François Gibault accanto a Lucette Destouches in una fotografia dei primi anni '90
FRANÇOIS GIBAULT RACCONTA CÉLINE
di Gilberto Tura
Per chi non conoscesse François Gibault è sufficiente ricordare che è l’autore della biografia di riferimento di Céline, un’opera in tre volumi pubblicati a metà degli anni ’80 per le “Mercure de France”. È reputata la biografia più completa e documentata tra le ormai molte in circolazione, anche grazie alla possibilità, concessagli dalla vedova Lucette, di accedere alla consultazione di molti documenti inediti, conservati dai genitori di Céline. Gibault di professione è avvocato e dal 1962, anno in cui (come racconta nella conversazione) ha conosciuto la signora Lucette, difende e cura gli interessi della vedova. Inoltre ha curato, nel 1969, la pubblicazione e la prefazione di Rigodon e, nel 1998 per Gallimard, la pubblicazione di “Lettres de prison à Lucette Destouches et à Maître Mikkelsen. 1945-1947” . È presidente della Société d’études céliniennes.
CHI ERA CÉLINE?
Conversazione con François Gibault
In quali circostanze è arrivato a Céline?
Conobbi sua moglie, Lucette Destouches, attraverso André Damien, nel luglio 1962, un anno dopo la morte dello scrittore, in circostanze un po’ particolari: durante un viaggio, avevo fatto una caduta stupida ed è stata lei che mi ha rimesso la schiena a posto, con esercizi di ginnastica. A poco a poco mi ha affidato la decifrazione del manoscritto di Rigodon, che Cèline aveva lasciato prima di morire. Durante la settimana, patrocinavo come avvocato le grandi cause dell’epoca – attentato del Petit-Clamart, Ben Barka… − e la domenica, armato di una lente d’ingrandimento, decifravo Rigodon, a Meudon, negli stessi luoghi dove lo scrittore aveva lavorato. Ciò mi ha occupato per molti anni. Ero spesso accompagnato dal mio amico Bob Westhoff, ex marito di Françoise Sagan, e questo lavoro si è svolto in un’atmosfera gioiosa. Infine, per la pubblicazione del libro, nel 1969, Lucette Destouches mi ha fatto l’onore di chiedermi la prefazione.
Perché, in seguito, si è dedicato alla biografia di Louis-Ferdinand Céline?
La signora Destouches mi aveva presentato a Marcel Aymé, Gen Paul, Henri Mahé, Jean Dubuffet e numerosi altri amici di Céline. Mi aveva inoltre mostrato delle lettere e delle fotografie inedite. Un giorno, Simone Gallimard, che dirigeva il Mercure de France, mi ha suggerito di scrivere una biografia. Ho accettato, pensando di essere nelle condizioni ottimali per farlo. Ciò mi ha preso quindici anni. Ho seguito le tracce di Céline in Danimarca, in Russia, in Germania, in Inghilterra, in Africa…Ho avuto accesso agli archivi del Quai d’Orsay e della giustizia militare. La signora Pedersen, ministro della giustizia danese, mi ha fatto visitare la cella dove lo scrittore è stato imprigionato a Copenaghen. Il fatto di essere spesso accompagnato dalla signora Destouches e la mia condizione di avvocato rassicuravano i miei interlocutori. Sono grato peraltro alla signora Destouches di non avermi mai chiesto di leggere il testo prima della pubblicazione. È stata una formidabile avventura, poiché Louis-Ferdinand Céline ha partecipato a tutti i drammi del XX° secolo e la sua opera romanzesca è per molto autobiografica.
Da quale ambiente proveniva?
Si può dire da un ambiente piccolo-borghese con pretese aristocratiche e con mezzi da proletari. Il padre − per il quale il piccolo Louis non ha alcuna ammirazione – è un mediocre impiegato di una compagnia d’assicurazione e sua madre vende merletti. Louis, del resto, è stato allevato dalle donne – sua madre e sua nonna materna, Céline Guillou, alla quale renderà omaggio in seguito, prendendo il suo nome come pseudonimo di scrittore. Louis nasce il 27 maggio 1894, rampe du Pont, a Courbevoie – come ricorderà per tutta la vita, inventandosi una leggenda di abitante di periferia. In realtà, all’età di due anni, si trasferisce con i suoi genitori a Parigi, rue de Babylone poi al passage Choiseul, vicino ai Grands Boulevards. Ha spesso paragonato, in seguito, il passage ad una «campana a gas». Sono riuscito a entrare nel loro alloggio: era in effetti molto angusto, con il negozio di merletti in basso, una scala montante al primo piano e, al secondo, al di sotto della vetrata, la camera di Louis da cui si vedeva il cielo.
Ha avuto una infanzia felice?
Non proprio. Era figlio unico e i suoi genitori erano molto opprimenti. Non possedevano l’automobile e non facevano vacanze. I suoi più grandi ricordi saranno uno spettacolo di Buffalo Bill e l’Esposizione universale del 1900. La famiglia non crede granchè all’università e vuole avviare Louis nel commercio. Appena ottenuto il suo certificato di studi, che resterà per molto tempo il suo unico diploma, verrà inviato per dei lunghi soggiorni linguistici a Diepholz e Karlsruhe, in Germania, poi a Broadstair e Rochester in Inghilterra. È un’infanzia molto solitaria e conserverà, per tutta la vita, fino ai suoi ultimi anni a Meudon, l’inclinazione alla solitudine. Sarà, del resto, uno scrittore isolato, appartenente a nessuna scuola, parrocchia o accademia. La sua vita sarà una lunga fuga in avanti per sfuggire alla sua condizione sociale, allo stesso modo cercherà di inventare una scrittura per sfuggire ai modi di espressione tradizionali.
È cresciuto in un ambiente antisemita?
Non bisogna mai dimenticare che Louis-Ferdinand Céline nasce nell’anno in cui scoppia l’affare Dreyfus. La sua infanzia è stata segnata da questo dramma. Quando sarà inseguito, dopo il 1945, dai tribunali, si dichiarerà instancabilmente «vittima di un affare Dreyfus a l’inverso». Suo padre, che leggeva “La Libre Parole” di Drumont [pubblicazione antisemita, NDLR] era antidreyfusardo, alla maniera dei piccoli commercianti che erano convinti di vedere le banche e i grandi commerci ebrei regnare dappertutto. Era anche revanscista e ha fatto di Louis un buon piccolo patriota francese.
Céline ha sempre sostenuto di essersi arruolato nella Prima Guerra mondiale. Ciò corrisponde alla realtà?
Non completamente, come spesso succede con lui. In effetti ha anticipato la chiamata di leva, nel 1912, raggiungendo il 12° reggimento dei corazzieri a Rambouillet. Ma non ha mai fatto parte dell’esercito professionale. Detto ciò, fu estremamente coraggioso e rimarrà segnato nella carne e nello spirito dalla guerra, come esprimerà mirabilmente nelle prime pagine del Viaggio al termine della notte. Dall’inizio della guerra, riporterà due ferite. La prima volta, gli esplose vicino una granata, scaraventandolo contro un albero e causando dei disturbi all’orecchio, che lo farà soffrire per tutta la vita di vertigini e di fischi – le famose «valanghe di tromboni» evocate in Morte a credito. Il brigadiere Destouches sarà ferito più gravemente una seconda volta, da una pallottola, nelle Fiandre, vicino a Poelkapelle, il 27 ottobre 1914, mentre si era offerto volontario per consegnare un messaggio attraverso le linee. Riconosciuto invalido al 75% - si pensa anche di amputarlo ! -, si porterà dietro per tutta la vita le conseguenze al braccio destro e scriverà con la mano storta. In compenso, non è mai stato trapanato, come ha talvolta affermato e come molti hanno ripetuto. Grazie al suo atto eroico, ha diritto alla quarta di copertina de L’Illustré national e ottiene la croce di guerra e la medaglia militare. Ma è un eroe traumatizzato, allo stesso tempo militarista e pacifista, che ritorna dal campo di battaglia.
