, sa generosité, sa douceur, ne sont pas
semblables à notre douceur, à notre generosité, on ne peut pas localiser la
passion.» Dans mon cul où il se trouve, on ne peut pas demander à J.B.S. a
semble-t-il cependant prévu le cas de la solitude et de l’obscurité dans mon
anus...[...] Tâtez-vous! Réfléchissez que l’horreur n’est rien sans le Songe et
sans la Musique...Je vous vois bien ténia, certes, mais pas cobra, pas cobra du
tout...nul à la flûte...[54]”.
Riportiamo ora passi di Un Cadavre tratti da Refus
d’inhumer di Breton e Avez-vous déjà giflé un mort? di Aragon.
Breton proclama:
“ Si, de son vivant, il était
déjà trop tard pour parler d’Anatole France, bornons-nous à jeter un regard de
reconaissance sur le journal qui l’emporte, le méchant quotidien qui l’avait
amené. Loti, Barres, France, marquons tout de même d’un beau signe blanc
l’année qui coucha ces trois sinistres bonshommes: l’idiot, le traîte et le
policier. Ayons, je ne m’y oppose pas, pour le troisième, un mot de mépris
particulier. Avec France, c’est un peu de la servilité humaine qui s’en va.
[...] Pour y enfermer son cadavre, qu’on vide si l’on veut une boîte des quais
de ces vieux livres « qu’il aimait tant» et qu’on jette le tout à la Seine. Il
ne faut plus que mort cet homme fasse de la poussière.[55]”
e Aragon dichiara
“ La colère me prend si, par
quelque lassitude machinale, je consulte parfois les journaux des hommes. C’est
qu’en eux se manifeste un peu de cette pensée commune, autor de laquelle,
vaille que vaille, un beau jour ils tombent d’accord. Leur existence est fondée
sur una croyance en cet accord, c’est là tout ce qu’ils exaltent, et il faut
pour qu’un homme recueille les suffrages des derniers des hommes, qu’il soit
une figure évidente, une matérialisation de cette croyance. [...] Cela devrait
suffire à dépreindre celui qui vient de disparaître, car l’on n’imagine pas
Baudelaire, par exemple, ou tout autre qui se soit tenu à cet extrême de
l’esprit qui seul défie la mort, Baudelaire célébré par la presse et ses
contemporains comme un vulgaire Anatole France.[...] Je tiens tout admirateur
d’Anatole France pour un être dégradé. Il me plait que la littérature que
saluent à la fois aujourd’hui le tapir Maurras et le Moscou la gâteuse, et par
une incroyable duperie Paul Painlevé lui-même, ait écrit pour battre monnaie
d’un instinct tout abject, la plus déshonorante des préfaces à un conte De Sade,
lequel a passé sa vie en prison pour recevoir à la fin le coup de pied de cet
âne officiel. [...] Autour de moi, se fait le remunement et misérable, le train
de l’universe où toute grandeur est devenue l’object de la dérision. L’haleine
de mon interlocuteur est empoisonnée par l’ignorance. En France, à ce qu’on
dit, tout finit en chansons. Que donc celui qui vient de crever au cœur de la
béatitude générale, s’en aille à son tour en fumée! Il reste peu de choses d’un
homme: il est encore révoltant d’imaginer de celui-ci, que de toutes façons il a été. Certains jours j’ai rêvé d’une
gomme à effacer l’immondice humaine[56].”
La violenza verbale che scaturisce
dall’insieme di questi testi sembra in effetti avere la stessa origine. Céline,
scrivendo il suo personale attacco a Sartre ha sicuramente tenuto conto della
tradizione polemista dei surrealisti[57]
ma nello stesso tempo ha caraterizzato
il testo in senso fortemente fisico e fisiologico, portando la polemica su un
piano più strettamente deformante che non letterario.
Possiamo concludere
la nostra analisi confermando quindi su un piano non solo teorico bensì
testuale, che i romanzi céliniani hanno subito l’influenza surealista,
influenza che Céline, da grande genio letterario e innovatore, ha saputo
rielaborare in chiave personale, conferendo ad essa una nuova dimensione
all’interno del proprio testo. Il surrealismo di Céline non si ferma solo ad un
livello puramente stilistico e descrittivo, ma riesce a penetrare nelle scelte
che stanno alla base di una circoscritta struttura testuale, determinandone
alcuni esiti importanti.
Per concludere
possiamo citare la frase di intestazione al Voyage
nella quale ritroviamo in sintesi tutto il senso della nostra ricerca:
“ Voyager, c’est bien utile, ça
fait travailler l’imagination. Tout le reste n’est que déceptions et fatigues.
Notre voyage nous est entièrement imaginaire. Voilà sa force[58].”
[1] M. Beaujour, La quête du délire, Cahiers de L’Herne,
édition en un volume, 1972, p. 286.
[2]
G. Violato, Bulzoni Editore, 1982, p. 23.
[3] Per questo
motivo, Michel Beaujour nell’articolo La quête du délire parla di Céline come “ le
revers et la parodie amère” del Surrealismo. (in: M. Beaujour, op. cit., p.22.)
[4]
Tabula rasa che Céline allarga anche
al futuro letterario,un futuro che lo vedrà come l’ultimo scrittore degno di
tale nome: “Je veux les rendre tous illisibles”. (in: J. D. Dauphin- H. Godard
(a cura di), Cahiers Céline 2, Céline et
l’actualité litteraire, 1957-1961, Gallimard, 1976, p.167). Se per questo
aspetto di rottura con il passato possiamo pensare ad un Céline più dadaista
siamo sicuri del fatto che l’autore del Voyage
non avrà condiviso con Tzara l’idea di una poesia lasciata in mano al caso.
