Escono in Italia le memorie della donna 
che divise vita e arte con lo scrittore francese. Ballerina dell’Opéra, 
oggi ha cento anni
          
               
         
Lucette Almanzor conobbe Louis-Ferdinand Céline, del quale 
acquisirà il vero nome, Destouches, e ruberà quel che rimaneva del suo 
cuore, che era ancora molto, nel 1936, l’anno di Mort à credit.
       
«Al nostro primo incontro io avevo 23 anni, lui 41. Mi dava 
appuntamento al Luxembourg, non parlava, cercava la mia forza». Cercava 
la mia forza. Lucette, che lui chiamava Lili, e Céline, che lei chiamava
 Louis, si sposeranno nel 1943 e rimarranno insieme fino alla morte 
dello scrittore, nel 1961. Lucette, invece, è ancora viva. Abita nella 
casa di Meudon, nei dintorni di Parigi, circondata da pochissimi amici. 
Oggi ha cento anni.
Nata nel 1912, ballerina all’Opéra di Parigi, fin
 dal primo incontro Lucette si dedicherà totalmente a Louis. «È con te 
che voglio finire la mia vita, io ti ho scelto per raccogliere la mia 
anima dopo la mia morte», le scrisse in una lettera Louis-Ferdinand alla
 fine degli anni Trenta. E lei, nelle sue memorie Céline secret, 
trascritte dalla voce di Lucette per mano dell’allieva Véronique Robert,
 uscite in Francia nel 2001 e ora pubblicate in Italia (Céline segreto, 
Lantana), ricorda: «Io non capivo assolutamente nulla. Con lui non 
cercavo la felicità, aspiravo semplicemente a renderlo meno infelice. 
Lui aveva bisogno della mia gioventù e della mia allegria, e io della 
sua testa di uomo che aveva vissuto. Ecco perché ci siamo incastrati 
subito l’uno nell’altra». E alla riga dopo, ecco la rasoiata: «Era un 
essere disperato, di un pessimismo totale che nello stesso tempo dava 
una forza incredibile. C’era in lui un’intensità nella tristezza che 
tutti sfuggivano».
Sfuggiti da tutti, senza parenti, senza affetti, 
senza amici o quasi, solo con i loro gatti, tra cui il leggendario 
Bébert che si portavano ovunque, Lucette e Louis condivisero tutto: 
l’arte, la guerra, il breve periodo trascorso a Parigi in rue Lepic, la 
fuga attraverso la Germania («A Berlino strisciavamo sotto terra con 
Bébert. Non c’era più una sola casa in piedi. Era un’atmosfera da fine 
del mondo e di fuochi fatui. Vedevamo sentinelle dappertutto e crepavamo
 di fame»), l’esilio in Danimarca («È il Paese più triste del mondo. 
Abitato da porci ipocriti... Là Louis si è rimesso a scrivere e io a 
danzare. Davo lezioni alla nipote di Goering, che era sposata con il 
figlio di un rabbino»), il rimpatrio nel ’51, la vita a Meudon dove 
Céline vive gli ultimi dieci anni di vita in completo isolamento, a 
scrivere la trilogia del Nord... E poi la povertà, le malattie, il 
processo per collaborazionismo, la condanna, il carcere («La prima 
guerra ne aveva fatto un mezzo uomo, un solo orecchio, un solo braccio, 
la testa in ebollizione. La prigione l’ha finito. Ha fatto di lui un 
morto vivente»), l’ostracismo del mondo intero. E tutto questo Lucette 
lo ricorda nelle sulle memorie. Lucette fedele compagna tradita dalle 
ossessioni di Céline, da Céline stregata e a Céline totalmente dedita, 
che difenderà in vita e in morte, tanto da giustificarlo anche nel suo 
antisemitismo. «Era un uomo scontento che, come molte persone a quei 
tempi, rendeva responsabili di tutte le sue disgrazie gli ebrei e i 
massoni. Louis ha sentito dirne male per tutta la sua infanzia, come uno
 sfondo sonoro ... Louis era incosciente ... Non voleva capire neppure 
quando gli dicevo: “Ti metti una lastra sulla testa”, quando scriveva 
Bagatelle per un massacro a Saint-Malo. Sosterrà fino alla fine di aver 
scritto i pamphlet con uno scopo pacifico, punto e basta. Era sincero».
Sincera,
 Lucette racconta il suo Louis, il Céline segreto, quello che non c’è 
nei romanzi, né nelle biografie «ufficiali». Adorava Shakespeare, «di 
cui diceva che avrebbe dato tutto ciò che aveva fatto per essere capace 
di scrivere uno solo dei suoi versi». Era ossessionato dal sesso. «Aveva
 alcune amanti di cui mi parlava. Raccontarmi di loro lo eccitava. Per creare aveva bisogno di quelle visioni... Ho sempre rifiutato 
di partecipare a delle orge per lui, ascoltavo le sue confidenze ma non 
mi impegnavo col corpo»). Linguisticamente puro. «Louis mi aveva 
proibito di pronunciare una sola parola in danese, fosse anche “pane”, 
broad. Il suo amore per il francese non sopportava nessun compromesso». 
Il suo sentirsi prima di tutto medico. «Grazie alla medicina, Céline si 
sentiva nel cuore delle cose, al centro della vita, nell’essenziale... 
Di fronte a un bambino che muore, nulla ha più importanza, la 
letteratura come il resto».
Per il resto, basta la prima frase del suo libro: «Dalla morte di Louis, la vita non mi interessa più».
Luigi Mascheroni da Il Giornale, 27 giugno 2012
1 commento:
questo va letto assolutamente
Meridiano
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