Segue un periodo strano, a Londra, circa il quale si sa poco…
Dopo la sua convalescenza al Val-de-Grâce, è inviato là, nel 1915 come impiegato all’ufficio passaporti del consolato di France. È a Londra che verrà definitivamente riformato. Con il suo amico Georges Geoffroy, se la spassano dopo l’orrore delle trincee. Frequentano i locali loschi di Soho e del porto, senza dubbio anche i bordelli. Ritroveremo questo scenario equivoco in Guignol’s band, scritto trent’anni più tardi. È sempre a Londra, il 19 gennaio 1916, che sposa, per un colpo di testa una certa Suzanne Nebout, che lascerà molto presto. «Sono l’uomo delle partenze veloci», scrive all’epoca a suo zio… Non avendo fatto legalizzare questa unione al consolato di Francia, il matrimonio non avrà alcun valore legale in Francia.
È vero, come si dice, che là ha incontrato Mata Hari?
Mata Hari l’avrebbe invitato a cenare nel suo appartamento al Savoy con il suo amico Geoffroy. Non ci sono prove, ma ciò è del tutto plausibile. La spia era a Londra nella stessa epoca di Céline e frequentava, per le sue attività, i membri dei consolati…
Perché, allora, parte per l’Africa?
Ha 22 anni, è definitivamente smobilitato e gli vengono fatti balenare dei sogni di fortuna. La Francia e l’Inghilterra avendo invaso il Camerun, ex colonia tedesca, devono trovare degli uomini per occupare il terreno. Céline firma un contratto con la Compagnie forestière Sangha-Oubangui e si ritrova a Bikomimbo, un piccolo villaggio a ventisette giorni di marcia da Douala. Fa dei baratti con gli indigeni – sigarette in cambio di zanne d’elefante… All’inizio di settembre 1916, ottiene la gestione di una piantagione di cacao a Dipikar. Sono andato in quelle regioni, sulle sue tracce, e ancora oggi, è un paesaggio di savana totalmente sperduto. Lo immaginiamo, solo, nella notte africana, assalito dai rumori, come ha mirabilmente raccontato nel Viaggio al termine della notte. Céline vive in condizioni climatiche e sanitarie pessime. Colpito da paludismo e dissenteria, passa lunghe settimane nella sua capanna, nel cuore della foresta equatoriale, inondato di sudore, imbottito di laudano. Spossato, senza aver fatto fortuna, finisce per chiedere il rimpatrio nella primavera del 1917.
La sua vita assomiglia a quella di un avventuriero. A quell’epoca, ha già cominciato a scrivere?
Appena. La prima traccia è stata scoperta in circorstante inaspettate. All’epoca del suo passaggio al 12° reggimento di Rambouillet, aveva cominciato a redigere, in un piccolo quaderno di finta pelle, una specie di diario intimo, che cominciava con queste parole: « Non saprei dire cosa mi spinge a scrivere ciò che penso.» Quando fu ferito al fronte, cede il suo zaino a un soldato, Maurice Langlet, che conserva il taccuino. È solo nel 1957, all’uscita Da un castello all’altro, che Langlet si riavvicinò al brigadiere Destouches e al romanziere Céline! Restituisce allora al suo vecchio amico questo testo, che saà pubblicato con il titolo Il taccuino del corazziere Destouches. Ma è in Africa che comincia a scrivere, timidamente: una novella intitolata «Onde» e due poemi – quasi romantici – inviati a una amica.
Al suo ritorno in Francia, fa la conoscenza d’un uomo bizzarro che diventerà uno dei grandi personaggi della sua opera…
Si, l’inventore Raoul Marquis, alias Henri de Graffigny, modello del futuro Courtial des Pereires di Morte a credito. Appassionato di voli in mongolfiera, creatore d’apparecchi elettrici stupefacenti, grafomane impenitente – gli dobbiamo più di centoquaranta opere sugli aquiloni, l’automobile o sulla moda! - , collabora alla rivista Euréka. È lì che Céline lo incontra. Sembra che Céline sia stato il suo uomo tuttofare, segretario, fattorino… Henri de Graffigny è sepolto nel cimitero di Septeuil. Ho fatto trasformare la concessione trentennale di questo personaggio tipicamente céliniano in concessione perpetua.
In quali circostanze Louis Destouches diventa medico?
Dopo avere per un po’ percorso la Bretagna con le missioni Rockefeller contro la tubercolosi, ottiene il diploma di maturità nel 1919. È a quell’epoca che incontra, a Rennes, Edith Follet, che sposa nell’agosto di quello stesso anno. Lei è la figlia di Athanase Follet, decano della facoltà di medicina di Rennes. Louis allora beneficia di disposizioni che permettono agli ex combattenti di sostenere gli esami secondo dei corsi accelerati. Nel 1922, ha già fatto l’equivalente di quattro anni di studi di medicina a Rennes. Completa la formazione a Parigi, moltiplica i tirocinii ospedalieri e sostiene la tesi, consacrata allo scienziato ungherese Filippo Ignazio Semmelweis. Sono convinto che sia stato un eccellente medico, dalla diagnosi sicura, accontentandosi a volte di scrivere sulle ricette: « Niente caffè, niente tabacco, niente alcol.» A quell’epoca, avremmo potuto immaginare che il dottor Destouches, genero di un notabile di Rennes, il decano Follet, padre di una bambina Colette - nata nel 1920 e ancora vivente – si sarebbe imborghesito. Ma come ogni volta, alla prima occasione, fugge, lasciando la sua sposa sconcertata. L’ho incontrata, molto più tardi. Era una donna affascinante, che aveva riallacciato dei rapporti amichevoli con Céline – e Lucette – al termine della sua vita.
Louis Destouches lavora poi per la SDN.
A Rennes si sente soffocare e si fa assumere come «medico della Sezione d’Igiene classe B» alla SDN, a Ginevra. Dovrà accompagnare dei gruppi di medici in Europa, in Africa, negli Stati Uniti; in questa occasione, scopre per la prima volta New-York. Le delegazioni alle quali appartiene sono ricevute dal presidente americano Coolidge e più tardi, a Roma, da Mussolini. Sosterrà di essere stato medico alla Ford. In realtà, vi ha trascorso due giorni e redatto un rapporto, «Nota sull’organizzazione sanitaria delle officine Ford a Detroit». Come sempre con lui, a partire da un fatto vero, costruisce una leggenda… É a quest’epoca, fine 1926 o inizio 1927, che scrive un’opera teatrale, in cui l’azione si svolge alla SDN, L’Eglise. Sarà rifiutata da Gallimard, nonostante il seguente commento, molto pertinente: « Ha del vigore satirico, ma manca di coerenza. Dono della pittura di ambienti molto diversi»…
Di colpo, avvia l’attività medica…
Si, nella periferia parigina, a Clichy. Ma poiché il suo ambulatorio attira pochi clienti, integra il dispensario della città, dove visita tutti i giorni. Parallelamente, redige dei testi pubblicitari per i laboratori Biothérapie – è suo quello del dentifricio Sanogyl – e mette a punto un farmaco contro i disturbi psico-tiroido-ovarici, la Basedowine, che gli procura qualche magra royalties.
É allora che incomincia il Viaggio al termine della notte?
Ha lasciato maturare un certo numero di episodi della sua vita – la guerra, l’Africa, New York… - prima di metterli per iscritto, senza dubbio nel 1929. Vi lavora la sera, la domenica, la notte, nel suo appartamento di rue Lepic. Ha sempre sostenuto di essersi avvicinato alla scrittura per guadagnare dei soldi, «pagare l’affitto» del suo appartamento, come diceva. Niente è meno sicuro. Elisabeth Craig, una ballerina americana incontrata a Ginevra, vhe visse con lui e sarà la dedicataria del romanzo, ha raccontato che mentre scriveva sembrava in trance. Bisogna immaginarlo, lui che non conosceva nessun scrittore, piccolo medico di periferia, dedicare senza sosta diversi anni della sua vita a questo lavoro. Scrisse migliaia di pagine senza mostrarle a nessuno. Poi, nella primavera 1932, consegna il manoscritto a Gallimard e a Denoël. Gallimard tergiversa e suggerisce dei tagli. Robert Denoël, giovane belga intraprendente, divora il romanzo in una notte. Accetta all’istante il manoscritto. Il contratto viene firmato il 30 giugno. Louis Destouches, che desidera mantenere l’anonimato, assume lo pseudonimo di Céline. Già dai primi giorni, questo stilista si mostra intrattabile con il suo editore: «Per favore, soprattutto, non aggiungete una sillaba al testo senza avvertirmi! Gettereste il ritmo per terra come niente.»
Il Voyage costituisce, di punto in bianco, un terremoto negli ambienti letterari?
