mercoledì 15 aprile 2009

Louis-Ferdinand Céline, gatto randagio: intervista a Marina Alberghini su Panorama.it



Bollato con l’infamante stampino dello scrittore maledetto. Accusato di antisemitismo, nazismo, collaborazionismo. Autore di pagine memorabili e di requisitorie infamanti. Louis-Ferdinand Céline si è cucito addosso, suo malgrado, una fama inversamente proporzionale al valore di alcune delle sue opere, fama peraltro incrementata da scelte pubbliche controverse e pagine violentemente antisemite.Con una monumentale e dettagliatissima biografia dal titolo Louis-Ferdinand Céline, gatto randagio, di recente pubblicata da Mursia, Marina Alberghini ha messo a fuoco la figura del grande scrittore, rivalutando la vita di un “uomo che si farà preda per stanare il potere e denunciarlo, da qualunque parte esso provenga”.
Un atteggiamento polemico che riverserà anche nei confronti della Russia comunista….
Sarà quella l’accusa più dirompente, che distruggerà la sua esistenza. Dopo un viaggio in incognito in Russia, nel ’36, denuncerà gli orrori di Stalin in Mea Culpa e poi in alcune lettere e pamphlet, attirandosi l’ira e la persecuzione dei comunisti francesi e della loro intellighenzia. Oggi si parla molto del massacro di Katyn. Ecco, Céline fu il primo a dire che erano stati i sovietici a sterminare i polacchi. Una verità che adesso è nota, ma che allora gli costò l’offesa da parte dei comunisti francesi di filo-nazismo.
Lei racconta anche di un Céline che anticipa di un torno d’anni l’incombere della seconda guerra mondiale….
Nel 1933 fece un discorso pubblico, l’Hommage à Zola. Tuttavia, non parlò dello scrittore francese. Piuttosto, preferì concentrarsi sui totalitarismi che stavano dilagando, analizzandoli mirabilmente alla luce delle scoperte freudiane e dimostrando che è l’impulso di morte che porta un popolo ad asservirsi al suo dittatore e a provocare la guerra. Nessuno storico di rilievo ha evidenziato quest’aspetto, anche perché la persecuzione di Céline da parte degli intellettuali della gauche fece scomparire tutti i documenti, tornati alla luce solo recentemente.
Un esempio?
Molte sue lettere testimoniano questa previsione. Eppure, diversi studiosi hanno ribaltato la realtà. È il caso di uno dei suoi vecchi biografi, che postò una sua missiva del ’33, dove scriveva: “Al fascismo andiamo, noi vogliamo” e la piantò lì, per far capire che Céline era filo fascista. Ma la lettera continuava: “…perché questa Europa imputridita non si merita di meglio”. Nel mio libro, ovviamente, la lettera è riportata integralmente.
Veniamo al tanto discusso antisemitismo. Difficile sottovalutare le invettive di Bagatelle per un massacro.
L’antisemitismo di Céline è molto marginale rispetto alla sua opera. È riscontrabile in un solo pamphlet ed è stato messo in risalto per colpirlo. Il suo supposto collaborazionismo non è mai esistito e il mio libro lo dimostra con documenti ineccepibili usciti ultimamente. Céline non invocò mai un pogrom e neanche le camere a gas, che non sapeva nemmeno esistessero. Viene considerato antisemita anche L’Eglise, scritto per colpire Raichmann, un ebreo a capo della Società delle Nazioni. Ma quell’opera colpisce più che altro il potere della parola, quello politico verbale, che appartiene a tutti e non parla di ebrei o ebraismo. L’autore di Morte a credito ebbe poi molti amici e difensori ebrei, e ne salvò altrettanti dalla persecuzione nazista grazie a certificati falsi.
Céline e l’eros: un rapporto complesso, eppure utile per capire alcune delle sue scelte.
Credeva molto nelle donne, tanto da scrivere che quando il potere “muscolare” maschile sarebbe finito, esso avrebbe lasciato il posto a quello intuitivo femminile ed il mondo se ne sarebbe certamente giovato. Era per la completa libertà sessuale della donna, convinto che il suo potenziale erotico fosse di molto superiore a quello dell’uomo. Tra loro, amò molto le danzatrici classiche, definendole “musica fatta carne”. Ebbe tre mogli e un numero infinito di amanti, una delle quali tentò il suicidio quando decise di lasciarlo. Era un uomo avvenente, con un fascino magnetico ed erotico che faceva davvero strame sia tra il pubblico femminile e anche…. in quello maschile. Praticò una sessualità senza confini, non fu mai omosessuale sebbene non nutrisse alcuna preclusione contro i gay. Ed infatti quando Jean Cocteau fu attaccato dai fascisti per la sua relazione con Jean Marais, lo difese strenuamente.