[5]
Più di una volta Céline ha ripetuto di non voler essere né il capo né il
gregario di nessuno.
[6]
Il pensiero di Céline a riguardo degli scrittori a lui contemporanei ci giunge
dalle pagine di Guignol’s Band I: “Né
morts [...] tout lourds à l’encre...morts phrasibules mort rhétoreux.” ( L. F.
Céline, Guignol’s Band I, Paris,
Gallimard, 1951, p.147.)
[7]
I Surrealisti hanno redatto una lista nella quale figurano autori da leggere e
autori da scartare. Tra gli esclusi illustri troviamo Verlaine e
Schopenauer, tra i salvati figurano su
tutti Vaché e Lautréamont.
[8]
É inutile sottolineare come da due visioni così differenti, l’individualismo e
la pratica di gruppo, siano scaturite due ideologie politiche agli antipodi. I
Surrealisti si sono avvicinati, anche se in tempi e con problematiche diverse,
al PCF e Céline, come è ben noto, si è accostato, seppur in un modo che
trascende una rigida ideologia, a posizioni di destra.
[9]
Spesso però l’automatismo viene “adulterato, ritoccato per esigenze di
espressività o poeticità dell’autore” (G: Violato, Scritture Surrealiste, cit.,
p. 26.)
[10]
Per il lavoro effettuato sul linguaggio Céline può essere avvicinato ad Éluard,
il surrealista che si è dedicato maggiormente alla destrutturazione del
linguaggio partendo dai 152 proverbes mis
au goût du jour scritti con Péret nel 1925 fino ad arrivare a L’Immaculée Conception pensata e
realizzata insieme a Breton nel 1930.
[11] Ci è stato
possibile reperire questa frase sono in italiano in: R. Della Torre, Invito alla lettura di Louis-Ferdinand Céline, Mursia, 1979, p. 97.
[12] L. F. Céline, Romans
I, cit., pp. 366-367.
[13] A. Derval, Le
fantastique célinien, L’Année Céline, 1990.
[14] L. F.
Céline,op. cit, p.38.
[15] L.F. Céline, op. cit, p. 46.
[16] G. Schilling, Images et imagination de la mort dans le
“Voyage au bout de la nuit”, «L’Information Littéraire»,1971, p. 67.
[17]
Per questo modo di intendere il Surrealismo come trasfigurazione di un dato
reale Céline può essere avvicinato alla concezione di “surreale” che aveva
Apollinaire piuttosto che a quella di Breton.
[18]
“Nel 1932 era uscito il lavoro di Otto Rank sul doppio, che calza perfettamente
con i rapporti tra Bardamu e Robinson” (E. Ferrero, postfazione a Viaggio al termine della notte, Tea,
2002, p. 561).
[19]
L. F. Céline, op. cit, p. 270.
[20] Ibid, p. 346.
[21] L. F. Céline, op. cit, p. 347.
[22] Ibid., pp. 450-451.
[23] Ibid, p. 52.
[24] Ibid, p. 68.
[25] La tematica
del complesso edipico ritorna anche in una lettera scritta da Céline ai tempi
della stesura di Mort à crédit alla
segretaria Marie Canavaggia: “Lo sa che ho ucciso mio padre?”.
[26] M. Beaujour, La quête
du délire, Cahiers de L’Herne, édition en un volume, 1972, p. 287.
[27] Ibid, p. 42.
[28] Ibid, pp. 213-214.
[29] L. Aragon, Le
Paysan de Paris, Gallimard, 1926, p. 19.
[30] L. Aragon, op. cit, p. 43.
[31] Ibid, p. 51.
[32] L.F. Céline, op. cit, p. 75.
[33] Ibid, p.220.
[34] A.Breton, Nadja,
Gallimard, 1964 (Ière éd.1928), p. 68.
[35] Ibid, p. 28.
[36] Ibid, p. 38.
[37] Ibid, p. 393.
[38]
Ibid, pp. 231-232.
[39]
Ibid, p .253.
[40]
Ibid, p. 274.
[41] P. Éluard-
B. Péret, 152 proverbes mis au goût du
jour, Stampa Alternativa, 1994.
[42] P. Éluard-
B. Péret, op. cit, p. 10.
[43] Ibid, p. 15.
[44] Ibid, p. 21.
[45] Dalla
postfazione di E. Ferrero a Voyage au
bout de la nuit, Tea, 2002, p.506.
[46] L. F.
Céline ,op. cit, p. 229.
[47] Ibid, p. 230.
[48] Ibid, pp. 234 -235.
[49] A. Breton, Poèmes,
Gallimard, 1966 (Ière éd. 1948), pp. 39-40.
[50] L’insieme
di questi testi è stato publicato nel 1924.
[51] Ovviamente
i testi da noi analizzati sono quelli che portano la firma di Breton e Aragon.
[52] In: Les Temps Modernes dicembre 1945, testo
ripreso più tardi in volume presso Gallimard con il titolo di Réflexions sur la Question juive.
[53] Albert
Paraz aveva riprodotto questo testo alla fine del suo testo Le Gala des vaches.
[54] L. F. Céline, A
l’agité du bocal, in AAVV, Cahiers de L’Herne (1963-1965) ,édition en un volume, 1972, pp.
36-37.
[55] In: M.
Nadeau, Histoire du Surréalisme,
Éditions du Seuil, 1964, pp. 198-199.
[56] In: M.
Nadeau, op. cit., pp. 199-200.
[57] A proposito
di questo tratto tipico dl Surrealismo possiamo ricordare le famose lettere di
Artaud indirizzate ai “prepotenti” cariche di polemiche e veemenza.
[58] L. F.
Céline, op cit, p. 5.
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