Si, critici e lettori si rendono conto subito che sono difronte a un torrente verbale radicalmente nuovo. È straordinario constatare oggi che il romanzo non mostra una ruga. Ma Céline resterà molto feriro dalla sua disaventura al Goncourt. Grazie al sostegno di Lucien Descaves, è stato ad un passo dall’ottenerlo fin dalle deliberazioni preparatorie della giuria, il 30 novembre 1932. Era dunque sicuro che sarebbe stato premiato. Il giorno dell’assegnazione, va in place Gaillon, difronte a Drouant, e attende, con sua madre e sua figlia Colette. Porta con sé un piccolo sonaglio d’argento, proveniente dalla culla di sua figlia, che gli serve da talismano. Infine, il Goncourt viene assegnato a Guy Mazeline per Les loups. Appreso il verdetto, dalla rabbia, Céline schiaccia il sonaglio nella mano. Colette lo ha conservato fino ad oggi, come ricordo di quella giornata… Ciò non impedirà al Voyage di vendere 80 000 copie in un anno.
Il successo gli cambierà la vita?
Per niente, visto che il suo secondo romanzo, Morte a credito, che uscirà nel 1936, è accolto meno bene. Numerosi lettori sono scandalizzati da certi passaggi, che devono essere tagliati. Céline continua le sue visite mediche presso il dispensario e si avvicina alla bohème di Montmartre, dove ormai vive. Frequenta i pittori Gen Paul e Henri Mahé, l’attore Robert Levigan, Marcel Aymé… È inoltre affascinato dalle ballerine, la loro grazia, la perfezione dei loro corpi. «Voglio terminare la mia vita nelle scuole di danza», scriverà un giorno… Soprattutto, vivrà molto male il ritorno negli Stati Uniti di Elisabeth Craig, alla quale era molto legato. Andrà in California con la speranza di farle cambiare idea ma, al termine di un incontro drammatico, ritornerà da solo in Francia. Intreccia, allora, una relazione con una ballerina danese, Karen Marie Jensen. Si conoscono alcune relazioni sentimentali con la pianista Lucienne Delforge, una giovane ebrea austriaca, Cillie Pam, o una scrittrice belga, Evelyne Pollet. Aveva preso, a quell’epoca, l’abitudine di assistere a dei corsi di danza. Così, da Blanche d’Alessandri, incontra Lucette Almanzor, una ballerina con la quale va a vivere fino alla fine dei suoi giorni.
Come spiegare che dopo questi due romanzi, Céline si lancia in pamphlets antisemiti?
C’è una immensa ingenuità da parte sua in questa impresa, un atteggiamento disperato alla Don Chisciotte: ha creduto che lui, piccolo scrittore francese, avrebbe potuto impedire la guerra coi suoi libri! Pubblica, dapprima, un breve testo, Mea culpa, che racconta le sue impressioni sul viaggio nell’ URSS comunista. È rimasto sbigottito da ciò che ha visto. Scrivendo Mea culpa, ha preso coscienza di possedere un vero talento come pamphlettista. Ora sente che l’Europa corre verso la guerra e, in quanto veterano del ’14, vuole evitare a tutti i costi una nuova macelleria. Incita a stringere un patto con i tedeschi. Pensa che gli ebrei spingano la Francia alla guerra contro Hitler e che occorra quindi ridurre la loro influenza. Pubblica, dunque, Bagattelle per un massacro nel 1937, poi la Scuola dei cadaveri l’anno successivo. L’eccesso dei suoi propositi, sostenuti da uno stile spesso fiammeggiante, lo costringerà a dare le dimissioni dalle sue funzioni presso il dispensario di Clichy.
La leggenda sostiene che incontri a quell’epoca Jean Moulin…
Probabilmente è vero. L’incontro avrebbe avuto luogo presso un amico di Céline, il dottor Tuset, che abitava a Quimper. È sempre da lui che Céline ha incrociato lo scrittore Max Jacob.
Che fine fa alla dichiarazione di guerra?
Gli succede un episodio buffonesco, molto celiniano: un naufragio in mediterraneo. Nel settembre 1939 diventa medico marittimo per la compagnia Paquet. Si imbarca quindi sulla Chella che effettua la linea verso il Marocco. Ma nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1940, davanti Gibilterra, la nave sperona per sbaglio un avviso (nave a vapore da guerra, NdT) inglese. Ci sono ventisette morti dalla parte inglese e il dottor Destouches soccorre le vittime. La Chella raggiunge bene o male Marsilia. In seguito, Céline vive l’esodo. Era a quel tempo medico al dispensario di Satrouville e partecipa all’evacuazione della città. È quindi in un’ambulanza, accompagnato da Lucette, da due lattanti e da un’anziana signora, che prende la direzione del sud. Il viaggio fu epico e Lucette mi ha raccontato che una notte, hanno dormito in una stalla con un cavallo, cosa che ho potuto verificare per miracolo! Andranno così fino a Saint-Jean-d’Angély, in Charente. Poi, in luglio, Céline risale a Parigi e diventa medico del dispensario di Bezons.
Domanda cruciale: Céline ha collaborato con la Germania durante la guerra?
No, ma ha avuto delle relazioni amichevoli con dei tedeschi, che, in maggioranza, conosceva già prima della guerra. Ho incontrato alcuni di questi per la mia biografia: il dotto Karl Epting, direttore dell’Istituto tedesco a Parigi, il tenente Gerard Heller, che Céline chiamava il «zazou» (giovane appassionato di jazz, NdT), o il colonnello SS Hermann Bickler. Incontrare quest’ultimo fu una caccia al tesoro. L’ho finalmente trovato nella sua proprietà italiana sul lago di Lugano (lago Maggiore, NdT). Céline era stato invitato al famoso viaggio degli scrittori francesi in Germania e rifiutò. Certo, si era recato a Berlino nel 1942 ma era per consegnare alla sua amica Karen Marie Jensen la chiave della sua cassetta di sicurezza presso la banca di Copenaghen, dove aveva depositato dell’oro. Se non ha collaborato, parlando propriamente, possiamo tuttavia rimproverargli la pubblicazione d’un terzo pamphlet antisemita nel 1941, La bella rogna, e soprattutto, la riedizione dei primi due nel 1942, quando tutti erano a conoscenza delle retate e delle deportazioni. Ha anche inviato numerose lettere molto violente alla stampa collaborazionista, in particolare a Je suis partout, sapendo per certo che sarebbero state pubblicate. Lui che non era per nulla incline all’autocritica non manifesterà dopo la guerra che un solo rimorso, terribile: aver forse spinto dei giovani ad arruolarsi nella LVF [Legione dei volontari francesi] al prezzo, per alcuni, della vita.
Poi, alla Liberazione, fugge dalla Francia…
Trascorre la guerra nel suo appartamento in Rue Girardon, dove scrive Guignol’s band, pubblicato nel 1944, e va e viene in Bretagna, in particolare a Saint-Malo dove ha dei legami. Ma prima dello sbarco degli alleati aveva cominciato a ricevere delle piccole bare al suo domicilio. Non c’è dubbio che se fosse rimasto a Parigi sarebbe stato assassinato dai partigiani o condannato a morte dai tribunali. Dai nove mesi di erranza in Germania che seguiranno, ricaverà la materia di tre lunghi e magnifici romanzi pubblicati molto più tardi: Da un castello all’altro, Nord e Rigodon.
Dove va?
Céline ha un’idea fissa, che non lo abbandonerà mai: raggiungere la Danimarca, paese neutrale, dove ha nascosto il suo oro. L’otto giugno ottiene dalle autorità tedesche, per sé e Lucette, un fremdenpass per la Germania. Si fanno inoltre fare dei documenti falsi a nome di Louis-François Deletang et Lucile Alcante. Svuota la sua cassetta di sicurezza del Credit Lyonnais di tutte le monete d’oro, che Lucette cuce all’interno di un gilet speciale, dal quale non si separerà mai. Il 17 giugno, accompagnati dal loro gatto Bebert, dentro un tascapane, prendono il treno per Baden-Baden, « Bains-Bains », come diceva Céline. Resteranno per qualche settimana in questo scenario da operetta. È lì, in agosto, che li raggiunge l’attore Le Vigan, che non li lascerà più fino al marzo del 1945. Per questo motivo sarà uno dei grandi personaggi della Trilogia tedesca. Alla fine dell’estate salgono a Berlino, dove rincontrano il dottor Hauboldt, uno degli alti responsabili della Camera dei medici del Reich. Questi li sistema presso degli amici, i Scherz, a Kraenzlin, un paese vicino a Berlino. Resteranno solo poche settimane in questa porta chiusa del Brandeburgo, ma Céline ne ricaverà un allucinanre romanzo-fiume di 400 pagine, Nord.