Marina Alberghini: vi presento il vero Céline
di Filippo Maria Battaglia

5 commenti:

Anonimo ha detto...

diavolo, e pensare che non me ne ero mai accorto!...e credevo proprio che il vecchio Luis-Ferdinand fosse un inguaribile fascista antisemita e che i finocchi gli stessero sulle palle!...macchè, non avevo capito niente! per fortuna è arrivata l'Alberghini,e mi ha spiegato che era un vero democratico, filo gay ed anticomunista. Chissà se lo ha pure iscritto ex ante al PDL, corrente Fini naturalmente.
'sto libro me lo devo proprio compra'

Anonimo ha detto...

Dai Andrea, perchè ti arrabbi? Celine era un genio, ed era un genio antisemita; punto e basta, ed essere stati antisemiti non significa certo automaticamente essere per le camere a gas ed i campi di sterminio.
Dall'intervista esce fuori un Celine quasi "non antisemita", su via, è la solita formula di chi non è in grado di accettare la realtà per quella che è.
Sarò curioso di vedere se nel libro la sig.ra Alberghini cita il ritratto che Juenger fa nei suoi diari di Celine,altro che marginale antisemitismo...
Non potremo mai discutere con serenità di certi autori, se non il giorno in cui, quando il pierino della situazione alzerà il dito e griderà "era antisemita! era nazista!, la risposta sarà un coro ad una sola voce: sì, d'accordo, e qual'è il problema?"
Cordialmente

Andrea Lombardi ha detto...

Carissimo,

non sono d'accordo.

L'"antisemitismo" (o meglio antigiudaismo visto che "semiti" sono anche gli arabi) propriamente detto per me è quello tradizionale de "La Civiltà Cattolica", o quello "colto" di Voltaire, Dante e Martin Lutero, quello legato a doppio filo all'opportunità politica, come quello di Streicher o Stalin, o quello "scientifico" di Gobineau, Montandon, Rosenberg..

Céline a mio parere non rientra in queste categorie; nei pamphlet il suo monologo violento, insistito e vorticoso è quello della Cassandra che intuisce la catastrofe che si sta per abbattere sulla sua Francia, di colui che vede i valori tradizionali della sua nazione, o meglio quelli sopravissuti al 1789, vacillare dopo il 1918, e identifica come "colpevoli" gli ebrei e non solo. Sai bene che Céline usò termini accesi come e più che con gli ebrei vs comunisti, cacciatori, intellò vari...

Definirlo quindi "antisemita" nella sua versione attuale del termine, spesso legata a contingenze opportunistiche, più che oggettive; se poi associamo a "antisemita" "fascista" e "i finocchi gli stessero sulle palle" "vero democratico" "PDL corrente Fini"...

Dare del "fascista" a Céline è ignorare tutto di LFC, ma proprio tutto. Magari nazionalista (a modo suo), vedi sotto il ricordo di Aymè ma "fascista" vuol dire incasellarlo tra i "cattivi", come vollero Aragon e Sartre, per invidia e per convinzione ideologica: "chi non è comunista è un nemico dell'umanità, un fascista".

