«Lo dice alla fine, nelle conclusioni, Maurice Bardèche: “Non avevo intenzione di scrivere un libro su Céline”. E infatti non l’ha fatto, perché quello che ha pubblicato l’editore Andrea Lombardi - nella collana Off Topic della sua casa editrice Italia Storica - non è un testo sull’autore di Viaggio al termine della notte, ma è una vivisezione dello scrittore francese. Il bene, il male e Louis-Ferdinand Céline (29,00€; 322 pp.). La curatela originaria è a opera del compianto, scomparso quasi 30 anni fa, Moreno Marchi che di quelli volgarmente e in maniera sprezzante definiti scrittori collaborazionisti, col Nazismo chiaramente, ha saputo tratteggiare le linee per mantenere vive - non gli scritti perché la potenza di Brasillach, Drieu La Rochelle e Rebatet è moto perpetuo - le biografie che rischiavano e rischiano, allentandoci sempre più dal loro tempo, di venire cancellate. Cancellate perché restano uomini e intellettuali che hanno voluto dire no ai vincitori post ‘45. Prima, durante e dopo. Bardèche di quella generazione è stato uno dei sopravvissuti - nato nel 1907 è morto nel 1998 - vivendolo tutto il secolo breve e per questo ha portato la fiaccola e il pensiero, francese, racchiuso in una frase pronunciata da Jean Marie Le Pen all’indomani della sua morte: “Un profeta della rinascita Europea, per quale ha a lungo sperato”.
In questo tomo c’è il sunto dell’esistenza di Louis Ferdinand Auguste Destouches, eccolo il vero nome, che fu “al contempo un eroe ed il suo contrario: un irresponsabile”. Una fonte, profonda e a volte respingente, capace di mostrarci il genio di Courbevoie per quello che è stato realmente. Fascista? Nazista? Comunista? Tutto e all’unisono l’opposto. “Lo si crede fascista a causa dei suoi pamphlet: non lo è di più di quanto non fosse comunista quando scrisse il Viaggio. Egli non è né coerente né sistematico. Vi è in lui qualcosa di molle, a volte di debole: in alcuni momenti fa pensare ad un ubriaco per caso e che tra i singhiozzi ci racconta la sua storia”. Quasi una pausa feroce. “Essa può interessare, l’ubriaco la sviolina abbastanza bene. Lo si può amare, ma senza illusioni. Ad ogni modo è inclassificabile e ci s’inganna quando si pretende di appropriarsene”. Ovviamente nell’inchiostro perché Céline è stato un inguaribile astemio. Il francese lo abbiamo letto, lo leggiamo e lo leggeremo per la sua opera di sismografo. Le parole messe su carta sono la trasposizione di una vera e propria confessione.
Quello che ci colpisce è come tutti lo abbiano voluto al proprio tavolo delle idee. Bardéche racconta delle reazioni - dopo aver narrato dell’infanzia, della guerra e del medico del lavoro, specialista in malattie infettive, Céline - all’indomani della pubblicazione di Viaggio al termine della notte nel 1932, quando lo scrittore aveva 38 anni. Lo stesso romanziere definì il tomo “un romanzo comunista”. Gorki vedeva in quelle pagine “il nichilismo della disperazione” condannandolo, così come fece tutta la risma del marxismo e stalinismo. Sulla stessa falsariga, dieci anni dopo, il dottor Bernard Payr (capo dell’Amt Schrifttum ovvero il servizio d’informazioni nazionalsocialista sulla vita letteraria delle Nazioni occupate) che osservava in Céline la celebrazione dell’obiezione di coscienza dove il fango prevaleva sui “valori positivi” dell’umana esistenza. Mentre Trotskij lo vide come “grande rappresentante della tradizione umanista francese”. Divisivo. Fino ad arrivare al suo antisemitismo che l’autore, nella biografia, racconta senza pudori.
La penna di Bardéche sale e scende. Passa da Morte a credito, ai pamphlet, alla persecuzione e ancora alla prigione per collaborazionismo (durata più di un anno e mezzo da fine 1945 al 14 giugno 1947). All’uomo che si abbruttisce, ma che non cade nel vortice della sirena comunista, che vuole ammaliarlo con un viaggio in Russia all’arrivo della fama negli anni ’30, mettendo nero su bianco in Mea culpa il suo rifiuto allo stalinismo. Qui Louis-Ferdinand Céline dice “il minimo impraticabile buco del culo si vede Giove allo specchio”. Non più volgarità, ma il registro di un delirio dello scrivente e dello spazio, come ricorda proprio l’immenso romanziere parlando della sua condizione mentre scriveva il suo romanzo più famoso. Lo stesso che ottenne 42 edizioni in meno di due anni per Bagatelle per un massacro. Fama e deriva tutto in un unico concentrato, tutto in un unico uomo. “Bardèche sa bene di cosa stia anche scrivendo”, ci dice Marchi nella prefazione, ed è proprio così. Testimone e testimonianza - nel 1935 con suo cognato Brasillach scrisse la prima Storia del cinema - tra le righe di Sparta e i sudisti, in Che cos’è il Fascismo e I servi della democrazia. C’è tutto qui riunito, non solo la penna e i capitoli, neanche solamente la Francia, ma l’Europa con il suo afflato agiato perennemente».
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