Perché, in seguito, vanno a Sigmaringen, enclave francese in Germania, dove s’erano rifugiati il maresciallo Pétain e i principali collaborazionisti?
Non hanno avuto scelta. Vivranno quattro mesi all’ombra dell’immenso castello degli Hohenzollern, dove Lucette fa i suoi esercizi di danza nella sala da ballo. Alloggiano a l’Hotel Löwen. Contrariamente a ciò che si dice, Céline non è stato il medico personale di Pétain – che non stimava e che soprannominava «Philippe le Dernier» - ma la colonia francese. Intrattengono rapporti soprattutto con Abel Bonnard, ministro dell’Educazione nazionale, Jean Bichelonne, ministro della Produzione industriale, e Paul Marion, ex segretario di Stato dell’Informazione. In Da un castello all’altro ha realizzato un quadro penetrante e satirico di questa piccola colonia collaborazionista.
Precisamente, qual è la componente di realtà e quella di fantasia nella trilogia tedesca?
Céline parte sempre da fatti veri, che traspone poi alla sua maniera. Così racconta lungamente come è andato, in treno, a partecipare alle esequie di Bichelonne a Hohenlychen. È un passo epico e prodigiosamente comico. Ora, sappiamo che non ha partecipato a quel viaggio… Ugualmente i mostruosi assassinii della fine di Nord non ci sono evidentemente mai stati. E poi, si ha sempre l’impressione che viva sulle bombe, quando, di fatto, non è mai stato a meno di 200 chilometri dal fronte… [in effetti però Céline in numerosi passaggi dei libri della Trilogia si riferisce ai bombardamenti aerei, che come noto colpivano la Germania praticamente ogni giorno, NdAndrea]
Raggiungeranno finalmente la Danimarca?
Si. Con Lucette lasciano Sigmaringen e, a caso, i treni che prendono, risalgono fino ad Amburgo, poi a Flensburg. Lì la coppia sale su un treno della Croce Rossa svedese per Copenaghen.
Non immaginano che vi resteranno sei anni…
Giunto a Copenaghen, è rinfrancato. Si sistema con Lucette in un appartamento che presta loro la ballerina Karen Marie Jensen, si lascia crescere la barba e aspetta che gli avvenimenti si calmino. Ma, i mesi passano, Céline diventa imprudente. Poco prima del Natale 1945, su richiesta di estradizione da parte della Francia, è arrestato e imprigionato nella Vaestre Fengsel. Ho visitato le celle e non è per niente un luogo allegro, soprattutto per un uomo come lui, assetato di libertà. Malato, dimagrito, invecchia di dieci anni durante i diciotto mesi che trascorre lì. Prima della guerra Céline era un bell’uomo, seducente, alto, gli occhi azzurri; quando tornerà in Francia ha l’aspetto di un vecchio, vestito come un clochard. È liberato sulla parola e va a vivere a un centinaio di chilometri dalla capitale in una piccola capanna.
Sarà giudicato in Francia?
C’è dapprima un lungo giocare al gatto e al topo tra le autorità danesi e quelle francesi. Grazie al suo avvocato, molto influente, Céline beneficia della benevolenza di molti personaggi importanti della Danimarca. I danesi, infine, rifiutano la sua estradizione. In Francia lo scrittore è difeso da Albert Naud poi da Jean-Louis Tixier-Vignancour. È quest’ultimo, vero genio della difesa, che ottiene l’amnistia per Céline grazie a un espediente. Dopo la condanna a un anno di prigione della Corte di Giustizia, Tixier domanda al Tribunale militare l’amnistia per uno dei suoi clienti, Louis Destouches, veterano, senza precisare che si tratta di Louis-Ferdinand Céline. I giudici non si accorgono di nulla e, il 20 aprile 1951, lo amnistiano.
Che fa allora Céline?
Prende in considerazione varie soluzioni. Raggiungere Le Vigan in Argentina, il suo amico Zuloaga in Spagna o stabilirsi in Marocco! Alla fine, poiché la lingua francese gli manca terribilmente, decide di ritornare in Francia. A cinquantasette anni prende l’aereo per la prima volta. Dopo qualche settimana presso la famiglia di Lucette a Menton e presso degli amici a Neuilly, la coppia acquista un villino, in route des Gardes, a Meudon grazie alla vendita di beni che la famiglia di sua moglie possedeva in Normandia. Lì, durante dieci anni, porta a compimento il suo personaggio di cane rognoso delle lettere francesi. È una specie di esilio volontario. Si reca molto raramente a Parigi, vede pochi amici come Marcel Aymé o Roger Nimier.
Che ne è della sua opera d’anteguerra?
In seguito all’assassinio del suo editore, Robert Denoël, nel 1945, si oppone molto violentemente alla sua erede, Jeanne Loviton. Vieta tutte le riedizioni dei pamphlets e recupera finalmente i diritti del Viaggio al termine della notte e di Morte a credito. Un giovane giornalista, Pierre Monnier, li aveva coraggiosamente pubblicati, in poche copie, mentre era esiliato in Danimarca. Ma Céline è infuriato di non poter più, praticamente, ricevere alcun diritto d’autore. « Il Voyage vale una fattoria, una fattoria che va avanti da sola, una fattoria magica! », scrive al suo avvocato danese nel 1946. Perciò, appena arrivato in Francia, il 18 luglio 1951, uno dei suoi primi atti sarà di firmare un contratto con Gaston Gallimard, che non voleva «perdere» Céline una seconda volta. L’editore accetta tutte le richieste dello scrittore, pure molto alte: la riedizione dei suoi vecchi romanzi, un anticipo di cinque milioni di vecchi franchi, delle mensilità e il 18% dei diritti d’autore sui libri futuri. Ciò che non impedirà a Céline, di cui la riconoscenza non è la principale qualità, d’insultare il suo editore in alcuni testi divenuti famosi, in cui lo tratta da «droghiere disastroso» o da «vecchio nasello libidinoso»…
Céline ritrova il suo status di «star» delle lettere?
Gli inizi sono difficili. I tempi sono cambiati, Sartre e Camus appartengono all’alta società, e viene guardato come un sopravissuto d’anteguerra. Pantomima per un’altra volta (1952) e Normanne (1954), seppure bei libri, sono dei fiaschi, di cui vengono venduti alcune migliaia di copie. Bisognerà attendere Da un castello all’altro, nel 1957, lanciato da una famosa intervista all’ Express, perché sia nuovamente riconosciuto. La consacrazione quando gli viene annunciato che presto verrà pubblicato nella Pléiade. Da allora moltiplica le interviste alla stampa e fa delle apparizioni memorabili alla televisione. Di fronte alle telecamere recita sopra le righe il suo personaggio di misantropo. Ma la sua personalità era molto più complessa di così. Era un uomo al tempo stesso avaro e generoso, anarchico e amante dell’ordine, pacifista e militarista, ricco d’umanità eppure capace di scrivere i pamphlets…
Questo vecchio avventuriero termina la sua vita in letteratura?
Si. Ha esposto la sua targa di medico e si è iscritto all’ordine dei medici per poter, un giorno, percepire la pensione, ma i clienti sono pochi, scoraggiati dalle sue apparenze. Lavorerà fino al suo ultimo respiro, quando la malattia l’avrà logorato e la sua calligrafia si sarà fatta sempre più tremolante. Scrive migliaia di pagine che tiene unite con delle mollette da bucato. Il 30 giugno 1961 termina Rigodon e informa Gaston Gallimard per posta. Ha terminato la sua opera, può morire. L’indomani, il primo luglio, si spegne in silenzio. Lucette non annuncia subito la notizia. Solo una manciata di persone, le più vicine, tra le quali Arletty e Marvel Aymé, assistono alle esequie nel vecchio cimitero di Meudon. Sulla sua tomba, Lucette ha fatto incidere un veliero trialbero – omaggio al Brettone amante del mare e dei porti – e questo semplice epitaffio:
« Louis-Ferdinand Céline/Docteur L.-F. Destouches/
1894-1961 ».
di Gilberto Tura
Per chi non conoscesse François Gibault è sufficiente ricordare che è l’autore della biografia di riferimento di Céline, un’opera in tre volumi pubblicati a metà degli anni ’80 per le “Mercure de France”. È reputata la biografia più completa e documentata tra le ormai molte in circolazione, anche grazie alla possibilità, concessagli dalla vedova Lucette, di accedere alla consultazione di molti documenti inediti, conservati dai genitori di Céline. Gibault di professione è avvocato e dal 1962, anno in cui (come racconta nella conversazione) ha conosciuto la signora Lucette, difende e cura gli interessi della vedova. Inoltre ha curato, nel 1969, la pubblicazione e la prefazione di Rigodon e, nel 1998 per Gallimard, la pubblicazione di “Lettres de prison à Lucette Destouches et à Maître Mikkelsen. 1945-1947” . È presidente della Société d’études céliniennes.