Non è mia intenzione fare l'avvocato di LFC; sarebbe solo presunzione: Céline non ne ha bisogno, sia come uomo che come scrittore.

Io non sono un critico letterario, nè un fine pensatore. Mi interesso di storia; io narro solo e soltanto ciò che ha riscontro nei documenti. Le idee sono un lusso inutile, che non voglio permettermi. Lo stesso metodo lo applico qui.

Poi mi sembra inopportuno giudicare l'opera di una persona "dalla copertina", in questo caso da tre righe di un'intervista, magari solo perchè ha un'idea diversa.

Su Juenger/Céline, permettimi di citare un passo di un mio libretto su LFC:

Frequentando entrambi i salotti letterari parigini, Céline incontrò più volte l’intellettuale tedesco Ernst Jünger, decorato della Pour le Merite nella pri-ma guerra mondiale e richiamato nella Wehrmacht. Jünger citò più volte Cé-line (anche con lo pseudonimo di “Merline”) nel suo Diario del 1941-1945, Irradiazioni, talvolta in maniera meno che encomiastica. Riportiamo alcuni brani del diario di Jünger:

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Parigi, 7 dicembre 1941

Nel pomeriggio all’Istituto germanico, Rue Saint-Dominique. Fra gli altri c’era Merline, grande, ossuto, forte, un po’ goffo, vivace nella discussione, anzi nel monologo. È caratteristico quel suo sguardo da maniaco introvertito, che riluce come dal fondo di una caverna. Non guarda né più a sinistra né a destra: si ha l’impressione che cammini incontro a una meta sconosciuta. “Io ho la morte sempre al mio fianco”, e indica una sedia come se ci fosse seduto sopra un cagnolino. È sorpreso, urtato di sentire che noi soldati non fuciliamo, non impicchiamo e non sterminiamo gli ebrei; sorpreso che qualcuno, avendo una baionetta a disposizione, non ne faccia un uso illimitato. “Se i bolscevi-chi fossero a Parigi vi darebbero un esempio, vi mostrerebbero come si petti-na la popolazione, quartiere per quartiere, casa per casa. E avessi io la baio-netta, saprei cosa farne”.



Parigi, 14 marzo 1943

Di sera, da Armance, che è inferma: si è ferita a un piede a casa di Céline. Mi ha raccontato che questo autore, nonostante le sue grandi rendite, è sempre a corto di denaro, poiché lo distribuisce completamente alle prostitute, che, con tutte le loro malattie, ricorrono alle sue cure.

Parigi, 16 novembre 1943

Di sera all’Istituto tedesco. Vi era lo scultore Breker con sua moglie, che è greca; inoltre la signora Abetz e le simpatiche figure di Abel Bonnard e Drieu La Rochelle, contro il quale nel 1915 ho scambiato colpi di fucile. […] Céli-ne, con le unghie sporche: entro ora in una fase nella quale la vista dei nichi-listi mi diviene fisicamente insopportabile.

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Il solitamente acuto Jünger non si rende conto che Céline stava sem-plicemente recitando la parte del perfido nichilista, come suo solito con gli interlocutori che meno gradiva. Céline sarà stato senza dubbio sempre più soddisfatto di abbindolare l’altezzoso boche, e di suscitare la crescente indignazione dell’algido e aristocratico intellettuale ed e-steta tedesco, combattente come lui nella prima guerra mondiale. Av-venimento del quale Jünger, a differenza di Céline che ne narrò so-prattutto gli orrori, fu glaciale e appassionato cantore nelle sue prime opere, evocando la grandezza del combattente che si ergeva contro le tempeste d’acciaio degli scontri di materiél.

