Dopo il suo ferimento in azione nella prima guerra mondiale, nel 1915 il giovane Destouches fu inviato a Londra quale impiegato presso il locale ufficio passaporti francese. Troveremo ben più di una traccia delle sue esperienze tra i bassifondi e le attrazioni più o meno lecite della metropoli inglese nelle picaresche avventure dei personaggi di Guignol's Band I e de Il ponte di Londra. Georges Geoffroy, suo collega all'epoca, dà un vivace ritratto di Céline in questo periodo nel ricordo - inedito in italiano - che presentiamo qui di seguito.
Andrea Lombardi
Louis Destouches in Inghilterra
di Georges Geoffroy
Alla fine del 1914, ero aggregato al 2e Bureau[1] della 8a Armata a Roussbrugge, nelle Fiandre. Agli inizi del 1915, fui inviato a Folkestone e poi a Londra, dove mi trovai assegnato all’Ufficio passaporti.
Fu là, qualche tempo dopo, che vidi arrivare Louis Destouches con la sua “batteria da cucina” (Destouches dixit): Medaglia Militare e Croce di Guerra. Facemmo subito amicizia e, siccome non sapeva dove stare, gli proposi di dividere la mia camera ammobiliata al 71 di Gower Street, il cui affitto era per me un po’ troppo caro. Accettò. Vivemmo così assieme per mesi, senza quasi separarci mai.
Dopo il lavoro andavamo in giro per Londra, nel quartiere di Soho particolarmente, e, poiché avevamo un debole per le femmine, facemmo la conoscenza di un buon numero di ragazze, sia inglesi che francesi e di altre nazionalità.
All’Ufficio Passaporti noi avevamo il compito di rilasciare il visto d’ingresso in Francia o di rifiutarlo. Nei casi dubbi, ci riferivamo ai nostri superiori.
Avemmo così l’occasione di conoscere – oltre a della gente bene – molti individui bizzarri o equivoci; questi ultimi incantavano Louis Destouches, il quale amava moltissimo osservare le persone e conoscerle per ascoltarne i discorsi e studiarle.
Certe sere frequentavamo il bel mondo, il “bel mondo francese”. O magari Louis mi portava al music-hall (la “batteria da cucina” era sufficiente per entrare gratis), a degli spettacoli di balletto. Conoscemmo Alice Delysia e, personalmente, ritrovai al Palace un amico, Aimé Simone-Gérard, che ci presentò delle teatranti. Louis andava matto per le ballerine. Aveva una passione per la danza. La nostra vita era allo stesso tempo semplice e movimentata, con degli incontri strani, come, per esempio, quello con Mata Hari, che ci invitò a pranzo al Savoy, dove risiedeva. Avevamo le istruzioni di accordarle il suo visto, ma di farla aspettare sempre un po’ di tempo.
Non sapevamo esattamente cosa l’attendeva in Francia, ma ne avevamo comunque una vaga idea.
Certi giorni avevamo qualche soldo, e altri non ne avevamo per niente! Ma tutto si aggiustava a Soho. I papponi francesi e le loro protette erano gentili con noi, sempre pronti a offrirci da mangiare.
Durante tutto questo periodo, Louis non mi ha mai detto di voler scrivere, e non l’ho mai visto premdere un’annotazione. Solamente, leggeva molto e mi svegliava spesso alle 6 di mattina quando accendeva la luce per prendere un libro, solitamente di filosofia o storia. Mi leggeva allora ad alta voce dei brani di Hegel, Fichte, Nietzsche, Schopenhauer. Tutto questo andrà avanti per mesi, poi, un bel giorno, credo verso la fine del 1915, fu riformato e lasciò Londra. Credo che partì per l’Africa. Da parte mia, partii per l’America con la Missione Tardieu nel 1917, e non tornai in Francia che nel 1919.
E, se nel 1932 non avessi letto l’articolo di Léon Daudet ne “l’Action Française” dedicato al Goncourt e al Voyage au bout de la nuit, potrei averlo perso di vista per sempre. Il caso volle che conoscessi un certo Bernard Steele, americano, che non sapeva nulla di editoria, ma che aveva delle risorse finanziarie e che era socio nell’impresa “Denoel et Steele”. Gli telefonai subito e gli dissi: “Ma sei tu il coeditore di Céline Destouches?” ma non potei continuare perché mi interruppe dicendomi: “Te lo passo, è accanto a me”. “Sei proprio tu, porca d’una vacca!”, mi disse Céline. Ci rincontrammo da Weber. Non era più il fantaccio Destouches, ma non era cambiato, sempre curioso di tutto, brillante, e per nulla inebriato dal suo successo. Da quel momento ci siamo rivisti abbastanza regolarmente, o in rue Giradon da Lucette, o in avenue Junot da Gen Paul.
Nel 1943, tenemmo la nostra ultima lunga riunione. Céline, Lucette e Gen-Paul vennero a pranzo da me il giorno di Natale. Era felice, rilassato, affascinante. Aveva appena rifiutato ai tedeschi di collaborare alla creazione di un giornale antisemita. Quando parlava di politica, Céline era come un profeta, mille metri al di sopra dei veri avvenimenti mondiali. Improvvisamente mi disse: “Vecchio mio, tra un po’ i crucchi saranno così coglioni da farsi accoppare all’est, e sta bene. Però quando smammeranno, allora gli asiatici arriveranno a Parigi e sarà terribile (chiamava i russi “asiatici”).” Forse Céline non credeva a uno sbarco angloamericano? Gli risposi calmo: “Louis, sono sicuro che gli angloamericani saranno a Parigi ben prima che gli asiatici”. E lo credevo ancor di più poiché ero americanofilo-anglofilo.
Durante l’occupazione mi veniva a trovare abbastanza spesso in ufficio, rue Danielle-Casanova. Me lo ricordo come fosse ieri: con il suo giaccone di montone e i suoi occhialoni da moto appesi al collo. Una mattina, c’era stato lo sbarco: “Ti porto il braccialetto di Lucette da riparare, mi serve domattina, partiamo per Saint-Malo”. Risposi: “Sì Louis, ma mi prendi per un imbecille?”. Non mi rispose; mi sembrava molto angosciato. Gli consigliai di riparare in Spagna. Partì, senza dirmi dove.
Più tardi, ricevetti di tanto in tanto una lettera da Copenaghen, e si stabilì tra noi una corrispondenza. Le sue lettere erano segnate da una grande tristezza. I danesi l’avevano sbattuto in prigione, e, senza concedere l’estradizione gli avevano proibito di esercitare la medicina. Proibito anche a Lucette di dare lezioni di danza. Un bel giorno, dopo aver ricevuto una lettera ancora più malinconica delle altre, presi un aereo e andai a passare qualche giorno con loro a Copenaghen.
Céline, per me, era un uomo del Medio Evo o del Rinascimento ritornato sulla terra, e che mal sopportava il XX secolo. Era proprio un gran bel tipo.
[1] Il Servizio Informazioni di un Comando d’Armata dell’Esercito francese.
Da L'Herne - Céline, traduzione di Andrea Lombardi.