CHI ERA CÉLINE?
Conversazione con François Gibault
In quali circostanze è arrivato a Céline?
Conobbi sua moglie, Lucette Destouches, attraverso André Damien, nel luglio 1962, un anno dopo la morte dello scrittore, in circostanze un po’ particolari: durante un viaggio, avevo fatto una caduta stupida ed è stata lei che mi ha rimesso la schiena a posto, con esercizi di ginnastica. A poco a poco mi ha affidato la decifrazione del manoscritto di Rigodon, che Cèline aveva lasciato prima di morire. Durante la settimana, patrocinavo come avvocato le grandi cause dell’epoca – attentato del Petit-Clamart, Ben Barka… − e la domenica, armato di una lente d’ingrandimento, decifravo Rigodon, a Meudon, negli stessi luoghi dove lo scrittore aveva lavorato. Ciò mi ha occupato per molti anni. Ero spesso accompagnato dal mio amico Bob Westhoff, ex marito di Françoise Sagan, e questo lavoro si è svolto in un’atmosfera gioiosa. Infine, per la pubblicazione del libro, nel 1969, Lucette Destouches mi ha fatto l’onore di chiedermi la prefazione.
Perché, in seguito, si è dedicato alla biografia di Louis-Ferdinand Céline?
La signora Destouches mi aveva presentato a Marcel Aymé, Gen Paul, Henri Mahé, Jean Dubuffet e numerosi altri amici di Céline. Mi aveva inoltre mostrato delle lettere e delle fotografie inedite. Un giorno, Simone Gallimard, che dirigeva il Mercure de France, mi ha suggerito di scrivere una biografia. Ho accettato, pensando di essere nelle condizioni ottimali per farlo. Ciò mi ha preso quindici anni. Ho seguito le tracce di Céline in Danimarca, in Russia, in Germania, in Inghilterra, in Africa…Ho avuto accesso agli archivi del Quai d’Orsay e della giustizia militare. La signora Pedersen, ministro della giustizia danese, mi ha fatto visitare la cella dove lo scrittore è stato imprigionato a Copenaghen. Il fatto di essere spesso accompagnato dalla signora Destouches e la mia condizione di avvocato rassicuravano i miei interlocutori. Sono grato peraltro alla signora Destouches di non avermi mai chiesto di leggere il testo prima della pubblicazione. È stata una formidabile avventura, poiché Louis-Ferdinand Céline ha partecipato a tutti i drammi del XX° secolo e la sua opera romanzesca è per molto autobiografica.
Da quale ambiente proveniva?
Si può dire da un ambiente piccolo-borghese con pretese aristocratiche e con mezzi da proletari. Il padre − per il quale il piccolo Louis non ha alcuna ammirazione – è un mediocre impiegato di una compagnia d’assicurazione e sua madre vende merletti. Louis, del resto, è stato allevato dalle donne – sua madre e sua nonna materna, Céline Guillou, alla quale renderà omaggio in seguito, prendendo il suo nome come pseudonimo di scrittore. Louis nasce il 27 maggio 1894, rampe du Pont, a Courbevoie – come ricorderà per tutta la vita, inventandosi una leggenda di abitante di periferia. In realtà, all’età di due anni, si trasferisce con i suoi genitori a Parigi, rue de Babylone poi al passage Choiseul, vicino ai Grands Boulevards. Ha spesso paragonato, in seguito, il passage ad una «campana a gas». Sono riuscito a entrare nel loro alloggio: era in effetti molto angusto, con il negozio di merletti in basso, una scala montante al primo piano e, al secondo, al di sotto della vetrata, la camera di Louis da cui si vedeva il cielo.
Ha avuto una infanzia felice?
Non proprio. Era figlio unico e i suoi genitori erano molto opprimenti. Non possedevano l’automobile e non facevano vacanze. I suoi più grandi ricordi saranno uno spettacolo di Buffalo Bill e l’Esposizione universale del 1900. La famiglia non crede granchè all’università e vuole avviare Louis nel commercio. Appena ottenuto il suo certificato di studi, che resterà per molto tempo il suo unico diploma, verrà inviato per dei lunghi soggiorni linguistici a Diepholz e Karlsruhe, in Germania, poi a Broadstair e Rochester in Inghilterra. È un’infanzia molto solitaria e conserverà, per tutta la vita, fino ai suoi ultimi anni a Meudon, l’inclinazione alla solitudine. Sarà, del resto, uno scrittore isolato, appartenente a nessuna scuola, parrocchia o accademia. La sua vita sarà una lunga fuga in avanti per sfuggire alla sua condizione sociale, allo stesso modo cercherà di inventare una scrittura per sfuggire ai modi di espressione tradizionali.
È cresciuto in un ambiente antisemita?
Non bisogna mai dimenticare che Louis-Ferdinand Céline nasce nell’anno in cui scoppia l’affare Dreyfus. La sua infanzia è stata segnata da questo dramma. Quando sarà inseguito, dopo il 1945, dai tribunali, si dichiarerà instancabilmente «vittima di un affare Dreyfus a l’inverso». Suo padre, che leggeva “La Libre Parole” di Drumont [pubblicazione antisemita, NDLR] era antidreyfusardo, alla maniera dei piccoli commercianti che erano convinti di vedere le banche e i grandi commerci ebrei regnare dappertutto. Era anche revanscista e ha fatto di Louis un buon piccolo patriota francese.
Céline ha sempre sostenuto di essersi arruolato nella Prima Guerra mondiale. Ciò corrisponde alla realtà?
Non completamente, come spesso succede con lui. In effetti ha anticipato la chiamata di leva, nel 1912, raggiungendo il 12° reggimento dei corazzieri a Rambouillet. Ma non ha mai fatto parte dell’esercito professionale. Detto ciò, fu estremamente coraggioso e rimarrà segnato nella carne e nello spirito dalla guerra, come esprimerà mirabilmente nelle prime pagine del Viaggio al termine della notte. Dall’inizio della guerra, riporterà due ferite. La prima volta, gli esplose vicino una granata, scaraventandolo contro un albero e causando dei disturbi all’orecchio, che lo farà soffrire per tutta la vita di vertigini e di fischi – le famose «valanghe di tromboni» evocate in Morte a credito. Il brigadiere Destouches sarà ferito più gravemente una seconda volta, da una pallottola, nelle Fiandre, vicino a Poelkapelle, il 27 ottobre 1914, mentre si era offerto volontario per consegnare un messaggio attraverso le linee. Riconosciuto invalido al 75% - si pensa anche di amputarlo ! -, si porterà dietro per tutta la vita le conseguenze al braccio destro e scriverà con la mano storta. In compenso, non è mai stato trapanato, come ha talvolta affermato e come molti hanno ripetuto. Grazie al suo atto eroico, ha diritto alla quarta di copertina de L’Illustré national e ottiene la croce di guerra e la medaglia militare. Ma è un eroe traumatizzato, allo stesso tempo militarista e pacifista, che ritorna dal campo di battaglia.
Segue un periodo strano, a Londra, circa il quale si sa poco…
Dopo la sua convalescenza al Val-de-Grâce, è inviato là, nel 1915 come impiegato all’ufficio passaporti del consolato di France. È a Londra che verrà definitivamente riformato. Con il suo amico Georges Geoffroy, se la spassano dopo l’orrore delle trincee. Frequentano i locali loschi di Soho e del porto, senza dubbio anche i bordelli. Ritroveremo questo scenario equivoco in Guignol’s band, scritto trent’anni più tardi. È sempre a Londra, il 19 gennaio 1916, che sposa, per un colpo di testa una certa Suzanne Nebout, che lascerà molto presto. «Sono l’uomo delle partenze veloci», scrive all’epoca a suo zio… Non avendo fatto legalizzare questa unione al consolato di Francia, il matrimonio non avrà alcun valore legale in Francia.