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Di seguito, Aymè:

Credo che l’antisemitismo non si dichiari all’improvviso come il morbillo, ma sia il frutto dell’educazione. Céline era nato in quell’ambiente di piccoli commercianti parigini, tutti più o meno anti-semiti, poiché ai tempi dove erano impiegati di commercio, l’ebreo simboleggiava per loro il padrone, e in seguito, quando avviarono la loro attività, avevano trovato in lui un temibile concorrente, accusato di rovinare i piccoli negozianti con il concorso delle banche ebraiche. Non dimentichiamoci che sino all’Affaire Dreyfus, la classe operaia a Parigi era apertamente antisemita, in teoria in ricordo dei banchieri dell’Impero, in realtà per ragioni più vicine. Una volta che Jaurès ebbe preso posizione nell’Affaire, l’ostilità degli operai cessa di essere aper-ta, ma non cessa affatto, e se ancora oggi esiste a Parigi un fermento d’antisemitismo, esso esiste non nei quartieri-bene, ma nelle periferie e anche tra i piccoli commercianti della capitale. Si può ben immagi-nare che nel negozio del Passage Choiseul (già in declino), dove Céli-ne Destouches, la madre del nostro futuro scrittore, vendeva i suoi pizzi, il bambino ha dovuto crescere nella familiarità di questo astio anti ebraico, infamante l’anti-Francia che minacciava il pane del fo-colare. E non fu una presa di coscienza letteraria, quella che ha risve-gliato e fatto divampare tutto d’un tratto un antisemitismo latente nel suo cuore e nel suo spirito, ma una oltraggiosa ingiustizia subita nell’esercizio della sua professione di medico, e perpetrata a beneficio di un suo collega ebreo. Altri avrebbero incassato l’affronto, morden-do il freno, ma come ho detto, non si attacca chi si difende a fondo, con tutte le sue forze. Si giudicheranno come eccessivi gli sviluppi da-ti a questo affare personale. Ma una ingiustizia è mai unicamente un affare personale? In tutti i casi, una cosa è sicura, ossia che Céline, se non fosse stato provocato, colpito al cuore, non sarebbe mai partito in guerra contro gli ebrei. Non è quindi, secondo la parola di Jean-Pierre Richard, “un delirio di casualità” che lo ha fatto uscire dai gangheri. Qui, è l’ingiustizia che ha generato ingiustizia. E se la risposta è stata sproporzionata con l’ingiustizia iniziale, è che Céline, prono alla col-lera e al suo genio verbale, aveva precisamente perso questa facoltà di “essere obiettivo” che possedeva pienamente quando si trattava di Bardamu e delle sue altre creazioni. L’errore di identificare Céline con Bardamu conduce naturalmente a pensare che si è rinnegato, renié nel denunciare, a proposito degli ebrei, l’abbassamento della vitalità, del civismo, dell’intelligenza e del patriottismo francese. In realtà, se si rimettono Céline e Bardamu nelle prospettive proprie a ciascuno di lo-ro, non vi è l’ombra di un rinnegamento. Non vi vediamo che una con-traddizione, del resto ben anteriore alla crisi d’antisemitismo. Quest’uomo, che più di altri aveva misurato l’onore, la stupidità della guerra, e il pericolo permanente che costituiscono i nazionalismi surri-scaldati, custodiva in lui vivace e suscettibile, un patriottismo da im-magine di Epinal, inculcatogli dalla scuola comunale e che proseguì a casa con la lettura dei grandi quotidiani. Questa guerra mondiale che giudicava aberrante e odiosa, era fiero di averla combattuta con co-raggio e distinzione, e non cessò mai di essere fiero delle gravi ferite ricevute al servizio del suo paese. Ed eccoci lontano da Bardamu! Ai nostri giorni, è difficile comprendere come questi sentimenti abbiano potuto coesistere con quei giudizi lucidi che ne erano la condanna. Io, che fui, come tutte le persone della mia età, impregnato dall’insegnamento sciovinista della scuola laica, e che sono cresciuto in una città dell’est, con il ricordo d’aver assistito, prima dell’altra guerra, a degli scoppi d’isteria popolare a proposito dell’Alsazia-Lorena e del nemico al di là del Reno, non mi stupisco di questa con-traddizione. D’altra parte, quello che mi sembra sorprendente, è che si sia potuto accusare Céline di aver collaborato con i tedeschi e anche di essere per loro un amico e un ausiliario. È una favola corrente già al tempo dell’occupazione, e che dura ancor oggi. In realtà, Céline nutri-va per i tedeschi una sfiducia e una ostilità che veniva da lontano. I suoi genitori, che ambivano per lui una carriera da grande commer-ciante, o da grande uomo d’affari, avevano voluto che apprendesse le lingue straniere, per le quali era sin d’allora notevolmente dotato. Ver-so i suoi dodici anni, lo mandarono a due riprese a passare le vacanze in una piccola città tedesca, in modo da fargli apprendere la lingua del nemico. Il giovane Destouches si scontrerà là allo sciovinismo odioso, irriducibile, dei bambini della sua età che si ostinavano a rendergli la vita insopportabile. Immagino facilmente che si sia difeso con vigore e non avrà tardato a trovare delle risorse nella lingua dei suoi avversari, ma cinquanta anni più tardi, parlava ancora di quei due soggiorni co-me di un incubo. La disfatta del 1940 fu per lui un’umiliazione e, a prescindere di qualunque cosa avesse detto prima, una sorpresa dolo-rosa. La sentì come un affronto che gli era stato inflitto personalmente, e non volle mai sentire altra spiegazione che il tradimento, la mancan-za di cuore di un Esercito che si era lasciato catturare, diceva, senza combattere. Era un capitolo sul quale rifiutava sempre la discussione, e il suo rancore contro quell’Esercito là si sostenne sino alla fine della sua vita. Là, come anche nel suo antisemitismo, si trovava su un terre-no passionale, dove non accettava di rendere obiettivamente il dibatti-to.

