mercoledì 26 ottobre 2011

Riflessioni sul saggio di Germinario: Céline. Letteratura politica e antisemitismo, di Patrizio Paolinelli




Riflessioni sul saggio di Germinario: Céline. Letteratura politica e antisemitismo

di Patrizio Paolinelli


Le note che seguono si limitano ad esprimere dei dubbi e non elenco i motivi per i quali considero utile il lavoro di Germinario.

Annodare il filo nero che unisce l’insieme dell’opera céliniana (letteraria e saggistica) è un’operazione di estrema utilità. Germinario non ammette un doppio Céline e tutto il suo libro verte a dimostrare quest’inammissibilità. E’ vero, in Céline sussistono delle continuità. Ad esempio fino all’ultimo giorno della sua vita sarà ostile al melting pot. Ma c’è anche dell’altro, come in ogni persona. A me sembra che esistano più Céline ed è poco probabile che così non sia perché tutti noi moderni e postmoderni costruiamo la nostra realtà giorno per giorno (assumendo ruoli diversi) spesso in maniera incoerente. Eppoi, se non concediamo a Céline alcuna possibilità di riscatto cosa resta? La dimostrazione che è stato per un periodo filonazista e per tutta la vita poco tollerante. D’accordo, ma ci possiamo oggi accontentare di questa dimostrazione dinanzi all’affermazione di nuovi razzismi e nuovi autoritarismi? A mio giudizio la dannazione di Céline non riguarda il tempo che ha vissuto ma il nostro presente.

Il libro di Germinario sull’itinerario politico di Céline mi pare confermare la mia ipotesi di un Céline postmoderno (ipotesi che ho espresso nel libro: Nello specchio della modernità. Fotoritratti di Louis-Ferdinand Céline, Bonanno, 2010). Senza un ordine di proprietà e in maniera incompleta mi limito a un breve elenco di alcuni elementi rilevati dalla ricerca di Germinarlo. I seguenti:

· Il progresso è un’illusione.
· Avversione per il pluralismo politico.
· Individualismo innato.
· Le classi non esistono.
· Culto del corpo.
· Culto della bellezza.
· Plagio.

Sono tutti elementi tipicamente postmoderni e nient’affatto esclusivi dell’estrema destra, ma diffusi nella società e in molte comunità intellettuali. Due esempi: 1) i sociologi oggi si astengono rigorosamente dal parlare di progresso, anzi molti affermano che è un’ideologia morta e sepolta; 2) in quanto al pluralismo politico mi pare che oggi l’assolutismo neoliberista abbia fatto davvero piazza pulita di ogni reale alternativa al suo modello sociale (che resta quello capitalista).

E passiamo al Céline politico. Procedendo sempre per punti.

Intanto le svolte: al Céline impolitico del Voyage succede il Céline antipolitico del Mea Culpae poi il Céline tutto politico di Bagatelle. Direi che si tratta di balzi tipicamante post-moderni. Ma direi anche che attribuire a Céline un forte acume politico mi pare concedergli un po’ troppo. Tant’è che non farà alcuna carriera politica. Insomma mi pare un dato di fatto che Céline non possieda grandi capacità politiche, anzi molto poche. Se poi teoricamente era pure un plagiario come Germinario sostiene non resta neanche l’ideologo. E d’altra parte, lo stile gridato dei libelli non basta a fare di Céline un teorico della politica.

È evidente che biografia e storia si sposano, come in chiunque di noi. Ma in Céline il dato biografico a me pare prevalere su quello politico. Tant’è che nonostante i libelli antisemiti resterà politicamente isolato (per sua fortuna). Non pare proprio che i nazisti tedeschi lo abbiano considerato un punto di riferimento. Sicuramente lo è stato per alcuni. Ma neanche nel suo paese ha trovato gran seguito.