È vero, come si dice, che là ha incontrato Mata Hari?
Mata Hari l’avrebbe invitato a cenare nel suo appartamento al Savoy con il suo amico Geoffroy. Non ci sono prove, ma ciò è del tutto plausibile. La spia era a Londra nella stessa epoca di Céline e frequentava, per le sue attività, i membri dei consolati…
Perché, allora, parte per l’Africa?
Ha 22 anni, è definitivamente smobilitato e gli vengono fatti balenare dei sogni di fortuna. La Francia e l’Inghilterra avendo invaso il Camerun, ex colonia tedesca, devono trovare degli uomini per occupare il terreno. Céline firma un contratto con la Compagnie forestière Sangha-Oubangui e si ritrova a Bikomimbo, un piccolo villaggio a ventisette giorni di marcia da Douala. Fa dei baratti con gli indigeni – sigarette in cambio di zanne d’elefante… All’inizio di settembre 1916, ottiene la gestione di una piantagione di cacao a Dipikar. Sono andato in quelle regioni, sulle sue tracce, e ancora oggi, è un paesaggio di savana totalmente sperduto. Lo immaginiamo, solo, nella notte africana, assalito dai rumori, come ha mirabilmente raccontato nel Viaggio al termine della notte. Céline vive in condizioni climatiche e sanitarie pessime. Colpito da paludismo e dissenteria, passa lunghe settimane nella sua capanna, nel cuore della foresta equatoriale, inondato di sudore, imbottito di laudano. Spossato, senza aver fatto fortuna, finisce per chiedere il rimpatrio nella primavera del 1917.
La sua vita assomiglia a quella di un avventuriero. A quell’epoca, ha già cominciato a scrivere?
Appena. La prima traccia è stata scoperta in circorstante inaspettate. All’epoca del suo passaggio al 12° reggimento di Rambouillet, aveva cominciato a redigere, in un piccolo quaderno di finta pelle, una specie di diario intimo, che cominciava con queste parole: « Non saprei dire cosa mi spinge a scrivere ciò che penso.» Quando fu ferito al fronte, cede il suo zaino a un soldato, Maurice Langlet, che conserva il taccuino. È solo nel 1957, all’uscita Da un castello all’altro, che Langlet si riavvicinò al brigadiere Destouches e al romanziere Céline! Restituisce allora al suo vecchio amico questo testo, che saà pubblicato con il titolo Il taccuino del corazziere Destouches. Ma è in Africa che comincia a scrivere, timidamente: una novella intitolata «Onde» e due poemi – quasi romantici – inviati a una amica.
Al suo ritorno in Francia, fa la conoscenza d’un uomo bizzarro che diventerà uno dei grandi personaggi della sua opera…
Si, l’inventore Raoul Marquis, alias Henri de Graffigny, modello del futuro Courtial des Pereires di Morte a credito. Appassionato di voli in mongolfiera, creatore d’apparecchi elettrici stupefacenti, grafomane impenitente – gli dobbiamo più di centoquaranta opere sugli aquiloni, l’automobile o sulla moda! - , collabora alla rivista Euréka. È lì che Céline lo incontra. Sembra che Céline sia stato il suo uomo tuttofare, segretario, fattorino… Henri de Graffigny è sepolto nel cimitero di Septeuil. Ho fatto trasformare la concessione trentennale di questo personaggio tipicamente céliniano in concessione perpetua.
In quali circostanze Louis Destouches diventa medico?
Dopo avere per un po’ percorso la Bretagna con le missioni Rockefeller contro la tubercolosi, ottiene il diploma di maturità nel 1919. È a quell’epoca che incontra, a Rennes, Edith Follet, che sposa nell’agosto di quello stesso anno. Lei è la figlia di Athanase Follet, decano della facoltà di medicina di Rennes. Louis allora beneficia di disposizioni che permettono agli ex combattenti di sostenere gli esami secondo dei corsi accelerati. Nel 1922, ha già fatto l’equivalente di quattro anni di studi di medicina a Rennes. Completa la formazione a Parigi, moltiplica i tirocinii ospedalieri e sostiene la tesi, consacrata allo scienziato ungherese Filippo Ignazio Semmelweis. Sono convinto che sia stato un eccellente medico, dalla diagnosi sicura, accontentandosi a volte di scrivere sulle ricette: « Niente caffè, niente tabacco, niente alcol.» A quell’epoca, avremmo potuto immaginare che il dottor Destouches, genero di un notabile di Rennes, il decano Follet, padre di una bambina Colette - nata nel 1920 e ancora vivente – si sarebbe imborghesito. Ma come ogni volta, alla prima occasione, fugge, lasciando la sua sposa sconcertata. L’ho incontrata, molto più tardi. Era una donna affascinante, che aveva riallacciato dei rapporti amichevoli con Céline – e Lucette – al termine della sua vita.
Louis Destouches lavora poi per la SDN.
A Rennes si sente soffocare e si fa assumere come «medico della Sezione d’Igiene classe B» alla SDN, a Ginevra. Dovrà accompagnare dei gruppi di medici in Europa, in Africa, negli Stati Uniti; in questa occasione, scopre per la prima volta New-York. Le delegazioni alle quali appartiene sono ricevute dal presidente americano Coolidge e più tardi, a Roma, da Mussolini. Sosterrà di essere stato medico alla Ford. In realtà, vi ha trascorso due giorni e redatto un rapporto, «Nota sull’organizzazione sanitaria delle officine Ford a Detroit». Come sempre con lui, a partire da un fatto vero, costruisce una leggenda… É a quest’epoca, fine 1926 o inizio 1927, che scrive un’opera teatrale, in cui l’azione si svolge alla SDN, L’Eglise. Sarà rifiutata da Gallimard, nonostante il seguente commento, molto pertinente: « Ha del vigore satirico, ma manca di coerenza. Dono della pittura di ambienti molto diversi»…
Di colpo, avvia l’attività medica…
Si, nella periferia parigina, a Clichy. Ma poiché il suo ambulatorio attira pochi clienti, integra il dispensario della città, dove visita tutti i giorni. Parallelamente, redige dei testi pubblicitari per i laboratori Biothérapie – è suo quello del dentifricio Sanogyl – e mette a punto un farmaco contro i disturbi psico-tiroido-ovarici, la Basedowine, che gli procura qualche magra royalties.
É allora che incomincia il Viaggio al termine della notte?
Ha lasciato maturare un certo numero di episodi della sua vita – la guerra, l’Africa, New York… - prima di metterli per iscritto, senza dubbio nel 1929. Vi lavora la sera, la domenica, la notte, nel suo appartamento di rue Lepic. Ha sempre sostenuto di essersi avvicinato alla scrittura per guadagnare dei soldi, «pagare l’affitto» del suo appartamento, come diceva. Niente è meno sicuro. Elisabeth Craig, una ballerina americana incontrata a Ginevra, vhe visse con lui e sarà la dedicataria del romanzo, ha raccontato che mentre scriveva sembrava in trance. Bisogna immaginarlo, lui che non conosceva nessun scrittore, piccolo medico di periferia, dedicare senza sosta diversi anni della sua vita a questo lavoro. Scrisse migliaia di pagine senza mostrarle a nessuno. Poi, nella primavera 1932, consegna il manoscritto a Gallimard e a Denoël. Gallimard tergiversa e suggerisce dei tagli. Robert Denoël, giovane belga intraprendente, divora il romanzo in una notte. Accetta all’istante il manoscritto. Il contratto viene firmato il 30 giugno. Louis Destouches, che desidera mantenere l’anonimato, assume lo pseudonimo di Céline. Già dai primi giorni, questo stilista si mostra intrattabile con il suo editore: «Per favore, soprattutto, non aggiungete una sillaba al testo senza avvertirmi! Gettereste il ritmo per terra come niente.»
Il Voyage costituisce, di punto in bianco, un terremoto negli ambienti letterari?