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Cordialmente,

Andrea Lombardi

Anonimo ha detto...

una domanda ad andrea: ho letto che questo 'Gatto randagio' conta più di mille pagine, il che risulta essere molto intrigante per un incallito divoratore di informazioni come sono io. se poi sono notizie del nostro Ferdinand Celine certo è ancora più stimolante. ma già ci sono cascato una volta, ti spiego: ho acquistato l'edizione Einaudi ''Giuignol's band 1 e 2 preceduti da Casse pipe'' un libro che non può mancare ad un celiniano doc ma che presenta non pochi problemi di lettura... tu che lo hai non puoi non aver notato quanto sia concentrata e brutta quella edizione, che conterrebbe quasi novecento pagine in un formato da cassetta per l'autoradio. pagine trasparenti, caratteri microscopici che toglierebbero la voglia di leggere anche ad un accanito lettore cm me (ho dieci gradi pieni di vista, per la cronaca). quindi la domanda è: non è che anche queste mille pag e passa del ''gatto randagio'' sn state ridotte ad una nocciolina cm il meraviglioso romanzo londinese di Celine?
grazie per l'attenzione
complimenti per il sito, è grandiso!

un saluto

Andrea Lombardi ha detto...

Ciao e grazie per i complimenti!

In effetti l'edizione Einaudi-Gallimard è una chicca per bibliofili, con rilegatura in pelle, sovracoperta, titoli in oro, segnalibri, carta speciale, formato 17,5x10,5 tradizionale di gran classe... ma un inferno per i lettori! ;-)

Il libro della Alberghini, come tutti i Mursia, è invece in un carattere più umano (direi un 11, o anche leggermente superiore). Non stanca la vista, insomma.

Se vorrai (ri)leggere Guignol's Band, semmai cerca l'Einaudi "normale" del 1982: prova su www.maremagnum.com

Ancora grazie!

Andrea