Come Germinario illustra, Brasillach critica pesantemente Bagatelle affermando che alla fin fine mette in cattiva luce gli antisemiti. Non è una prova che Bagatelle, in quanto enciclopedia di invettive, è più un testo umorale che politico? Se si considera poi che i pamphlet sono stati scritti un quattro e quattr’otto e che i dati quantitativi riportati da Céline sulle presunte malfatte degli ebrei non hanno il benché minimo riscontro statistico il Céline politico si riduce a poca cosa nonostante il successo di Bagatelle e l’ammirazione di alcuni circoli dell’estrema destra.
Non sto contestando la ricostruzione di Germinario. Dico solo che se Bagatelle, La scuola dei cadaveri e la Bella rogna non portassero la firma di Céline sarebbero caduti nel dimenticatoio come tanti altri pamphlet dello stesso tenore pubblicati in Francia negli anni ’30 e ’40 (osservazione che lo stesso Germinario fa all’inizio del suo saggio). Aggiungo che Céline va problematizzato e non semplicemente condannato perché era preso dall’ideologia ariana e (per un periodo) filonazista. Che dire del Céline antihitleriano del dopoguerra? Che dire del Céline che sempre nel dopoguerra definisce gli ebrei padri della nostra cultura? Semplicemente un opportunista? In parte è vero ma non basta se non separiamo il Céline politico dal Céline uomo comune. In altre parole, condannare Céline senza appello paradossalmente contribuisce a mitizzarlo (e dunque a non comprenderlo). Nel mio libro tento di ricondurlo a quello che è: un individuo ambiguo, contraddittorio, pieno di problemi irrisolti, opportunista, bugiardo fino all’inverosimile, politicamente superficiale. Il che non significa assolverlo dai suoi errori. Ma mi chiedo: siamo così sicuri che dosi di intolleranza totale non siano presenti nel nostro tempo? Alcuni esempi. La dittatura della pubblicità, il pensiero unico del consumismo, la violenza inenarrabile sulla natura.

A più riprese Germinario riporta brani in cui Céline si lamenta del fatto che nessuno lo segue nella sua crociata antisemita e totalitaria. Certo, perché secondo lui la Francia è ebraizzata, massonica, dreyfusarda e antirazzista. Ma questo non costituisce un dato di fatto sulla scarsa incidenza politica di Céline? Un generale senza esercito, un profeta che grida nel deserto, per Jünger un megalomane mezzo matto.

A un certo punto della sua analisi, riferendosi al percorso politico di Céline, Germinario parla di doppia rottura epistemologica. Sarò riduttivo ma più semplicemente direi che Céline cambia opinione. Céline non era un politico né un teorico della politica. Per Germinario poi era un plagiario inserito in una tradizione antisemita di lungo corso. Non inventa nulla (lo stesso Germinario parla di un célinismo avant la lettre). D’accordo, rompe con il nazionalismo e la germanofobia di Maurras. Ma non è certo l’unico. Sul piano politico i libelli non sono che pessimo giornalismo. Pessimo giornalismo intervallato da toccanti pagine letterarie.

Nel suo studio Germinario tenta di dimostrare una compattezza del pensiero politico céliniano che presuppone un pensatore lucido e politicamente navigato. Un cavallo di razza insomma. E’ il caso di Céline? A me sembra che politicamente parlando Céline sia un ronzino. Magari coerente, magari di momentaneo successo, forse, in virtù del suo impareggiabile stile, un classico dell’antisemitismo ad oltranza come Germinario afferma, ma pur sempre un ronzino. Se così non fosse come si spiega che non sia diventato né un ideologo universalmente riconosciuto né un leader con un seguito popolare? Eppure Céline aspirava a questi ruoli. Ma il fatto di non averli conseguiti non dà la conferma del suo scarso talento politico? Il che naturalmente non giustifica i danni compiuti con i suoi libelli.

L’arcaismo politico di Céline connesso al suo progressismo letterario spiazza non poco. Germinario risolve questo spiazzamento affermando che novità della lingua e novità politica (i fascismi) si reggono a vicenda. Vero. Ma il cerchio si chiude qui? Non c’è dell’altro? Il Céline che nei pamphlet scrive pagine di poesia e pagine di furore omicida non ci segnala un terremoto linguistico? E questo terremoto non colpisce almeno un poco tutti noi? Questa parola che per il solo fatto di essere pronunciata cade negli abissi annullandosi in quanto principio dell’umano non ci pone degli interrogativi? E questa stessa parola che a un certo punto risorge dalla morte che si è data non ci dice che alla fine Céline altro non era che un uomo profondamente disorientato e preda di paure incontrollate? Non sembra un uomo che circola ancora oggi tra noi rendendo possibili vecchi e nuovi razzismi, vecchi e nuovi autoritarismi? Per tutti questi interrogativi penso che non basti liquidare Céline con una pur netta e inevitabile condanna politica. E’ necessario che diversi punti di vista si incrocino per formulare nuove analisi capaci di spiegare il tempo presente. E la parabola di Céline ci può essere di molto aiuto.

1 commento:

johnny doe ha detto...

La faccio corta,da quanto qui leggo,Germinario non ha capito un cazzo di Céline...
Certi itinerari esistenziali e non sono tipici dell'uomo di genio,un coacervo di contraddizioni non giudicabili dal metro comune del conformismo germinariano