Si, critici e lettori si rendono conto subito che sono difronte a un torrente verbale radicalmente nuovo. È straordinario constatare oggi che il romanzo non mostra una ruga. Ma Céline resterà molto feriro dalla sua disaventura al Goncourt. Grazie al sostegno di Lucien Descaves, è stato ad un passo dall’ottenerlo fin dalle deliberazioni preparatorie della giuria, il 30 novembre 1932. Era dunque sicuro che sarebbe stato premiato. Il giorno dell’assegnazione, va in place Gaillon, difronte a Drouant, e attende, con sua madre e sua figlia Colette. Porta con sé un piccolo sonaglio d’argento, proveniente dalla culla di sua figlia, che gli serve da talismano. Infine, il Goncourt viene assegnato a Guy Mazeline per Les loups. Appreso il verdetto, dalla rabbia, Céline schiaccia il sonaglio nella mano. Colette lo ha conservato fino ad oggi, come ricordo di quella giornata… Ciò non impedirà al Voyage di vendere 80 000 copie in un anno.
Il successo gli cambierà la vita?
Per niente, visto che il suo secondo romanzo, Morte a credito, che uscirà nel 1936, è accolto meno bene. Numerosi lettori sono scandalizzati da certi passaggi, che devono essere tagliati. Céline continua le sue visite mediche presso il dispensario e si avvicina alla bohème di Montmartre, dove ormai vive. Frequenta i pittori Gen Paul e Henri Mahé, l’attore Robert Levigan, Marcel Aymé… È inoltre affascinato dalle ballerine, la loro grazia, la perfezione dei loro corpi. «Voglio terminare la mia vita nelle scuole di danza», scriverà un giorno… Soprattutto, vivrà molto male il ritorno negli Stati Uniti di Elisabeth Craig, alla quale era molto legato. Andrà in California con la speranza di farle cambiare idea ma, al termine di un incontro drammatico, ritornerà da solo in Francia. Intreccia, allora, una relazione con una ballerina danese, Karen Marie Jensen. Si conoscono alcune relazioni sentimentali con la pianista Lucienne Delforge, una giovane ebrea austriaca, Cillie Pam, o una scrittrice belga, Evelyne Pollet. Aveva preso, a quell’epoca, l’abitudine di assistere a dei corsi di danza. Così, da Blanche d’Alessandri, incontra Lucette Almanzor, una ballerina con la quale va a vivere fino alla fine dei suoi giorni.
Come spiegare che dopo questi due romanzi, Céline si lancia in pamphlets antisemiti?
C’è una immensa ingenuità da parte sua in questa impresa, un atteggiamento disperato alla Don Chisciotte: ha creduto che lui, piccolo scrittore francese, avrebbe potuto impedire la guerra coi suoi libri! Pubblica, dapprima, un breve testo, Mea culpa, che racconta le sue impressioni sul viaggio nell’ URSS comunista. È rimasto sbigottito da ciò che ha visto. Scrivendo Mea culpa, ha preso coscienza di possedere un vero talento come pamphlettista. Ora sente che l’Europa corre verso la guerra e, in quanto veterano del ’14, vuole evitare a tutti i costi una nuova macelleria. Incita a stringere un patto con i tedeschi. Pensa che gli ebrei spingano la Francia alla guerra contro Hitler e che occorra quindi ridurre la loro influenza. Pubblica, dunque, Bagattelle per un massacro nel 1937, poi la Scuola dei cadaveri l’anno successivo. L’eccesso dei suoi propositi, sostenuti da uno stile spesso fiammeggiante, lo costringerà a dare le dimissioni dalle sue funzioni presso il dispensario di Clichy.
La leggenda sostiene che incontri a quell’epoca Jean Moulin…
Probabilmente è vero. L’incontro avrebbe avuto luogo presso un amico di Céline, il dottor Tuset, che abitava a Quimper. È sempre da lui che Céline ha incrociato lo scrittore Max Jacob.
Che fine fa alla dichiarazione di guerra?
Gli succede un episodio buffonesco, molto celiniano: un naufragio in mediterraneo. Nel settembre 1939 diventa medico marittimo per la compagnia Paquet. Si imbarca quindi sulla Chella che effettua la linea verso il Marocco. Ma nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1940, davanti Gibilterra, la nave sperona per sbaglio un avviso (nave a vapore da guerra, NdT) inglese. Ci sono ventisette morti dalla parte inglese e il dottor Destouches soccorre le vittime. La Chella raggiunge bene o male Marsilia. In seguito, Céline vive l’esodo. Era a quel tempo medico al dispensario di Satrouville e partecipa all’evacuazione della città. È quindi in un’ambulanza, accompagnato da Lucette, da due lattanti e da un’anziana signora, che prende la direzione del sud. Il viaggio fu epico e Lucette mi ha raccontato che una notte, hanno dormito in una stalla con un cavallo, cosa che ho potuto verificare per miracolo! Andranno così fino a Saint-Jean-d’Angély, in Charente. Poi, in luglio, Céline risale a Parigi e diventa medico del dispensario di Bezons.
Domanda cruciale: Céline ha collaborato con la Germania durante la guerra?
No, ma ha avuto delle relazioni amichevoli con dei tedeschi, che, in maggioranza, conosceva già prima della guerra. Ho incontrato alcuni di questi per la mia biografia: il dotto Karl Epting, direttore dell’Istituto tedesco a Parigi, il tenente Gerard Heller, che Céline chiamava il «zazou» (giovane appassionato di jazz, NdT), o il colonnello SS Hermann Bickler. Incontrare quest’ultimo fu una caccia al tesoro. L’ho finalmente trovato nella sua proprietà italiana sul lago di Lugano (lago Maggiore, NdT). Céline era stato invitato al famoso viaggio degli scrittori francesi in Germania e rifiutò. Certo, si era recato a Berlino nel 1942 ma era per consegnare alla sua amica Karen Marie Jensen la chiave della sua cassetta di sicurezza presso la banca di Copenaghen, dove aveva depositato dell’oro. Se non ha collaborato, parlando propriamente, possiamo tuttavia rimproverargli la pubblicazione d’un terzo pamphlet antisemita nel 1941, La bella rogna, e soprattutto, la riedizione dei primi due nel 1942, quando tutti erano a conoscenza delle retate e delle deportazioni. Ha anche inviato numerose lettere molto violente alla stampa collaborazionista, in particolare a Je suis partout, sapendo per certo che sarebbero state pubblicate. Lui che non era per nulla incline all’autocritica non manifesterà dopo la guerra che un solo rimorso, terribile: aver forse spinto dei giovani ad arruolarsi nella LVF [Legione dei volontari francesi] al prezzo, per alcuni, della vita.
Poi, alla Liberazione, fugge dalla Francia…
Trascorre la guerra nel suo appartamento in Rue Girardon, dove scrive Guignol’s band, pubblicato nel 1944, e va e viene in Bretagna, in particolare a Saint-Malo dove ha dei legami. Ma prima dello sbarco degli alleati aveva cominciato a ricevere delle piccole bare al suo domicilio. Non c’è dubbio che se fosse rimasto a Parigi sarebbe stato assassinato dai partigiani o condannato a morte dai tribunali. Dai nove mesi di erranza in Germania che seguiranno, ricaverà la materia di tre lunghi e magnifici romanzi pubblicati molto più tardi: Da un castello all’altro, Nord e Rigodon.
Dove va?
Céline ha un’idea fissa, che non lo abbandonerà mai: raggiungere la Danimarca, paese neutrale, dove ha nascosto il suo oro. L’otto giugno ottiene dalle autorità tedesche, per sé e Lucette, un fremdenpass per la Germania. Si fanno inoltre fare dei documenti falsi a nome di Louis-François Deletang et Lucile Alcante. Svuota la sua cassetta di sicurezza del Credit Lyonnais di tutte le monete d’oro, che Lucette cuce all’interno di un gilet speciale, dal quale non si separerà mai. Il 17 giugno, accompagnati dal loro gatto Bebert, dentro un tascapane, prendono il treno per Baden-Baden, « Bains-Bains », come diceva Céline. Resteranno per qualche settimana in questo scenario da operetta. È lì, in agosto, che li raggiunge l’attore Le Vigan, che non li lascerà più fino al marzo del 1945. Per questo motivo sarà uno dei grandi personaggi della Trilogia tedesca. Alla fine dell’estate salgono a Berlino, dove rincontrano il dottor Hauboldt, uno degli alti responsabili della Camera dei medici del Reich. Questi li sistema presso degli amici, i Scherz, a Kraenzlin, un paese vicino a Berlino. Resteranno solo poche settimane in questa porta chiusa del Brandeburgo, ma Céline ne ricaverà un allucinanre romanzo-fiume di 400 pagine, Nord.
Perché, in seguito, vanno a Sigmaringen, enclave francese in Germania, dove s’erano rifugiati il maresciallo Pétain e i principali collaborazionisti?
Non hanno avuto scelta. Vivranno quattro mesi all’ombra dell’immenso castello degli Hohenzollern, dove Lucette fa i suoi esercizi di danza nella sala da ballo. Alloggiano a l’Hotel Löwen. Contrariamente a ciò che si dice, Céline non è stato il medico personale di Pétain – che non stimava e che soprannominava «Philippe le Dernier» - ma la colonia francese. Intrattengono rapporti soprattutto con Abel Bonnard, ministro dell’Educazione nazionale, Jean Bichelonne, ministro della Produzione industriale, e Paul Marion, ex segretario di Stato dell’Informazione. In Da un castello all’altro ha realizzato un quadro penetrante e satirico di questa piccola colonia collaborazionista.
Precisamente, qual è la componente di realtà e quella di fantasia nella trilogia tedesca?
Céline parte sempre da fatti veri, che traspone poi alla sua maniera. Così racconta lungamente come è andato, in treno, a partecipare alle esequie di Bichelonne a Hohenlychen. È un passo epico e prodigiosamente comico. Ora, sappiamo che non ha partecipato a quel viaggio… Ugualmente i mostruosi assassinii della fine di Nord non ci sono evidentemente mai stati. E poi, si ha sempre l’impressione che viva sulle bombe, quando, di fatto, non è mai stato a meno di 200 chilometri dal fronte… [in effetti però Céline in numerosi passaggi dei libri della Trilogia si riferisce ai bombardamenti aerei, che come noto colpivano la Germania praticamente ogni giorno, NdAndrea]
Raggiungeranno finalmente la Danimarca?
Si. Con Lucette lasciano Sigmaringen e, a caso, i treni che prendono, risalgono fino ad Amburgo, poi a Flensburg. Lì la coppia sale su un treno della Croce Rossa svedese per Copenaghen.
Non immaginano che vi resteranno sei anni…
Giunto a Copenaghen, è rinfrancato. Si sistema con Lucette in un appartamento che presta loro la ballerina Karen Marie Jensen, si lascia crescere la barba e aspetta che gli avvenimenti si calmino. Ma, i mesi passano, Céline diventa imprudente. Poco prima del Natale 1945, su richiesta di estradizione da parte della Francia, è arrestato e imprigionato nella Vaestre Fengsel. Ho visitato le celle e non è per niente un luogo allegro, soprattutto per un uomo come lui, assetato di libertà. Malato, dimagrito, invecchia di dieci anni durante i diciotto mesi che trascorre lì. Prima della guerra Céline era un bell’uomo, seducente, alto, gli occhi azzurri; quando tornerà in Francia ha l’aspetto di un vecchio, vestito come un clochard. È liberato sulla parola e va a vivere a un centinaio di chilometri dalla capitale in una piccola capanna.
Sarà giudicato in Francia?
C’è dapprima un lungo giocare al gatto e al topo tra le autorità danesi e quelle francesi. Grazie al suo avvocato, molto influente, Céline beneficia della benevolenza di molti personaggi importanti della Danimarca. I danesi, infine, rifiutano la sua estradizione. In Francia lo scrittore è difeso da Albert Naud poi da Jean-Louis Tixier-Vignancour. È quest’ultimo, vero genio della difesa, che ottiene l’amnistia per Céline grazie a un espediente. Dopo la condanna a un anno di prigione della Corte di Giustizia, Tixier domanda al Tribunale militare l’amnistia per uno dei suoi clienti, Louis Destouches, veterano, senza precisare che si tratta di Louis-Ferdinand Céline. I giudici non si accorgono di nulla e, il 20 aprile 1951, lo amnistiano.
Che fa allora Céline?
Prende in considerazione varie soluzioni. Raggiungere Le Vigan in Argentina, il suo amico Zuloaga in Spagna o stabilirsi in Marocco! Alla fine, poiché la lingua francese gli manca terribilmente, decide di ritornare in Francia. A cinquantasette anni prende l’aereo per la prima volta. Dopo qualche settimana presso la famiglia di Lucette a Menton e presso degli amici a Neuilly, la coppia acquista un villino, in route des Gardes, a Meudon grazie alla vendita di beni che la famiglia di sua moglie possedeva in Normandia. Lì, durante dieci anni, porta a compimento il suo personaggio di cane rognoso delle lettere francesi. È una specie di esilio volontario. Si reca molto raramente a Parigi, vede pochi amici come Marcel Aymé o Roger Nimier.
Che ne è della sua opera d’anteguerra?
In seguito all’assassinio del suo editore, Robert Denoël, nel 1945, si oppone molto violentemente alla sua erede, Jeanne Loviton. Vieta tutte le riedizioni dei pamphlets e recupera finalmente i diritti del Viaggio al termine della notte e di Morte a credito. Un giovane giornalista, Pierre Monnier, li aveva coraggiosamente pubblicati, in poche copie, mentre era esiliato in Danimarca. Ma Céline è infuriato di non poter più, praticamente, ricevere alcun diritto d’autore. « Il Voyage vale una fattoria, una fattoria che va avanti da sola, una fattoria magica! », scrive al suo avvocato danese nel 1946. Perciò, appena arrivato in Francia, il 18 luglio 1951, uno dei suoi primi atti sarà di firmare un contratto con Gaston Gallimard, che non voleva «perdere» Céline una seconda volta. L’editore accetta tutte le richieste dello scrittore, pure molto alte: la riedizione dei suoi vecchi romanzi, un anticipo di cinque milioni di vecchi franchi, delle mensilità e il 18% dei diritti d’autore sui libri futuri. Ciò che non impedirà a Céline, di cui la riconoscenza non è la principale qualità, d’insultare il suo editore in alcuni testi divenuti famosi, in cui lo tratta da «droghiere disastroso» o da «vecchio nasello libidinoso»…
Céline ritrova il suo status di «star» delle lettere?
Gli inizi sono difficili. I tempi sono cambiati, Sartre e Camus appartengono all’alta società, e viene guardato come un sopravissuto d’anteguerra. Pantomima per un’altra volta (1952) e Normanne (1954), seppure bei libri, sono dei fiaschi, di cui vengono venduti alcune migliaia di copie. Bisognerà attendere Da un castello all’altro, nel 1957, lanciato da una famosa intervista all’ Express, perché sia nuovamente riconosciuto. La consacrazione quando gli viene annunciato che presto verrà pubblicato nella Pléiade. Da allora moltiplica le interviste alla stampa e fa delle apparizioni memorabili alla televisione. Di fronte alle telecamere recita sopra le righe il suo personaggio di misantropo. Ma la sua personalità era molto più complessa di così. Era un uomo al tempo stesso avaro e generoso, anarchico e amante dell’ordine, pacifista e militarista, ricco d’umanità eppure capace di scrivere i pamphlets…
Questo vecchio avventuriero termina la sua vita in letteratura?
Si. Ha esposto la sua targa di medico e si è iscritto all’ordine dei medici per poter, un giorno, percepire la pensione, ma i clienti sono pochi, scoraggiati dalle sue apparenze. Lavorerà fino al suo ultimo respiro, quando la malattia l’avrà logorato e la sua calligrafia si sarà fatta sempre più tremolante. Scrive migliaia di pagine che tiene unite con delle mollette da bucato. Il 30 giugno 1961 termina Rigodon e informa Gaston Gallimard per posta. Ha terminato la sua opera, può morire. L’indomani, il primo luglio, si spegne in silenzio. Lucette non annuncia subito la notizia. Solo una manciata di persone, le più vicine, tra le quali Arletty e Marvel Aymé, assistono alle esequie nel vecchio cimitero di Meudon. Sulla sua tomba, Lucette ha fatto incidere un veliero trialbero – omaggio al Brettone amante del mare e dei porti – e questo semplice epitaffio:
« Louis-Ferdinand Céline/Docteur L.-F. Destouches/
1894-1961 ».
Intervista realizzata da Jérôme Dupuis
(Traduzione di Gilberto Tura)
Tratto da “LIRE, HORSE SERIE” N° 7 - 2008
(Traduzione di Gilberto Tura)
Tratto da “LIRE, HORSE SERIE” N° 7 - 2008
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Ringrazio tantissimo Gilberto per aver tradotto questa lunga e interessante intervista!
Andrea